Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
SI PERDE GLI APPUNTI, GAFFE SU MATTARELLA, SESSANTA MINUTI DI VAGHEZZA
Al secondo giorno appena, cade la maschera da premier indossata dal professor Giuseppe Conte.
E l’Aula si trasforma nello stagno della celebre favola di Fedro, dove Zeus lancia un pezzo di legno, un “travicello”, indicandolo come monarca per le rane che, dopo una titubanza iniziale, scoprono che il loro sovrano non fa nulla se non galleggiare.
E iniziano dunque a saltellare come vogliono, un po’ come Salvini, vero azionista della maggioranza, che dopo venti minuti di discorso si alza e se ne va, direzione Barletta, per un comizio.
È più importante, evidentemente, rispetto all’ascolto della noiosa difesa d’ufficio di un contratto che premier e Parlamento devono, semplicemente, ratificare.
Eccolo, il “re Travicello”, alias Giuseppe Conte. Che prova a indossare i panni istituzionali di chi rispetta il capo dello Stato, ma dimentica il nome del suo “congiunto” – proprio “congiunto” – ucciso dalla mafia, ovvero il fratello Piersanti.
E termina con una frase per tutte le stagioni, che certo non resterà negli annali: “Terremo ciò che funziona, cambieremo ciò che non funziona”.
Discorso pasticciato, impacciato con il premier che perde gli appunti e si perde, prima che Di Maio glieli sistemi, quasi soporifero, lunghissima celebrazione del potere che non dice nulla in una sequenza di standing ovation alla meccanica ripetizione di ogni titolo del “contratto”, legge fondamentale del nuovo ordine populista che si sente “Stato”.
In un clima in cui ogni avversario è un peccatore da redimere e il lapsus sulla “presunzione di colpevolezza”, e non di “innocenza”, rivela l’essenza dell’avvocato del popolo con l’animus dell’inquisitore collettivo.
*Ecco che, al primo brusio del Pd, il dissenso diventa macchia morale del reprobo: “I vostri interventi — dice rivolto ai banchi della sinistra – volti a interrompermi dimostrano che ciascuno ha il suo conflitto o pensa di avere di avere il proprio conflitto”.
È il momento più caldo e al tempo stesso il trailer della legislatura che verrà , col boato della maggioranza rivelatore di una retorica della punizione, intesa come trionfo del nuovo spirito popolare nel nuovo anno zero della Repubblica dei cosiddetti cittadini. Parole goffamente corrette per sedare il trambusto: “Sono stato frainteso, non sto accusando nessuno ma dico che è negli interstizi della società a qualsiasi livello”.
“Cittadini”, “cambiamento”, un’elencazione di intenti generici senza mai dire il “come”, il “quando”, le “coperture”, le aliquote, i cardini di una politica economica che, sul contratto, prevede cento miliardi di spesa.
L’unica cosa che si capisce (e stupisce) è il ridimensionamento dei poteri dell’Anac che “non ha prodotto i risultati che ci aspettavamo”.
Sessanta minuti di lento galleggiamento di un premier che non è cuore pulsante dell’azione di governo. Ma che, almeno, sfoggia l’inglese promettendo la “green economy” o l’attenzione alla “blu society”, perchè come negli altri paesi anche l’Italia deve avere la “corporate responsability” e tanti “report sulle performance”.
Altrimenti, cosa dici agli stakeholder? È il punto politico questa intangibilità del premier, facile bersaglio di chi l’ha ribattezzato come un “pupazzo”, spedito a palazzo Chigi con una lista di ministri e un contratto scritto da altri.
Perchè governare non è solo eseguire o obbedire, ma gestire imprevisti, confrontarsi con partner stranieri, gestire l’opinione pubblica interpretando l’interesse nazionale.
Al secondo giorno il neo-premier sembra già unfit to lead, mentre la Camera si trasforma in una bolgia quando il leghista Molteni inneggia al Far west perchè “la difesa è sempre legittima e chi si difende non può subire la gogna e l’agonia di un processo” o alimenta la retorica xenofoba di un “paese che cresce facendo figli e non importando immigrati”.
L’avvocato difensore degli italiani, portavoce ufficiale del nuovo blocco gialloverde ha la spensierata e spericolata sicurezza di chi sa che deve convivere con i due potenti e ingombranti sub-premier, perchè fa parte del contratto sostanziale la sua capacità e attitudine di stare un passo indietro, in attesa che le decisioni vengano comunicate.
