Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
LA FRANCIA NON AMMETTE MIGRANTI ECONOMICI, MA ANCHE L’ITALIA FA LA STESSA COSA, QUINDI DI CHE SI PARLA?
Le accuse specifiche sul caso Aquarius da parte di Macron al governo italiano fotografano semplicemente la situazione: violando le leggi internazionali definire vomitevole il comportamento dell’esecutivo Lega-M5S è il minimo sindacale e chi di dovere ne risponderà davanti alla Corte di Giustizia.
Rispondere dicendo alla Francia “prendetevi 9.000 profughi” o accusare la Francia di bloccare i confini a Ventimiglia non tiene conto innnazi tutto delle cifre reali.
Se l’Italia hai in carico 122.960 richiedenti asilo, la Francia ne ha poco meno, ovvero 84.770.
Non è vero che la Francia respinge i profughi, la sua politica è accogliere chi ha diritto dello status di protezione ma non i migranti economici.
La stessa politica dell’Italia che non accetta il 60% degli arrivi perchè li ritiene migranti economici.
Con la differenza che in Italia i reimpatri sono più problematici.
Lo scorso aprile il ministro dell’interno Gerard Collomb ha presentato una legge di riforma sul tema dei richiedenti asilo basato su alcuni punti chiave: riduzione dei tempi per la domanda di assistenza, no all’espulsione dei richiedenti asilo verso paesi che discriminano gli omosessuali, meno severità per chi aiuta i migranti irregolari.
Ovvio che la Francia potrebbe e dovrebbe fare di più, ma allora perchè non prendersela con Ungheria e Stati dell’est che prendono miliardi di euro dalla Ue e poi non accolgono nessuno?
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
DIRITTI UMANI ELEMENTO IRRILEVANTE… LA SOLUZIONE E’ FORAGGIARE CRIMINALI, CHE BEL GOVERNO DELLA LEGALITA’
La data non è stata ancora fissata, ma nell’agenda di Matteo Salvini l’impegno è cerchiato di rosso. Perchè l’obiettivo strategico del ministro dell’Interno e vicepremier è chiudere la “rotta libica”. Chiuderla come è stato fatto per quella balcanica.
Avere come riferimento la rotta balcanica, per il leader leghista significa due cose: chiedere all’Europa di mettere soldi, tanti, stornandoli da quelli elargiti alla Turchia di Erdogan, e individuare in Libia uno o più referenti in grado di condividere e praticare l’obiettivo.
Il modello di riferimento è quello turco. Allora, è la riflessione che tende ad accomunare Salvini con l’altro vicepremier, il pentastellato Luigi Di Maio, la Germania forzò i cordoni della borsa europea, per stringere un patto con il “sultano di Ankara”, il presidente turco Erdogan: tre miliardi di euro per fare da “tappo” in Turchia all’esodo dei profughi siriani, la maggior parte dei quali provavano ad arrivare in Europa attraverso la rotta balcanica.
Soldi e non solo. Perchè in cambio del suo ergersi a “gendarme” delle frontiere esterne del Vecchio continente, l’Europa, su spinta tedesca, avrebbe soprasseduto alla deriva autoritaria imposta al Paese da Erdogan, e dunque, sostanziale copertura, al di là di qualche comunicato senza conseguenze pratiche, alla “Grande purga” messa in atto dal presidente turco negli ultimi anni. Quel modello ha funzionato. Perchè non sperimentarlo anche con la Libia?
Il predecessore di Salvini al Viminale, Marco Minniti, ci aveva provato, stringendo rapporti non solo con il governo di Tripoli (l’unico riconosciuto internazionalmente), guidato da Fayez al-Sarraj ma anche stabilendo rapporti con quelle tribù e milizie che controllano in Libia le aree e i porti da cui hanno inizio le traversate nel Mediterraneo. Il calo degli sbarchi registrato nei primi sei mesi del 2018, come negli ultimi del 2017, è il portato di quegli accordi, ufficiali e “sottobanco”.
Al di là delle battute polemiche ad uso interno, ed elettorale, Salvini non ha alcuna intenzione di mettere nel cassetto l’esperienza del suo predecessore, al contrario, l’intenzione è quella di rafforzarla, senza più quei vincoli “umanitari” a cui il precedente governo si era legato.
Il problema, non secondario, è che nel caos libico non è emerso un Erdogan o un al-Sisi, ma la convinzione di Roma è che la rotta libica può essere chiusa, o comunque fortemente “tappata”, cercando un uomo forte, e privo di scrupoli, in grado di fare il “lavoro sporco” necessario per contrastare l'”invasione” di migranti.
Quell’uomo non può essere l’ “architetto” (era la sua professione prima di buttarsi in politica), Fayez al-Sarraj, la cui autorità nei confronti delle tribù e delle milizie che controllano davvero il territorio libico, si avvicina allo zero.
E non può esserlo neanche il “generale”, Khalifa Haftar, che uomo-forte, almeno in Cirenaica, lo è pure ma che al momento più che all’Italia sembra guardare alla Francia come Paese-sponsor in Europa, quella Francia che con il suo presidente Emmanuel Macron ha bollato come “irresponsabile e cinica” la decisione di Salvini di non accogliere i migranti nei porti italiani E a rincarare la dose ci ha pensato portavoce di “En Marche”, il partito di Macron, definendo “vomitevole” la posizione italiana. Haftar è un uomo di Parigi.
