Destra di Popolo.net

ORA RENZI APRIRA’ AL DIALOGO CON FICO, MA PER FARLO FALLIRE

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

PORRA’ UNA SERIE DI CONDIZIONI CHE IL M5S NON POTRA’ ACCETTARE SENZA PERDERE LA FACCIA … RENZI PUNTA ALLA TERZA SOLUZIONE, IL GOVERNO DEL PRESIDENTE

“Le mattinate di primavera a Firenze sono una delle cose più belle del mondo”. Matteo Renzi consegna questo imprescindibile pensiero a Facebook, mentre le trattative per un nuovo governo si infittiscono e non risolvono.
Facendo notare la sua assenza, il senatore di Scandicci, ricorda che il disgelo primaverile dipende da lui. Che pare ben intenzionato a rientrare in gioco, per sparigliare ancora le carte.
“Quando il mandato della Casellati fallirà , se il presidente della Repubblica darà  il mandato esplorativo a Roberto Fico, il Pd andrà  a dirsi disponibile a un governo con i Cinque Stelle, con la benedizione di Renzi”.
A raccontarlo è un alto dirigente dem. Ma nei palazzi della politica, ieri, lo scenario va per la maggiore. Si racconta che l’ex segretario avrebbe fatto arrivare per interposta persona qualche segnale a Sergio Mattarella in questo senso.
Da qui a lunedì, quando dovrebbero iniziare le consultazioni di Fico, il tempo è lungo e le incognite tante.
Davvero l’ex premier sarebbe pronto a un cambio di strategia così forte? Quel che è certo è che a questo punto il pressing su di lui — dentro e fuori il partito — sta diventando insostenibile.
L’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è ormai convinto che il Movimento sia diventato il minore dei mali. Andrea Orlando, Dario Franceschini, Francesco Boccia, ma anche Maurizio Martina, stanno lavorando per costruire un terreno di dialogo con il Movimento ormai da settimane.
Ma a pensare che sarebbe il caso di andare almeno a scoprire le carte sono ormai in molti, anche tra i più vicini all’ex premier.
Ieri sul Foglio c’era un’interessante riflessione di Alfredo Bazoli: “È un rischio enorme per il Pd, perchè rischiamo di essere il vaso di coccio: se le cose vanno bene è merito loro, se le cose vanno male è colpa nostra. Però riflettendo su questo stallo, mi sono chiesto se esista un’alternativa migliore per il Pd e per il Paese, e no, non c’è”. Ora Bazoli, per quanto atipico, perchè autonomo, è un renziano della prima ora. L’intervista non è fatta sotto impulso del quartier generale dell’ex premier, ma è comunque un segnale.
Renzi il Pd sulla linea del no a priori non lo tiene più.
Tanto è vero che nella minoranza stanno pensando di chiedere una direzione per discutere. E dunque l’ex segretario — che mantiene un potere di veto — non può stare fermo. Quello che sta maturando è di mettere una tale serie di “se” e di “ma” da farla fallire un’eventuale intesa tra Cinque Stelle e Pd. Attribuendo il fallimento agli altri. Primo: niente premiership a Di Maio.
E Fico? È il nome su cui sta lavorando la minoranza, difficile che lui dia l’assenso. Secondo: il programma.
Ieri Dario Parrini ricordava la distanza abissale tra Pd e M5S, tacciando di propaganda il reddito di cittadinanza e l’abolizione della Fornero. E per i renziani il Jobs act non andrebbe rimesso in discussione.
Insomma, questa volta una disponibilità  Renzi la darebbe pure, ma alzando il prezzo in maniera insostenibile.
Tanto è vero che ieri i suoi continuavano a smentire l’apertura: “Io sono particolarmente divertito da queste ricostruzioni che ci vedono al governo. Sono cose di straordinaria fantasia”, nella versione di Ettore Rosato.
Quel che è vero, però, è che i giochi si faranno tutti in una terza fase, dopo il fallimento dell’esplorazione di Fico.
Se continua la rottura tra Lega e Cinque Stelle, l’ipotesi di un terzo nome e di un governo istituzionale, con i voti di Cinque Stelle e di tutto il Pd (compreso Renzi), diventa concreto, basato su una serie di punti programmatici e con una durata di partenza di un anno.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA TARDIVA SOLIDARIETA’ DELLA RAGGI A FEDERICA ANGELI: IL M5S NON SI VERGOGNA DI QUANDO LA ATTACCAVA?

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

IN PASSATO IL M5S L’AVEVA ADDIRITTURA INFAMATA DICENDO CHE ERA COLLUSA CON LA MAFIA, ORA FANNO FINTA DI NON CONOSCERE GLI SPADA

Federica Angeli, giornalista di Repubblica presa di mira dalla mafia di Ostia, ha testimoniato oggi in tribunale nel processo a carico degli esponenti del clan Spada. E oggi in Aula c’era anche una presenza necessaria: la sindaca di Roma Virginia Raggi.
La prima cittadina durante l’udienza ha tirato fuori belle parole nei confronti della giornalista: “Sono qui perchè le istituzioni non devono mai lasciare soli i cittadini soprattutto quando si tratta di lottare contro la mafia. Sono qui come sindaca della città  per lanciare un messaggio forte e duro contro la malavita. Gli Spada sappiano che Roma non ha paura”.
Ma ha anche aggiunto qualcosa di discutibile: “Oggi siamo qui vicino a Federica che ha il coraggio di testimoniare e siamo vicini a tutti quei cittadini che sono in prima linea come Giuliana Di Pillo (presidente del Municipio di Ostia), Paolo Ferrara (capogruppo M5S in Campidoglio), i carabinieri, le forze dell’ordine e i tanti cittadini onesti, gli imprenditori onesti di Ostia e del territorio”. Ecco, il riferimento ai componenti del M5S di Ostia è inopportuno, perchè se è arrivata in più occasioni la solidarietà  personale della sindaca a Federica Angeli, non risulta che il gruppo M5S abbia fatto lo stesso.
Prima la storia della falsa «relazione antimafia desecretata» e poi le accuse a lei, Alfonso Sabella e Don Ciotti, oltre alla bufala della candidatura nel PD
Forse non è stato un caso che la Raggi sia andato oggi in udienza visto quello che aveva scritto proprio la Angeli in risposta al tweet di solidarietà  della sindaca: “Pensavo al suo tw. Per “opinioni non sempre coincidenti” intende il dossier antimafia in cui il 5S ha accusato me di essere collusa con la mafia di Ostia? O l’alloggio che il 5S ha dato a uno Spada? Io ieri ero in aula contro Spada. Non a chiacchiere, ero lì, a testa alta Sindaca“.
Di certo c’è che la dichiarazione di oggi della Raggi sulla Angeli non è stata finora pubblicata, come d’abitudine, sulla pagina Facebook della sindaca di Roma. E i motivi di questo ritardo è facile intuirli. Purtroppo.

(da “NextQuotidiano”)

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FEDERICA ANGELI AL PROCESSO SPADA: “HANNO PROVATO A PRIVARMI DELLA LIBERTA’, MA NON HO PAURA”

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

“IL PREFETTO DI ROMA MI ASSEGNO’ LA SCORTA ‘ DICENDOMI CHE IN   40 ANNI NON ERA MAI SUCCESSO CHE UNO DI OSTIA DENUNCIASSE GLI SPADA”… MA DOVE SONO I CULTORI DELLA LEGALITA’ A PAROLE?