In tal senso il discorso è perfetto, perchè gli slogan, semplificati ai limiti della banalità , fanno breccia “fuori”, in un’opinione pubblica che si nutre della campagna elettorale permanente, ma consentono di attendere che le scelte — il “come”, “quando”, “con quali soldi” — siano stabilite nel patto tra i partiti, o meglio tra i leader veri.
Per ora, la nave va, forte delle vento che soffia nel paese, perchè i governi non si giudicano dalle parole del primo giorno nè esistono opposizioni che abbiano la minima parvenza di “alternative politiche”.
Però c’è la realtà , che prima o poi pretenderà i numeri sotto le elencazioni di principio e misurerà aspettative disattese e promesse tradite.
A proposito, lo spread incassata la fiducia è risalito a quota 250.
Non sarà un “vessillo” come dice Conte, ma sarà difficile non tenerne conto.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
LA DELEGA ALLE TLC E’ TERRENO DI SCONTRO, MA CI SONO ALTRI MINISTERI CON INTERESSI CONTRAPPOSTI… A FDI UN PAIO DI PRESIDENZE DI COMMISSIONI ? OK IL PREZZO E’ GIUSTO
Ci vorrà ancora del tempo.
Bisognerà aspettare almeno la fine della prossima settimana se non dieci giorni. Le nomine dei viceministri e dei sottosegretari, con le deleghe da assegnare, si intrecciano alla scelta dei presidenti delle commissioni di Camera e Senato.
Infatti anche la composizione di queste ultime slitterà ancora. È tutto un gioco di incastri allo studio delle due forze di governo, Lega e M5s, che ancora non vede la luce, anche perchè in questo puzzle così complicato nelle ultime ore si è aggiunta la possibilità che alcune presidenze delle commissioni vengano date a Fratelli d’Italia, alleati della Lega che non hanno votato contro il governo ma si sono astenuti.
Così la maggioranza sta trattando con il partito di Giorgia Meloni in modo tale da poter consolidare i numeri. Ora o in futuro.
Le due partite sono legate a doppio filo, ma andando per ordine i punti più caldi sono rappresentanti dalle deleghe da assegnare.
Quella alle telecomunicazioni più di tutte le altre dal momento che è appannaggio della Lega con un occhio rivolto a Silvio Berlusconi.
Proprio per questa ragione M5s sta facendo resistenza con Luigi Di Maio che nei giorni scorsi l’ha rivendicata per sè ma sarebbe stato stoppato dagli alleati.
È allo studio un punto di caduta. Si sta ragionando sulla possibilità che venga affidata a un pentastellato che diventerebbe sottosegretario o viceministro al dicastero dello Sviluppo economico.
Il nome che prende quota è quello di Stefano Buffagni, ex consigliere lombardo che in questi mesi ha curato i rapporti e la trattativa con i colleghi del Carroccio. Ma da Matteo Salvini non arriva un’apertura. A domanda precisa se la delega alle tlc sarà o meno lasciata a Di Maio risponde in modo alquanto vago: “È un tema caro agli italiani”.
La delega ai Servizi dovrebbe rimanere nella mani del premier Conte ma anche su questo si sta ragionando. A rivendicarla erano i 5Stelle con il sottosegretario, non ancora nominato, Vito Crimi.
Tema delicato è anche quello del ministero dei Trasporti che si occupa anche dei porti. Ai Trasporti come vice di Danilo Toninelli dovrebbe andare il leghista Edoardo Rixi (sotto processo per peculato)
Sempre in quota Carroccio, i responsabili economici Armando Siri e Alberto Bagnai sono in corsa come vice al Mef insieme a Laura Castelli del Movimento che sembra l’abbia spuntata dentro M5s.
Nei prossimi giorni il premier Conte potrebbe procedere alla nomina anche del Direttore generale del Tesoro. Secondo l’agenzia Bloomberg dovrebbe essere Antonio Guglielmi di Mediobanca.
Agli Esteri, tra i 5 Stelle, in pole c’è Emanuela Del Re, mentre Manlio Di Stefano dovrebbe diventare il presidente della commissione Esteri della Camera. Vittorio Ferraresi presidente della Giustizia.
