Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
PESANO I TENTATIVI FALLITI E IL DELIRIO SOVRANISTA
La prossima mossa dev’essere ancora annunciata, ma salvo colpi di scena non è difficile da indovinare: dopo Elisabetta Casellati, il Capo dello Stato metterà quasi certamente in campo Roberto Fico.
Si affiderà al presidente (grillino) della Camera come «pendant» della presidente (berlusconiana) del Senato.
Il percorso logico sarà lo stesso. All’esploratrice che ieri è tornata da lui per riferirgli, Sergio Mattarella aveva chiesto di verificare se esiste una possibile maggioranza tra centrodestra e M5S. La risposta è stata zero spiragli, al massimo qualche spunto di riflessione.
Fico sembra destinato a ricevere lo stesso mandato della sua dirimpettaia a Palazzo Madama, però speculare: a lui verrà sollecitata un’esplorazione sulla sinistra.
Dovrà tastare il polso al Pd e capire se i «Dem» resteranno in eterno sull’Aventino oppure con i Cinque stelle accetteranno perlomeno di sedersi a un tavolo programmatico.
In pratica, come Indiana Jones davanti a un geroglifico, Fico dovrà decrittare il «codice Renzi» che, finora, è stato più enigmatico di una sfinge.
Non conta il perimetro
Il nuovo mandato arriverà tra un paio di giorni, probabilmente lunedì. Ma nei partiti già si sta almanaccando sul suo «perimetro»: Fico dovrà davvero limitarsi a indagare sul secondo forno (il Pd) dopo che l’altro (il centrodestra) ha chiuso, oppure da Mattarella gli sarà consentito di lanciare un ultimo ponte tra Di Maio e Salvini? Sembra questione di lana caprina e, per certi versi, lo è dal momento che nessuno vieta ai protagonisti di approfondire questa ipotesi senza bisogno di Fico.
Comunque sia, sul Colle il quesito non appassiona. Ogni tentativo di riportare in vita l’asse grillo-leghista viene considerato lassù con notevole freddezza, se non proprio gelo.
E non solo per le posizioni filo-russe di Salvini che hanno messo in allarme tutte le cancellerie europee.
Moniti come quelli piovuti dagli Stati Uniti durante la crisi siriana sarebbe difficili da ignorare. E se davvero Salvini farà un comizio a Nizza il primo maggio con Marine Le Pen, si può immaginare come la prenderebbe l’attuale inquilino dell’Eliseo. Chiunque abbia la testa sulle spalle non può non valutare l’impatto internazionale di un eventuale governo a trazione sovranista.
E ci sarà certamente un motivo se, dalle parti del Quirinale, nessuno prende sul serio il pressing di Salvini, che a gran voce pretende di essere incaricato.
Tra i consiglieri del Presidente, l’interrogativo è: a quale titolo Mattarella dovrebbe metterlo alla prova?
Se il leader della Lega volesse dar vita a un governo centrodestra-M5S, sarebbe addirittura il quarto tentativo in un mese dopo ben tre fallimenti, dunque somiglierebbe tanto a una scusa per perdere altro tempo.
Qualora invece Salvini rompesse definitivamente con Berlusconi, quella sì che sarebbe una novità importante.
Secondo alcune fonti parlamentari, la trattativa per mettere su un governo Giallo-Verde sarebbe molto avanzata, e addirittura potrebbe maturare entro il weekend.
Ma perfino in quel caso la Lega peserebbe per il suo 17 per cento, al massimo potrebbe trascinare con sè la Meloni.
Dunque, a rigore, l’eventuale pre-incarico conseguente a un accordo tra Salvini e Di Maio andrebbe conferito non a Matteo, bensì a Luigi che, elettoralmente, pesa quasi il doppio.
Per convincere Mattarella a cambiare metro di giudizio, il capo politico dei Cinque stelle dovrebbe compiere un clamoroso passo indietro che però, al momento, non pare alle viste.
Ricostruzione smentita
Insomma, per quanto Salvini faccia la voce grossa, i suoi ultimatum non stanno facendo tremare i vetri del Quirinale. Vengono considerati parte del gioco politico. Altra cosa sono le bugie, le maldicenze, le «fake news» che abbondano in questa fase politica.
Per esempio, il tentativo di addossare alla Casellati le colpe del fallito accordo tra centrodestra e Cinque stelle. Oppure certe altre voci fuori controllo. A questo proposito, dal Quirinale giunge una netta smentita alla ricostruzione, raccolta dalla Stampa in ambienti leghisti qualificati, del colloquio che ebbe luogo nel corso delle consultazioni tra il Presidente della Repubblica e la delegazione della Lega, guidata dal suo leader.
Viene in particolare escluso che Mattarella abbia espresso opinioni circa la presenza o meno del Pd nel futuro governo. E chi conosce il riserbo del Presidente, non può nutrire dubbi a riguardo.
(da “La Stampa”)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
DOMANI IL VOTO NELLA REGIONE, MA SI GUARDA AL GOVERNO
Sono 331.253 gli elettori molisani chiamati domani ad eleggere il Presidente della regione e il
Consiglio regionale. I maschi sono 162.936, le femmine 168.317. Rilevante la percentuale di molisani all’estero: sono 78.361.
Le sezioni elettorali sono 394. I consiglieri regionali da eleggere sono 20. Verrà eletto Presidente chi otterrà il maggior numero di voti senza ballottaggio.
Alla coalizione del presidente eletto sono garantiti almeno 12 seggi, ma non può ottenerne più di 14.
Sono escluse dalla ripartizione dei seggi le coalizioni di liste e le liste non riunite in coalizione collegate ad un candidato alla presidenza della Giunta regionale che abbiano ottenuto meno del 10% dei voti validi. Lo sbarramento per le liste che fanno parte di una coalizione è al 3%.
I 4 candidati alla presidenza della Regione Molise sono: Andrea Greco (M5S), Donato Toma (Centrodestra), Carlo Veneziale (Centrosinistra) e Agostino Di Giacomo (Casapound).
L’elettore, ha ricordato nei giorni scorsi la Regione Molise, dovrà presentarsi al seggio con un documento di identità e la tessera elettorale: chi non ha la tessera o l’ha smarrita può richiederla all’ufficio elettorale del Comune di residenza.
L’elettore può votare un candidato presidente, votare una lista e il voto si estende al candidato presidente collegato, votare un candidato presidente e una delle liste collegate. Non è ammesso il voto disgiunto. L’elettore può esprimere una o due preferenze per i candidati a consigliere regionale della lista prescelta scrivendo il cognome oppure il nome e il cognome in caso di omonimia.
Se esprime due preferenze queste devono essere di genere diverso: per una donna e per un uomo o viceversa. In caso contrario la seconda preferenza è nulla e resta valida solo la prima.
Grande favorito della vigilia in Molise è il M5s, che il 4 marzo ha ottenuto alle politiche il 44,8% staccando il centrodestra (29,8%) e il centrosinistra (18,1%, mentre Leu si è fermato al 3,7%).
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
IL PRIMO ACCREDITO AGEVOLAERA’ LE TRATTATIVE: FRANCIA O SPAGNA PURCHE’ SE MAGNA
Un articolo di Gianluca Roselli per il Fatto Quotidiano oggi racconta come hanno preso i deputati e i senatori, specialmente quelli alla prima legislatura, l’arrivo del primo stipendio: un totale di 13mila euro perchè dentro c’è anche l’ultima settimana di marzo, suddivisi in 5767 per l’indennità , 3500 di diaria, 2090 di rimborso spese di mandato e 1650 come rimborsi forfettari:
Insomma, una bella cifra, specialmente per chi, con le precedenti attività , non si avvicinava lontanamente a numeri simili.
A fine mese arriverà lo stipendio anche ai deputati, così suddiviso: circa 6.000 euro di indennità (anche questa maggiorata), 3.500 euro di diaria, 3.690 euro per il rimborso dei collaboratori, più altre conteggi trimestrali e annuali per i trasferimenti dall’aeroporto e le spese telefoniche. Totale: circa 14 mila euro.
Denari che rendono difficile pensare a un ritorno al voto.
“A parole sono tutti disponibili a tornare alle urne, poi, quando si riceve il primo stipendio, le cose cambiano…” , sussurrava qualche giorno fa nel bel mezzo del Transatlantico di Montecitorio Luca D’Alessandro, ex forzista poi transitato in Ala di Denis Verdini e quindi non rieletto. Insomma, sono proprio i neo eletti che potrebbero trasformarsi nella fascia di garanzia per non tornare al voto.
Quel cuscinetto che si frappone tra la XVIII legislatura e le urne.
“Dopo il primo stipendio si fanno anche accordi Kamasutra…”, diceva qualche giorno fa la giornalista Luisella Costamagna in tv.
Ed è proprio sull’opposizione alle urne dei neo eletti che fanno affidamento i leader politici. In primis, Silvio Berlusconi. Il quale non ha mai negato che il suo schema preferito — un accordo tra centro destra e Pd — si può reggere in Parlamento sulla ricerca di voti nel gruppo misto e tra coloro che non vogliono tornare al voto.
E i contatti con i nuovi, possibili, responsabili sarebbero già avviati.
“Quando vedono il primo stipendio, s’iniziano a intravedere alleanze e coalizioni di governo dove prima non cresceva nemmeno l’erba…”, scherzano, ma non troppo, i cronisti sui divanetti di Montecitorio in queste convulse giornate di consultazioni.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
NEI PROSSIMI ANNI GLI IBERICI SARANNO PIU’ RICCHI
In Spagna il titolo campeggia ovunque con punto esclamativo (e in italiano): «Sorpasso!». 
A certificare quello che finora si era soltanto intuito attraverso indicatori, per così dire, informali, come la Champions League o il numero di turisti, arriva ora un dato solido quanto allarmante per l’Italia: gli spagnoli sono più ricchi di noi.
Gli abitanti della Penisola iberica hanno recuperato un ritardo storico, che sembrava consolidato e, quello che è peggio per noi, la distanza è destinata ad aumentare a nostro svantaggio.
Il Fondo Monetario parla chiaro: confrontando i Paesi sulla base della parità del potere d’acquisto, la Spagna sarà il 7% più ricca dell’Italia nei prossimi cinque anni. L’entità della rincorsa è clamorosa, se si pensa che dieci anni fa l’Italia era il 10% più ricca e che la Spagna è stata sull’orlo del collasso negli anni della recessione. Complici del sorpasso, i prezzi spagnoli, che restano sensibilmente più bassi dei nostri e le proiezioni demografiche iberiche più basse delle nostre, con l’effetto di spalmare la ricchezza su meno abitanti.
I paragoni di Zapatero
La competizione tra i due grandi Paesi del Sud Europa non è nuova e svaria praticamente in tutti i campi. Anche per sottolineare presunti trionfi economici, si finiva spesso per sconfinare nel calcio, terreno comune, volenti o nolenti, tra i due Paesi: «Siamo nella Champions League delle potenze mondiali», disse in un famoso, quanto forse improvvido, discorso l’allora premier spagnolo Josè Luàs Rodriguez Zapatero, aggiungendo. «abbiamo superato l’Italia».
Quello del «sorpasso», declinato significativamente in italiano, è stata un’ossessione dei politici iberici. Allo stesso modo, Matteo Renzi, che non ha mai amato l’omologo a Madrid, Mariano Rajoy, soffriva visibilmente i paragoni che vedevano i «cugini» uscire con molto più vigore dalla crisi, sottolineando il tallone d’achille degli altri: «Hanno la disoccupazione superiore alla nostra».
Centrali e spiagge
I terreni di scontro sono stati molti, l’attuale governo di Madrid, per dirne una, ha più volte criticato Enel e i suoi investimenti stranieri, per le sue presunte discriminazioni a favore degli italiani, nella chiusura delle centrali a carbone.
All’elenco si possono aggiungere gli ostacoli posti ad Atlantia nella partita sulle autostrade spagnole.
Altra sfida, per il momento persa, è quella del turismo, con la Spagna che ogni anno che passa batte record su record, l’anno scorso i visitatori stranieri sono stati 82 milioni quasi il doppio della popolazione residente.
Altra partita che ha visto sfidarsi le due nazioni mediterranee è stata quella dell’olio, con tanto di denuncia alla Commissione dei produttori italiani. Ma da quel punto di vista il sorpasso, in termine di volumi, già si era verificato.
Da Madrid emerge ovvia soddisfazione, le buone notizie di questi tempi sono poche, visto che il nodo catalano continua a non essere sciolto e che il partito di governo continua a essere inseguito da scandali imbarazzanti.
In ogni caso, non si esulta pubblicamente: «Siamo contenti, ma non possiamo dirlo – scherza una fonte dell’esecutivo di Mariano Rajoy – l’Italia resta un grande Paese, ma la nostra crescita non si ferma».
A Washington una risposta al sorpasso la danno in molti: le riforme fatte in Spagna e meno in Italia, con i soliti rischi di conseguenze elettorali: «È un problema che non riguarda solo l’Italia, ma anche la Francia e la Spagna. Come dice un popolare politico europeo: il problema è attuare le riforme ed essere rieletti».
(da “La Stampa”)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
I DATI REALI DICONO CHE CON LE SUE RIFORME STA CAMBIANDO LA FRANCIA
Ho vissuto a lungo, anche di recente, a Parigi. Ho imparato che noi italiani ci raccontiamo Parigi e la Francia come ci pare. Che in tanti siamo ancora incollati alla mitologia che parte dal Maggio Francese e arriva a Mitterand e alle gambe di Carla Bruni.
Ci siamo fatti una idea. E quella resta. Anche se poi la Francia è differente.
Il caso Emmanuel Macron mi pare che confermi questo schema. Da noi, Macron è visto come un antipatico pieno di sè che ha molto Paese contro e che presto cadrà sulla sua arroganza.
Si dice che è manipolato dalla moglie e si sghignazza sulla età di lei (cosa che trovo insopportabile). Ora invece arrivano i dati.
Macron e il suo primo ministro Edouard Philippe stanno facendo riforme che cambiano la Francia.
In un Paese di fatto assistenzialista, Macron ha cambiato le regole del lavoro.
Nel paese del ’68, ha reso più arduo il percorso di iscrizione all’università per garantire che a una laurea corrisponda un lavoro reale.
Nel Paese delle periferie da paura, ha ristabilito un minimo di sicurezza.
Nel paese dei privilegi, ha messo mano allo statuto dei ferrovieri.
Mentre noi ci raccontiamo che Macron, con le sue riforme, si è messo contro la Francia, c’erano solo 15 mila persone alla grande manifestazione contro di lui, giovedì scorso.
Il partito apolitico di Macron si chiama “En marche”. È guidato da trentenni che sono tutti specialisti di un tema.
E credono in quello che sono stati chiamati a fare.
È fatto da elettori trasversali che erano stufi di retorica. Dichiara cosa vuol fare. E poi lo fa. Mah. Nessuno da noi vuol prendere qualche spunto?
I sondaggi dicono che se si rivotasse oggi, Macron avrebbe il 42%.
(da “La Stampa”)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
ORA NON ROMPERA’ PIU’ I COGLIONI AL PROSSIMO
Un atto di bullismo ai danni di un bambino di 10 anni dietro una spedizione punitiva. La polizia ha
denunciato per rissa, a Ragusa, i genitori albanesi di 42 e 36 anni del piccolo.
Il bullo si era pulito le scarpe sporche sul bambino e i genitori si sono fatti giustizia da soli all’interno di una sala.
Provvidenziale l’intervento di un poliziotto, libero dal servizio, che ha disarmato il padre il quale ha colpito ripetutamente con una spranga il sedicenne accusato del sopruso, anche lui denunciato.
E’ accaduto alle 22 , quando il poliziotto, passando in auto da via Colajanni, ha visto un uomo armato di mazza che picchiava un ragazzo mentre altri scappavano.
Si è fermato e ha bloccato l’aggressore, che ha gettato via la spranga. Accanto a lui c’era la moglie, armata anche lei di una stecca da biliardo, subito gettata a terra.
Nei giorni seguenti gli investigatori della squadra mobile hanno ricostruito l’esatta dinamica dei fatti grazie ai filmati di videosorveglianza e alle dichiarazioni dei testimoni.
La rissa è nata da un atto di bullismo del sedicenne ai danni del bambino che frequenta lo stesso quartiere.
Il ragazzo si è pulito le scarpe sulla faccia e sui vestiti del bimbo, che ha poi raccontato tutto ai genitori. Il padre, individuato il sedicenne, lo ha chiamato in disparte e lo ha preso a schiaffi davanti a tutti.
Sono volate minacce e l’uomo è andato via per poi ritornare, questa volta armato di spranga.
Mentre sferrava i primi colpi, il minore gli ha dato un colpo di casco in testa. Poi la madre del bambino ha impugnato la stecca da biliardo, minacciando i presenti perchè non si avvicinassero.
Marito e moglie sono stati denunciati alla procura di Ragusa, il sedicenne alla procura dei minorenni di Catania.
(da agenzie)
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