Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
IL REALISMO POLITICO DEGLI IMBONITORI CHE HANNO ILLUSO GLI ITALIANI
Il realismo irrompe nella narrazione gialloverde. Luigi Di Maio, di fronte alla platea di Confcommercio, si impegna solennemente a sterilizzare l’Iva, evitando che scattino le clausole di salvaguardia.
È una mossa ad alto impatto politico. E non solo perchè certifica che il cuore pulsante del nuovo governo non batte a palazzo Chigi.
In due giorni di dibattito in Aula sulla fiducia, il professor Conte, nel suo sfoggio di vaghezza programmatica, non ha mai neppure nominato il dossier (l’Iva appunto). Come non ha nominato, tenendoli nell’indefinitezza delle intenzioni, i punti programmatici a maggior impatto di spesa, come la flat tax e il reddito di cittadinanza.
Ecco, l’impegno Di Maio, questo il punto, prefigura già un rinvio dei principali cavalli di battaglia delle due forze di governo: il reddito di cittadinanza, la flat tax, quota cento per le pensioni. Almeno per il primo anno di governo, di qui alle Europee. Perchè, semplicemente, troppo costosi.
Un po’ di numeri, per capire: solo la sterilizzazione dell’Iva costa 12,4 miliardi a cui aggiungere i 19 per il prossimo anno; poi ci sono le cosiddette indifferibili più i dieci miliardi richiesti nelle ultime raccomandazioni dell’Ue, sui cui si misurerà l’abilità negoziale del nuovo governo.
Numeri che configurano già una manovra economica di 20-25 miliardi.
E non è un caso che il ministro del Tesoro, consapevole della delicatezza della fase, ancora non ha pronunciato una sola parola, anzi ha smentito — come riporta la Stampa — i contenuti di un articolo in cui aveva minimizzato l’impatto degli investimenti in defùicit sul debito stesso.
Segno di una grande prudenza, perchè i margini di manovra si stanno assottigliando. Detta in modo brutale: in Europa puoi sbattere i pugni sul tavolo quanto vuoi, ma poi, ammesso che convinci i partner, devi convincere i mercati sul deficit.
Operazione più complicata ora che, per la prima volta, Francoforte parla della fine del piano Draghi a fine anno.
È quel piano che ha contribuito a tenere bassi i tassi di interesse e all’Italia ha consentito di risparmiare 70 miliardi negli ultimi tre anni. Sarà complicato per il nostro paese aumentare il deficit senza lo scudo protettivo su cui ha contato finora in un quadro di rialzo dei tassi di interessi.
In questo contesto si comincia a capire la cornice entro cui si muoveranno Di Maio e Salvini.
Che consiste nel rinvio “di fatto” delle riforme più costose senza dirlo, anzi coprendolo nell’effervescenza verbale e in una raffica di provvedimenti a costo zero, durante una campagna elettorale per le europee lunga un anno: vitalizi, giustizia, daspo, legittima difesa, pensioni d’oro.
Prima della finanziaria del 2019 il reddito di cittadinanza difficilmente vedrà la luce ma il rinvio sarà presentato come un work in progress, come Di Maio ha già iniziato a fare sostenendo che prima vanno riformati i centri dell’impiego.
L’idea è di potenziare, in modo non ben precisato, con due miliardi l’anno quei 556 centri che, ad oggi, costano 600 milioni, impiegano 8mila persone e danno lavoro a meno del tre per cento delle persone che vi si rivolgono.
Praticamente servono solo a creare dipendenti dei centri medesimi.
E non è sfuggito che il professor Conte — chissà se è stato un lapsus o una consapevolezza — nel suo discorso alla Camera ha parlato non di reddito di cittadinanza ma, più semplicemente, di reddito di inclusione.
Misura di contrasto alla povertà che c’è già c’è e costa tre miliardi.
Si può potenziare, presentandola con l’abilità delle parole come una tappa di avvicinamento al reddito di cittadinanza, un po’ come accaduto, maldestramente, qualche giorno fa quando la Lega ha annunciato una flat tax per le imprese che già c’è. Si chiama Ires — prima si chiamava Irpeg — e i precedenti governi l’hanno portata dal 27,5 al 24 per cento.
Puoi limare qualcosa, tanto per dare qualche segnale fiscale, ma è chiaro che, così come sbandierata, la riforma è infattibile, dismesse le tentazioni di un “piano B” di sforamento e uscita dall’euro. E infatti Bagnai ha parlato di un rinvio, per la parte sulle famiglie.
Anche in questo caso, dopo le Europee.
Perchè il disegno è chiaro: un anno di campagna elettorale, a colpi di riforme bandiera e a costo pressochè zero, rinvii di fatto sapientemente presentati come inizi di un percorso di “cambiamento”, per finire di “svuotare” cioè che resta delle due opposizioni.
E a quel punto, con la forza dei nuovi numeri e del vento che soffia in tutta Europa, imprimere la sterzata “sovranista”.
In questo quadro europeo la flessibilità che si può ottenere consente di evitare l’aumento dell’Iva e poco più.
Misura che, altrimenti, porterebbe sotto palazzo Chigi i forconi di artigiani, commercianti e imprenditori.
Di fatto, Di Maio (e Salvini che sull’Iva è d’accordo) davanti alla Confcommercio ha scritto la manovra.
Iniziando ad rinviare il libro dei sogni e le velleità del tutto e subito.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
GLI AFFARI DEI TRE COMMERCIALISTI SCELTI DA SALVINI PER GESTIRE I FONDI DEL PARTITO… TRA FIDUCIARIE SVIZZERE E HOLDING OFFSHORE… MA I CONFINI SI DIFENDONO CON I PASSAGGI DI DENARO IN LUSSEMBURGO?
È questa la sede dell’associazione “Più voci”? La portiera di via Angelo Maj 24, a Bergamo, sgrana gli occhi. «Mai sentita nominare», risponde.
Eppure, secondo i documenti ufficiali ottenuti da L’Espresso, è in questo condominio a sei piani color verde acqua che è stata registrata l’associazione fondata da tre commercialisti fedelissimi di Matteo Salvini.
Un’associazione importante per capire come il leader della Lega ha riorganizzato le finanze del partito dopo gli scandali della gestione Umberto Bossi e del tesoriere Francesco Belsito, le condanne per truffa, i sequestri milionari.