Se in un ramo del Parlamento ci sarà un presidente di commissione in quota M5s nell’altro, nella commissione omonima, ce ne sarà uno in quota Lega.
Nel mezzo di questa trattativa così intrigata c’è anche Fratelli d’Italia che chiede una commissione Cultura e una Difesa. Più altre due.
Un’altra delega contesa è quella del Turismo. Il decreto per creare un il nuovo ministero come previsto dal contratto di governo non è ancora pronto. Il titolare dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio assicura che sarà in capo a questo dicastero, ma poco dopo viene contraddetto dal collega neo ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli in quota M5s: “Ci sono varie opportunità , vedremo gli sviluppi nei prossimi giorni”.
A riprova la trattativa è ancora tutt’altro che chiusa.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO TANTI ANNUNCI IL SOLITO BLUFF PER MASCHERARE I LIMITI DELL’ALLEANZA SOVRANISTA… CON IL BLOCCO DI VISEGRAD INTERESSI CONTRAPPOSTI
Un gran parlare sull’immigrazione, ma al Consiglio europeo di fine giugno l’Italia si presenterà a mani vuote.
Il nuovo ministro degli Interni Matteo Salvini non pianifica di presentare un’altra proposta di riforma del regolamento di Dublino, dopo la bocciatura di quella approdata ieri al vertice europeo di Lussemburgo.
Dopo aver invocato, da tempo, la revisione di un regolamento ritenuto penalizzante per l’Italia da tutte le forze politiche, Lega in primis, il governo di Roma si presenterà al vertice del 28 e 29 giugno senza un’alternativa.
Perchè? Perchè l’alleanza con i paesi dell’est e il blocco di Visegrad, conclamata ieri a Lussemburgo, non permette alcun proposito di riforma di Dublino: a loro in fondo sta bene così com’è.
Perchè garantisce che i paesi di primo approdo come l’Italia si carichino sulle proprie spalle le responsabilità di asilo per chi arriva. Stop.
E’ la prova del nove dei limiti dell’alleanza sovranista perseguita da Salvini, vicepremier di Giuseppe Conte che oggi, nel bel mezzo delle dichiarazioni in aula del presidente del consiglio, si è alzato e se n’è andato per un comizio elettorale a Brindisi. Obiettivo: comunali di domenica prossima.
Salvini non mette in pausa la campagna elettorale nemmeno nel giorno della fiducia al nuovo governo alla Camera. Ma il punto è che la strategia sull’immigrazione, tema caldissimo che lo ha portato al timone del Viminale, comincia già a esibire le prime criticità .
Che al vertice di giugno non ci sarà una proposta italiana lo confermano autorevoli esponenti della Lega: “Non c’è nemmeno il tempo”. Già , ma non c’è nemmeno il quadro delle alleanze giuste.
E l’Italia è costretta così a tenersi il regolamento di Dublino con tutte le responsabilità del caso non condivise dall’Ue.
“Forse non si è capito che ieri in Lussemburgo i paesi di Visegrad hanno votato no perchè consideravano la proposta di riforma del regolamento di Dublino troppo debole dal loro punto di vista contrario a ogni accoglienza. All’opposto rispetto all’Italia che invece la considera troppo debole perchè non garantisce una distribuzione automatica in Europa di chi arriva in Italia e ha diritto all’asilo”, ragiona in un affollato Transatlantico l’ex ministro Marco Minniti
Insomma, sovranisti ma ognuno a casa propria, si potrebbe dire.
Il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani insiste a voler riprendere la riforma approvata a Strasburgo nel novembre scorso: molto innovativa per l’Italia, garantisce un meccanismo automatico di redistribuzione dei migranti secondo un sistema di quote che tutti gli Stati europei sono obbligati a rispettare.
Peccato che all’Europarlamento il M5s si è opposto votando no, la Lega si è astenuta, il blocco di Visegrad compatto e arrabbiato sul no.
Per questo, a meno che non spunti un’altra proposta da parte di Stati forti come la Germania, il vertice di giugno rischia di non discutere delle regole di Dublino.
Allo stato, la riforma sembrerebbe morta. E la vittoria di ieri di Salvini finisce così, con un nulla di fatto e gli alleati di Visegrad che non si comportano proprio da alleati. L’alleanza con Visegrad e i paesi dell’est mostra già le sue crepe, a meno che non serva a conquistare una maggioranza di centrodestra al Parlamento Europeo alle europee del 26 maggio.