“Hanno provato in tutti i modi a privarmi della mia libertà  e sono riusciti a privarmi di quella fisica perchè ho la scorta ma sicuramente io alle loro regole non ci sto e oggi posso dirvi che mi sento libera, è una bellissima sensazione. Non ho paura”.
Sono le parole della giornalista Federica Angeli, sentita oggi come testimone nel processo a car ico di esponenti del clan Spada.
Nel corso dell’udienza la cronista di Repubblica ha ricordato   che vive sotto scorta da 1736 giorni. “In questi anni – ha raccontato – ho ricevuto minacce dirette e indirette, insulti sui social, avvertimenti. Anche mio figlio quando aveva 8 anni venne preso di mira da Carmine Spada che gli fece il segno della croce. Ricordo quando vennero sotto casa mia a brindare due imputati di questo processo che erano stati scarcerati. Vivo blindata, non posso neppure affacciarmi sul balcone di casa, da cui vidi le fasi del conflitto a fuoco”.
Angeli ha ricostruito quanto avvenuto il 17 luglio del 2013, giorno nel quale assistette ad un tentato duplice omicidio. “Carmine Spada intimò alle persone che si erano affacciate alla finestra di rientrare dentro -ha ricordato davanti ai giudici- Disse: ‘Che cazzo state guardando, lo spettacolo è finito. Tutti dentro!’. In quel momento ho sentito le tapparelle abbassarsi. Io sono rimasta lì, anche se mio marito mi diceva di rientrare. Non eseguo gli ordini di uno Spada”.
E ancora: “poche ore dopo aver denunciato a quanto assistito, fui chiamata dal Prefetto di Roma che mi disse che mi sarebbe stata assegnata una scorta perchè in 40 anni non era mai successo che qualcuno a Ostia denunciasse gli Spada. E io un mese e mezzo prima avevo denunciato Armando Spada durante la mia inchiesta giornalistica sugli stabilimenti
CALABRESI: “NON VA LASCIATA SOLA”
“Federica   non può essere lasciata sola. Quando raccontava dei fatti di Ostia sembrava quasi che enfatizzasse i fenomeni: oggi è invece chiaro, anche da quanto sta emergendo dalle inchieste, che in quella parte di Roma c’è un grumo di criminalità  e comportamenti omertosi che possono essere definiti mafiosi. Ad Ostia c’è un clima e una realtà  che non possono essere sottovalutati”.
Lo afferma il direttore de La Repubblica, Mario Calabresi, a margine dell’udienza. “I cittadini e i giornalisti devono essere compatti e sostenere chi con coraggio ha saputo raccontare prima degli altri cosa succedeva e continua a succedere sul litorale romano”, ha concluso Calabresi.
E al fianco di Federica si è schierata anche la Regione Lazio. “Angeli in questi anni con rigore e professionalità  ha continuato ad illuminare con le sue inchieste giornalistiche un territorio devastato dalle mafie come Ostia. E’ doveroso da parte delle Istituzioni e dei cittadini che credono nella libertà  – si legge ancora – accompagnare Federica Angeli questa mattina nell’aula del tribunale quando si troverà  a raccontare quell’episodio davanti agli esponenti del clan Spada. Un clan che grazie alle forze di polizia e Direzione distrettuale antimafia il 6 giugno prossimo verrà  processato per associazione a delinquere di stampo mafioso. Un clan che come scrivono i magistrati ‘ha provocato un profondo degrado sul territorio, consentendo il dilagare di reati gravissimi e lesivi di beni primari’.
Il crescendo di minacce e intimidazioni a giornalisti come Federica Angeli non può non suscitare allarme sull’esercizio della libertà  di cronaca e sul diritto dei cittadini di essere informati. La mafia ricerca il consenso, per questo per lei è importante influenzare l’opinione pubblica”.
Nell’aula Vittorio Occorsio c’è anche una delegazione di rappresentanti degli organismi di stampa in tribunale per riproporre la “scorta mediatica” alla giornalista e a tutti i colleghi minacciati per via del loro lavoro. A ricordarlo, in una nota, è la Federazione nazionale della stampa.
L’iniziativa, promossa da Fnsi, Usigrai, Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e associazione Articolo21, con la partecipazione di Associazione Stampa Romana, Ordine dei giornalisti del Lazio, rete NoBavaglio, Libera e Libera Informazione, arriva all’indomani di un’altra udienza, nell’ambito di un diverso procedimento sempre relativo alle infiltrazioni della criminalità  organizzata sul litorale romano, durante la quale uno degli imputati ha ribadito di aver “consigliato” alla cronista, apostrofata come “giornalaia”, di “pensare alla famiglia”, invece di fare interviste.
Fnsi e Cnog sono parte civile nel procedimento.

(da agenzie)

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BASTA PARLARE DI BULLISMO, QUESTA E’ FECCIA E COME TALE VA TRATTATA

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

MINACCIARE UN INSEGNANTE E’ OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE E   L’ART 98 DEL CODICE PENALE AFFERMA LA RESPONSABILITA’ ANCHE DI CHI E’ MINORENNE  

Ormai quotidianamente i media ci informano di fatti relativi ad aggressioni da parte di studenti a danno di docenti di ogni ordine e grado e quotidianamente veniamo messi dinanzi lacune legislative, normative, educative e formative di vario tipo: ogni giorno cioè i media restituiscono alla pubblica opinione un quadro alquanto allarmante, tanto per i fatti di cui si viene a dar nota quanto per le misure che di volta in volta vengono adottate al fine di dare risposta ai fatti stessi.
Misure, è bene chiarirlo fin da principio, assolutamente inconsistenti, inadeguate e a tratti ridicole: quale incidenza vogliamo che abbia la solita sospensioncina, la nota o il richiamo formale su alunni che — diciamolo chiaramente — non hanno alcun problema a minacciare e aggredire in vario modo coloro i quali (prima ancora di essere docenti) rappresentano a pieno titolo l’autorità ?
Ultimo in ordine di apparizione è il fatto relativo allo studente di Lucca che, dinanzi compagni di classe gaudenti e per nulla scandalizzati — piuttosto che intervenire e calmarlo sghignazzavano filmando il tutto col cellulare -, ha aggredito verbalmente un proprio docente intimandolo a mettergli sei sul registro: una pubblica umiliazione che ha raggiunto il suo culmine quando l’alunno si è spinto a chiedere al docente di mettersi in ginocchio.
Se quanto accaduto risulta essere di una gravità  inaudita, ancora più sconcertante è il fatto che l’evento — così come tutti quelli che lo hanno preceduto — venga classificato dai media come atto bullistico.
Ebbene, di bullismo non si tratta affatto, essendo questo (da definizione) il “fenomeno delle prepotenze perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei soprattutto in ambito scolastico”.
Come poi ricordano gli studiosi Angela Guarino, Riccardo Lancellotti e Grazia Serantoni nel volume Bullismo. Aspetti giuridici, teorie psicologiche e tecniche di intervento (Franco Angeli), il bullismo indica “un insieme di comportamenti verbali, fisici e psicologici reiterati nel tempo, posti in essere da un individuo, o da un gruppo di individui, nei confronti di individui più deboli”.
Dunque, per quale motivo continuare a classificare i gravissimi fatti di cui ci stiamo occupando con categorie che nulla hanno a che vedere con gli stessi?
I fatti di Lucca — così come tutti quelli di cui veniamo oramai informati a cadenza terribilmente regolare — non erano rivolti a coetanei o soggetti più deboli: quei fatti, se proprio li si vuole inquadrare in qualche modo, hanno molto più probabilmente a che fare con una categoria giuridica ben precisa, quella cioè esplicata dall’articolo 341 bis del codice penale, che recita: “Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni”.
Il reato in questione, come si può facilmente intuire, è quello di oltraggio a pubblico ufficiale: essendo i docenti scolastici pubblici ufficiali ed essendo il fatto di cui sopra — come i molti altri di cui abbiamo avuto ultimamente notizia — relativo a minori sopra i 14 anni, occorre allora che l’accaduto venga chiamato dagli organi che si occupano di darne notizia col proprio nome e non con appellativi o etichette che non c’entrano assolutamente nulla.
L’art. 98 del codice penale ritiene infatti imputabile “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18, se aveva capacità  d’intendere e di volere”, indicando, infine, una diminuzione di pena rispetto agli individui maggiorenni.
Chiediamo pertanto agli organi di stampa di chiamare le cose col proprio nome e di dare dunque a fatti tanto gravi il giusto peso mediatico, affinchè anche nell’opinione pubblica (anzitutto nei genitori e negli stessi alunni) inizi finalmente a formarsi l’idea di quanto poco convenga assumere determinati atteggiamenti nei confronti dei docenti, pubblici ufficiali nel pieno esercizio delle proprie funzioni.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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DA NORD A SUD E’ ALLARME FECCIA, ALTRA PROF MINACCIATA: “TI SCIOLGO NELL’ACIDO”