E allora, non resta che puntare sui “capitani”, uno dei quali è Ayoub Qasem, comandante della marina militare a Tripoli. Non è un caso che sia proprio lui a plaudire l’iniziativa assunta dal governo italiano sulla chiusura dei porti alle navi delle Ong Altra figura-chiave, nei disegni italiani di chiusura della rotta libica, è quella del capitano di vascello. Abujella Abdul-Bari, comandante delle motovedette della Guardia costiera libica, entrato nell’occhio del ciclone per un video che lo riprendeva con una pistola in mano puntata contro un barcone carico di migranti mentre è ai comandi di una delle motovedette fornite alla marina libica dall’Italia.
Il terzo, non in ordine d’importanza ma di ingresso in scena, è il capitano Abdel Salam Ashur nuovo ministro dell’Interno del governo di Accordo nazional libico.
Puntare sui “capitani” di Tripoli, spiegano le fonti ad HuffPost, risponde anche ad una modifica dei punti di partenza della “rotta libica”. In questi ultimi mesi, infatti, la geografia delle partenze è leggermente cambiata.
Se prima la parte ovest più vicina al confine con la Tunisia era il bacino maggiore, oggi i barconi partono anche dalla zona a est di Tripoli. Sono ripresi gli sbarchi da città come Al Khoms e Garabulli, mentre a Zuwara e Zawiya si parte molto meno.
Da Sabrata, praticamente, non si parte più (almeno al momento). Queste città della costa occidentale sono quelle in cui l’Italia ha avuto, da anni, una presenza più forte. Da qui è stato anche messo in piedi il Memorandum of Understanding Italia-Libia voluto dall’ex titolare del Viminale, e che fonti diplomatiche confermano essere ancora attivo, tanto che sono ancora in corso missioni di addestramento della Guardia costiera libica sia a livello bilaterale sia a livello europeo.
Ma quello del governo gialloverde non è solo un azzardo. È anche una corsa contro il tempo. Quattrocentomila, secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, forse anche molti di più.
Sono stipati nei Centri di detenzione sparsi sul territorio libico, e sono pronti a partire per l’Italia. La questione immigrazione vista dalla Libia non fa ben sperare. ”
Ma oltre che a uomini di polso, e di potere reale, a Tripoli, l’Italia ha anche bisogno di mettere sul tavolo i soldi europei. E tanti. Come? Stornandoli dal “fondo Erdogan”.
A darne conto è il quotidiano di Madrid El Pais, secondo cui il governo italiano vorrebbe stornare i soldi, che oggi Bruxelles fa finire nelle casse di Erdogan, e dirottarli sul fronte libico per contrastare gli scafisti e fermare le partenze.
L’idea sarebbe questa: prendere i fondi che l’Unione europea ha stanziato per la Turchia e impiegarli per un fronte molto più caldo: la Libia. l’idea di bloccare il finanziamento di 3 miliardi di euro che Bruxelles si è impegnata a destinare a Erdogan, in seguito all’accordo sottoscritto con Ankara nel 2016 per fermare il passaggio degli immigrati lungo la rotta balcanica. Secondo El Pais, il governo Conte intende chiedere che la somma venga destinata alla Libia. Palazzo Chigi smentisce, ma da Madrid ribadiscono: “Sono fonti attendibili e autorevoli quelle che hanno parlato con noi”. Arrivare all’appuntamento di Tripoli con quei fondi europei, sarebbe per Salvini un biglietto da visita estremamente convincente.
Per i capitani di Tripoli, come per le tribù che contano in Libia.
Quei soldi servirebbero, in primis, per rafforzare la Guardia costiera, in mezzi e uomini, e per implementare i centri di detenzione per migranti (attualmente sono in tutto 34, controllati dal ministero dell’Interno di Tripoli).
Restano fuori agenda i diritti umani, ritenuti un elemento secondario rispetto all’obiettivo da perseguire: la fine della rotta libica.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
LE CONVENZIONI SOLAS e SAR , FIRMATE NEL 2004 DALL’ITALIA STABILISCONO L’OBBLIGO PER LO STATO CHE PER PRIMO HA RICEVUTOLA NOTIZIA DELL’EVENTO, DI INDIVIDUARE SUL PROPRIO TERRITORIO UN LUOGO SICURO OVE SBARCARE LE PERSONE SOCCORSE
Forse l’Italia non avrà chiuso i porti, come sostiene il ministro delle Infrastrutture Toninelli, ma con il divieto di approdo imposto alla nave Aquarius della Ong SOS Mediterranee rischia di incorrere in responsabilità penali internazionali.
A sostenerlo è la neo ministra della Giustizia spagnola, Dolores Delgado che parlando dell’arrivo dell’Aquarius a Valencia ha aggiunto che l’accoglienza “non è una questione di buonismo o generosità ma di diritto umanitario”.
La Delgado non è l’unica a sostenere questa tesi.
Ad esempio Carlo Bonini su Repubblica oggi spiega che la decisione di impedire alla Aquarius di attraccare in un porto italiano effettuata ieri dal governo Lega-M5S è stata un atto illegale in aperta violazione della “Convenzione Internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo” siglata ad Amburgo il 27 aprile del 1979 e ratificata dal nostro Paese con la legge 147 del 1989. In base alla Convenzione il porto appropriato per lo sbarco delle persone tratte in salvo — anche dalla Guardia Costiera italiana — durante diverse operazioni di soccorso avrebbe dovuto essere quello inizialmente indicato dal MRCCC di Roma; il centro di coordinamento dei soccorsi nella zona SAR che ricade sotto la competenza italiana.
La situazione quindi è doppiamente a sfavore dell’Italia.