In meno di un anno, dall’ottobre del 2015 all’agosto del 2016, sul conto corrente della “Più Voci” sono arrivati bonifici per un totale di 313.900 euro.
Denaro versato principalmente da Esselunga e dall’immobiliarista romano Luca Parnasi. Soldi che “l’organizzazione culturale” ha girato subito dopo a due società molto vicine alla Lega: Radio Padania e Mc srl, l’impresa che edita il quotidiano online Il Populista.
Possibile che nemmeno la portiera dello stabile abbia mai sentito parlare della “Più Voci”, la porta girevole creata dai cassieri di Salvini per incamerare finanziamenti privati?
Davanti all’insistenza dei cronisti, l’anziana signora ha un sussulto. Estrae da un cassetto un foglio bianco: vi sono riportati i nomi di una ventina di società . La portiera scorre attentamente l’elenco. «Eccola», esclama, «l’associazione “Più Voci” in effetti è qui, in quella porta», e la indica con il dito al piano terra.
La porta è quella dello studio Dea Consulting, di proprietà di due commercialisti bergamaschi poco noti: Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba. Sono stati loro, insieme al collega e tesoriere leghista Giulio Centemero, a creare l’associazione.
Sempre loro a depositare all’ufficio brevetti il marchio “Salvini premier”, sfondo blu e scritta bianca in stile Trump.
E ancora loro a spostare il baricentro finanziario del partito da Milano, in via Bellerio, sede storica del Carroccio, alla più modesta via Angelo Maj, nella Bergamo dell’ex ministro Roberto Calderoli, bossiano del cerchio magico fino alla tempesta dell’indagine sulla truffa dei rimborsi elettorali, poi unico della vecchia guardia a sedersi con Salvini al tavolo delle trattative con i Cinquestelle.
Passato e futuro che si incrociano in questa palazzina residenziale di Bergamo bassa. Con al centro i tre giovani contabili scelti da Matteo per gestire la cassa. Tutti nati nel 1979, tutti laureati in economia e commercio all’università di Bergamo, dove si sono conosciuti nei primi anni 2000.
È indagando sugli affari dei tre commercialisti che si scopre una lista infinita di società . Una ragnatela che nasconde parecchie sorprese.
Ci sono ad esempio sette imprese registrate presso lo studio Dea Consulting, di cui è però impossibile conoscere il reale proprietario: a controllarle è una fiduciaria che porta lontano dai confini nazionali cari a Salvini.
Seguendo il flusso di denaro si arriva in Lussemburgo passando per la Svizzera. E ci si imbatte pure nella nipote di Silvio Berlusconi, azionista di minoranza della pattuglia di aziendine che fanno base presso lo studio dei commercialisti leghisti. Ma non è tutto.
Approfondendo gli affari dei cassieri del Carroccio si arriva a un’impresa di Di Rubba e Manzoni che noleggia auto, il cui fatturato si è impennato da quando la Lega è diventata sua cliente.
E c’è pure una grande tipografia della bergamasca, anche questa diventata fornitrice di punta del partito gestione-Salvini, il cui proprietario ha fatto guadagnare oltre un milione di euro a Di Rubba.
Operazione Lussemburgo
Centemero, Di Rubba e Manzoni. Gli amministratori della cassa del partito, traslocata in gran fretta dalla milanese via Bellerio alla bergamasca via Angelo Maj. Tutti e tre con ruoli di peso all’interno della Lega.
Centemero è il tesoriere del partito. Gli altri due ad aprile sono stati nominati rispettivamente direttore amministrativo e revisore contabile dei gruppi parlamentari, Manzoni alla Camera e Di Rubba al Senato. Un ruolo delicato, perchè chi lo ricopre ha a che fare con soldi della collettività .
I gruppi parlamentari sono infatti sovvenzionati dallo Stato. E con la fine del finanziamento pubblico ai partiti, sono rimasti l’unico canale attraverso cui le forze politiche possono incamerare denaro dei contribuenti. Per questo sarebbe auspicabile evitare commistioni tra il ruolo pubblico e quello privato dei professionisti impegnati ad amministrare o a vigilare sui conti dei gruppi parlamentari.
Al vertice del trio di cassieri Salvini ha posto Centemero, militante di lungo corso e tesoriere ufficiale del partito dal 2014.
Compito particolarmente delicato viste le grane finanziarie in cui si è impelagata la Lega dopo la truffa sui 48 milioni di euro di rimborsi elettorali (sentenza di primo grado).
Già assistente a Bruxelles di Salvini, che dice di conoscere da quando aveva 17 anni, il giovane commercialista è l’unico dei tre contabili ad essersi guadagnato un posto in Parlamento alle ultime elezioni.
L’uomo a cui è stato affidato il compito di mettere in sesto le casse leghiste ha in effetti un curriculum di tutto rispetto. Niente a che vedere con Francesco Belsito, che prima di assumere la carica di tesoriere faceva l’autista.
Nato in Brianza e residente a Milano, Giulio vanta un master in Bocconi e uno alla Boston University di Bruxelles, esperienze lavorative in multinazionali come Ibm e Pricewaterhouse Coopers, una passione non comune per le lingue (dice di cavarsela persino con l’armeno, l’arabo e il cinese).
Nel curriculum non lo scrive, ma a facilitare la sua scalata nel mondo della politica potrebbe essere stata anche una parentela prestigiosa: sua sorella si chiama infatti Elena, più volte deputata di Forza Italia.
È stato Centemero a spostare gli affari più riservati della Lega da Milano a Bergamo, nello studio commercialistico di via Angelo Maj 24, quello degli ex compagni di università Di Rubba e Manzoni.
Questo civico alle porte del centro storico è diventato oggi il crocevia di decine di società sconosciute ai più. Sette di queste, però, sono più speciali delle altre. La proprietà è infatti impossibile da decifrare.
Un lavoro da professionisti, quali sono in effetti i cassieri di Matteo. Risalendo la catena di controllo delle sette imprese registrate presso lo studio Dea Consulting ci si imbatte infatti in una fiduciaria italiana, a sua volta controllate da una holding lussemburghese dietro la quale si trova un’altra fiduciaria.