Certo è che proprio con i paesi dell’est il Viminale ha faticato un bel po’ sulle ‘relocations’ dei migranti. Basta guardare il grafico sul sito del Viminale.
L’Estonia ne ha accolti 6 in tutto, dopo un braccio di ferro con Minniti: li volevano tutti biondi e con gli occhi azzurri per non urtare la popolazione (proprio così).
Salvini prende tempo: “Non ho ancora fatto niente – dice alla folla che lo acclama a Brindisi, voglio tornare quando avrò fatto qualcosa, per ora posso esporre delle idee…”.
E tira fuori un’idea strampalata: “Esenzione fiscale in Puglia per i pensionati” che vogliono andare a viverci. Stile Portogallo. “E’ più bella la Puglia del Portogallo…”.
E anche stasera ha sparato una bufala.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
“I DITTATORI AGISCONO SEMPRE IN NOME DEL POPOLO”… E FORZA ITALIA SI ASSOCIA
Duro attacco di Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera, al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: “Presidente Conte, prima studi, abbia l’umiltà di studiare – ha detto -: non venga qui a fare lezioni. Non è qui per concederci il privilegio di vederla osservare la Costituzione. Lei ha il dovere di rispettarla”.
“E se vuole rispettare davvero la Costituzione – ha proseguito -, prenda quel programma che ha sul tavolo e lo riscriva, prenda la lista dei ministri e lo riscriva. Sono sconcertato: lei è espressione di un governo che nasce sull’inganno. Il nostro augurio è che non faccia il pupazzo dei partiti”.
Delrio nel motivare il no alla fiducia del Pd, ha affermato: “Presidente Conte, lei si presenta dicendo che è l’avvocato degli italiani, come rappresentante del popolo contro le elite. Ha rivendicato di essere populista ma in nome del popolo in questo Paese sono stati commessi delitti orrendi, approvate leggi razziali, in Europa sono stati commessi genocidi. Tutti i grandi dittatori lo fanno in nome del popolo. Parlo della storia e non di voi”.
L’ex ministro ha attaccato poi Conte per non aver ricordato il nome del fratello del Capo dello Stato Sergio Mattarella, ucciso in un agguato di mafia nel 1980.
Nel corso della sua replica, Conte aveva parlato di un “congiunto” del presidente della Repubblica insultato sui social network. Delrio ha urlato il nome “Piersanti” rivolto a Conte, innescando la standing ovation dei suoi compagni di partito, alla quale si è associata Forza Italia ma non Lega e M5s, che hanno reagito all’attacco con dei boati di disapprovazione.
Emanuele Fiano, a questo punto, ha fatto platealmente cenno ai deputati dell’opposizione di alzarsi, senza però ottenere soddisfazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
LE ANALISI DI DUE ECONOMISTI BOCCIANO LA “RICOSTRUZIONE” DI SALVINI … LA FLAT TAX NON HA MAI FUNZIONATO
Salvini ha detto oggi che la Flat Tax farà risparmiare di più chi ora paga più tasse (ovvero i più ricchi) e che in questo modo i ricchi faranno ripartire l’economia perchè avranno più soldi da spendere e reinvestire.
Ci sarebbe da chiedersi di chi sta parlando il ministro dell’Interno.
Delle aziende o delle persone fisiche?
Salvini non dice che la Flat Tax non è uno sgravio sugli utili reinvestiti (la macchina, l’operaio, etc) ma sugli utili. Anche perchè la detassazione degli utili reinvestiti c’è già .
Inoltre non dice che non tutti quelli che guadagnano di più (e pagano di più di tasse) possono “assumere un operaio in più”.
Pensiamo ad esempio ad un primario di un ospedale o a tutti quei lavoratori e liberi professionisti che pur guadagnando “di più” non hanno alcuna possibilità o interesse di assumere un dipendente.
Anche perchè generalmente un imprenditore che dà lavoro agli operai lo stipendio non lo paga con i “risparmi “del suo reddito ma grazie agli utili prodotti dall’azienda (che appunto sono già parzialmente detassati).