In primo luogo perchè è stato il nostro Paese a coordinare le operazioni di search and rescue in quella che dovrebbe essere l’area SAR libica ma che è da anni “commissariata” dalla nostra guardia costiera a causa dell’incapacità della Libia di garantire il coordinamento dei soccorsi.
Fino ad oggi ha sempre funzionato così, tant’è che la nave Diciotti della Guardia Costiera che sta per arrivare a Catania con quasi 1.000 persone a bordo ha partecipato ad operazioni di salvataggio al largo della Libia.
A scanso di equivoci è bene precisare che l’area SAR non coincide con le acque territoriali (nè libiche, nè maltesi o italiane) ma “copre” le acque internazionali.
Fino a domenica nessuno ha mai messo in dubbio che il porto appropriato per gli sbarchi delle persone tratte in salvo fosse in Italia (e non a Malta, in Libia o in Tunisia)
Quale è davvero il problema, il rapporto tra attività SAR e Regolamento di Dublino
Come è scritto in una relazione pubblicata a cura del Ministero dei Trasporti dal Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Shenghen «il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo o dei naufraghi, non determina tuttavia la conclusione delle operazioni S.A.R., perchè le operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un luogo sicuro».
C’è un motivo ben preciso (e un precedente drammatico) che ha portato nel 2004 ad emendare le convenzioni SOLAS e SAR stabilendo l’obbligo, per lo Stato cui appartiene lo MRCC che per primo abbia ricevuto la notizia dell’evento (nel nostro caso l’IRMCC di Roma) o che comunque abbia assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, di individuare sul proprio territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse.
Questo è anche il motivo per cui Malta, che al contrario dell’Italia non ha mai ratificato quegli emendamenti, sostiene di essere nel giusto quando ha detto all’Italia che in base al diritto internazionale la Aquarius era obbligata a sbarcare in Sicilia. Nella sua audizione alla Camera il Contrammiraglio Nicola Carlone sottolinea i problemi derivanti dalla sovrapposizione delle norme del diritto internazionale e del Regolamento di Dublino che crea un problema per il paese coordinatore dell’attività SAR che in base alla versione attuale del regolamento è obbligato anche a farsi carico delle procedure di richiesta d’asilo.
La legge sulle operazioni SAR prevede infatti che le procedure di identificazione debbano essere «affrontate e risolte solo a seguito dello sbarco nel luogo sicuro di sbarco (POS) e non devono comunque causare indebiti ritardi allo sbarco delle persone soccorse od alla liberazione della nave soccorritrice dall’onere assunto». Quindi riassumendo: chi coordina i soccorsi ha l’obbligo di individuare un place of safety sul proprio territorio al fine di garantire l’integrità dei servizi SAR.
Ma nel caso dell’Italia (è il Ministero dell’Interno a dover individuare il POS) e dei flussi migratori nel Mediterraneo la situazione è complicata dal fatto che una volta sbarcati i migranti diventano un ulteriore obbligo (in merito alle domande d’asilo politico).
Certo, il POS potrebbe essere anche in un altro paese ma ci devono essere degli accordi specifici che prevedano la possibilità per l’MRCC di indicare un POS localizzato su un altro stato.
Scrive Carlone: « in caso di rifiuto, da parte delle Autorità di un altro Paese, a concedere l’autorizzazione allo sbarco in un porto situato nel proprio territorio, lo Stato cui appartiene lo MRCC che coordina le operazioni ha l’obbligo di individuare il POS sul suo territorio».
Ecco perchè la Aquarius è diventata “un caso” ed ecco spiegato, di nuovo, perchè Toninelli, Salvini e Conte hanno torto.
L’esposto dei Verdi contro la chiusura dei porti di Salvini
Anche gli assetti navali che operano all’interno delle operazioni condotte da Frontex (prima Triton e ora Themis) continuano a portare i migranti in Italia. A complicare le cose nel caso di Aquarius c’è il fatto che i soccorsi coordinati dall’Italia sono stati effettuati da unità navali italiane.
Non è stata SOS Mediterranee a salvare tutti i 629 migranti, una parte è stata salvata — come ha ricordato anche Toninelli — dalla Guardia Costiera.
Se da un lato è giusto chiedere “più Europa” dall’altro non c’è dubbio che ci sia un modo giusto e uno sbagliato per farlo. Quello dell’Italia assomiglia ad una versione mascherata di respingimento in mare, cosa che però è vietata proprio dalla Convenzione di Ginevra (che sancisce il principio di non refoulement).
Il rappresentante dei Verdi Gianfranco Mascia oggi ha presentato un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Roma nei confronti del Ministro degli Interni Matteo Salvini «sulla vicenda della chiusura dei porti e della conferenza stampa nella sede della Lega». In una nota Mascia spiega che «Nel primo punto dell’esposto chiedo alla procura se il rifiuto di autorizzare l’attracco nei porti italiani della nave Aquarius sia in violazione della “Convenzione Internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo” siglata ad Amburgo il 27 aprile del 1979 e ratificata dal nostro Paese con la legge 147 del 1989. Una Convenzione che fissa l’obbligo di soccorso in mare a chi sia in pericolo di vita e quello del suo trasferimento in un luogo sicuro».
Ieri Salvini cantava vittoria, convinto di aver segnato un punto, magari creando un precedente da poter utilizzate in futuro.
Ma in realtà la prova di forza contro Malta potrebbe ritorcersi contro il governo italiano.