Un’architettura perfetta per celare l’identità dei proprietari e ottimizzare il carico fiscale. Tutto legale, meglio dirlo subito.
Ma andiamo con ordine. Tutte le azioni delle sette società italiane – che in comune hanno il fatto di essere state fondate tra il 2014 e il 2016, dopo la presa del potere di Salvini e la nomina di Centemero a tesoriere del partito – sono detenute dalla Seven Fiduciaria di Bergamo, a sua volta controllata da un’altra impresa bergamasca, la Sevenbit. Il presidente del consiglio d’amministrazione di quest’ultima si chiama Angelo Lazzari, che si presenta sul web come ingegnere ed ex promotore finanziario, prima in Mediolanum e poi in Unicredit, oggi manager con base in Lussemburgo.
Fondata nel 2015, la Sevenbit conta una trentina di azionisti – tra questi anche la nipote di Berlusconi, Alessia, attraverso la Blue Srl – ma la maggioranza delle quote, il 90 per cento, è in mano alla Ivad Sarl, sede in Rue Antoine Jans 10, Lussemburgo, fondata nel 2008 dallo stesso Lazzari. Impossibile conoscere l’origine dei capitali attraverso cui l’azienda è cresciuta a dismisura.
Di sicuro, dal dicembre del 2015 la holding lussemburghese ha un nuovo proprietario ufficiale, e anche questa volta è italiano. Si chiama Prima Fiduciaria ed è specializzata nella creazione di trust, cioè fondazioni anonime.
Tra gli azionisti della Prima Fiduciaria troviamo un’altra lussemburghese, la Arc advisory company. Che ci riporta dritti al punto di partenza, visto che è stata fondata nel 2006 proprio da Lazzari.
Anche in questo caso, però, è impossibile tracciare l’origine dei capitali: il socio di controllo della Arc advisory company è infatti la Ligustrum, una società immobiliare svizzera, con base a Lugano, le cui azioni sono intestate al portatore.
Perchè tutta questa riservatezza dietro a sette piccole imprese della bergamasca? Ci sono legami tra queste società e la Lega?
Alle domande de L’Espresso, sia Centemero che i colleghi Di Rubba e Manzoni hanno risposto allo stesso modo. Non hanno fornito informazioni sui beneficiari ultimi della Seven Fiduciaria, ma hanno assicurato che le sette aziende in questione non hanno legami nè diretti nè indiretti con la Lega.
Tuttavia un fatto è indiscutibile: in una di queste l’amministratore è il tesoriere del partito, cioè Centemero, e in una seconda lo stesso ruolo è ricoperto dal professionista, Manzoni, scelto per amministrare il gruppo parlamentare alla Camera. Oltretutto quest’ultimo è stato scelto per guidare l’ammiraglia delle finanze del Carroccio, la Fin Group, di proprietà del partito.
Di certo colpisce notare come il nuovo fortino degli affari leghisti porti nel paradiso fiscale europeo per eccellenza, quello in cui hanno trovato rifugio i grandi capitali della finanza speculativa.
Il Granducato per anni governato da Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, volto del cosiddetto establishment e guardiano dei vincoli di bilancio europei che Salvini vorrebbe demolire in nome del sovranismo.
Eppure, se da un lato Matteo promette una lunga guerra di trincea alle istituzioni comunitarie e si dice pronto a scommettere che la flat tax rimetterà in sesto i conti pubblici italiani, dall’altro non sembra preoccupato dagli affari offshore legati ai suoi fedelissimi cassieri.
Affari in cui ricorrono spesso gli stessi nomi. Come quello di Giorgio Balduzzi, presente come procuratore speciale della Seven Fiduciaria all’atto di costituzione di alcune delle imprese registrate presso lo studio di Manzoni e Di Rubba.
Balduzzi si mostra come numero uno della Wic Private Equitiy, una holding che gestisce investimenti. Nello stesso gruppo lavora Laura Balduzzi, che fino a settembre 2013 era la titolare dello studio poi venduto al duo Manzoni-Di Rubba.
Un altro nome ricorrente è quello di Alberto Maria Ciambella. È il notaio, anche lui bergamasco, che ha registrato tutte e sette le società domiciliate al 24 di via Angelo Maj, quelle riconducibili all’anonima holding lussemburghese Ivad.
Ma è anche l’ufficiale che ha firmato tutti i rogiti attraverso cui la Lega ha sparpagliato il suo ricco patrimonio tra le varie sezioni regionali del partito, prontamente dotate di codice fiscale e quindi di autonomia patrimoniale.
Una mossa inedita, realizzata dopo l’arrivo di Salvini al potere e l’avvio dell’inchiesta per truffa che poco dopo avrebbe portato al sequestro dei conti del Carroccio, sui quali finora i magistrati di Genova hanno trovato poco più di 3 milioni di euro rispetto ai 48 milioni che cercavano.
Una coincidenza, forse, quella del notaio Ciambella. O più probabilmente la conferma che Bergamo è diventata il nuovo centro finanziario della Lega di Salvini, il posto più sicuro per ridare fiato agli affari. Quelli dichiarati e quelli più segreti.
Un amico d’oro
La funzione pubblica e quella privata si mischiano spesso anche quando si prova a ricostruire l’ascesa del commercialista Di Rubba, nominato ad aprile scorso direttore amministrativo del gruppo parlamentare della Lega al Senato.
Una fortuna pazzesca, quella del 39enne commercialista di Gazzaniga. Ex dipendente di Ubi Banca, appassionato di montagna e motocross, da quando Salvini è diventato segretario del partito lui ha accumulato incarichi prestigiosi: presidente di Lombardia Film Commission, la fondazione controllata dalla Regione che ha come scopo quello di promuovere sul territorio lombardo le produzioni video; consigliere d’amministrazione di Radio Padania, la storica emittente del Carroccio in cui il segretario federale ha mosso i primi passi; amministratore unico di Pontida Fin, la cassaforte immobiliare del Carroccio, oggi rimasta l’unica azienda del partito con un patrimonio rilevante.
Ripartiamo allora da lui, da Di Rubba e dalla sua fortuna. Non quella politica, però, ma quella finanziaria.