Salvini ha anche detto è che l’assoluta intenzione di questo governo del cambiamento «è che tutti riescano ad avere qualche lira di più in tasca» ecco quindi il senso della “pace fiscale” — ovvero di un condono fiscale dove chi non ha pagato le tasse fino ad ora se la caverà pagandone meno — della Flat Tax o dello smantellamento della Legge Fornero che potrebbe sì avere l’effetto di far andare in pensione prima ma con meno soldi in tasca.
Non resta quindi che l’ipotesi che Salvini ritenga che “lasciando qualche lira” in più in tasca a chi paga più tasse riparta l’economia. È la teoria economica nota come “trickle-down” ed ha un solo difetto: non funziona.
Come scrive su Twitter Massimo D’Antoni — docente di Scienza delle Finanze all’Università di Siena — è noto come la propensione al consumo sia decrescente rispetto al reddito corrente. Questo significa — ma è intuitivo — che c’è un limite fisiologico a quanta “merce” una persona può comprare. Anzi una persona più ricca è possibile che quelle “lire” che si troverà in tasca grazie alla Flat Tax magari le investirà sul mercato finanziario (dove non genera consumi) o magari in prodotti d’importazione (l’iPhone, la macchina straniera, etc). In questo modo però i consumi non ripartono. Vale la pena ricordare che il PIL è dato dalla somma di consumi + investimenti + spesa pubblica con la differenza tra importazioni ed esportazioni (la bilancia commerciale).
In parole povere, la “spiegazione” di Salvini non ha alcun senso dal punto di vista economico
Per l’economista Giulio Sapelli non è possibile rilanciare i consumi lasciando soldi in tasca ai ricchi
A certificare che l’idea di Salvini (che ricordiamo non specifica se parla di aziende o meno) non funziona è anche l’economista Giulio Sapelli (uno che Lega e M5S volevano fare ministro).
A margine dell’evento di Aefi ‘La forza delle fiere italiane’, che si è tenuto a Roma Sapelli ha detto che «Far consumare i ricchi di più di quanto già consumano, attraverso le tasse, non è un’idea giusta. Ormai abbiamo biblioteche che spiegano questo. I ricchi devono pagare le tasse giuste».
Secondo Sapelli «la flat tax deve soprattutto servire per le imprese che hanno un carico fiscale mostruoso» (ma appunti esiste già una detassazione) e aggiunge che «è dimostrato che chi consuma di più, nella massa aggregata, sono i poveri che pagano tutti un po’ di tasse»
Sapelli ha aggiunto «Capisco cosa dice Salvini: vorrebbe che i ricchi reinvestissero i loro capitali in Italia, ma allora bisogna rendere attrattivo l’investimento e la prima cosa da fare è impedire ai ‘pazzi morali’, quelli che sono contro i vitalizi e gridano ‘onestà onestà ‘, di prendere il potere. Vedremo che così i ricchi mettono i soldi in Italia e non hanno paura di perderli».
Ricordiamo che una Flat Tax per i ricchi stranieri esiste già (ed è stata un’idea di Renzi).
Per i parlamentari un risparmio da più di dodicimila euro l’anno
Inavvertitamente Sapelli con il suo ultimo commento ha toccato quello che potrebbe diventare ben presto un nervo scoperto del nuovo governo, soprattutto della componente pentastellata.
Tra i primi a beneficiare dello “sconto” della Flat Tax sarebbero infatti proprio i politici. Come è noto dalle dichiarazioni patrimoniali i nostri parlamentari (anche quelli del M5S) i redditi di deputati e senatori vengono tassati progressivamente secondo cinque scaglioni Irpef fino ad un’aliquota pari al 43% per il reddito eccedente i 75mila euro
Ad esempio il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha dichiarato un reddito imponibile pari a 98.471 euro sui quali ha pagato quasi 36mila euro di ritenute Irpef.
Immaginando che con la Flat Tax gli scaglioni diventeranno due (uno al 15% e uno al 20% come previsto dal contratto).
Immaginando che il reddito di Di Maio (e con lui quello di tutti i parlamentari e membri del governo) finisca nello scaglione del 20% (ma è anche possibile che finisca in quello inferiore) il Capo Politico del M5S finirebbe per risparmiare circa 15mila euro di trattenute Irpef all’anno, più di mille euro al mese.