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

OBBLIGO DI DIMORA PER ALTRI STUDENTI CHE PICCHIAVANO COMPAGNO

“Te faccio sciogliere nell’acido professore'”. E’ allarme bullismo. Da Lucca a Venezia, da Chieti a Velltri dai professori ai compagni di scuola,   si moltiplicano le vittime dei violenti. Studenti, adolescenti, coetanei si trasformano in classe in aguzzini dei loro compagni, dei loro insegnanti. Spesso, per postare poi le loro “imprese” in rete.
Un nuovo episodio viene ora alla luce dopo il caso del docente di Lucca miancciato: è accaduto a Velletri, alle porte di Roma.
“Te faccio scioglie in mezzo all’acido, te mando all’ospedale professorè”, ha detto uno studente di un Istituto Tecnico all’insegnante, riprendendo titto col telefonino e condividendo sui social con tantissime visualizzazioni.
Il caso è avvenuto un anno fa ma ora, dopo che il video è diventato virale, i carabinieri hanno inviato un’informativa in Procura.
E sempre in zona Castelli romani i carabinieri hanno sgominato una banda,   formata da ragazzi minorenni o poco più che maggiorenni   e capeggiata da un 16 enne, che oltre a compiere atti di bullismo, avevano messo in atto un sodalizio criminoso che con l’uso sistematico e reiterato della violenza, facevano spacciare stupefacenti a minori per loro conto che dovevano poi consegnare il ricavato prestabilito.
Altri episodi violenti sono stati sanzionati. Pugni, testa sbattuta sui banchi, insulti, minacce.
Ora i due studenti bulli che per mesi avevano reso i giorni di scuola un inferno ad un compagno di classe di 14 anni sono stati puniti. Hanno ricevuto un ordine di permanenza in casa per avere aggredito, minacciato e insultato a scuola, l’8 novembre 2017, il giovane.
Lo ha deciso il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila disponendo l’ordinanza per i responsabili degli atti di bullismo avvenuti in un istituto superiore alberghiero della provincia di Chieti contro un compagno che frequentava la prima classe dell’istituto e che beneficia del sostegno.
Vittima di soprusi un ragazzo di Lanciano, 14 anni, iscritto alla prima classe. Dall’inizio dell’anno le angherie nei suoi confronti sono state continue ma a lungo il ragazzo non ha detto nulla. Vive in convintto, torna casa ogni tanto e non vuole preoccupare la madre che fatica a dargli questa occasione di studio.
Un giorno la donna si accorge che il figlio è sempre più spaventato, e sul corpo scopre echimosi, lividi che, controllati dal medico in ospedale, porternano a sette giorni di prognosi. In ospedale a Lanciano i medici diagnosticano allo studente una distorsione del rachide cervicale, contusione di una costola non commotivo e, appunto, le ecchimosi da aggressione.
Ma gli incubi in classe non sono finiti. Sul gruppo di whatsup continuano le minacce, gli insulti. anche a voce i compagni registrano minacce: “se torni ti massacriamo di botte e ti buttiamo dalle scale antincendio” dicono e scrivono.
A questo punto il ragazzo e la madre si arrendono.- Il giovane si ritira da scuola, ma la madre denunca il tutto ai carabinieri. Parte l’indagine mentre la scuola prende provvedimenti contro gli studenti violenti. Oggi i provvedimenti restrittivi.
E se nel veneziano una ragazzina esasperata dagli insulti via chat   si è gettata la finestra, salvandosi, nei giorni scorsi anche a Bologna undici ragazzini fra i 14 e i 15 anni – italiani e stranieri – erano stati denunciati alla Procura dei minori dai carabinieri di Borgo Panigale per i reati di minacce, violenza privata, percosse, lesioni personali e, in un caso, tentata rapina. fatti sono avvenuti fra dicembre e febbraio al centro commerciale Meridiana di Casalecchio.
I ragazzini, anche a piccoli gruppi, prendevano di mira le vittime e le picchiavano anche per futili motivi, anche solo per uno sguardo non gradito. Tre, in particolare, gli episodi denunciati ma i carabinieri sospettano che siano molti di più.

(da agenzie)

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DI MAIO, SALVINI, RENZI: ECCO CHI VUOLE METTERE LE MANI SUI SERVIZI SEGRETI