Non bisogna dimenticare che l’Italia non ha mostrato i muscoli agli altri partner europei — egualmente responsabili della situazione — ma solo contro La Valletta in base ad argomentazioni pretenziose e senza tener conto di come fino ad oggi si sono conclusi gli eventi di soccorso iniziati all’interno dell’area SAR libica.
Tanto più che dopo aver urlato ai quattro venti che l’Italia voleva riprendersi la sua sovranità il governo ora chiede un intervento dell’Europa per la sorveglianza dei confini e la gestione dei flussi migratori.
Due materie che in base al Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (articoli 77 e seguenti) sono di competenza esclusiva dei singoli stati membri. Inutile ricordare come Salvini e Conte si siano opposti alla modifica del regolamento di Dublino che sanciva la fine del principio del “paese di primo approdo” e stabiliva la creazione di quote automatiche per la ripartizione dei richiedenti asilo.
Esattamente quello che era scritto nel contratto, ma evidentemente il piano è di presentare la modifica come un “successo italiano” e non una decisione subita dal nostro Paese.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
IGNORANTE SULLE NORME VIGENTI, BUGIARDO SULLA REALTA’ DEI FATTI, VOLTAGABBANA SULLA CHIUSURA DEI PORTI
Il governo del cambiamento di Lega e M5S continua a provarci a imporre la sua narrazione. Lo fa raccontando l’emergenza immigrazione. Tutto durante uno dei periodi di calma sul fronte degli sbarchi certificati dai dati diffusi quotidianamente dal Viminale.
Lo fa chiedendo la solidarietà europea, ma non ai paesi del gruppo di Visegrad.
Lo fa chiedendo all’Europa di dare una mano, dopo aver criticato per anni l’operazione Triton di Frontex.
E lo fa con le parole del ministro Toninelli che oggi ha detto che l’Italia non è xenofoba, anche se il fondatore del suo partito ha attaccato l’operazione Mare Nostrum e ha dimostrato di non aver mai capito cosa è un migrante.
Il ministro ha dato ordine di bloccare la Aquarius impedendole di attraccare in Italia
Maestro indiscusso dell’arte della sovversione della realtà è Danilo Toninelli che in questi giorni sta facendo strepitose acrobazie.
Ieri il ministro uscendo dal vertice di Palazzo Chigi è stato intercettato da Mentana che era in onda con uno dei suoi soliti speciali. Il ministro ha detto: «penso di aver dimostrato che abbiamo dimostrato una grande serietà ». Non si capisce in quale modo si possa considerare una dimostrazione di serietà quella di minacciare Malta avendo torto.
Ma Toninelli insiste: «Abbiamo chiesto a Malta di aprire questi porti a La Valletta e per farlo siamo stati costretti a dare mandato — io sottoscritto l’ho dovuto fare — alla Capitaneria di porto che stava accompagnando l’Ong Aquarius di fermarsi nelle acque maltesi. Perchè? Per la sicurezza delle persone che erano a bordo, perchè il porto più vicino era quello di Malta».
L’inviato de La 7 ha chiesto a Toninelli se, qualora ci fossero state difficoltà per la Aquarius a raggiungere la Spagna, il governo sarebbe stato disposto «ad aprire in via emergenziale i porti italiani per far approdare la nave?».
Il ministro non ha risposto dicendo “non abbiamo mai detto di chiudere i porti” ma ha risposto invece spiegando che «qui siamo in ambito di diritto marittimo internazionale».
«Cosa accadrà da domani ad un’altra nave nelle stesse condizioni?» chiede di nuovo il giornalista.
Toninelli non risponde ma chiede la “solidarietà internazionale” per affrontare la situazione chiedendo agli altri paesi europei “di aprire i porti” e della necessità di modificare le leggi marittime internazionali in modo che siano i paesi bandiera delle imbarcazioni delle Ong a farsi carico dello sbarco dei migranti.
Appena due minuti prima il ministro aveva ricordato che molti dei migranti a bordo della Aquarius erano stati tratti in salvo dalle navi della nostra Guardia Costiera, battenti bandiera italiana, e poi trasferiti sulla Aquarius.
Toninelli, dimostrando la più totale e completa ignoranza della situazione, si è lamentato che «gli unici a ricevere sempre le chiamate di soccorso oggi è la guardia costiera italiana» spiegando che non deve più essere solo così.
Il problema però è che quelle chiamate vengono ricevute “solo dalla GC italiana” perchè provengono dalla zona SAR di competenza dell’Italia.
Non c’entrano quindi le navi battenti bandiera liberiana. Anzi, tecnicamente nella zona SAR italiana una nave cinese sarebbe obbligata a prestare soccorso a naufraghi e migranti sotto il coordinamento del MRCC di Roma (che guardacaso dipende dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti).
Nessuno però può sostenere — in base al diritto marittimo internazionale — che quella nave mercantile cinese è obbligata a portare le persone tratte in salvo in Cina. Evidentemente la “regola” di Toninelli vale solo per le Ong.
Se il problema sono i migranti arrivati in Italia grazie alle Ong invitiamo il ministro a leggere l’ultimo report della Guardia Costiera sulle attività SAR nel Mediterrano Centrale.
Su un totale di 611.411 persone salvate in mare tra il 2014 e il 2017 (quattro anni) solo un sesto è stato soccorso dalle Ong (114910 persone).
Il grosso dei migranti — quasi 310 mila migranti — è arrivato in Italia dopo essere stato soccorso da personale della Guardia Costiera, della Marina Militare e della Guardia di Finanza.