Il tutto senza tenere conto dei numerosi privilegi di cui già godono i nostri politici come i famosi rimborsi forfettari (per l’affitto, i trasporti, le spese per il vitto) dei quali anche i pentastellati hanno dimostrato di saper far ampio uso.
Con la Flat Tax i ricchi saranno sempre più ricchi e la casta — grazie al gioioso apporto del MoVimento 5 Stelle che ha collaborato alla stesura del contratto — sempre più privilegiata.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
I TASSI AUMENTERANNO E L’ITALIA NON AVRA’ PIU’ LO SCUDO PROTETTIVO
La data cerchiata di rosso è il 14 giugno.
Le attese di alcuni (tedeschi in primis), i timori di altri (italiani in primis) saranno concentrati su giovedì prossimo quando il consiglio direttivo della Bce si incontrerà a Riga per discutere, stando a indiscrezioni sempre più concrete, dell’uscita graduale dal programma di Quantitative easing, il cosiddetto “tapering”.
Solo qualche giorno fa ne aveva fatto cenno la tedesca Sabine Lautenschlaeger, oggi lo ha confermato un altro membro del comitato esecutivo, Peter Praet. “E’ chiaro che la prossima settimana il consiglio direttivo dovrà fare questa valutazione, se i progressi fatti finora sono stati tali da richiedere una graduale uscita dai nostri acquisti netti”.
La fine degli acquisti dei titoli di Stato dei 19 paesi dell’Eurozona è prevista per la fine dell’anno, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi prefissati, ovvero un tasso di inflazione intorno al 2%.
Obiettivo che, secondo diversi analisti, sembra essere a portata di mano anche grazie a un netto incremento ad aprile dei prezzi dell’energia che ha portato in un mese l’inflazione dall’1,2 all’1,9% di maggio.
Tanto è bastato a chi è sempre stato scettico nei confronti delle politiche monetarie dell’Eurotower nate sull’impulso del “whatever it takes” pronunciato da Mario Draghi a mettere sul tavolo della discussione l’uscita dal Qe.
Come confermato da Jens Weidmann, presidente della Bundesbank tedesca: “Non è una sorpresa che da qualche tempo i mercati si aspettino che gli acquisti netti di titoli finiscano entro il 2018. Per come stanno le cose, trovo plausibili queste aspettative”.
Chi invece non è affatto convinto di chiudere con il Qe, si aspettava che della decisione di riporre il bazooka se ne parlasse in “casa”, a Francoforte, nella riunione del 26 luglio.
Salvo sorprese, però, i tempi sono ormai maturi – secondo l’orientamento diffuso in Europa centrale – per mettere fine al programma monetario della Banca centrale.
Ma la decisione non mancherà di avere ripercussioni sui mercati, temono i Paesi più esposti alle speculazioni finanziarie.
Come rileva il Financial Times, l’inflazione core – che esclude i prezzi dell’energia, dei generi alimentari, dell’alcool e del tabacco – si è attestata a un più moderato 1,1%.
Il tempismo del capo economista di Francoforte Praet non poteva essere peggiore per il Governo Conte proprio mentre è impegnato ad ottenere la fiducia del Parlamento. Dopo una fase di forte tensione in seguito alla scelta di Paolo Savona per il Mef e al successivo per il dirottamento dell’ex ministro di Ciampi agli Affari europei, i rendimenti dei titoli di Stato di Roma sono tornati a crescere negli ultimi giorni. Segnale che l’Italia è ancora fonte di preoccupazione per gli investitori e che l’avvicendamento al Mef tra Padoan e l’europeista scettico al punto giusto Giovanni Tria non è riuscito a sedare del tutto i timori.
A non convincere sono le politiche di bilancio che il Governo Conte intenderà attuare nei prossimi mesi e le coperture necessarie per applicarle.
In giornata è stato diffuso un paper scritto da Tria in cui si sottolinea la necessità di una spesa in deficit per gli investimenti, da concordare in Ue, per ottenere una graduale riduzione del rapporto debito/Pil puntando sulla crescita del denominatore. Fonti del Mef si sono affrettate a smentire ma le idee di Tria, seppur non bellicose quanto quelle di Savona, sono ben note al mondo accademico ed economico e non fugano i dubbi dei mercati.
Non tanto (o comunque non solo) per le ricette proposte quanto per lo scontro che ne nascerebbe nei consessi europei dove la linea del rigore, imposta da Germania e dai Paesi dell’europa del Nord, la fa ancora da padrona.