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

CORDATE, TRAME, LOTTE INTESTINE, IL MONDO DELL’INTELLIGENCE E’ IN AGITAZIONE

C’è Matteo Renzi, che – come racconta un suo fedelissimo – «vuole stare all’opposizione anche per prendersi la guida del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, in modo da capire se la vicenda Consip nasconda una macchinazione contro di lui organizzata da pezzi dei servizi segreti».
C’è Matteo Salvini, che si è scagliato contro la proroga dei vertici dei nostri 007 decisa dal governo Gentiloni, e che ha litigato con il compagno di partito Giacomo Stucchi, il presidente uscente del comitato che non è stato nemmeno ricandidato in Parlamento perchè sospettato d’essere troppo vicino a Marco Minniti.
C’è Luigi Di Maio con i suoi adepti, che spiegano come, in caso di governo pentastellato, le barbe finte dovranno essere rivoluzionate, grazie all’aiuto di esperti e operativi che con i grillini hanno intessuto, da qualche mese, impreviste relazioni.
Insomma, mentre il presidente Sergio Mattarella cerca di trovare una difficile quadra per uscire dal pantano, dare un esecutivo al Paese ed evitare di andare a nuove elezioni, dietro le quinte i leader politici stanno lavorando al dossier, delicatissimo, delle nostre agenzie di sicurezza.
Tra scontri tra e dentro i partiti, veleni interni ai servizi e sospetti incrociati, Paolo Gentiloni ha da poco prorogato sia il vertice del Dis (il dipartimento che coordina e vigila sulle nostre due agenzie) guidato dal prefetto Alessandro Pansa, sia i mandati dei direttori dell’Aise e dell’Aisi, rispettivamente il generale Alberto Manenti e il prefetto Mario Parente.
Una blindatura necessaria a garantire la continuità  operativa della nostra intelligence, per evitare vuoti di potere in un momento in cui l’allarme terrorismo resta altissimo.
L’operazione, apparentemente semplice, è stata invece tutt’altro che agevole.
Il premier, che ha tenuto per sè le deleghe ai servizi segreti, non solo è stato attaccato pubblicamente da Salvini e da Angelo Tofalo del M5S. Ma il blitz di fine febbraio per portare a casa una proroga di ben due anni, caldeggiato anche da Minniti, è stato osteggiato anche dai membri del Copasir più vicini a Renzi, come Ettore Rosato e Lorenzo Guerini.
Alla fine il governo ha potuto differire l’uscita di Pansa e Manenti (che sono in età  pensionabile) per un solo anno, e il Comitato ha approvato a maggioranza un testo alternativo rispetto a quello uscito da Palazzo Chigi, che ha specificato come il prossimo esecutivo potrà  nominare i nuovi vertici in qualsiasi momento voglia.
La vicenda, soprattutto, ha esasperato i rapporti, mai lineari al di là  delle apparenze, tra Renzi e il ministro dell’Interno: il primo non ha mai amato chi può fargli ombra (il nome di Minniti torna spesso come uno dei pochi spendibili come guida di un governo di larghe intese, anche perchè molto stimato sia da Salvini che da Di Maio per l’efficace contenimento dei flussi migratori), mentre il democrat calabrese è ancora arrabbiato con l’ex segretario, che in una notte di fine gennaio cancellò dalle liste elettorali Nicola Latorre, Andrea Manciulli e Enzo Amendola, ossia tutti i parlamentari a lui più vicini.
Si formasse davvero un governo con il Pd all’opposizione, la priorità , per Renzi, sarà  quella di provare a piazzare un suo uomo a capo del Copasir.
Guerini e Rosato sono in campo, ma il prescelto di Matteo sarebbe Luca Lotti.
Sul petalo del Giglio magico, però, ad oggi pesa l’avviso di garanzia per una presunta divulgazione di notizie riservate: la procura di Roma ha indagato l’attuale ministro, insieme all’ex comandante dei carabinieri Tullio Del Sette e al generale Emanuele Saltalamacchia, con l’accusa di aver rivelato all’allora amministratore delegato della centrale d’acquisti Luigi Marroni l’esistenza dell’inchiesta portata avanti dai pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano e poi finita a Roma per competenza.
L’indagine è incentrata anche sulle gare d’appalto della Consip e sul possibile ruolo di corruttore dell’imprenditore Alfredo Romeo. E, come è noto, sul presunto traffico di influenze illecite del papà  di Renzi, Tiziano, del suo sodale Carlo Russo e dell’ex parlamentare Italo Bocchino, consulente di Romeo. In merito alla posizione di Lotti, la scorsa settimana i pm di Giuseppe Pignatone hanno sentito come persona informata sui fatti anche l’ex premier.
All’Espresso risulta che la procura si appresta a chiudere le indagini, e a richiedere il rinvio a giudizio di quasi tutti gli indagati.
Sia davvero Lotti o un altro dei suoi pretoriani, l’obiettivo di Renzi è quello di dare contorni più chiari, attraverso il Copasir, a quelle che sono, da un anno esatto, le sue ossessioni.
Al netto dei sospetti sulle presunte falsificazioni del maggiore del Noe che ha condotto le indagini su Consip (per i pm di Roma Gianpaolo Scafarto è colpevole di aver contraffatto alcune prove per incastrare babbo Renzi, qualche giorno fa i giudici del riesame hanno parlato solo di «errori involontari», si aspetta la decisione della Cassazione), l’ex premier ha promesso ai suoi che farà  di tutto per accendere un faro su tutte le ombre che ancora avvolgono i rapporti tra Scafarto e il suo ex capo al Noe. Cioè Sergio De Caprio, il mitico colonnello Ultimo che arrestò Totò Riina, passato a marzo 2016 all’Aise, e poi frettolosamente restituito – in seguito allo scandalo Consip – all’Arma nel luglio del 2017 insieme a tutti i fedelissimi che aveva portato nei servizi e al Rud (il Raggruppamento Unità  Difesa dentro Forte Braschi). In circostanze finora mai del tutto chiarite.
Anche dentro l’agenzia per la sicurezza esterna e all’interno dell’Arma i veleni del caso Consip ribollono furiosi, compressi in una pentola a pressione pronta a esplodere.
Ed è un fatto che qualche fonte autorevole dell’intelligence ha raccontato ai renziani versioni diverse rispetto alle ricostruzioni della vicenda finora circolate.
Se l’inner circle del generale e quello vicino a Minniti hanno fatto filtrare per mesi che furono i carabinieri a chiedere al governo di prendersi De Caprio (dal 2015 inviso a Renzi e al comando generale dopo che “Il Fatto” pubblicò un’intercettazione imbarazzante tra il leader Pd e il generale della Gdf Michele Adinolfi contenuta nell’inchiesta sulla cooperativa Cpl Concordia, sempre firmata dal Noe e da Woodcock), altre barbe finte e qualche confidente molto vicino a Del Sette ha sussurrato al Giglio Magico che la verità  sarebbe un’altra.
Affermando, infatti, che fu Minniti, al tempo sottosegretario del governo Renzi con la delega ai servizi, a chiedere alla Benemerita lo spostamento di Ultimo tra gli 007.
Anche a L’Espresso risulta che l’ex comandante generale e il suo Capo di Stato Maggiore Vincenzo Maruccia, in effetti, ripetono come un mantra ai loro amici intimi che loro – per eliminare quella che consideravano ormai l’anomalia del Noe – avevano proposto a De Caprio, con il più classico dei promoveatur ut amoveatur, un comando. In particolare, quello per la Tutela agroalimentare.