A queste imbarcazioni non è certo possibile applicare la “regola Toninelli”. A complicare le cose c’è il fatto che le persone a bordo dell’Aquarius verranno ora trasferite a Valencia a bordo di assetti della Marina Militare italiana (ma secondo Toninelli a questo punto dovrebbero andare in Italia)
Oggi Danilo Toninelli “spiega” che non ha mai chiuso i porti
Ieri sera quindi Toninelli ad una precisa domanda di un giornalista non ha ritenuto di dover precisare che il governo non ha mai chiuso i porti. Del resto che i porti italiani fossero chiusi per la Aquarius era evidente visto che non le è stato consentito di sbarcare i migranti in Italia.
Chiudere i porti non significa metterci un cancello o un tornello, significa non autorizzarne l’accesso.
Ed è davanti agli occhi di tutti che l’Italia abbia negato alla nave della Ong di approdare in un porto italiano tenendola ferma al largo di Malta. Il ministro delle Infrastrutture lo ha detto ieri su La 7 quando ha parlato di aver dato l’ordine alla Aquarius di fermarsi.
Una nota del Ministero delle Infrastrutture diffusa domenica sera spiegava poi che «Finchè non avremo riscontro formale a queste nostre legittime richieste e al fine di garantire un più celere e sicuro approdo nel porto attualmente più vicino, non potremo autorizzare l’ingresso in acque italiane di Aquarius».
Nelle stesse ore il ministro dell’Interno Salvini bombardava Twitter con l’hashtag #chiudiamoiporti che non ha certo bisogno di ulteriori spiegazioni.
Poco importa che i porti siano rimasti aperti. L’unica nave delle Ong che doveva sbarcare i migranti in Italia non ha potuto farlo perchè “trattenuta” al largo da un ordine del ministro Toninelli. Di fatto per la Aquarius i porti italiani erano chiusi.
Oggi Toninelli è intervenuto a Circo Massimo su Radio Capital per precisare che «non è mai stata all’ordine del giorno la chiusura dei porti italiani».
Una dichiarazione estremamente curiosa visto che sono due giorni che il suo collega di governo Salvini va dicendo che i porti vanno chiusi.
Ieri Salvini ha dichiarato che all’ordine del giorno della discussione a palazzo Chigi c’era il proprio l’eventualità di chiudere i porti alle Ong.
Il ministro dell’Interno ha fatto chiaramente capire che per le Ong il punto fermo era che i porti sarebbero rimasti chiusi.
Ed è altrettanto strano che Toninelli non abbia sentito ieri la necessità di ribadire su La 7 che nessuno aveva chiuso i porti italiani. Oggi Toninelli a Radio Capital dopo aver negato quanto dichiarato da Salvini ha detto che c’è «una condivisione totale all’interno del governo sulle soluzioni al problema dei migranti». Non sembra. Come non sembra che la traversata fino a Valencia sia poi così priva di rischi visto che sarà necessario trasferire i migranti su navi della Marina Militare
Il senso di Toninelli per la legalità
Toninelli ha anche aggiunto, in perfetto stile orwelliano, che «il business dell’immigrazione non è più un business» e non si sa in base a quale ragione.
Il M5S ha sempre accusato le Ong di essere taxi del mare che operano in combutta con gli scafisti. Questa accusa non è mai stata provata ma grazie al governo del cambiamento, senza alcun atto formale — visto che i porti non sono chiusi — ora la pacchia è finita (cit.). L’aspetto più interessante della narrazione di Toninelli è che ora a fare da taxi ci sono le unità della Guardia Costiera.
Quelle che hanno salvato le persone a bordo della Aquarius e quella con mille persone a bordo che sta per sbarcare in Sicilia.
Toninelli è trionfante: ora «l’immigrazione verrà gestita nella legalità ».
Ma bisogna fare attenzione, perchè per il ministro la legalità non è quella dei trattati internazionali della Convenzione di Amburgo del 1979 e la Convenzione Solas che prevedono che lo sbarco avvenga nel paese che ha coordinato i soccorsi.
La legalità è quella delle leggi che ancora non esistono, delle modifiche ai trattati e al diritto internazionale che ancora non sono nemmeno state presentate.
In parole povere la legalità di cui parla Toninelli c’è solo nella sua testa.
Perchè nel mondo reale, governato da leggi reali, le cose vanno diversamente. Ma Toninelli è uno che ritiene che trasbordare delle persone da un’imbarcazione all’altra sia sinonimo di sbarco.
La dimostrazione è quanto scritto ieri da Luigi Di Maio che ha ammesso di aver usato i migranti dell’Aquarius come ostaggi: «Ora, qual è il punto: che il nostro governo ha deciso, visto che non c’era nessuna emergenza, di non far sbarcare la nave e di fare appello agli altri».
In realtà è il contrario: non c’erano motivi per non far sbarcare i migranti visto che secondo il Codice della navigazione stabilisce (all’art. 83) stabilisce che il Ministero dei Trasporti possa vietare «per motivi di ordine pubblico, il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale».
Quindi la domanda a Toninelli rimane la stessa.
Dal punto di vista della legge e del diritto internazionale per quale motivo visto che i porti non sono stati chiusi la nave non ha potuto sbarcare i migranti in Italia?
(da NextQuotidiano”)
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Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
“NELLA STORIA POLITICA ITALIANA NON SI E’ MAI VISTO UN LEADER UTILIZZARE I MEDIA PER SOSTENERE LE RAGIONI DI UNO STATO ESTERO ANCHE QUANDO QUESTE DANNEGGIANO L’ITALIA”
Con l’arrivo al governo di Matteo Salvini torna di stretta attualità il livello di influenza dello zar Putin sullo scenario globale.