Secondo Bloomberg, i mercati non hanno apprezzato particolarmente la relazione programmatica di Conte in Senato.
E, visto l’andamento dello spread, non sembrano aver cambiato idea con la sua replica di oggi alla Camera. Nel secondo giorno della fiducia parlamentare il differenziale tra Btp e Bund è salito fino a oltre 250 punti base, chiudendo poi in leggero raffreddamento a 244 punti. Il decennale italiano paga sul mercato secondario un rendimento del 2,9%.
Ma a incidere particolarmente sulla frenesia dei mercati (sono saliti anche i rendimenti dei titoli spagnoli, portoghesi e francesi) sono state le indiscrezioni confermate da Praet che dalla prossima settimana si parlerà in via ufficiale della fine del Qe
Al momento l’ultima sessione di acquisti della Bce è prevista per il 30 settembre.
Da ottobre, è l’attesa dei mercati, dovrebbe iniziare la stretta dell’Eurotower di cui si discuterà la prossima settimana in Lettonia.
Chi preme per la fine del programma di acquisti sicuramente tenterà di cogliere al volo l’occasione approfittando del dato positivo dell’inflazione ma che non mancherà di innescare polemiche.
Il Governo Conte è avvisato.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
NON RICORDA NEANCHE PARENTELA E NOME DI PIERSANTI MATTARELLA, UCCISO DAI SICARI DI COSA NOSTRA
“Una delle cose che più mi è dispiaciuta nei giorni scorsi è stata l’attacco a un suo congiunto sui social, ora non ricordo esattamente”: non fa una figura molto elegante il presidente del Consiglio Giuseppe Conte mentre esprime solidarietà a Sergio Mattarella, quello che il suo partito voleva condannare all’ergastolo per attentato alla Costituzione, per gli insulti, le minacce e le contumelie ricevute nei giorni in cui il Quirinale è rimasto sotto attacco a causa del veto su Savona e della successiva sceneggiata di Lega e M5S, che poi puntualmente è rientrata quando il governo si è formato.
Il “congiunto” di Mattarella di cui Giuseppe Conte non ricorda il nome è il fratello Piersanti, assassinato da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980 mentre era presidente della Regione Siciliana.
Nel 1995 vennero condannati all’ergastolo i mandanti dell’omicidio: i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci
Sergio Mattarella è ritratto anche in questa famosa foto scattata da Letizia Battaglia mentre stava tirando fuori il fratello dalla berlina scura “dove era rimasto schiacciato qualche istante prima da otto pallottole”, come ha raccontato tempo fa Attilio Bolzoni.
Piersanti Mattarella fa parte della storia di questo paese.
Il presidente del Consiglio dovrebbe conoscere il suo nome a prescindere dalle parentele.
(da agenzie)
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Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
EMERGE UN ALTRO ASSURDO SULLE PENSIONI D’ORO: GRAZIE ALLA FLAT TAX CHE FAVORISCE I REDDITI ALTI, IL VANTAGGIO FISCALE SARA’ DI GRAN LUNGA SUPERIORE AL TAGLIO
Anche se non è stata nominata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel suo discorso, la riforma Fornero resta al centro del percorso di attuazione del “contratto” di governo.
Anche perchè ci sono alcuni grossi problemi di equità da risolvere prima di muoversi. Uno di questi lo solleva oggi Il Sole 24 Ore, spiegando come prima di arrivare alle nuove anzianità targate “quota 100” (con un minimo di 64 anni e non più di 3 anni di contribuzione figurativa), o “quota 41” a prescindere dall’età , bisogna per esempio decidere se le future pensioni a requisiti ridotti saranno ricalcolate o meno con il “contributivo” ragguagliato ai coefficienti di trasformazione a 64 anni.
Proprio quest’ultima opzione, infatti, che prevede una penalizzazione sull’assegno finale, rientra nello schema messo a punto dagli esperti della Lega, un meccanismo che potrebbe garantire il rispetto del target dei 5 miliardi l’anno di maggiore spesa previdenziale annunciata.