Il gioiellino di famiglia si chiama Dea Spa, società immobiliare in cui Centemero e Manzoni hanno avuto incarichi di vigilanza, che conta oltre 20 proprietà tra case e terreni. Il vero colpaccio, però, Alberto l’ha messo a segno di recente. E ha fatto tutto da solo, senza l’aiuto dei familiari.
Una compravendita azionaria da far impallidire i più smaliziati venture capitalist. Al centro dell’affare c’è la Arti Group Holding, società fondata a Bergamo nel dicembre dell’anno scorso e attualmente inattiva, dicono le visure camerali.
Quando viene costituita, Arti Group Holding ha tre azionisti: Alessandro Bulfon con il 49 per cento, Marzio Carrara con il 45 per cento e Alberto Di Rubba con il 6 per cento. Cinque mesi dopo, il 10 maggio 2018, Di Rubba vende la sua quota a Carrara, che così ottiene il controllo dell’azienda (51 per cento).
Una normale operazione finanziaria, verrebbe da dire. Non fosse per le cifre in ballo. Al momento della fondazione della Arti Group Holding, il 6 per cento in mano a Di Rubba valeva 10 mila euro. Cinque mesi dopo, per acquistarla Carrara ha versato sul conto del commercialista bergamasco la bellezza di 1,1 milioni di euro.
Che cosa è successo nel frattempo per giustificare una maggiorazione di prezzo del genere? Le cronache locali raccontano che poco dopo la costituzione, a gennaio di quest’anno, Arti Group Holding ha acquisito dal fondo tedesco Bavaria due aziende della bergamasca: la Eurogravure e il Nuovo Istituto Italiano d’Arti Grafiche. Un’operazione importante, che non spiega però il motivo di quella straordinaria rivalutazione delle quote in mano a Di Rubba.
Di certo c’è che nel frattempo Carrara ha migliorato il suo rapporto con la Lega. Secondo due fonti interne al partito consultate da L’Espresso, proprio negli ultimi mesi il movimento guidato da Salvini ha scelto di affidare buona parte delle forniture di stampa, volantini e manifesti elettorali, a un’azienda di Costa di Mezzate, sempre in provincia di Bergamo. Si chiama Cpz. E il proprietario è lo stesso Carrara.
Interpellati da L’Espresso sul prezzo della compravendita, il proprietario della Cpz e Di Rubba hanno risposto nello stesso modo: l’operazione — si sono limitati a spiegare – «rientra nel più vasto piano di acquisizioni mobiliari che il gruppo Carrara sta compiendo».
Quanto ha incassato l’imprenditore bergamasco dalla Lega nel 2017?
A questa domanda sia Carrara che il tesoriere leghista Centemero hanno preferito non ribattere, giustificando la scelta con il rispetto della normativa sulla privacy e gli obblighi di riservatezza sui dati economici sensibili.
Carrara ha voluto precisare che «da oltre vent’anni» il suo gruppo stampa per «numerose forze politiche», ma ha sempre mantenuto «una posizione di assoluta neutralità nei confronti della politica».
E alla domanda “come spiega l’aumento delle forniture alla Lega nell’ultimo periodo?”, l’imprenditore ha risposto così: «Qualora vi fosse stato un aumento delle forniture in favore della Lega, ritengo possa essere attribuito alla campagna elettorale conclusasi con il voto dello scorso aprile».
Onorevole stampatore
Di certo l’eventuale aumento delle forniture della Cpz deve avere oscurato il ruolo della storica tipografia usata dal Carroccio negli anni di Bossi.
Si chiama Boniardi Grafiche, ha sede a Milano e fino al 2016 ha registrato fatturati invidiabili per un’impresa di soli 9 dipendenti, oltre 2 milioni di euro all’anno.
§C’era solo un problema: i crediti verso i clienti, lievitati costantemente fino a sfiorare 1,5 milioni di euro. Quanti di questi erano appannaggio della Lega?
Anche su questo punto il tesoriere Centemero ha spiegato di non poter rispondere a causa di «precisi obblighi di legge che mi impongono il rispetto della riservatezza», assicurando al contempo che tutte queste informazioni sono «oggetto nel caso della Lega a numerosi controlli da parte di diversi organi in sede di certificazione di bilancio e in seno alle commissioni a ciò preposte».
Alcune fonti interne al partito raccontano però che per sanare i debiti sia stata escogitata una soluzione a costo zero. Almeno per le casse del partito.
Alle ultime elezioni la Lega ha candidato Fabio Massimo Boniardi, 46 anni, figlio del fondatore della Boniardi Grafiche nonchè azionista dell’impresa. Boniardi — che è pure consigliere comunale a Bollate, assessore a Garbagnate Milanese e vice segretario provinciale del partito – è stato eletto alla Camera e ora, se le elezioni in arrivo non gli scompagineranno i piani, potrà contare su cinque anni di stipendio. Pubblico, ovviamente. Non sarebbe questo l’unico fornitore fortunato della Lega.
Tra le nuove aziende scelte dal Carroccio, raccontano tre fonti interne al partito, da un paio d’anni c’è infatti anche un’azienda bergamasca chiamata Non Solo Auto. Fornisce servizi di noleggio di autovetture, e anche questa ha sede legale nel condominio verde acqua di via Angelo Maj 24.
La società è stata fondata alla fine del 2015 e nel giro di due anni il suo giro d’affari è cresciuto parecchio, arrivando a toccare un fatturato di 268 mila euro nel 2017.
Non male per un’impresa che dichiara di non avere nemmeno un dipendente.
Chi sono i fortunati proprietari della Non Solo Auto? Proprio Di Rubba e Manzoni. I quali respingono qualsiasi ipotesi di conflitto di interessi. Alla nostra richiesta di conoscere il fatturato della Non Solo Auto riferibile alla Lega, i due commercialisti bergamaschi hanno opposto il riserbo «per evidenti motivi di privacy e commerciali», argomentando che «nè il dottor Di Rubba, nè tantomeno il dottor Manzoni hanno ruoli di responsabilità esecutiva, strategica nè funzioni dirigenziali» all’interno della Lega, partito per il quale i due dicono di svolgere «attività tecniche di natura amministrativa».
E in effetti, tecnicamente, le cose stanno proprio così: i due sono presenti in diverse società legate al Carroccio, ma sempre come amministratori, membri del cda o del collegio sindacale. Nessun incarico politico, insomma, nemmeno adesso che i due professionisti lombardi hanno varcato la soglia dei palazzi romani con gli incarichi assunti alla Camera e al Senato.