Il Capo del governo italiano, esecutore di un contratto politico dove il pallino è ormai nelle mani di Salvini, ha chiesto di togliere le sanzioni alla Russia, mettendo così al centro del dibattito pubblico uno dei cavalli di battaglia del Ministro dell’Interno
Da anni infatti la propaganda leghista si è allineata con la politica estera del Cremlino chiedendo in tutte le salse la rimozione delle sanzioni economiche alla Russia.
Lo stretto legame tra le strategie leghista e la propaganda russa non è passato inosservato tra gli attori globali, tanto che il finanziere George Soros ha dichiarato che “l’opinione pubblica italiana ha diritto di sapere se Salvini è a busta paga di Putin”. Nel botta e risposta Matteo Salvini ha dichiarato di non aver mai preso un rublo dal Cremlino ma allo stesso tempo ha ribadito la sua vicinanza a Putin definito come uno dei migliori uomini di stato.
Il timing con cui il governo italiano ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire a favore della Russia riapre dunque il dibattito sulla capacità di Putin di interferire sull’opinione pubblica occidentale.
Non è più un mistero che la Russia abbia costruito nel tempo dei veri e propri team di esperti di propaganda sul web per inquinare le campagne elettorali dei paesi occidentali e favorire i candidati non ostili a Putin.
Dalla guerra in Ucraina alle elezioni di Trump, passando per le campagne elettorali francesi e inglesi, sono molte le indagini sulle interferenze attuate dalla propaganda via web Russia.
Un progetto nato in collaborazione tra università e stampa per spezzare il legame tra bufale online russe e informazione, stop-fake news, ha posto l’accento sulla strategia comunicativa di Matteo Salvini rispetto alle sanzioni alla Russia.
Il blog ripercorre tutta una serie di dichiarazioni pro-Russia del Leader leghista mettendo in evidenza come “non si è mai visto nella storia politica italiana (e forse mondiale perchè neanche Trump è arrivato a tanto) un leader di un partito italiano utilizzare il suo tempo mediatico per sostenere le ragioni di uno stato estero (la Russia) anche quando queste tesi palesemente danneggiano l’Italia e gli italiani”.
I vari video in cui Salvini esprime la sua contrarietà alle sanzioni russe sono corredati da dati e fonti in cui si evidenzia come l’impatto reale di queste sia molto diverso da come racconta il leader leghista.
Fa ancora più impressione notare come dopo le aperture del governo italiano sulla Russia siano iniziati a circolare in rete degli articoli, pubblicati da testate sovraniste come “Il Populista” e “Il Primato italiano”, che sostengono con forza la retorica di Salvini contro le sanzioni.
Questi due quotidiani, che su Facebook riescono ad avere un livello di coinvolgimento molto alto (“Il Primato Nazionale” ha una media per post di 444 commenti e 108 condivisioni), hanno una linea editoriale che sposa in pieno le politiche anti-atlantiche del Cremlino.
Sul “Populista”, agenzia condiretta da Matteo Salvini, il 19 marzo veniva pubblicato un articolo dal titolo “W Putin” in cui si chiedeva ai lettori di festeggiare il trionfo elettorale (76%) del “grandissimo presidente Vladimir Putin, autentico faro per noi sovranisti”.
Anche siti come Riscatto nazionale, Madre Russia e L’Antidiplomatico hanno iniziato, dal giorno dopo l’annuncio del governo, una campagna di articoli e post molto virali contro le sanzioni alla Russia.
L’insieme di queste testate forma una comunità di blog e gruppi facebook che divulga una propaganda sovranista progettata come una vera e propria macchina del consenso digitale.
Gli articoli e i post pubblicati fanno ampio ricorso a slogan – “Prima gli italiani”, “Stop euro”, “Eurocrati” — scollegati da dati oggettivi ma basati su una “verità ” creata a uso e consumo del progetto politico anti-europeista e filorusso a cui si ispirano leader come Putin e Salvini.
(da Globalist)
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Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
QUELLA SINISTRA CHE SI E’ IMPUNTATA SU SAVONA MA HA TROVATO NORMALE SALVINI ALL’INTERNO E NON HA MOSSO UN DITO PER IMPEDIRLO
Era da stolti credere che Salvini ministro dell’interno non avrebbe usato i respingimenti come strumento di propaganda.
Eppure peggio di Salvini che fa esattamente il Salvini ci sono le lacrime di coccodrillo che in queste ore gocciolano nelle dichiarazioni, nei comunicati stampa e nei tweet. Piangono coloro che urlavano allo scandalo per il ministero dato a Savona e sono stati capaci di soprassedere in scioltezza su Salvini ministro dell’interno.
Piangono coloro che per settimane ci stanno dicendo che il Movimento 5 Stelle non è stato usato da Salvini regalando i propri voti alle mire nazionalista di un guappo riuscito a prendersi il potere (a proposito: la chiusura dei porti esattamente a che punto è del contratto di governo, gentilmente?).
Piangono quello che hanno scritto per settimane che la maggioranza degli italiani li ha votati dimenticandosi che Salvini perte da un 17% che tutto è tranne che una maggioranza, se la matematica non è un’opinione.
Piangono quelli a cui è bastato vedere quanto è distinto e educato questo professor Conte che cita Dostoevskij per sentirsi tranquillizzati da un’immagine preconfezionata secondo le peggiori e più banali logiche del marketing pubblicitario di bassa lega.
Ma soprattutto piangono quelle componenti del PD che per anni ci hanno spiegato che il pugno di ferro di Minniti era buona cosa e giusta.