Fa sapere Alberto Brambilla, il quale nel toto-nomine è in corsa per un posto di vice-ministro al Lavoro, che il penalty non sarebbe per tutti: i lavoratori che hanno avuto carriere piatte e senza aumenti retributivi negli ultimi anni (situazione assai diffusa dal 2008 in poi) non subirebbero quasi alcuna perdita, mentre una sensibile riduzione potrebbe arrivare per chi ha beneficiato di aumenti salariali (fino al 9-10% per un 64enne con oltre 20 anni di contributi).
In più c’è un altro effetto interessante da studiare ed è quello sull’effetto della flat tax o dual tax: i risparmi che otterranno i pensionati d’oro attraverso la tassa piatta (fatta in realtà da due aliquote molto basse), saranno di gran lunga più cospicui dei tagli che subiranno le loro pensioni.
Questo perchè più alte sono le pensioni, più si riduce lo squilibrio tra contributi pagati e pensione percepita, e così alla fine il taglio previsto non sarà così forte da annullare i vantaggi della tassa piatta.
Prendiamo ad esempio un pensionato che prende 10 mila euro lordi al mese, 5.837 netti.
Con il taglio del 5%, il suo assegno si riduce a 9.500 euro lordi, che con l’attuale tassazione equivalgono a 5.553 euro netti: dunque 284 euro in meno.
Ma con la flat tax quell’assegno netto risale di 1.958 euro. Guadagno finale: 1.674 euro in più al mese nelle sue tasche, con un aumento della pensione del 29%. Facciamo un esempio limite: il fortunato che ha una pensione di 40 mila euro al mese, da una parte avrà un taglio di 2 mila euro, dall’altra un risparmio fiscale di oltre 8 mila: 6 mila euro in più al mese.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 6th, 2018 Riccardo Fucile
PRETENDERE TRATTAMENTI DI FAVORE O DETTARE CONDIZIONI SVILISCE IL RUOLO DEI GIORNALISTI… NON SI PUO’ PARLARE DI GOVERNO DEL CAMBIAMENTO E COMPORTARSI PEGGIO DEGLI ALTRI
I Cinque Stelle hanno sempre avuto un rapporto conflittuale con la tv: boicottarla o occuparla?
Alla fine hanno scelto una terza via, quella di comportarsi come o peggio dei politici che volevano cancellare: dettare le proprie condizioni ai conduttori, pretendere trattamenti di favore e svilire il ruolo dei giornalisti che partecipano a quei talk show che, per quanto criticati e criticabili, sono una parte importante del dibattito pubblico.
Negli ultimi mesi mi è capitato varie volte di dovermi alzare e andarmene da uno studio televisivo perchè arrivava il deputato o senatore M5S che, per partecipare, aveva preteso il confronto diretto con il conduttore.
Chi conduce è il padrone di casa, vive degli ospiti che intervengono nel suo studio, non può essere troppo ostile, al massimo imparziale e corretto.
Morale: anche durante la campagna elettorale e nella lunga trattativa sul governo i Cinque Stelle sono riusciti a evitare, sempre o quasi, di confrontarsi con punti di vista diversi.
Non dico che si siano comportati peggio di altri politici di altri partiti, quando erano abbastanza potenti da poter imporre le proprie regole. Di sicuro non si sono comportati meglio.
Quando ho fatto notare la cosa ad Alessandro Di Battista, in un dibattito pubblico, ha detto: “Mi dispiace, non lo sapevo”.
Questa mattina ero a Omnibus su La7 e la conduttrice Gaia Tortora ha chiarito la sua linea verso il nuovo governo: non verranno più accettate le richieste di intervistare i singoli parlamentari dei Cinque Stelle o della Lega in solitaria.
Può capitare che un ministro — come usa spesso — intervenga per una intervista individuale sui suoi temi di competenza.
Ma chi vuole partecipare al normale dibattito quotidiano sull’azione del governo e sui provvedimenti in discussione deve accettare il confronto. Con gli avversari politici e con i giornalisti.
Se poi i Cinque Stelle decideranno di disertare la tv, come facevano agli inizi, sarà una scelta legittima e probabilmente anche utile in termini di consenso.
Ma se scelgono di partecipare ai talk show, è bene che accettino il confronto. Soprattutto ora che sono al governo.
Anche questo sarebbe “cambiamento”. Se continueranno a preferire i monologhi, invece, sarà legittimo sostenere che certe cattive abitudini sopravvivono anche nella Terza Repubblica.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »