Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
A GENNAIO AVEVA DEFINITO I GRILLINI “UN BRANCO DI INCAPACI CHE NON SANNO AMMINISTRARE NULLA”
Si definisce “leghista sin dal primo vagito”, e in effetti la sua prima tessera alla Lega Nord risale
all’inizio degli anni Novanta, quando Umberto Bossi scoprì la Padania: Gian Marco Centinaio aveva 19 anni e già passione per la politica.
Così pochi anni dopo, mentre studiava per la laurea in Scienze politiche, Centinaio faceva palestra politica nella sua Pavia, come consigliere comunale prima, come vicesindaco poi, scalando di pari passo anche i ruoli all’interno della Lega.
Ma è solo nel 2013 che entra per la prima volta in Parlamento: senatore del Carroccio nel periodo più buio della Lega degli scandali, l’anno dopo diventa capogruppo a Palazzo Madama.
Ma in quel 2013 il leghista sin dal primo vagito “tradisce” il suo partito: per due mesi lascia la Lega ed entra nella meteora Gal, Grandi autonomie e libertà , “su mandato della Lega – dice – per garantire rappresentanza ai gruppi autonomisti locali”.
Un prestito, insomma, come nel campionato di calcio, per permettere la costituzione di un gruppo parlamentare di appoggio al centrodestra.
Sposato, un bimbo di tre anni, motociclista (al grillino Di Battista diceva ironico: “Lui nella Lega non farebbe neanche il candidato al consiglio municipale, da noi non basta essere carini, simpatici e fare il giro dell’Italia in moto”), nel curriculum può mettere una professione, quella di dirigente d’azienda (il primo impiego, a 29 anni, come operatore telefonico in Banca Mediolanum, fino a diventare direttore commerciale di un tour operator), ma dall’esordio sui banchi del Senato la sua attività è stata tutta politica.
Con una serie di parole chiave e di battaglie che condivide in pieno con il suo leader Matteo Salvini (e se quest’ultimo è il Capitano, lui a Pavia è soprannominato il Guerriero): castrazione chimica, rimpatri subito “per i clandestini”, legittima difesa, no allo Ius soli (e durante la battaglia in aula su questa legge, lo smartphone di un grillino ha immortalato Centinaio gridare al presidente del Senato Piero Grasso “infame” e “terrone di m.”. In queste settimane è stato uno dei tessitori dell’alleanza con i 5 Stelle.
Anche se di loro, soltanto a gennaio, scriveva parole definitive: “Non accettiamo lezioni da questo branco di incapaci che non sa amministrare nulla”.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
VOCAZIONE A SMUSSARE ASPERITA’ E METTERE D’ACCORDO GLI OPPOSTI
Siciliano di Mazara del Vallo ma fiorentino d’adozione, classe 1976, Alfonso Bonafede è senza dubbio una delle persone più vicine a Luigi Di Maio. Deputato del M5S al secondo mandato, avvocato con studio legale nel capoluogo toscano, è unanimemente considerato il Mr Wolf del Movimento.
Laddove c’è un problema, spunta una controversia, esplode una crisi (spesso di nervi) – sia dentro sia fuori il Parlamento, vedi alla voce il Campidoglio – è lui che il capo politico chiama, sicuro di poterla risolvere.
Per via non solo di quel titolo di studio che al leader difetta, una laurea in giurisprudenza e dottorato di ricerca in Diritto Privato, ma di un’indole vocata alla pazienza, a smussare le asperità , a mettere d’accordo gli opposti.
D’altra parte c’è scritto pure nel suo curriculum, sebbene riferito alla sua (vera) professione: tra gli incarichi svolti ha fatto anche il “conciliatore tra imprese e clienti finali dei servizi elettrico e gas”. Uno capace di mettersi lì ad ascoltare, mediare, ricucire finchè non si trova un compromesso.
Quello che nella Seconda Repubblica fu Pinuccio Tatarella per Gianfranco Fini, è ora nella Terza Bonafede per Di Maio: il suo ministro dell’Armonia.