Incredibile, lo so, ma ora piangono anche loro e gridano allo scandalo. Loro.
«La politica del precedente ministro dell’Interno era un atto di guerra contro i migranti che ha prodotto dei morti. E Salvini vuole portarla avanti. Ora che ho più di settant’anni non avrei mai pensato di vedere ancora dei ministri razzisti o sbirri nel mio Paese»: l’ha detto oggi ospite della trasmissione “Mezz’ora in più” Gino Strada, fondatore di Emergency. E ha completamente ragione.
Ascoltare oggi i minnitiani che danno lezione di umanità a Salvini e al Paese è una’ipocrisia che non si può sopportare: i morti di Minniti (quelli figli dei sanguinosi accordi con la Libia) non li abbiamo potuti vedere perchè sono stramazzati dopo e angherie, le violenze, le privazioni e gli stupri nei lager libici.
«Il progetto di Minniti — ha spiegato Gino Strada — era quello di pagare gli assassini per dire: ‘Uccideteli pure, ma a casa vostra. Non li vogliamo qua’. Su questo c’è unità di intenti e continuità di azione nei propositi di Salvini».
Del resto anche Minniti pensò di chiudere i porti ma allora si oppose il ministro Delrio.
Le lacrime di oggi davvero non si possono sentire.
(da “FanPage”)
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Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
L’ANALISI DELL’ISTITUTO CATTANEO SOTTOLINEA IL CROLLO DEL M5S AL SUD: DAL 48,1% DELLE POLITICHE AL 15,1%
L’accordo di governo tra Lega e MoVimento 5 Stelle ha contribuito a spostare voti dai grillini al Carroccio in questa tornata di elezioni amministrative in cui il M5S registra una pesante sconfitta (che per Di Maio è invece una luminosa vittoria).
E se la scelta degli elettori grillini è andata verso l’astensione a Roma, dove la disastrosa esperienza amministrativa della Giunta Raggi e le candidature sbagliate hanno portato alla disaffezione nei municipi, in altre occasioni a giovarne è stato l’alleato di governo.
L’Istituto Cattaneo, che ha analizzato i flussi elettorali delle elezioni amministrative 2018, spiega che a Vicenza il 21% degli elettori della Lega alle politiche ha votato centrosinistra a queste amministrative, e circa il 16% si è astenuto.
Circa il 94% degli elettori che alle politiche avevano scelto Pd hanno invece confermato il loro sostegno ai dem scegliendo il candidato Otello Dalla Rosa, cosa che però ha fatto solo il 9,6% di chi aveva votato il Movimento 5 stelle alle politiche, contro un 30% che ha invece preferito votare la Lega.
A conti fatti, quindi, determinanti per la vittoria di Rucco al primo turno sono stati i voti degli elettori del Movimento 5 stelle, che alle politiche del 4 marzo erano circa il 14,7% del totale dei votanti e che ora sono perlopiù finiti nel buco nero dell’astensione (8,4% del totale dei votanti), ma almeno in parte si sono distribuiti tra Lega (4,8% del totale dei votanti) e PD (1,5% del totale dei votanti).
L’Istituto, prendendo in esame il voto nei soli comuni capoluogo, mostra come la coalizione formata da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia (più altri alleati minori) che in quelle stesse realtà aveva ottenuto il 22,7% dei voti cinque anni fa e che il 4 marzo si era fermata al 33%, ieri ha raccolto il 38% dei consensi, crescendo di circa 5 punti rispetto al dato del 4 marzo e di oltre 15 punti in relazione alla tornata precedente.
Il centrosinistra ha mostrato, invece, un trend in discesa rispetto alle comunali del 2013 (dal 41,7% del 2013 al 34,6% del giugno 2018: -7,1 punti percentuali), ma in significativa risalita se confrontato con il risultato negativo delle politiche (25% dei voti alle politiche del 2018).
Il Movimento 5 stelle ha invece confermato tutte le sue difficoltà nelle consultazioni di tipo amministrativo.
Nei comuni capoluogo che sono andati al voto ieri ha raccolto, in media, poco più del 12% dei consensi, e cioè appena 0,6 punti percentuali in più rispetto al dato delle comunali del 2013.
“Ma il confronto più significativo, e allarmante per il partito di Di Maio — scrive l’Istituto — è quello con le elezioni politiche del marzo scorso, quando il M5s aveva raccolto il 32,7% dei voti: in questo caso, le liste dei Cinquestelle hanno disperso quasi 21 punti percentuali, che se sono andati verso l’astensione o verso altri partiti. Questi dati segnalano l’enorme volatilità dell’elettorato grillino, disposto a modificare le proprie preferenze di voto tra diversi livelli di competizione e, soprattutto, anche a una distanza temporale piuttosto ravvicinata”.
La perdita di consensi rispetto alle politiche è ancora più forte nelle città del sud dove i voti per il Movimento 5 Stelle sono passati dal 48,1% al 15,1%, con un calo di 33 punti percentuali.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
8 VICEMINISTRI E 35 SOTTOSEGRETARI NELLA PIU’ CLASSICA SPARTIZIONE PARTITOCRATICA
La squadra di Governo è quasi completata, mancano solo dettagli, poi sarà il Cdm, convocato per le 20.30 a ratificare le nomine.
Bilancino alla mano, per gestire al meglio gli equilibri, i vice ministri saranno 8 – di cui 5 a M5S e 3 alla Lega – e i sottosegretari saranno 35 – di cui 20 pentastellati e 15 leghisti.
L’accordo è stato raggiunto nel corso di un lungo vertice a Palazzo Chigi, alla presenza del premier Giuseppe Conte e i due vicepremier Luigi di Maio e Matteo Salvini: sono stati sciolti gli ultimi nodi in particolare quelli riguardanti le deleghe di peso. Ovvero telecomunicazioni, editoria e servizi segreti.
Alla fine tutte e tre resterebbero in capo ai 5Stelle. Tlc a Luigi Di Maio, che dice: “La crisi della Tim ci fa capire perchè è importante che Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico lavorino all’unisono. Così come è importante la delega alle telecomunicazioni, che ho deciso di tenere”. È possibile però che venga ceduta a un sottosegretario in quota M5S, e si fa il nome di Stefano Buffagni.
Sull’editoria fino all’ultimo la Lega ha provato a strapparla ai grillini che però hanno tenuto il punto.
Tra i nomi che circolano ci sono quelli di Emilio Carelli e Primo Di Nicola. Infine la delega ai Servizi segreti sarà mantenuta dal premier.
La Lega invece ha ottenuto il Cipe che verrà assegnato come ‘contrappeso’ al numero due della Lega Giancarlo Giorgetti, che prenderà in carico anche lo Sport.
Tra i vice ministri ci sarà spazio all’Economia per l’M5s Laura Castelli e il leghista Massimo Garavaglia. Mentre come sottosegretario potrebbe arrivare il grillino Alessio Villarosa esperto di banche. Al Viminale Matteo Salvini vuole il parlamentare Nicola Molteni. Per gli Esteri si è fatto nei giorni scorsi il nome di Emanuela Del Re. Infine, tra i nomi avanzati dai leghisti vi sarebbe quello dell’ideologo della ‘flat tax’ Armando Siri come sottosegretario al Mise.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 12th, 2018 Riccardo Fucile
SECONDA EDIZIONE DEL FESTIVAL, BALOTELLI FA DA TESTIMONIAL… IL SINDACO LEGHISTA ORDINA IL COPRIFUOCO: CHIUSE SCUOLE, UFFICI E CIMITERO, STOP AL TRAFFICO
La prima edizione era stata organizzata soprattutto dai centri sociali napoletani per sfidare in casa sua il leader della Lega Matteo Salvini.
Adesso si replica: a Pontida, nella città simbolo del Carroccio, torna il festival “dell’orgoglio migrante e antirazzista”, o dell’orgoglio terrone, come lo avevano definito già un anno fa le tante persone arrivate per una giornata di musica e slogan a poche decine di metri dal “sacro pratone” delle cellebrazioni leghiste.
Con un testimonial che, proprio in questi giorni, è stato al centro di una polemica con il ministro dell’Interno: il giocatore Mario Balotelli, che autografa le magliette che verranno donate come premio per il torneo di calcio del festival.
L’appuntamento è per sabato 16 giugno (la prima data scelta era a maggio, ma la pioggia aveva fatto slittare il festival).
Il sindaco leghista di Pontida ha deciso ancora una volta di chiudere, blindare la città per l’intera giornata
L’ordinanza “contingibile e urgente” appena firmata dal sindaco Luigi Carozzi ha toni allarmanti, nonostante l’anno scorso non si siano verificati incidenti.
Ordina – dalle 8 alle 24 di sabato – la “chiusura al traffico del centro storico, nonchè la chiusura del cimitero comunale, di tutte le scuole di ogni ordine e grado (che quel giorno sono però già chiuse, ndr), degli uffici comunali, degli uffici postali” e dispone “su tutto il territorio il divieto di somministrazione al pubblico di bevande alcoliche e superalcoliche, nonchè di altre bevande contenute in bottiglie di vetro e/o in lattine”.
Il motivo? “L’annunciato svolgimento di una pubblica manifestazione con la presenza di una elevata e imprecisata moltitudine di partecipanti, senza che siano state rilasciate autorizzazioni”, una situazione che “costituisce motivo di grave pregiudizio non solo per l’incolumità pubblica e per la sicurezza urbana, ma anche per la salute dei residenti”.
E quindi: blocco del traffico in tutte le vie centrali, uffici comunali chiusi (e dipendenti in ferie forzate per un giorno, tranne che per i vigili) e niente alcol.
Sui social e sui siti delle associazioni antirazziste si fa l’appello per il raduno di sabato, che precede di poco quello storico e ufficiale della Lega: Matteo Salvini, nel nuovo ruolo di ministro dell’Interno, sarà sul pratone di Pontida il primo luglio.
Ma sabato la rete antirazzista occuperà non solo simbolicamente la città del Carroccio, ricordando quello che sta accadendo nel Mediterraneo, la politica dei porti chiusi di Salvini e del governo giallo verde.
“Spetta a noi, tutte e tutti insieme – scrivono sulla pagina Facebook del festival -, tracciare nuove vie per sradicare immaginari di odio e razzismo, iniziando proprio dal luogo simbolo di Pontida come inizio per l’abbattimento dei feticci leghisti: abbatterli con la forza dell’orgoglio migrante, l’orgoglio che nasce dal desiderio di libertà di chi non conosce confini, dalla volontà di costruire il proprio futuro senza negare quello dell’altro, dalla dignità di ribellarsi ad ogni sopruso”.
La rete Bergamo migrante antirazzista annuncia anche un premio speciale: ad autografare le magliette che verranno regalate ai vincitori del torneo di calcio di sabato è il giocatore Mario Balotelli, ritratto in uno scatto postato sulla pagina Facebook dell’associazione con la maglietta del festival.
(da agenzie)
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