Se di Di Rubba abbiamo già detto, vale la pena conoscere meglio Manzoni.
Laureato anche lui in Economia e commercio all’università di Bergamo, vanta un dottorato in “strategie di impresa” e decine di pubblicazioni nazionali e internazionali. Oltre a gestire lo studio di via Angelo Maj, da quando Salvini è diventato leader del partito il suo curriculum si è arricchito con una serie di nomine in società pubbliche e private.
È ad esempio nel collegio sindacale di Cogeme e Anita, due multiutility lombarde a controllo pubblico, in quello di Metropolitana Milanese e di Arexpo, ma è soprattutto l’amministratore unico della Fin Group, la storica holding del partito creata, insieme a Pontida Fin, per gestire quello che un tempo era un ricco patrimonio.
Ruoli strategici, occupati in passato da uomini fedelissimi a Umberto Bossi, che oggi sono concentrati nelle mani di questi giovani commercialisti.
Professionisti cresciuti vicino a Pontida, nel cuore pulsante della Padania secessionista, e diventati nel silenzio generale i cassieri della nuova Lega a vocazione sovranista, quella che dice di voler difendere i confini e combattere le ingiustizie europee.
Chissà se tra queste Salvini include anche i vantaggi finanziari offerti dal Lussemburgo.
(da “L’Espresso”)
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Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
INTERESSI IN SOCIETA’, INCARICHI AZIENDALI E PARTECIPAZIONI A FONDAZIONI: SOTTO OSSERVAZIONE BONGIORNO, MOAVERO MILANESI, TRENTA, BONISOLI MA ANCHE DI MAIO E SALVINI
Un governo in cui non mancano i collegamenti con le aziende private, e al centro di una certa rete di contatti con think tank anche internazionali.
Una ricerca condotta per l’Agi da Openpolis rivela l’esistenza di connessioni tra titolari di dicasteri e fondazioni.
«Tre dei 18 ministri hanno attualmente ruoli o incarichi in uno degli oltre 100 think tank politici attivi in Italia», si legge nel rapporto di Openpolis.
Si tratta di Moavero Milanesi, Savona e Tria, rispettivamente ministri degli Esteri, agli Affari europei e dell’Economia.
Tra i think tank presenti nella lista «particolarmente ricorrente e l’Aspen Institute Italia, con due membri del comitato esecutivo che fanno ora parte dell’esecutivo: Enzo Moavero Milanesi e Paolo Savona».
Con due ministri anche la Fondazione Iustus di Giulio Tremonti: ancora Paolo Savona e Giovanni Tria.
Quest’ultimo «è anche membro del comitato economico della Fondazione Craxi e del comitato scientifico della Fondazione Magna Carta di Gaetano Quagliariello».
Quanto a Savona, oltre alle due fondazione già citate, «è anche presidente della Fondazione Ugo La Malfa, nonchè nel consiglio scientifico della Fondazione Icsa».
Inoltre «nove dei 18 ministri, nonchè lo stesso presidente del consiglio Giuseppe Conte, hanno collegamenti con aziende private».
Nella lista «sono stati considerati sia gli incarichi aziendali che le partecipazioni aziendali», e il risultato finale vede Conte avere interessi in due società , Giulia Bongiorno in due, Alberto Bonisoli in tre.
Una per ognuno i ministri Moavero, Di Maio, Fontana, Salvini, Trenta e Tria.
A valutare eventuali situazioni di incompatibilità sarà l’Antitrust.
Entro 30 giorni dall’assunzione della carica, i membri del governo dovranno rendere una dichiarazione relativa alla situazione di incompatibilità .
Inoltre, entro 90 giorni dal giuramento, dovranno comunicare attività patrimoniali e partecipazioni azionarie, anche per coniugi e parenti entro il secondo grado.
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
“DALLA SUA TERRAZZA GUARDA CON DISTACCO IL MONDO COME IL GRANDE GATSBY”
“Chiudere l’Ilva sarebbe un disastro. Se non si chiude, e in tempi brevissimi, con Arcelor Mittal, 20mila persone perderanno il lavoro per sempre e andranno a casa. Le dichiarazioni di Grillo sono la dimostrazione che siamo in mano ad un branco di irresponsabili. Dalla sua terrazza guarda con distacco il mondo, e anche l’Ilva, come il Grande Gatsby”.
Durissimo l’ex ministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda sul progetto Grillo relativo all’Ilva di Taranto.
“Ma quali fondi Ceca – ribatte Calenda – Non esistono. Grillo parla dell’Ilva come si parla al bar della propria squadra di calcio. Peccato che a fare queste dichiarazioni sia il leader carismatico del principale partito di governo. La chiusura dell’Ilva sarebbe il più grande disastro della storia dell’industria italiana. Farne un parco archeologico? Trasformare i dipendenti Ilva in guide turistiche? Queste sono parole del leader di una forza politica del tutto unfit, inadeguata, a governare il nostro Paese”.
Su twitter l’ex ministro al “nessuno lo avrà mai pensato” di chiudere l’Ilva detto da Grillo ha ribattuto: “Nessuno l’avrà pensato ma molti dei tuoi lo hanno detto e scritto. Irrilevante. È ottimo proponimento. Ci sono 1,2 miliardi per interventi ambientali e 1,1 per le bonifiche oltre a rafforzamento controlli su danno sanitario e monitoraggio ambiente. Chiudere presto accordo”.
(da “Huffingtionpost”)
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Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
IL PORTIERE DELLA SPAL CRESCIUTO A CUNEO DIFENDERA’ LA PORTA DEL SENEGAL: “IN VALIGIA PORTERO’ CON ORGOGLIO ANCHE IL TRICOLORE, MI SENTO ITALIANO PER EDUCAZIONE E FORMAZIONE”
Alfred Gomis, portiere della Spal e del Senegal. Lo sa che lei è l’unico italiano che andrà al Mondiale?