Un salto vertiginoso da quel lontano 2006 quando l’allora legale alle prime armi si riuniva in qualche baretto popolare fiorentino con il gruppo degli “Amici di Beppe Grillo”. Tre anni dopo, nel 2009, si ritrova candidato sindaco contro Matteo Renzi, che vince a mani basse inchiodando il M5s sotto il 2% (poco meno di 4mila voti) e fuori dal consiglio comunale.
Bonafede però non si perde d’animo e insiste: nel 2013 viene eletto deputato della circoscrizione XII Toscana e diventa vicepresidente della Commissione Giustizia. Sbarcato a Roma stringe subito i rapporti con Di Maio, che a fine 2016 – dopo l’arresto dell’ex vice capo di gabinetto di Virginia Raggi per corruzione – lo spedisce insieme a Riccardo Fraccaro a far da tutor alla traballante giunta grillina.
Nel frattempo si mette in vista per la sua attività parlamentare: appena eletto, scrive e deposita la proposta di legge che mira all’introduzione della class action in Italia, applicabile come strumento generale per tutti i cittadini e le imprese e non solo per i consumatori; poi firma quella sul divorzio breve, trasformata in legge nel 2015. Di pari passo scala il Movimento: cura i rapporti con gli enti locali 5S e a fine 2016 diviene responsabile della funzione “Scudo della Rete” nella piattaforma Rousseau.
Un’arrampicata che sembra far molto bene pure alle sue tasche.
Al primo anno di legislatura Bonafede dichiarava un imponibile di poco più di ventiseimila euro.
L’anno scorso, grazie anche all’indennità parlamentare, il suo reddito imponibile era schizzato a 186.708 euro. Sei volte tanto.
Il doppio persino del suo capo, Luigi Di Maio, che nel 2017 si è fermato a 98.471 euro. Lui però, a differenza di Bonafede, partiva da zero.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
IL MARITO SI OCCUPA DI TUTTI I CONTRATTI DELLE FORZE ARMATE E LEI PROMETTE DI INVESTIRE IN TECNOLOGIE PIU’ MODERNE
Attualmente insegna all’Università Link Campus dove è responsabile dei progetti speciali,
coordina il master in Intelligence e sicurezza di cui è vice direttore, ed è consigliere scientifico del master sui fondi strutturali.
Tra le altre attività , è stata anche ricercatrice in materia di sicurezza e difesa presso il Centro Militare di Studi Strategici.
Nel suo curriculum c’è anche la presidenza del consorzio Criss (Consortium for research on intelligence and security services), creato da Gianpiero Spinelli, quello che arruolò i quattro italiani rapiti in Iraq, vicenda segnata dall’uccisione di Fabrizio Quattrocchi.
Candidata al Senato nel collegio plurinominale Lazio 2, ha dichiarato di sperare di portare nella scena politica “i valori della competenza, il senso del dovere, l’attenzione ai temi della sicurezza e del territorio, e della valorizzazione del ruolo internazionale dell’Italia”.
Ha anche dichiarato che, qualora diventasse ministra, punterebbe a “investire nel personale e nella tecnologia per assicurare al paese forze armate più moderne e più capaci di fronteggiare le nuove minacce”.
Un progetto che fa nascere in qualcuno il sospetto di un potenziale conflitto di interessi, dato che è sposata con un colonnello dell’Arma ai vertici di Segredifesa, ufficio che, accorpato alla direzione nazionale armamenti, si occupa di tutti i contratti delle forze armate.
Nata a Velletri nel 1967, risiede a Roma ed è laureata in Scienze politiche. Vanta due master: in cooperazione internazionale e in intelligence e sicurezza.
Si occupa da molti anni di progetti e interventi di cooperazione in aree difficili in Paesi post-conflict insieme all’organizzazione non profit ‘SudgestAid’. Ha partecipato ad attività militari e civili in Italia e all’estero su incarico del ministero della Difesa.
Tra il 2005 e 2006 è stata in servizio in Iraq come political advisor del ministero degli Esteri, poi in Libano nel 2009 come country advisor per il ministero della Difesa nella missione Unifil, ed è stata responsabile di un progetto in Libia per il reintegro degli ex-combattenti.
Curiosità : suo fratello Paolo è candidato alla poltrona di sindaco nelle elezioni del 10 giugno 2018 al Comune di Velletri.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
SI’ A UNA FLAT TAX GRADUALE MA FINANZIATA CON AUMENTI IVA… SCETTICO SU POSSIBILITA’ OTTENERE NUOVE REGOLE UE… VICINANZA A SACCONI E QUAGLIARIELLO
Uscire dall’euro? “Non conviene”, ma l’Europa va cambiata da dentro o il sistema imploderà . Sforare il deficit ottenendo una modifica delle regole Ue? È “improbabile”. Il Reddito di Cittadinanza? Una forma “rafforzata” di indennità di disoccupazione. La Flat tax? Può funzionare, ma sulle coperture non si può scommettere: deve essere graduale e può essere finanziata con l’aumento dell’Iva. La Legge Fornero? “Velleitario” parlare di modifiche senza dire come. Ilva? Una posizione “imbarazzante”.
Queste le considerazioni espresse di recente dal professor Giovanni Tria, ordinario di Economia politica a Tor Vergata, nome che viene accostato al ministero dell’Economia del Governo di Giuseppe Conte.
Sull’Europa la posizione di Tria si può riassumere con una frase pronunciata nel marzo 2017 in un convegno a Roma organizzato dagli Amici di Marco Biagi, organizzazione promossa da Maurizio Sacconi e Gianfranco Polillo.
“A chi dice che bisogna uscire dall’euro rispondo così: è sbagliato rispondere “Sì” ma allo stesso tempo sarebbe limitato rispondere “No”.
Tria è fra quegli studiosi che non auspicano l’abbandono della moneta unica – in quanto i costi sarebbero molto maggiori dei benefici – ma che sono convinti che la costruzione europea così com’è non funziona ed è a forte rischio implosione.
Quindi sostanzialmente bisogna andare a Bruxelles e portare nuove idee per cambiare l’Europa, ma senza portare con sè la pistola carica dell’uscita dall’euro
In un articolo scritto a quattro mani col forzista Renato Brunetta per il Sole 24 Ore sempre nel marzo 2017 si trova una specie di piccolo Bignami del Tria-pensiero sull’euro: “Non ha ragione chi invoca l’uscita dall’euro senza se e senza ma come panacea di tutti i mali, ma non ha ragione neanche il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, quando dice che “l’euro è irreversibile”, se non chiarisce quali sono le condizioni e i tempi per le necessarie riforme per la sua sopravvivenza. Anche perchè il maggior pericolo è l’implosione, non l’exit. Ragioniamo sulle proposte in campo e cerchiamo soluzioni condivise da tutti i paesi membri dell’Unione europea, per percorrerle insieme piuttosto che usare la logica “Brexit”, per cui quando l’Europa non conviene o non piace più la si abbandona. Cambiare insieme, come gioco strategico a somma positiva, è possibile e conviene. Uscire da soli significa pagare solo costi senza benefici”.
Tria poi ha posizioni abbastanza antitedesche — cosa che non può che far piacere a Salvini — da un punto di vista economico. Lui è uno degli economisti critici con l’enorme surplus dell’economia tedesca, visto come uno dei principali fattori del fallimento dell’euro. Ma non solo. Nel suo mirino è finita la politica d’austerity fortemente voluta da Berlino nei confronti dei paesi del Sud europa, che ha prodotto un aggravamento degli squilibri invece che la sua soluzione.
“L’Europa a trazione tedesca non ha volutamente colto, sbagliando, che l’eccesso di virtù (surplus delle “formiche”) produce più danni dell’eccesso di deficit (dei paesi “cicala”). E le misure per fronteggiare la crisi che ne sono derivate non hanno fatto altro che peggiorare la situazione, piuttosto che risolverla”, sostiene il professore.
Quali sono allora le ricette per il futuro? Principalmente due, connesse fra loro.
Da un lato l’inserimento della famosa golden rule nelle norme europee, cioè la possibilità di fare un grande piano di investimenti pubblici al di fuori degli stretti parametri di Maastricht. Proposta peraltro inserita all’interno del contratto di governo gialloverde.
Dall’altro la possibilità che la Bce stampi moneta aggiuntiva. In dettaglio, così scriveva Tria sul Sole24Ore: “L’unica strategia che nelle condizioni descritte sembra possibile, oltre che necessaria, è, quindi, quella di uno stimolo fiscale finanziato attraverso la creazione di moneta. In altri termini, ciò che si propone è la monetizzazione di una parte dei deficit pubblici, destinata a finanziare, senza creazione di debito aggiuntivo, un ampio e generalizzato programma di investimenti pubblici”.
Sul sito Formiche.it Tria commenta lungamente il Contratto M5S/Lega. La sua impressione generale è che i contenuti siano piuttosto generici, “si indicano le direzioni di marcia, i provvedimenti chiave, le priorità “. Segnala che “con tutto il rispetto per le competenze riunite interno al tavolo politico delle trattative” — il riferimento è alle delegazioni di Lega e M5S — le norme “attuative dei propositi si dovranno scrivere con le competenze istituzionali in grado di misurare effetti di bilancio e coerenze legislative di sistema”. Questo perchè un conto sono i propositi, un conto è la loro attuabilità , e “in genere la realtà delle cifre ridimensiona spesso la visione”, spiega Tria, che fa un’altra importante premessa: non si conoscono “i paletti di bilancio che si vorranno rispettare”. È necessario sapere se si punta a “un improbabile mutamento delle regole europee o se queste regole saranno forzate”.
Giovanni Tria analizza i punti chiave del programma economico sottoscritto da M5S e Lega, a cominciare da reddito di cittadinanza e flat tax, che possono coesistere in base al “particolare e specifico mix” fra i due provvedimenti che verranno messi in campo. Il reddito di cittadinanza viene considerato da Tria alla stregua di “una indennità di disoccupazione un poco rafforzata”, sul modello francese, ” magari estesa a chi è in cerca di primo impiego”.
È invece da considerarsi “improbabile” la visione pentastellata del reddito di cittadinanza che configura “una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma”.
Tria definisce “più interessante” la Flat tax, perchè contempera la riduzione della pressione fiscale e il sostegno alla domanda interna. Secondo il professore, però, tutto dipende “dal livello delle aliquote”: non si può scommettere che una minore evasione fiscale porti a un maggior gettito che vada a compensare il costo della riduzione delle aliquote. Sarebbe “preferibile”, spiega, “contare meno sulle scommesse e far partire la riforma con un livello di aliquota, o di aliquote, che consenta in via transitoria di minimizzare la perdita di gettito, per poi ridurle una volta assicurati gli effetti sulla crescita”.
Per finanziare la Flat Tax, secondo Tria, si può far scattare l’aumento dell’Iva.
“Non si vede perchè non si debba far scattare le clausole di salvaguardia di aumento dell’Iva per finanziare parte consistente dell’operazione” scrive Giovanni Tria, che si dice fautore di un “riequilibrio del peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette, spostando gettito dalle prime alle seconde”. Una posizione fortemente raccomandata dall’Unione Europea.
Ed ancora, la Legge Fornero. Secondo Tria “una stima del costo mi sembra ancora velleitaria se non si chiarisce il meccanismo”.
Infine, la stoccata più pesante. Giovanni Tria denuncia l’assenza di chiarezza del Governo gialloverde sulla politica industriale — definisce “imbarazzante” il caso Ilva — sul sistema dei controlli giudiziari e para-giudiziari che assieme al codice degli appalti paralizzano ogni velleità di attivazione degli investimenti pubblici.
Questo il Tria pensiero. Ma da un punto di vista politico, quali sono gli ambienti a lui vicini? Presidente della Scuola nazionale di amministrazione, con molti incarichi in diverse organizzazioni, il suo ambiente politico e le sue frequentazioni, come abbiamo visto, sono relative al mondo berlusconiano di tradizione socialista, a partire proprio da Brunetta e Sacconi.
Inoltre Tria fa parte del comitato scientifico della Fondazione Magna Carta, presieduta dal parlamentare di centrodestra Gaetano Quagliariello.
(da “Huffingtonpost”)
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