Proposta fatta nella pizzeria “Il mendicante” della onlus Mistica, casa famiglia creata dal colonnello nella zona di Torre Spaccata, a Roma. Ultimo, però, rifiuta la proposta. Spiega ai suoi superiori di voler lasciare i carabinieri e trasferirsi ai servizi.
Con l’autorità  delegata del governo, dice, c’è già  un accordo di massima. Se il capo dell’Aisi Mario Parente si era però subito sfilato dall’operazione (qualcuno inizialmente aveva pensato di usare le abilità  investigative di De Caprio per dare la caccia al boss mafioso Matteo Messina Denaro), Minniti riesce a convincere Manenti ad accogliere Ultimo con tutti gli onori: l’incarico, prestigioso e delicato, è quello della direzione dell’ufficio delegato alla sicurezza interna, il reparto dell’Aise che investiga anche sulle possibili talpe che si annidano tra gli 007.
C’è un dettaglio, però, che hanno notato in pochi. De Caprio conosce da tempo, e bene, sia Manenti sia Minniti. Nel senso che ha investigato a lungo sia sul generale, che ha intercettato nel 2011 nell’ambito di un’inchiesta su Finmeccanica, sia sulla fondazione Icsa, fondata proprio da Minniti nel 2009 e finita nella lente d’ingrandimento degli uomini di Ultimo nel 2014 in uno dei filoni dell’inchiesta sulla Cpl Concordia.
Già . Una delle informative del Noe su Finmeccanica contiene alcune telefonate tra l’allora vicedirettore dell’Aise Manenti e alcuni manager del colosso degli armamenti come Francescomaria Tuccillo e Alessandro Toci.
Non solo: nelle stesse carte il generale viene definito in un verbale del dirigente Lorenzo Borgogni «il referente di Orsi», l’ex ad della multinazionale, «all’interno dei servizi segreti», mentre gli uomini di Ultimo che firmano l’informativa lo descrivono «persona molto vicina al “mondo” Finmeccanica»). Negli atti viene citato anche Giuseppe Caputo, fedelissimo di Manenti diventato lo scorso dicembre numero due dell’agenzia, e avversario principale dell’altro vice Giovanni Caravelli nella corsa per la successione di Manenti.
L’intera indagine è finita in una bolla di sapone (l’ultima sentenza di assoluzione per Orsi e di Bruno Spagnolini ex Agusta Westland è dello scorso gennaio), e la circostanza che Manenti non sia stato nemmeno indagato dopo mesi di intercettazioni sembra evidenziare la sua totale estraneità  agli iniziali sospetti investigativi.
Eppure i nemici del direttore si domandano per quale motivo il generale abbia potuto avallare l’ingresso nei servizi dell’uomo che lo intercettò per mesi e che guidò un’inchiesta che, per usare le parole dell’attuale presidente della fondazione Icsa Leonardo Tricarico, «ha distrutto la vita di alcune persone mettendo in ginocchio la più grande azienda italiana del settore».
Forse Tricarico non sa che De Caprio è stato “perdonato” anche da Minniti: fu sempre il Noe, infatti, a investigare sulla Icsa creata dal ministro dell’Interno nel 2009 (quando fu nominato sottosegretario da Enrico Letta Minniti lasciò però ogni incarico nell’ente), e furono sempre gli agenti di Ultimo a svelare come la cooperativa Cpl Concordia nel 2014 aveva versato 20 mila euro alla fondazione.
La congettura investigativa, anche questa tramontata, si basava sull’ipotesi che, in cambio di erogazioni liberali, la Icsa desse poi «una mano» alla Cpl Concordia nell’aggiudicazione di alcuni appalti pubblici.
E fu sempre De Caprio, nell’aprile del 2015, a portare al procuratore di Modena Lucia Musti le carte sulla Cpl Concordia – che lambivano anche Massimo D’Alema – e sulla Icsa. Il giudice archiviò tutto ma qualche mese fa, audita al Csm, disse che Scafarto e De Caprio le sembrarono due esagitati: «Il colonnello Ultimo mi disse: dottoressa, lei se vuole ha una bomba in mano, lei se vuole può fare esplodere la bomba», ha chiarito in un’audizione nel luglio del 2017 «Non so in riferimento a cosa lo disse».
Nonostante i “precedenti” con Manenti e l’ente di Minniti, Ultimo nel febbraio-marzo del 2016 diventa parte della loro squadra, in posizione di alto rango. Passando all’Aise, il colonnello chiede a Manenti di portarsi un gruppo di fedelissimi in blocco. Vengono richiesti all’Arma decine di carabinieri, molti dei quali provenienti dal Noe. Alcuni di loro stanno già  lavorando da tempo al caso Consip quando vengono trasferiti ai servizi.
All’Espresso risulta che il nome in cima alla lista arrivata sulle scrivanie di Del Sette e Maruccia è proprio quello di Scafarto. Il comando generale mette il veto: sanno che il maggiore sta lavorando con Woodcock, e non vogliono attriti con la procura di Napoli.
Di carabinieri, alla fine, all’Aise ne arrivano 23. Inseriti nella Divisione sicurezza interna e al Rud. Il loro compito è quello di sorvegliare gli altri 007, controllare la loro fedeltà , le loro spese per le operazioni sotto copertura. Ma, nel periodo in cui Minniti cerca di mettere d’accordo le tribù del Sud della Libia con la speranza di bloccare all’origine il mercato e il flusso di profughi, vengono usati anche per alcune missioni in Africa.
Tutto fila liscio per qualche mese. Ma tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 esplode il caso Consip, e molti cominciano a sentire puzza di bruciato. Quando Scafarto viene accusato dai pm di Roma di aver falsificato prove e di aver fatto delle soffiate sull’andamento delle indagini a due marescialli ex Noe che erano passati ai servizi con De Caprio; e quando si scoprirà  che, come ha scritto Carlo Bonini su Repubblica, che il maggiore aveva inviato una mail a Forte Braschi contenente il file “Mancini.docx”, (spiegando che era «sempre per il capo», presumibilmente Ultimo), le antenne di Renzi e di altri alti dirigenti dei nostri servizi si rizzano. Quel file, in particolare, contiene infatti documenti investigativi sui rapporti tra un pezzo grosso del Dis, quel Marco Mancini coinvolto anni fa nello scandalo del rapimento di Abu Omar, con Italo Bocchino.
L’avvocato di Ultimo spiega che le mail non furono nemmeno aperte nè tantomeno sollecitate, e all’Aise giurano che nessuno dei vertici fosse mai stato a conoscenza dei legami mai recisi tra De Caprio e il maggiore.
Finora non c’è stata nessun altra prova di un reale coinvolgimento dei servizi nelle indagini sulla Consip. E la procura di Roma, dopo che i 23 Ultimo Boys sono stati riconsegnati in meno di un giorno all’Arma, non ha aperto alcun fascicolo per accendere un faro sull’Aise. Ma i sospetti non si sono mai diradati. Anzi.
Cinque mesi fa Renzi ha stampato e conservato due articoli del “Tempo” e del sito “Lettera 43”. Che hanno ipotizzato come alcuni uffici in disuso di una banca di fronte a Forte Braschi sarebbero stati trasformati dagli uomini di De Caprio in una potente centrale d’ascolto.