«Non ci avevo pensato, ma è così. Porterò in valigia anche il tricolore, con orgoglio: mi sento italiano, per educazione e formazione, non solo sportiva. E sarò sempre grato all’Italia: sono arrivato quando avevo 3 anni, sono cresciuto prima a Cuneo e poi a Torino, l’ho girata per giocare. E quest’anno, anche se un po’ in ritardo, ho giocato la mia prima stagione in serie A, centrando una storica salvezza: meglio di qualsiasi sogno».
Lei ha fatto uno stage con l’Under 20 di Di Biagio. Facile pensare che poi abbia scelto il Senegal per avere più possibilità di giocare. O invece c’è dell’altro?
«Ci sono le mie radici, che non ho dimenticato. La scorsa estate ho fatto un viaggio in Senegal, dove mancavo da 15 anni: è stata la goccia definitiva, perchè ho rivisto i luoghi della mia infanzia. E altri molto speciali».
Le va di raccontare quali?
«Sono stato sull’isola di Gorèe, a largo di Dakar. Lì c’è la “porta del non ritorno”, attraverso la quale venivano fatti passare gli schiavi destinati all’America: chi non era in grado di partire, per motivi di salute, veniva buttato a mare. Ho visto una stanza in cui venivano ammassate 200-300 persone, grande come una camera da letto al giorno d’oggi. Un colpo al cuore dietro l’altro».
Ha rivisto anche i suoi famigliari?
«Mia nonna, che parla un dialetto che non capisco. Ma è stato bello passare del tempo con lei. Mio padre era morto da poco, sono andato a vedere se la sua tomba era sistemata come si deve e a fare due chiacchiere con lui. Lì è scattato qualcosa. Ho scelto il Senegal per ricordare papà : quello che ha fatto per me e per i miei fratelli, tutti portieri anche loro, è stato pazzesco. Non eravamo certo benestanti e lui ha fatto sacrifici e rinunce enormi per realizzare il nostro sogno. E dire che io in porta da bambino ci sono finito controvoglia».
In Senegal il pallone è vissuto come una religione?
«Sono pazzi per il calcio. È una valvola di sfogo fondamentale per tutta la comunità . Quando ci siamo qualificati per la Russia, a 16 anni dall’ultima volta, era impossibile girare per le strade, tutte intasate. Per noi non è un peso, ma una responsabilità verso la gente, quello sì».
Il girone del Senegal, con Colombia, Giappone e Polonia, sembra molto equilibrato. Che ambizioni avete?
«Quella di divertirci, anche perchè solo divertendoci possiamo giocare come sappiamo, con il cuore. E battere avversari che sulla carta sono più forti di noi. Dobbiamo tenere la testa sgombra».
Avere Koulibaly in difesa non è male, non trova?
«Altrochè, è tra i migliori al mondo nel suo ruolo, lo ha detto anche Maradona. È una sicurezza, anche in impostazione. Ma ci sono tanti giocatori con grande esperienza europea come Manè del Liverpool, oltre a Keità e Niang che in Italia sono conosciuti. Siamo competitivi».
Ma lei sarà titolare?
«È ancora un punto interrogativo. Sono l’ultimo arrivato ma nelle amichevoli che ci restano contro Croazia e Corea del Sud spero di confermare quello che ho fatto vedere nelle ultime partite».
Lo sa che Buffon scelse la porta perchè amava un portiere africano a Italia ’90?
«Sì, N’Kono del Camerun. Portieri africani forti ce ne sono stati altri, però ci sono sempre dei pregiudizi: si pensa che siamo molto forti fisicamente, ma non altrettanto dal punto di vista tecnico e mentale. Io sono di scuola italiana e non vedo differenze».
È un pregiudizio col quale lei ha dovuto confrontarsi?
«Sicuramente sì. E il fatto che io sia solo il primo portiere africano a giocare in A – a parte mio fratello Lys che ci ha giocato 40′ col Torino nel 2013 – non è normale».
Che ne pensa della fascia azzurra a Mario Balotelli?
«Per me il capitano è quello la cui parola pesa. Detto questo sono favorevole a dare la fascia a Mario. Che così sarà consapevole di rappresentare non più soltanto se stesso o un club, ma l’Italia intera».
Lei ha detto che in Italia più che razzismo c’è ignoranza, conferma?
«Sì. Quando entro in un luogo mi guardano in un certo modo, poi quando mi sentono parlare molto bene italiano è diverso. Sicuramente l’Italia non è un Paese razzista, ma la situazione politica attuale può portare una persona comune ad aumentare i propri pregiudizi razzisti».
Segni particolari fuori dal campo?
«Non ho l’abbonamento alla pay tv, perchè il calcio mi piace viverlo, non guardarlo. Ascolto musica, guardo serie tv, leggo libri».
Cosa sta leggendo?
«Le mie stelle nere di Lilian Thuram. Lui è un punto di riferimento fondamentale nella lotta all’ignoranza».
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
“TRANQUILLISSIMO, MANDATO SCADE NEL 2020”
Raffaele Cantone risponde con fermezza a chi accusa l’Autorità nazionale anticorruzione di risultati deludenti: “Abbiamo buttato la spazzatura fuori casa”.
Non entra nella polemica politica e non cita il presidente del Consiglio ma il riferimento è chiaro e c’è tutto lo stupore per le parole di Giuseppe Conte, secondo il quale dall’Anac sono arrivati risultati inferiori alle aspettative.
“Possiamo anche essere insoddisfatti – dice Cantone – ma abbiamo fatto grandi passi in avanti come paese, non mettendo la spazzatura sotto il tappeto, ma buttandola fuori di casa”.
Parole dure pronunciate davanti agli studenti della Luiss durante un convegno dal titolo “Legalità e merito” all’indomani delle critiche che il premier ha rivolto all’Autorità Anticorruzione in Aula alla Camera.
Proprio questa mattina Cantone ha visto il neo ministro Danilo Toninelli, per un incontro fissato da qualche giorno.
È qui che il titolare del dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha provato in parte a rimediare: “Con Cantone c’è stata una forte comunione di intenti e abbiamo deciso di instaurare fin da subito una collaborazione proficua e continuativa”.
Ma il nodo della questione tra governo e Anac è il codice degli appalti, che secondo Luigi Di Maio è troppo lento. “Ne prendo atto”, risponde gelido Cantone. Anche per Toninelli va rivisto. I due hanno discusso di questo e “di ciò che va migliorato per far ripartire tante opere pubbliche oggi bloccate. Apriremo un tavolo con Cantone”, annuncia Toninelli.
Più volte il presidente dell’Anac preferisce non rispondere a domande precise sulle parole del premier: “Nessuna dichiarazione su questa vicenda. Assolutamente non ne voglio discutere”.
Ma le stoccate in forma indiretta non sono mancate: “Io mi sento tranquillissimo, non mi sento sotto attacco, continuo a fare il mio lavoro che finirà nel 2020”.
E poi ancora: “Negli ultimi tre anni abbiamo fatto passi in avanti nella lotta alla corruzione”.
A chi sostiene che di corruzione non bisogna parlarne per non dare la percezione di illegalità , Cantone replica dicendo che “non è vero che fa male. L’Italia ha guadagnato dieci punti nelle classifiche Transparency”.
Un sassolino dalla scarpa che Cantone si toglie per poi rivolgersi agli studenti: “Siete una boccata d’aria fresca, mai come in questi momenti assolutamente indispensabile”. Riflessione che la dice lunga sul clima attuale.
A cercare la distensione è poi in prima persona il premier Giuseppe Conte, che raggiunge al telefono Cantone per una conversione che viene definita “cordiale”, in cui i due hanno convenuto sulla “necessità di rafforzare la lotta alla corruzione, individuando specifici percorsi di legalità nell’ambito Pubblica Amministrazione, operando, tuttavia, una semplificazione del quadro normativo vigente, in modo da consentire il riavvio degli investimenti nel settore dei contratti pubblici”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
BASTA FARLA SPARIRE DAI SOCIAL E NON PARLARNE E SI ARRIVA ALLA CONCLUSIONE CHE LA MAFIA NON ESISTE… RENDE DI PIU’ ISTIGARE ALL’ODIO
Ci sono molti modi per dire “la mafia non esiste”. C’è il modo diretto dell’alto prelato palermitano negli anni 60. C’è il modo, più subdolo, che consiste nel considerarla questione di criminalità comune, come voleva la vulgata dei notabili della DC, e non solo, fino agli anni 70.
C’è un terzo modo, molto social, che consiste semplicemente nel farla sparire. Nel non parlarne. Ed è il modo più pericoloso.
Soprattutto quando viene alimentato da chi governa o, addirittura, assume l’incarico di ministro degli Interni.
Capiamoci, spesso della parola “mafia” si è fatto abuso. Ed ugualmente si è fatto abuso, e spesso scudo, della parola “antimafia”, basti leggere le recenti cronache.
Un comizio “antimafia” oramai non fa quasi notizia, una dichiarazione in ciclostile di solidarietà e apprezzamento dopo la “brillante operazione delle forze dell’ordine” ancora meno. Ma non è questo che si chiede, direi si pretende, da chi alloggia momentaneamente al Viminale.
Al ministro, qualsiasi sia il suo cognome, si chiede e si pretende di non cancellare la parola “mafia” dall’agenda della politica e delle sfide di governo.
Un ministro che decide di fare la sua prima uscita in Sicilia e non trova tempo e modo di dire nulla sulla mafia, sulla pervasività che ancora quest’ultima esercita nella vita economica e sociale di questa regione lancia un segnale pessimo e pericoloso.
In quest’isola nel 2017 sono stati 79 — lo dice nel suo rapporto avviso pubblico — gli amministratori locali minacciati. In quest’isola le mani delle cosche sulla gestione dei rifiuti — è scritto nero su bianco nella relazione finale della commissione di inchiesta parlamentare sul ciclo dei rifiuti — sono ancora forti e determinano anomalie ambientali ed economiche devastanti.
Sono o no emergenze per il ministro degli Interni?
E non è un attentato alla sicurezza ben maggiore di qualsiasi sbarco di migranti?
Eppure non una parola, un cenno, un gesto.
La mafia “non esiste” nella continua propaganda del ministro. Scompare. O almeno non è una priorità . La priorità , il messaggio da lanciare, è rivolto ad altri. Oltre lo stretto di Messina.
La Sicilia diventa solo una scenografia creata dalla posizione geografica. I migranti sono l’emergenza, i migranti sono il problema sicurezza. Lo dice lo stesso accordo di programma Lega-M5s dove al tema delle mafie è riservato un capitoletto di tre righe mentre il binomio migranti-sicurezza compare praticamente sempre.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
NEL NOSTRO PAESE LA CANNABIS E’ STATA PROVATA DAL 33,1% DEGLI ITALIANI, LA COCAINA DAL 6,8%
L’Italia è il terzo Paese in Ue per uso di cannabis e i l quarto per uso di cocaina: è quanto emerge dal rapporto dell’Agenzia europea delle droghe.
In generale, nell’ultimo anno il consumo di cocaina è rimasto stabile nel complesso, ma con segni di aumento, quello di cannabis è rimasto agli stessi livelli pur con grandi differenze nazionali, e per l’ecstasy si è vista una stabilizzazione o un leggero aumento.
E sono aumentati i decessi per overdose, soprattutto nel Regno Unito.
La cannabis resta la sostanza illecita più diffusamente consumata in Europa. Nell’ultimo anno ne hanno fatto uso 24 milioni di adulti, e il 20,7% di giovani (15-34 anni) in Italia, percentuale superata solo da quella della Francia (21,5%).
Se si considera il tasso di consumo nell’arco della vita, l’Italia è terza con il 33,1%, dopo Francia (41,4%) e Danimarca (38,4%).
La cocaina è invece stata consumata da 3,5 milioni di europei nel 2017.
L’uso è molto alto nei giovani britannici (4%), danesi (3,9%) e olandesi (3,7%).
In Italia solo l’1,9% dei giovani ne ha fatto uso nell’ultimo anno, ma se si guarda al tasso nell’arco della vita si sale al 6,8%, il quarto dato più elevato dopo Regno Unito (9,7%), Spagna (9,1%) e Irlanda (7,1%).
Per quanto riguarda l’ecstasy, nell’ultimo anno è stata assunta da 2,6 milioni di persone.
In Italia il fenomeno riguarda il 2,8% della popolazione, tasso molto basso se si considerano il 9,2% di Irlanda e Olanda, il 9% del Regno Unito, il 7,1% della Repubblica Ceca, il 4,2% della Francia.
La produzione di ecstasy in Europa è concentrata principalmente nei Paesi Bassi e in Belgio, con 11 laboratori smantellati nell’Unione europea nel 2016 (10 nei Paesi Bassi e uno in Belgio), più del doppio del 2015.
La sostanza prodotta in Europa viene anche esportata in altre parti del mondo: la polizia australiana, ad esempio, ha riferito che il più elevato quantitativo di sequestrato in Australia nel 2016 (1,2 tonnellate) proveniva dall’Europa.
Il numero complessivo di sequestri di MDMA segnalati nell’Unione europea ha continuato a crescere dal 2010.
L’agenzia Ue segnala inoltre un aumento del numero di decessi correlati all’eroina in Europa, in particolare nel Regno Unito. In Inghilterra e Galles, l’eroina o la morfina sono state menzionate in relazione a 1.177 decessi registrati nel 2015, con un aumento del 18% rispetto all’anno precedente e del 44% rispetto al 2013.
I decessi legati all’eroina o alla morfina sono aumentati anche in Scozia: 473 nel 2016, pari a un incremento del 37% rispetto all’anno precedente.
Raddoppiati anche in Francia: l’eroina è stata coinvolta nel 30% dei decessi per overdose nel 2015, rispetto al 15% nel 2012.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2018 Riccardo Fucile
GODERE DELLE SPIAGGE E’ RITENUTO UN BENE COSTITUZIONALMENTE GARANTITO
Il bagnante supera l’ingresso principale d’uno stabilimento privato, non si cura di eventuali stop o richieste di pagamento e raggiunge la battigia, larga non sempre i 5 metri fissati dalla legge.
Poi stende l’asciugamano, si tuffa, prende il sole e se ne torna casa, ripassando da dov’era entrato ovvero la medesima entrata sulla carta privata.
Possibile? Assolutamente sì, specie alla luce delle ultime sentenze in materia – pronunciate in Sardegna, in Campania e nel Lazio – uno strano mix che proietta la burocrazia fra sole e creme abbronzanti a ridosso della stagione estiva.
I vincoli spazzati
I giudici italiani nell’ultimo biennio hanno riscritto le regole d’accesso al mare, liberandolo da molti vincoli del passato.
«Potremmo dire – spiega Gianpiero Cirillo, presidente della sezione del Consiglio di Stato che più deve sentenziare sui contenziosi in materia – che ormai è considerato un bene costituzionalmente garantito, una cosa comune per godere della quale i cittadini non possono essere costretti a fermarsi davanti a barriere invalicabili. E il periodo 2016-2018 ha rappresentato una svolta, i bagnanti hanno molte più facoltà di quanto credano».
In ballo non ci sono i singoli micro-divieti sui comportamenti in spiaggia (dai massaggi proibiti a Cervia, ai palloncini fuorilegge in provincia di Taranto per non farli mangiare dai pesci), ma una facoltà tanto basilare quanto — spesso — ostacolata: raggiungere, appunto, il mare.
Per orientarsi bisogna circoscrivere un po’ di numeri e almeno tre pronunciamenti delle toghe. Primo dettaglio: l’Italia è un paese con quasi settemila chilometri di coste e però le spiagge rappresentano poco più della metà , il 52%.
Soprattutto: quanta di questa superficie è destinata alle spiagge libere?
I dati nazionali non collimano sempre variando le fonti, e le cifre fornite dalle Regioni sono un po’ meno sconcertanti dei report di Wwf e Legambiente.
È comunque difficile superare il 45% di lido destinato a tutti, percentuale che crolla al fondo della graduatoria dove compaiono Emilia Romagna (23%), Lazio (15%) e Liguria (14%). Dalle Cinque Terre al confine con la Francia ci sono 357 chilometri di coste, 135 di spiagge dei quali 19 libere.
E a snocciolare numeri del genere vengono in mente le parole pronunciate recentemente da Stefano Salvetti di Adiconsum: «Già nel 1976 il Consiglio di Stato evidenziò come in Italia fossero state date troppe concessioni. In quarant’anni sono aumentate del 300% e nel 2008 siamo arrivati a svariate leggi regionali che prevedono per ogni Comune il 40% di appezzamenti liberi, o liberi attrezzati, sul totale. Lo strumento legislativo c’è, bisogna dargli le gambe».
La protesta
Eppure i balneari non ci stanno a passare per «occupanti», come spiega Riccardo Borgo che fa parte del direttivo nazionale nel sindacato di categoria: «Da Nord a Sud, su 30 mila concessioni pubbliche i bagni sono circa 13 mila. Ognuno dà lavoro ad almeno due persone della famiglia che lo gestisce e a una media di 4-5 dipendenti. Poi c’è l’indotto, poichè quelle imprese fanno da traino all’intera economia dei luoghi».
Ciononostante le amministrazioni locali hanno ribaltato il proprio approccio.
«In un primo momento – spiega ancora Cirillo del Consiglio di Stato – i sindaci erano prudenti e preferivano un’interpretazione restrittiva. E così il diritto d’accesso era consentito solo se il Comune non aveva riservato alla collettività spiagge a uso libero oppure non fosse possibile alcun ingresso alle aree per tutti. In seguito si è affermata una visione contraria e il riflesso sociale degli aggiornamenti burocratici è più importante di quanto si creda».
L’ultima spinta è arrivata da tre sentenze: la prima emessa in Sardegna, dove i giudici hanno spiegato agli amministratori della Marina di Gairo (Ogliastra) che per liberare le meraviglie sabbiose di “Su Sirboni” bastano strumenti ordinari, senza avventurarsi in logoranti cause; un’altra dal Tar Campania su Castel Volturno (Caserta), dove la giunta potrà obbligare i titolari di concessione a creare un accesso pedonale per chi deve raggiungere la spiaggia libera a ogni ora del giorno o della notte; la terza su Ostia, con il Consiglio di Stato che ha avallato l’operato del municipio da cui era arrivato l’ok all’apertura di varchi con le ruspe.
Va invece meno bene ai cani: i giudici sono diventati più restrittivi e a febbraio il tribunale amministrativo della Liguria, pronunciandosi su Sestri Levante, ha detto che è giusto vietarne l’accesso alla spiaggia.
(da “La Stampa”)
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