Un’altra fonte interna all’agenzia ci conferma la storia, aggiungendo che per la sede era stata creata appositamente un’utenza fittizia che permetteva l’afflusso di dati (fino a 100 GB per audio, video e localizzazione Gps di persone e veicoli), e che le investigazioni sarebbero state effettuate con costose valigette Cobham Capsure da oltre 30 mila euro.
La domanda che si sono fatti in molti, soprattutto i renziani che hanno gridato al complotto, è una soltanto: la centrale serviva a intercettare preventivamente il personale (operazione che sarebbe stata autorizzata, come vuole la legge, dal procuratore generale della corte d’appello di Roma Giovanni Salvi e che avrebbe visto coinvolti una quindicina di spioni) o anche per altre attività  diverse da quelle ufficiali? Altri 007 vicini alla direzione smentiscono seccamente che l’ufficio sia stato utilizzato per intercettazioni di qualsiasi tipo, legali o tantomeno illegali: «La ex banca per Ultimo e i suoi era solo un “appoggio”, venivano parcheggiate auto e materiale tecnico. C’è qualcuno dei nostri che vuole seminare zizzania».
Se i generali dei nostri servizi sono preoccupati dei vecchi veleni ancora in circolo e dalle mosse di pezzi del Pd, i capi dell’intelligence devono contemporaneamente tentare di indovinare quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi, in caso la Lega e il Movimento Cinque Stelle riuscissero a formare un governo.
Se nella compagine fosse presente anche Forza Italia, gli 007 farebbero sponda innanzitutto con l’ex sottosegretario Gianni Letta: il numero uno dei servizi interni, il prefetto Parente, è considerato vicinissimo al grande vecchio, che negli ultimi decenni ha coltivato ottimi rapporti anche all’Aise con dirigenti di ogni ordine e grado.
Ma molti generali e 007 stanno bussando anche alla porta dei maggiorenti della Lega e del Movimento Cinque Stelle, grandi vincitori delle elezioni di inizio marzo. I rapporti tra i grillini e la nostra intelligence non sono allo stato embrionale come i più sprovveduti possono immaginare: grazie all’attivismo di alcuni parlamentari e di qualche spione attento alla crescita elettorale della creatura di Grillo e Casaleggio, nell’ultima legislatura qualche seme è stato piantato, e le relazioni tra il mondo dell’intelligence e il M5S sono meno lasche di quel che si può pensare.
I grillini che si occupano dei dossier forze dell’ordine e servizi sono big come Danilo Toninelli e Manlio Di Stefano, e i due parlamentari Vito Crimi e Angelo Tofalo, che hanno messo a frutto l’esperienza quinquennale al Copasir, e che da tempo parlano con i generali e i colonnelli che vogliono accreditarsi con il nuovo che avanza.
Gli uomini di Di Maio sono comunque assai critici con l’attuale struttura: se l’Aisi nello scenario politico e internazionale è considerato, spiega un big pentastellato, «quasi ininfluente», e il capo del Dis Alessandro Pansa viene bacchettato per non aver investito quanto il suo predecessore «nella comunicazione e nella trasparenza, che per noi è fondamentale», l’Aise è considerato un mondo ancora ostile, dove «comandano ancora uomini vicini a Letta, a D’Alema, a Gianni De Gennaro e, ovviamente, a Minniti».
I grillini più che a cercare nuovi profili per le direzioni stanno lavorando a un piano di riforma radicale delle agenzie. «Andassimo a Palazzo Chigi vorremmo dar vita a un gruppo di saggi che abbia cinque-sei mesi di tempo per disegnare un nuovo modello organizzativo, che possa finalmente eliminare la nefasta competizione tra Aisi e Aise», spiegano dal quartier generale di Di Maio.
«Una concorrenza che talvolta danneggia la qualità  delle indagini e rallenta la ricerca delle informazioni sensibili alla sicurezza nazionale, con strutture che si sovrappongono e che spesso non comunicano. Il M5S al governo potrebbe proporre un rafforzamento del Dis, e la creazione – al posto di Aisi e Aise – di quattro dipartimenti specializzati: per la lotta al terrorismo, per lo spionaggio e il controspionaggio, per il cyber e per l’analisi dei dati».
Chi potrebbe lavorare alla riforma grillina? Sicuramente le due ministre in pectore Elisabetta Trenta e Paola Giannetakis, che Di Maio sogna come titolari di due dicasteri strategici come gli Esteri e l’Interno. Entrambe, come è stato raccontato dai giornali, sono professoresse alla   Link Campus University , l’ateneo fondato dall’ex ministro democristiano Vincenzo Scotti specializzato in «studi strategici, diplomatici e sicurezza» i cui corsi sono stati seguiti proprio da Tofalo.
Meno noto è che nei master della Link dedicati all’intelligence insegnano da anni, oltre alle due docenti grilline, uomini di spicco dei nostri servizi segreti. La Trenta è infatti «coordinatore didattico» del master di II livello per «l’intelligence e la sicurezza» in cui insegnano Adriana Piancastelli, vedova dell’ex capo della polizia Manganelli e dirigente del dipartimento guidato da Pansa, Bruno Valensise (anche lui al Dis), l’ex prefetto Adriano Soi e Alfredo Mantici (capo dipartimento al Sisde dal 2002 al 2007).
Nella lista dei prof ci sono anche Umberto Saccone ex Sismi e l’ex numero uno del Dis e attuale presidente di Fincantieri Giampiero Massolo, molto stimato dagli uomini di Beppe Grillo. Se Mantici, Soi, Saccone (che ha scritto pure per il blog del garante del movimento) e la Giannetakis parteciparono al convegno sull’intelligence organizzato dal loro studente-parlamentare Tofalo nell’aprile del 2016, il direttore del master risulta essere Marco Mayer, docente anche alla Luiss e da maggio dell’anno scorso consigliere della cybersicurity per Minniti.
«Non c’è nessun collegamento organico tra l’università  e il M5S» ha ragionato indignato Scotti. «Nel nostro comitato scientifico ci sono cinque parlamentari eletti o rieletti in schieramenti diversi, non solo dei Cinque Stelle. Ci chiamano l’università  degli 007? Chi lo scrive è in malafede o ignorante».
Vero, i corsi sono tanti e variegati. Ma è un fatto che tra i docenti più attivi del master della Trenta e della Giannetakis all’Espresso ci sia pure Paolo Scotto di Castelbianco, direttore della scuola di formazione del Dis che è stato fotografato in prima fila ad alcuni eventi della Link, e che è intervenuto come moderatore alle presentazioni di libri della casa editrice dell’università , la Eurilink. Scotto è uno 007 sui generis: se da un lato ha il compito di promuovere – come indica la legge di riforma dei servizi del 2007 – un rapporto più stretto tra università  e intelligence (anche per trovare eventuali candidati da reclutare, sul modello usato nella Cia e nel britannico MI5), è famoso tra i gourmet italiani per le sue recensioni gastronomiche sotto lo pseudonimo di “Giacomo A. Dente”, critico culinario del Messaggero e collaboratore delle Guide L’Espresso.
Lo 007, già  alla presidenza del Consiglio nel 2010, ha un destino simile a quello del suo vate: ossia il prefetto Federico Umberto d’Amato, per decenni direttore del potente Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno e finito pure nelle liste della P2, che firmava recensioni gastronomiche sulle Guide con il nom de plume “Federico Godio”.

(da “L’Espresso”)

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M5S-PD: IL DIBATTITO SUL CAMBIO DI SCENARIO

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

L’OPINIONE DI MASSIMO CACCIARI, UGO MATTEI, TOMASO MONTANARI E DIEGO FUSARO

Massimo Cacciari: scenario incredibile, i vincitori trattano con i perdenti  
L’unico scenario a cui Massimo Cacciari è certo di non dover mai assistere è proprio questo: «Che il Movimento 5 Stelle tenti di fare un accordo col Pd. Questo mi sembra davvero incredibile. Assurdo che il partito vincitore delle elezioni accetti di essere condizionato dalla forza più sconfitta».
Neanche se a guidare un ipotetico governo fosse Fico, il grillino che in qualche modo sembra più vicino alle idee della sinistra?  
«Cambia davvero molto poco. Il vero problema è che i Cinque Stelle dovrebbero ritrovarsi a trattare con Renzi, che ha ancora la guida della parte più forte e più rappresentativa del partito. Non solo: il Movimento dovrebbe accettare le proposte del Pd, dovendo persino concordare i nomi delle persone a cui affidare tutti gli incarichi».
Quale può essere ora la via d’uscita?  
«Quella di un governo istituzionale. Per Mattarella questa può essere l’unica soluzione realmente praticabile. Vista la situazione che si è creata, il M5S ha l’ultima possibilità  per riuscire a far parte di un governo: quella di un esecutivo in cui sono dentro tutti, scelto dal Capo dello Stato, magari con l’incarico di riformare la legge elettorale. Soltanto in questa situazione i grillini e il Pd potranno stare insieme».
La trattativa tra Lega e M5S oggi è fallita definitivamente oppure c’è un’altra possibilità ?  
«La soluzione a questo caso resta ancora nelle mani di Berlusconi. Di Maio e il Movimento su questo punto hanno la strada sbarrata: non possono in nessun modo tornare indietro. Sarebbe una figuraccia se facessero cadere il veto che hanno posto fin da subito sull’ex premier. La mossa più utile, se si vuole sbloccare la situazione, potrebbe farla Berlusconi: si faccia da parte».
Ma quanto le sembra probabile che possa accadere?  
«Poco, ma sarebbe bello a quel punto vedere se Di Maio e Salvini sono in grado di formare un governo. Tutti gli italiani li potrebbero giudicare alla prova dei fatti. L’alternativa è che i vincitori delle elezioni dicano chiaramente di aver fallito».


Ugo Mattei: ma prima facciano le primarie per sentire la base  

«Il Movimento Cinque stelle e il Partito democratico devono sentire i loro iscritti per capire con quale programma e su quali valori si può governare insieme».
Secondo Ugo Mattei, docente di diritto privato a Torino e a Berkeley, si è già  perso troppo tempo. «Ormai sono passati 45 giorni di teatrino politico fatto di capi e capetti che si alternano in consultazioni formali. Per uscire dallo stallo bisogna ridare la parola ai cittadini e capire qual è la vera volontà  popolare. Serve un nuovo metodo».
E come si fa?  
«Si potrebbe incaricare il presidente della Camera Roberto Fico e dare 15 giorni di tempo ai leader di Movimento Cinque Stelle e Partito democratico per consultare le loro basi e capire se è possibile un’alleanza. Ormai non ci sono molte alternative. Il Movimento Cinque Stelle ha sempre detto di aver preso decisioni con le consultazioni online, il Partito democratico si vanta e stra vanta di aver fatto le primarie. Che le facciano una buona volta per una giusta causa!».
Quali potrebbero essere i punti in comune per un governo M5S – Pd?  
«Lavoro, beni comuni, ambiente, ecologia e modifica della legge Fornero».
Roberto Fico è l’uomo giusto per creare questa alleanza politica?  
«Sì, Fico ha fatto un percorso importante sulla lotta per i beni comuni e contro la privatizzazione dell’acqua pubblica. È il prodotto di un movimento importante, fatto di forze che vengono dalla base sociale del Paese e che devono portare al potere qualcuno che abbia a cuore queste lotte».
Ma il capo politico del Movimento è Luigi Di Maio. Questo può essere un ostacolo?
«Non è pensabile che il 30 per cento delle persone abbia votato il Movimento Cinque Stelle e questo significhi che il capo interpreta da solo, in totale autonomia e a suo piacimento, l’esito del voto. Perchè non è così che funziona in politica».
Tomaso Montanari: chi tocca Berlusconi muore: non c’è alternativa a Pd-M5S  
«Chi tocca Berlusconi muore: è praticamente successo a Renzi e Di Maio non poteva che comportarsi come ha fatto, altrimenti oltre alla premiership avrebbe perso la faccia».
Stallo insuperabile o l’accordo fra dem e grillini si farà ?
«Premessa: vedere l’“avvocatessa” di Silvio Berlusconi consultarsi con lui m’ha fatto un certo effetto. Per me che sono uno storico dell’arte poi, quell’immagine nella cornice di Palazzo Giustiniani ha riportato le lancette dell’orologio parecchio indietro. Ciò detto, che alternative ci sono al Movimento che si allea con il Pd?».
Governi istituzionali, il voto…
«Ma non si può andare avanti o votare all’infinito, con l’idea di trasformare in maggioritario un sistema proporzionale: sarebbe come aprire una noce con un badile. Quelle due forze devono fare una cosa abbastanza semplice, sedersi a un tavolo».
E se Di Maio mette qualche veto?  
«È notorio che quando ci si siede a un tavolo per un confronto fra due parti non sovrapponibili, non si può sapere prima come ci si alzerà ».
Di Maio ha detto cose tremende del Pd e il Pd di Di Maio.  
«Milioni di voti dei democratici sono andati ai Cinquestelle, è questo il dato fondamentale che li mette in comunicazione».
Perchè Salvini non molla Berlusconi?  
«Mah, ci sono in ballo un po’ di giunte al Nord e poi lui senza la coalizione rischierebbe di ritrovarsi a fare la spalla di Di Maio, e basta».
Ovvero?  
«Salvini è il capo del centrodestra perchè la Lega è il partito che lì ha preso più voti; ma senza le altre componenti non è il leader di nulla, conta assai meno».
È un momento tetro, drammatico?
«Ma no, la democrazia e le trattative sono una bella cosa, smettiamola con questo strisciante desiderio di autoritarismo. Ci si confronti e magari il Partito democratico smetta di lasciare che la Lega su certi temi, la guerra per esempio, sia l’unica a dire le cose tipiche della sinistra sociale».
Diego Fusaro: Di Maio eviti il Pd come la peste e insista con la Lega  
«L’unica soluzione è un governo di cambiamento tra Movimento 5 Stelle e Lega. In questo momento Di Maio deve evitare il Pd come la peste». Diego Fusaro, filosofo marxista acclamato all’ultima convention grillina a Ivrea non usa giri di parole di fronte all’impasse dopo il primo giro a vuoti di Casellati: «Nessuna apertura ai democratici. Meglio tornare a votare».
Di Maio fa bene a insistere nel suo veto a Berlusconi?  
«Assolutamente sì. Peggio di Berlusconi c’è soltanto il Pd. Se uno di questi due attori entra in scena, è una sconfitta per l’Italia. Sarebbe come far rientrare dalla finestra ciò che abbiamo cacciato dalla porta».
Perchè crede che il Pd sia il nemico numero uno?  
«In tutti questi anni si sono schierati al fianco degli sfruttatori e contro gli sfruttati. Hanno difeso soltanto gli interessi della finanza globale».
Dunque non vede alternativa a un governo M5S-Lega?  
«Assolutamente no. Tutte le altre strade neutralizzano la spinta del cambiamento che i Cinquestelle incarnano. M5S e Lega sono le uniche due forze contro i sostenitori della mondializzazione turbocapitalista e a favore dei dannati della capitalismo. Se, come sembra, non riusciranno a trovare un accordo è meglio tornare alle urne».
Crede che il M5S sia ostaggio di Di Maio?  
«Dopo il risultato delle elezioni i Cinque Stelle sono ostaggio di loro stessi: devono decidere se imboccare la strada del cambiamento e diventare il partito di rappresentanza dei precarizzati e degli sconfitti oppure diventare un Pd 2.0. Io spero nella prima strada».
Un mandato esplorativo a Fico potrebbe essere una soluzione?  
«Perchè no. Potrebbe rivelarsi una possibilità  interessante».
Anche se è l’indiziato ad aprire al Pd?  
«In questo caso no. Ripeto: il Pd, simbolo dell’èlite mondialista, è il nemico numero uno per i Cinque Stelle».

(da “La Stampa”)

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IPOTESI M5S-PD, ORA LA PALLA PASSA A RENZI

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

MATTARELLA ACCELERA, DOPO CASELLATI TOCCHERA’ A UN GRILLINO

Nell’apprendere che il suo mandato durerà  un batter d’occhi, e che dovrà  limitarsi a constatare se c’è il famoso accordo Salvini-Di Maio, Elisabetta Alberti Casellati non ha nascosto un filo di delusione che si è colto davanti alle telecamere.
Dal Presidente della Repubblica si sarebbe aspettata un po’ di respiro, e comunque lei avrebbe volentieri esplorato anche altre piste, in particolare quelle che portano al Pd. Scoprire ad esempio che Matteo Renzi sarebbe disponibile a fare un patto col centrodestra (tesi puramente ipotetica), farebbe molto contento il leader cui la Casellati deve tutto, cioè Silvio Berlusconi.
Invece no: le reali intenzioni del Pd sono un accertamento che Sergio Mattarella non le richiede. Anzi, nel comunicato ufficiale ha espressamente escluso.
Il triangolo no
Dunque verrebbe da chiedersi a che serva investire altri tre giorni (che dalle elezioni del 4 marzo fanno già  48) in una verifica così «mirata», di cui oltretutto fin da adesso è facile intuire l’esito: un buco nell’acqua.
I Cinquestelle non sono disposti a «inciuciare» con Forza Italia, e la Lega non intende rompere coi suoi alleati. La risposta più ovvia, dunque, è che forse di questa esplorazione si poteva fare a meno passando direttamente alla mossa successiva; per esempio, chiedendo al presidente della Camera Roberto Fico di sondare l’altra ipotesi di governo M5S-Pd. Logico, no?
Ma se la stessa domanda viene girata ai frequentatori del Colle, la spiegazione che là  si riceve non è altrettanto banale e scontata.
Da quelle parti si fa notare come sia impossibile avviare un negoziato serio tra Cinque stelle e «Dem» fino a quando Di Maio avrà  per così dire l’amante, politicamente rappresentata da Salvini.
Nessun governo potrà  nascere finchè esisterà  questo triangolo. Non a caso, dalle parti di Renzi hanno sempre rifiutato le avance grilline sostenendo che erano solamente un trucco per fare ingelosire la Lega o, scegliendo un linguaggio più consono, per mettere in concorrenza due forni, quello Pd e l’altro padano.
Niente più scuse
L’apparentemente inutile «mission» della Casellati serve dunque a eliminare pretesti, si spera al Quirinale, una volta per tutte. Salvini deve chiarire le sue intenzioni rispetto ai Cinque stelle. Gli viene richiesto di scoprire le carte adesso e senza che tutti attendano per altri dieci giorni i comodi suoi, vale a dire le elezioni in Friuli del 29 aprile dove la Lega spera in un trionfo.
E una volta accertato che Salvini non rompe con Berlusconi, dunque il «forno» della Lega ha chiuso definitivamente, a quel punto il Pd non avrà  più questa scusa per rifiutare una trattativa con i grillini.
Chiuso il «triangolo», cesseranno anche gli alibi. Renzi potrà  sostenere che i Cinque stelle ne hanno dette troppe sul suo conto, dunque giammai farà  un governo con gente così; però Matteo sarà  poco creduto se insisterà  che tocca a M5S e Lega trovare l’intesa: una volta constatato che è defunta, risuscitarla sarà  difficile.
Non a caso, gli sguardi sono già  tutti proiettati al «dopo», a quanto succederà  da domani sera, quando l’esploratrice sarà  tornata sul Colle presumibilmente a mani vuote.
Le prossime mosse
In realtà , spiegano ai piani alti, non è importante che cosa farà  Mattarella. Conta piuttosto che cosa sta maturando nella testa di Renzi. Il quale da mesi ha interrotto i contatti col Quirinale, probabilmente offeso dalla conferma di Ignazio Visco alla Banca d’Italia, e da qualche giorno risulta una sfinge pure con gli amici.
Se darà  il via libera a un negoziato serio, di tipo programmatico, allora il Capo dello Stato adotterà  la formula più adatta per assecondarlo.
Potrà  lanciare in pista Fico, anche lui in tenuta kaki da esploratore; o magari darà  un pre incarico a Di Maio nel caso in cui il Pd evitasse di sollevare veti sulla sua persona. Al momento, entrambe le strade sono possibili a patto, naturalmente, che Casellati non scopra qualcosa di nuovo sulla destra.
Il metodo è rispettoso dei partiti e Di Maio ne ha voluto rendere pubblicamente atto a Mattarella. Il quale sta accendendo un credito con tutti, se alla fine per caso si accerterà  che l’unica via d’uscita è il tanto temuto governo «del Presidente».

(da “La Stampa”)

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PAOLA NUGNES, LA SENATRICE M5S E LE SCELTE SBAGLIATE DI DI MAIO

Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile

PER LA PARLAMENTARE VICINA A FICO “IL NOSTRO UNICO CANDIDATO E’ IL PROGRAMMA, NON GLI UOMINI”

Qualcosa scricchiola nel granitico MoVimento 5 Stelle.
La senatrice Paola Nugnes, vicina a Roberto Fico e non nuova a critiche ai vertici (condite di solito da retromarce), apre la giornata su Facebook con due status in cui parla a suocera affinchè nuora intenda.
Nel primo la senatrice spiega che l’obiettivo che il M5S dovrebbe avere è la rivoluzione culturale, che significa “mettere in atto le proposte elaborate in rete in anni di attivismo e lavoro nelle istituzioni, attuare il Programma, Nostro Unico Candidato”.
Il programma, non Di Maio, dice la senatrice senza nominare il candidato premier e spiegando che il grillismo si è posto un obiettivo ma se non ci sono strade per perseguirlo inutile insistere. E quello che intende sembra piuttosto chiaro.
Poi la senatrice, evidentemente intenzionata a dire la sua nonostante il silenzio imposto ai parlamentari semplici dall’ufficio comunicazione del M5S, dice un’altra verità : se ci si trova in situazione di stallo alla messicana la colpa non è del Rosatellum — come tra l’altro è stato spiegato da molti — perchè le leggi elettorali servono a eleggere i parlamenti e non a formare i governi.
Il tripolarismo all’italiana ha causato questi risultati e lo stallo ne è la semplice conseguenza.
Infine, un’altra stoccata con obiettivo molto chiaro: “Avremmo dovuto PRIMA rivoluzionare questo paese e poi puntare al governo del paese, ma si sa, si è scelto di fare diversamente…”
L’uscita della senatrice, la cui fedeltà  al M5S non è in discussione, è la testimonianza che sotto la cenere dell’unanimismo con cui l’assemblea dei parlamentari ha ribadito la linea Di Maio — nessuna alleanza con Berlusconi, offerta alla Lega per un governo di cambiamento — cova il fuoco di una ribellione alla politica dei due forni immaginata da Di Maio come del resto era già  chiaro dai tanti commenti negativi comparsi negli status del candidato premier.
Il problema è quale alternativa proporre, visto che se ai parlamentari meridionali grillini non piace l’alleanza con la Lega, in pochi gradiscono l’alternativa Partito Democratico.
Il M5S sopporterebbe un altro Aventino di cinque anni senza spaccarsi?

(da “NextQuotidiano”)

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