Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
O E’ COMPLICE O E’ INCAPACE: IN ENTRAMBI I CASI E’ INADEGUATA AL RUOLO
Da eterna vittima di un sopruso che si perpetua “a sua insaputa”, come nel caso Marra che riceveva i soldi dall’immobiliarista Sergio Scarpellini, perchè l’ex capo del personale “è uno che conta”.
O come sulla storia delle polizze di Romeo o dei rifiuti, in questa spericolata cronaca di mal governo o di non governo di Roma.
Ogni volta parte lesa per definizione, che annuncia querele a nome dei romani, come se il “sistema” non fosse frutto di una mancanza di controllo e di capacità di governo. La catastrofe politica e — perchè no — la bancarotta morale del Movimento a Roma è anche in questa reazione a favor di telecamera del sindaco Raggi francamente ai limiti dell’offensivo, perchè è offensiva la posa da spettatore di un contesto di cui un sindaco porta la responsabilità oggettiva e che si erge a vittima perchè “scomoda” (a chi?) e “donna” (sic!).
Non è questione di giustizialismo, di processi sommari, nè accuse di perdita di verginità .
È una questione di responsabilità politica di fronte al contesto di cui ha la responsabilità del governo o del non governo.
C’è, ai domiciliari, con l’accusa di essere un corrotto sulla vicenda dello stadio di Roma, il suo principale consigliere — certamente imposto dai vertici del Movimento, ma non è una giustificazione – premiato con la nomina di presidente di Acea; il capogruppo è indagato assieme a un assessore municipale e ad altri due esponenti candidati alle politiche.
C’è, nelle carte dell’inchiesta, lo scenario di una corruzione “sistemica”, che ha infiltrato e inglobato chi si è presentato come il riscatto dal malaffare.
Vale, per la Raggi, quel criterio di “responsabilità ” politica che valeva anche per gli altri sindaci, come Gianni Alemanno.
Ovvero delle due l’una: o la Raggi è complice, ove la complicità è anche tolleranza e far finta di non vedere, o è incapace.
Incapace di prevenire, vedere, controllare, selezionare, appunto governare, perchè il primo antidoto alla corruzione è la capacità di governo, per cui occorre solo un buon sindaco e non un pubblico “ispettore” di polizia.
In entrambi i casi appare inesorabilmente bruciato il sindaco che Luigi Di Maio presentò al paese come il suo San Giorgio contro il Drago della corruzione, nella città divorata da Mafia Capitale.
Dove Salvatore Buzzi, il capo delle cooperative condannato a 19 anni di reclusione, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, teneva la politica al libro paga: “Questo – si leggeva nelle intercettazioni – è il momento che paghi di più perchè ci stanno le elezioni comunali. Poi li paghi a percentuale su quello che fanno”. Cinque anni dopo, nella città eternamente avvolgente e uguale a se stessa, il costruttore Luca Parnasi unge gli ingranaggi del nuovo potere alla vecchia maniera, secondo l’ipotesi accusatoria. “Spenderò — si legge in un’intercettazione — qualche soldo sulle elezioni. Ci giochiamo una fetta di futuro. È un investimento e io lo devo fare…”.
Ecco, nella domanda c’è il giudizio: che cosa è cambiato?
E c’è, sempre nella domanda, la gigantesca questione politica che la vicenda pone, ben oltre il fallimento della Raggi, che passerà alla storia come una figura “minore dalla politica italiana”.
E riguarda la fragilità del modello di governo dei Cinque Stelle, di cui Roma rischia di diventare un caso di scuola. L’idea cioè di una separazione tra politica e tecnici: ai politici il compito di fare le campagne elettorali e di prendere il potere, ai tecnici, magari amici, il compito di amministrare e governare.
Come se l’amministrazione o il governo, sia lo stadio di Roma o sia un decreto a livello nazionale, fossero appaltabili a dei Mr Wolf come Luca Lanzalone, l’avvocato che ha lavorato per Beppe Grillo e diventato uomo di fiducia di Casaleggio che, prima di mandarlo a Roma ad aiutare la Raggi, lo aveva spedito a Livorno ad aiutare Nogarin sulla questione dei rifiuti. Un tecnico.
È questo il punto che proietta l’instabilità del caso Roma a livello nazionale: l’idea cioè che la politica possa essere annullata perchè tanto ci pensano gli esperti a fare le cose, si chiamino Marra o Lanzalone, senza prendere atto, neanche davanti a un fallimento, che il sapere e l’expertise tecnica non sono mai neutri o irrilevanti.
Ma il sapere e l’expertise sono politica, perchè non c’è politica intesa come un marchio separata dalla gestione del governo, per cui tutti interscambiabili basta che sono affiancati da “chi sa le cose”. Il rischio sistemico, evidente, è di riprodurre con questa logica a livello nazionale la stessa figura di Roma.
Chi governerà davvero il paese per il Cinque Stelle? Gli acerbi ministri poco avvezzi ai complicati dossier o i Mr Wolf che si metteranno attorno?
E l’anticorpo per questo virus è mettere in discussione questa logica o infiltrare nelle pubbliche amministrazioni e nei ministeri un esercito di agenti provocatori, intesi come controllori della moralità pubblica? Roma è questo, è il default di una Giunta, ma anche di un modello.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
NON E’ ANDATO A PORTA A PORTA E HA EVITATO L’ASSEMBLEA DEI DEPUTATI M5S
È come se il vaso di Pandora si fosse riaperto: malumori, invidie, dubbi, vendette, attacchi ad personam e a tutto campo.
Il mondo grillino esplode in un tutti contro tutti che può danneggiare la leadership di Luigi Di Maio.
Per non parlare della stabilità precaria di Virginia Raggi che va in tv ospite di Porta a Porta, al posto del capo politico che ha disdetto, per dire che il consulente legale del Campidoglio, Luca Lanzalone, ora agli arresti domiciliari per l’inchiesta che ruota attorno alla costruzione dello stadio della Roma, le è stato presentato da “Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, all’epoca erano del gruppo enti locali che supportavano i Comuni”.
Nei fatti erano i due che vigilavano su palazzo Senatorio dopo l’arresto di Raffaele Marra, braccio destro del primo cittadino.
Così Fraccaro e Bonafede, che dovevano vigilare, fedelissimi di Luigi Di Maio, e appena nominati ministri, sono finiti sotto attacco dei più critici del Movimento. E ora politicamente rischiano di finire vittime sacrificali di nuovi ed antichi rancori.
Tra i nuovi rancori ci sono quelli riguardanti la squadra dei ministri e del sottogoverno, che ha giurato appena ieri nel giorno in cui è scoppiata l’inchiesta. Un parlamentare 5Stelle, a microfoni spenti, osserva che adesso la misura rischia di “essere colma” e che il Movimento “è arrivato ad un livello di infiltrazione senza precedenti” a causa dei troppo deboli controlli.
Il riferimento è anche al neo ministro della Giustizia e a quello dei Rapporti con il Parlamento.
Nonchè a Luigi Di Maio che oggi non ha partecipato all’assemblea dei deputati, per evitare che la riunione si trasformasse in un luogo di recriminazioni. Anche se, tra i parlamentari grillini, lo scontento non viene nascosto.
A intervenire per lamentare “la scarsa condivisione” delle informazioni sono stati soprattutto parlamentari di nuovo corso. Eccezion fatta per Luigi Gallo, una delle anime più critiche del Movimento, che ha puntato il dito contro le cariche elettive decise – da statuto – dal capo politico, dunque da Luigi Di Maio, e poi ratificate dall’assemblea.
Tra l’altro, è stato fatto notare, che tra gli indagati ci sono anche Mauro Vaglio e Daniele Piva, candidati alle politiche del 4 marzo scorso nei collegi uninominali e, quindi, scelti direttamente dal leader.
Non sono stati eletti, ma secondo i pm, erano entrati nel giro di corruzione che ruotava intorno allo stadio della Roma. L’ accusa più grave e infamante che i grillini abbiamo mai ricevuto dalla nascita del Movimento.
La grana Stadio lascia esterrefatti tutti e non solo quelli che oggi hanno facile gioco a dire “io l’avevo detto”.
Con un’intervista, senza mezzi termini, parla Roberta Lombardi, che del primo minidirettorio che doveva vigilare sul Campidoglio ha fatto parte: “A portare Lanzalone a Roma è stato il gruppo che si occupava degli enti locali. Sono rimasta esterrefatta — dice – dalla notizia sia dell’arresto che dell’indagine su Ferrara. Mai avrei pensato che degli episodi del genere potessero riguardare il mio Movimento”.
Ce ne è abbastanza per seminare lo sconcerto tra le truppe pentastellate e tra gli scontenti che si sono visti esclusi dalla squadra di governo o che criticano le scelte di Di Maio che “si affida alle persone sbagliate, come quelle che hanno affiancato Raggi in Campidoglio”.
Nel mirino ci sono. Raggi, che sempre a Porta a Porta , dopo aver detto che Lanzalone, divenuto presidente di Acea, le è stato presentato, vuole precisare che lei ha “badanti, ogni giorno mi attribuiscono badanti o tutor, le sembra che io abbia bisogno di un badante? Se sono riuscita a resistere due anni alle ondate di fango…cosa che con nessun altro sindaco di Roma”.
Quello che il sindaco di Roma definisce “sfogatoio d’Italia” però non è solo esterno al Movimento, è anche insito in una fase in cui il partito è torno a ribollire dopo la quieta della campagna elettorale.
L’euforia del governo sembra essersi spenta così, con questa mina che rischia di rendere ancora più complicati i già difficili equilibri in casa M5s.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
FALSIFICATA UNA FOTO PER FAR APPARIRE LA CONDUTTRICE DI TAGADA CON RENZI UNA MANIFESTAZIONE DEL PD
Come Gaia Tortora ma per motivi diversi, Tiziana Panella, conduttrice di Tagadà , è spesso oggetto di strali sul web, in particolare dai sostenitori di una certa parte politica.
Da ieri circola però questa presunta foto in cui la Panella è ritratta insieme a Matteo Renzi dietro una bandiera del Partito Democratico.
E naturalmente si tratta di un falso creato con un programma di modifica delle foto.
A notarlo subito sono stati molti utenti che hanno postato la vera foto, che ritrae un’altra signora insieme a Renzi e non certo Tiziana Panella:
A testimonianza del fatto che discutere con certa gente è come cambiare gli italiani: non impossibile, ma inutile.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
IL FENOMENO COSTA 3,5 MILIARDI DI EURO L’ANNO DI GETTITO IN MENO PER LE CASSE DELLO STATO… LA LEGGE ATTUALE NON PIACE ALLA LEGA
Sia Matteo Salvini che il ministro della Politiche agricole Gian Marco Centinaio, anche lui leghista, hanno detto che vogliono “cambiare” la legge contro il caporalato in vigore dal 3 novembre 2016. Con la scusa che “Invece di semplificare complica”.
Ivana Galli, 61 anni, è la segretaria generale della Flai, la categoria dei lavoratori agro-industriali iscritti alla Cgil: “Li invito entrambi a venire con noi a vedere di cosa stiamo parlando. Il vero sfruttamento e il vero business dell’immigrazione avviene lì”.
Innanzitutto, cosa prevede questa legge?
“La legge era partita da un principio, cioè che per contrastare il fenomeno del caporalato bisognava intervenire sul trasporto e sul collocamento dei lavoratori”.
Ovvero?
“A seconda dei periodi di raccolta nei territori delle coltivazioni c’è più bisogno di manodopera. L’alibi del caporale e dei committenti era che per le raccolte occorre avere tante persone in tempi brevi ma non c’era nessun luogo dove reperire queste persone, perchè gli uffici di collocamento classici non erano funzionali in tal senso. Il caporale riforniva uomini e mezzi in tempi rapidissimi, andando a prendere la mattina decine di lavoratori la mattina presto per poi riportarli a casa la sera. Questo ha ingenerato un fenomeno di economia parallela con dietro un business incredibile. Anche perchè in molti casi anche l’azienda committente pagava il caporale, il quale quindi prendeva soldi sia dall’impresa che dal singolo lavoratore”.
Chi è il caporale?
“Un caporale è un parassita che vive del lavoro degli altri, ed è questo il vero business dell’immigrazione. Sono centinaia e migliaia di persone senza diritti che vivono a ridosso delle campagne, nelle bidonville, che si muovono di provincia in provincia seguendo le campagne di raccolta, nell’indifferenza generale perchè fa comodo a tutti, anche all’economia del territorio. La cosa vergognosa è che il minor costo del prodotto alla fine lo paga la parte più debole della catena”.
Conviene a tutti tranne a chi si spezza la schiena nei campi per il 20 euro al giorno, insomma.
“Questa invisibilità fa un danno anche alle aziende sane, che non competono sul costo del lavoro. Perchè, va detto, esiste una agricoltura onesta”.
Quanto guadagna un caporale?
“Due rapidi conti: hanno dei pullmini da 15-30 posti, fanno 4 o 5 viaggi al giorno tra andata e ritorno, 15 euro a persona trasportata, per tre mesi. Quindi, 15 per 15 per 5 per 90: 100mila euro in tre mesi”.
E sono italiani?
“Anche ma non solo, molti sono italiani ma pure stranieri, hanno copiato gli esempi negativi. E quando sono stranieri è ancora più difficile penetrare in questo sistema. Noi è dal 2008 che stiamo sul pezzo, e stavamo lì nei luoghi caldi – Puglia, Campania, Sicilia – non per creare problemi ma per trovare soluzioni di dignità . Eppure i lavoratori stessi ci guardavano con sospetto, come se con la nostra presenza fossimo colpevoli di fargli perdere il lavoro. ‘Con questa legge rischiate di non lavorare più’, hanno detto molti imprenditori ai braccianti italiani”.
Per quale motivo?
“Perchè la legge prevede anche una parte repressiva, in caso di sfruttamento grave è prevista una pena detentiva per i caporali e per il committente. In più la legge prevedeva l’istituzione di una rete di lavoro agricolo di qualità presso l’Inps, cioè forme di collocamento e trasporto pubblico. Legge che poi spesso viene anche aggirata in modi fantasiosi. Ad esempio si rilasciano buste paga regolari e poi si fanno restituire parte di quei soldi, esistono agenzie di viaggio regolari che si occupano del trasporto però in realtà c’è una somministrazione irregolare di manodopera nascosta”.
Secondo lei perchè la Lega ha puntato il dito contro questa legge allora?
“Evidentemente danno voce a richieste che vengono da certi settori imprenditoriali alle quali questa legge non è mai andata giù. Le loro sono le stesse argomentazioni ascoltate da alcuni imprenditori in fase di trattativa. Ma è una legge di civiltà , non la demonizzerei ma anzi la porterei a completa applicazione. Il danno economico del caporalato sa quanto è? Tra i 3,4 e i 3,6 miliardi”.
Ma a fare questa legge chi vi diede una mano?
“Il Pd, la sinistra ma anche i Cinque Stelle. Li portammo tutti a vedere il fenomeno. E abbiamo lavorato bene insieme. Peccato sentire toni così trancianti e brutali. Se uno non vede coi propri occhi non può capire. Tempo fa incontrai un bracciante di colore che aveva ancora il segno dell’anello col quale era stato incatenato. Questo avviene in Italia, nel 2018”.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
CHI PROTESTAVA PER IL PANE DURO VENIVA CACCIATO
Lavoravano per 3 euro all’ora nelle campagne di Marsala e di Mazara del Vallo, ricevevano pane duro a pranzo e a cena, venivano sfruttati anche per 12 ore al giorno. Vivevano così diversi lavoratori immigrati, clandestini e regolari, reclutati da due agricoltori marsalesi, padre e figlio, Angelo e Sebastiano Valenti, di 68 e 35 anni, arrestati oggi dalla polizia di Trapani.
I due sono finiti ai domiciliari su ordine del gip di Marsala con l’accusa di sfruttamento della manodopera, “aggravato e in concorso”.
Il giudice ha disposto anche il sequestro preventivo di due vigneti e di un vasto oliveto, di proprietà degli arrestati, dove venivano fatti lavorare gli immigrati. Le indagini della squadra mobile diretta da Fabrizio Mustaro sono durate sei mesi e hanno accertato che i due caporali sfruttavano gli immigrati facendoli lavorare non solo nelle loro aziende, ma anche mettendoli a disposizione di altri agricoltori di Mazara del Vallo e di Marsala.
Quasi ogni mattina andavano a prelevarli con le loro macchine e li portavano nei campi per fare la vendemmia, la raccolta delle olive, della frutta e della verdura.
Sono state le intercettazioni e le telecamere messe dagli investigatori a inchiodare i caporali. I due arrestati facevano rapide contrattazioni con gli immigrati sulla paga oraria, sulle ore di lavoro e sul cibo e decidevano quale lavoratore impiegare: chi faceva troppe storie sul compenso o sul cibo veniva subito escluso.
Dalle indagini della polizia è emerso che gli arrestati sfruttavano la manodopera almeno da tre anni, facendo fare turni di lavoro massacranti che iniziavano alle 5 del mattino.
Tre euro era la paga oraria massima oltre alla “mangiarìa”, cioè il panino che i due caporali davano ai lavoratori come pasto della giornata, non sempre previsto se la paga era un pò più alta.
Spesso, però, il pane era duro e scarso; per questo motivo, alcuni degli immigrati sfruttati si lamentavano, chiedendo almeno del pane più morbido e più grande. I lavoratori si rivolgevano ai due uomini chiamandoli “padrone” e, questi, a loro volta li chiamavano con i nomi della settimana: “giovedì” era uno degli uomini sfruttati.
Gli immigrati venivano prelevati da un capannone nelle campagne di Marsala, dove vivevano in pessime condizioni igienico sanitarie, o erano reclutati direttamente nei centri di accoglienza per migranti. I terreni sequestrati dalla polizia saranno confiscati.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
FURONO 15 MILIONI GLI ITALIANI A CERCARE FORTUNA IN AMERICA CON LE VALIGIE DI CARTONE SULLE CARRETTE DEL MARE
Farebbe bene a tutti, in questa Italia inedita dei porti chiusi in faccia ai migranti un ripasso di storia Patria, un recupero di memoria perduta della nostra emigrazione.
Per i tanti che non sanno o fingono di non sapere o dimenticano facilmente chi siamo e da dove veniamo, ritrovare la memoria vale più di tanti appelli al soccorso, all’ospitalità , al senso di umanità
Servirebbe a tutti una visita nei gironi infernali di Ellis Island, il terribile museo dell’emigrazione dall’Italia verso gli Stati Uniti, o nei piccoli musei degli emigranti nei tanti Comuni italiani, soprattutto del Sud.
Guardare i volti degli italiani di un secolo o mezzo secolo fa, poveri cristi ammassati a poppa e a prua e nelle stive delle navi salpate da Napoli o Genova o Palermo, i tre porti di imbarco autorizzati dalla legge 23 sull’emigrazione del 31 gennaio 1901. Sbarcati nella terra promessa di New York dopo quasi due mesi di terribile navigazione, venivano schiavizzati dai boss aguzzini che li smistavano nei lavori più duri, oppure subivano l’onta del respingimento dagli States.
Mai come oggi è bene ricordare le impressionanti stragi di nostri migranti sepolti nella tomba più grande del mondo, il mare, quando eravamo noi i figli della miseria più nera, della fame e delle epidemie, con migliaia in fuga dalle guerre, da persecuzioni e schiavitù di baroni e capibastone.
Eravamo noi quelli che salpavano con la valigia di cartone, salutati dalle lacrime dei parenti dalle banchine dei porti più tristi del mondo.
Tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, nel solo arco di tempo che va dal 1876 al 1915, ben 14 milioni di nostri connazionali, una cifra impressionante che ridicolizza gli sbarchi di oggi, si imbarcarono su navi e piroscafi obsoleti e fatiscenti con rotta verso le Americhe.
Erano contadini e braccianti poveri e analfabeti e in gran parte delle regioni disperate del Sud.
In quelle traversate molti pagarono con la vita il sogno di una esistenza dignitosa. Salpavano in condizioni simili a quelle che oggi indignano e atterriscono.
Ecco cosa si legge nei documenti del Museo nazionale dell’emigrazione italiana: “Al trasporto dei migranti venivano assegnate le carrette del mare, con in media 23 anni di navigazione. Si trattava di piroscafi in disarmo, chiamati “vascelli della morte”, che non potevano contenere più di 700 persone, ma ne caricavano oltre 1.000, che partivano senza la certezza di arrivare a destinazione.
Nei “vascelli fantasma” la “merce” a bordo arrivava anche priva di vita a causa delle pessime condizioni igieniche e sanitarie”.
Le navi erano un inferno, stipate all’inverosimile, con terribili condizioni igieniche, pessimo vitto, spazi personali ridottissimi, niente aria, sporcizia, la promiscuità che spesso sfociava in violenze e epidemie. E furono molte le stragi non solo per i naufragi.
Sul piroscafo “Città di Torino” nel novembre 1905 contarono 45 morti su un totale di 600 imbarcati; sul “Matteo Brazzo” nel 1884 una ventina di morti per colera vennero gettati in mare e la nave fu respinta a cannonate a Montevideo per il timore di contagio; sul “Carlo Raggio” furono 18 i morti “per fame” nel 1888 e 206 “per malattia” nel 1894; sul “Cachar” segnarono 34 morti “per fame e asfissia” nel 1888; sul “Frisia” nel 1889 riportarono sul diario di bordo altri 27 morti “per asfissia” ma più di 300 quando sbarcarono erano in fin di vita; sul “Parà ” nel 1889 altri 34 morti; sul “Remo” 96 deceduti “per colera e difterite” nel 1893; sull'”Andrea Doria” 159 uccisi da malattie nel 1894; sul “Vincenzo Florio” 20 morti sempre nel 1894.
Le carrette degli oceani con a bordo la “tonnellata umana”, come definivano il carico di emigranti italiani, spesso affondavano. Ci fu la strage del 17 marzo 1891 con 576 italiani annegati, quasi tutti meridionali, per il naufragio dell'”Utopia” davanti al porto di Gibilterra.
Altri 549 colarono a picco con la “Bourgogne” al largo della Nuova Scozia il 4 luglio 1898, e 550 il 4 agosto 1906 annegarono del naufragio della “Sirio” in Spagna. Altri 600 connazionali affondarono con la “Principessa Mafalda” il 25 ottobre 1927 al largo del Brasile e erano piemontesi, liguri e veneti a bordo di una nave talmente usurata che aveva subito 11 guasti ai motori, alla pompa, all’asse dell’elica di sinistra che quando si sfilò ruotando per inerzia squarciò lo scafo e le porte stagne non funzionavano e i migranti e l’equipaggio furono inghiottiti dal mare.
Ellis Island era il centro di smistamento e di quarantena per i figli dell’Italia povera in attesa di metter piede a New York.
Era stato progettato e costruito per accogliere 500.000 immigrati all’anno, ma ne arrivavano il doppio. Le famiglie italiane venivano divise, uomini da una parte e donne e bambini dall’altra.
Gli “indesiderabili” e i malati li portavamo al secondo piano dove i medici dopo aver certificato alla buona la presenza di “malattie ripugnanti e contagiose” e “manifestazioni di pazzia” li contrassegnavano con una croce bianca sulla schiena e poi venivano reimbarcati verso il porto di origine.
Molti si tuffavano in mare e morivano finiti dagli squali mentre cercavano alla disperata di nuotare verso Manhattan, o si suicidavano piuttosto che ritornare a casa. Ellis Island prese così il nome di “Isola delle lacrime”.
Tanti superavano i controlli e la maggior parte degli immigrati italiani fece grande il New Jersey e gli Usa.
Nelle stive di un secolo dopo, ci sono altri migranti che sognano un futuro.
Ne hanno tutto il diritto, esattamente come i nostri nonni un secolo fa.
I migranti di ogni epoca sanno cosa li aspetta. Ci provano e ci riproveranno sempre a raggiungerlo perchè voltarsi indietro significa guardare le guerre e la fame e la sconfitta dei loro sogni.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
NEL FRATTEMPO IL FUTURO IMPUTATO DAVANTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA CONTINUA I SUOI DELIRI RAZZISTI
La nave Trenton della sesta flotta della Us Navy, con a bordo i 40 superstiti del naufragio di un gommone avvenuto martedì mattina, è ricomparsa al largo del porto di Augusta. Appare evidente l’intenzione di sbarcare nel porto siciliano i superstiti che ha a bordo ormai da tre giorni,
“Il problema non sono i 40 migranti a bordo della Trenton, la nave della Marina Usa che aspetta indicazioni per lo sbarco, “ma i 650 mila arrivati in questi anni”.
Lo ha detto il ministro dell’Interno e vice premier Matteo Salvini, ospite a Zapping su RadioUno.
Il delirio razzista dell’uomo di Putin per destabilizzare l?Europa continua.
La frase potrebbe far pensare che alla nave della Marina Usa alla fine venga consentito l’attracco onde evitare di entrare in conflitto pure con gli Usa ed evitare l’ennesima denuncia per violazione delle norme internazionali sul salvataggio che impone di concedere l’attracco alle navi con naufraghi a bordo.
Nel frattempo Salvini riesce a definire “finti profughi” tutti i 629 migranti diretti verso la Spagna e intima alle Ong di “smettere di fare il loro lavoro” cosi come “associazioni pseudo umanitarie finanziate da qualche miliardario”.
Roba che se qualcuno si decidesse a quererarlo non gli basterebbero cento anni di stipendio da parlamentare per risarcire le parti offese.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
UNA SOCIETA’ IL CUI CAPO E’ FINITO IN GALERA, UN GRUPPO ENERGETICO CHE SFRUTTA INCENTIVI STATALI E NON SOLO…FINORA HA DIFESO GLI INTERESSI MILIONARI DI GRANDI AZIENDE
Lo aspetta un futuro da «avvocato del popolo italiano», come ha promesso in diretta tivù.
Finora però il nuovo premier Giuseppe Conte si è distinto soprattutto per aver difeso gli interessi milionari di grandi aziende. E in almeno un caso Conte è diventato il professionista di fiducia di un uomo d’affari come Giuseppe Saggese, arrestato con l’accusa di essersi arricchito facendo la cresta sulle tasse, quelle pagate dai cittadini ai loro comuni di residenza.
Nel 2009, il futuro presidente del Consiglio ha rappresentato Saggese in alcuni collegi arbitrali. Tempo pochi mesi e l’imprenditore viene travolto dalle perdite e nel 2012 finisce la sua carriera in carcere.
Le accuse sono pesanti: decine di milioni di euro spariti, intascati da chi si è tenuto le tasse reclamate da centinaia di amministrazioni locali.
Tributi Italia, la società di Saggese, offriva un servizio chiavi in mano per riscuotere le imposte comunali, dall’Imu alla tassa per i rifiuti, fino alle concessioni per l’occupazione dello spazio pubblico.
Un successone, da principio. Per quasi un ventennio, come hanno ricostruito le indagini, Tributi Italia ha goduto di ottimi appoggi anche a Roma, al vertice dell’amministrazione fiscale.
Il castello di carte cade miseramente nel 2012, quando l’imprenditore viene arrestato con l’accusa di peculato e appropriazione indebita.
Prima del crack, tra il 2009 e il 2010, Saggese era già finito in rotta di collisione con alcuni comuni, a cui chiedeva un aumento dell’aggio cioè dei compensi per la riscossione.
La controversia venne affidata a un collegio arbitrale e in almeno tre casi, ad Alghero, a Partinico (Palermo) e Acate (Ragusa) il professionista chiamato a rappresentare Tributi Italia fu proprio Conte.
Nel 2009, quando il futuro presidente del Consiglio prese le parti di Saggese, il suo cliente aveva già alle spalle più di un incidente con la giustizia. Nel 2000 e poi ancora nel 2009, due diverse procure della Repubblica, prima Roma e poi a Velletri, avevano chiesto e ottenuto il suo arresto, in entrambi i casi poi revocato dal Gip.
Con l’inchiesta penale del 2012, nata a in Liguria, a Chiavari, e in seguito trasferita a Roma, si chiude la parabola di Tributi Italia, che va in fallimento, mentre il presidente e fondatore dell’azienda, a oltre sei anni di distanza dal crack, risulta ancora in attesa di giudizio.
Navigano invece con il vento in poppa le società della famiglia pugliese Marseglia, con cui il presidente del Consiglio vanta stretti rapporti personali e professionali. Partito come produttore di olio, Leonardo Marseglia, 72 anni, salentino di Ostuni, adesso tira le fila di un gruppo con quasi un miliardo di euro di attivo che viaggia al ritmo di 50 milioni di euro l’anno di profitti.
Non solo oleifici, quindi, ma alberghi, centri turistici, immobili di pregio in diverse città italiane, comprese Roma e Milano.
Gran parte degli utili provengono dalla produzione di energia, grazie a numerose centrali elettriche, alcune delle quali alimentate a biomasse, soprattutto oli vegetali.
La rincorsa dei Marseglia ha preso velocità nel 2010 quando la famiglia pugliese, grazie a una complessa operazione finanziaria, ha riportato in patria il controllo di attività per un valore di circa 190 milioni.
Si parte ad aprile 2010: la Kirkwall Corporation, con base nel paradiso fiscale delle Antille olandesi, trasferisce la propria sede in Lussemburgo per poi scomparire dopo la fusione con la propria controllata Ludvika immobiliers di Amsterdam. Il cerchio si chiude a fine 2010 quando quest’ultima società olandese viene assorbita dalla holding dell’imprenditore di Ostuni.
Più di recente, nel 2015, i Marseglia (insieme a Leonardo c’è il figlio Pietro) si sono conquistati un posto al sole a livello nazionale.
Le cronache finanziarie si sono accorte di loro grazie all’acquisto del Molino Stucky di Venezia, il lussuoso hotel sull’isola della Giudecca rilevato tre anni fa dal fallimento del gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone. A novembre del 2015 Marseglia ha nominato Conte, pure lui di origini pugliesi, nel consiglio di amministrazione della Ghms (Grand Hotel Molino Stucky), la società che gestisce l’albergo veneziano.
È un consiglio extra small, solo tre membri: insieme al premier e allo stesso Marseglia troviamo l’amministratore delegato Antonio Giannotte, manager di fiducia dell’azionista.
Intervistato nei giorni scorsi da “la Repubblica”, l’imprenditore ha minimizzato i suoi rapporti con Conte, descrivendo l’incarico in Ghms come il frutto di una conoscenza occasionale nata sulle spiagge di Rosa Marina, la località turistica non lontana da Ostuni dove tra l’altro Marseglia possiede un resort di lusso.
«Una nomina proforma», ha spiegato il proprietario dell’hotel Molino Stucky. Conte, ha detto, «non è mai venuto nemmeno a una riunione».
I documenti ufficiali contraddicono questa versione dei fatti.
Il 25 settembre dell’anno scorso il futuro presidente del Consiglio ha partecipato in audioconferenza all’assemblea di Ghms che aveva all’ordine del giorno, tra l’altro, l’approvazione del bilancio 2016 della società
Carte alla mano, si può dire che l’assistenza di un legale con l’esperienza di Conte faceva molto comodo a Marseglia, per mesi impegnato nelle complesse trattative che hanno portato all’acquisto del lussuoso hotel veneziano.
Alla fine è arrivato il via libera delle banche creditrici di Bellavista Caltagirone, a cominciare da Unicredit, esposte in totale per circa 250 milioni di euro. Il compratore si è fatto carico di parte dei debiti e come garanzia gli istituti di credito si sono presi in pegno le quote di Ghms, proprietaria dell’albergo.
Questo però è solo il primo tempo di una partita che vale in totale quasi mezzo miliardo.
L’anno scorso, infatti, Unicredit aveva sponsorizzato anche un’ altra importante acquisizione di Marseglia. Siamo sempre a Venezia e questa volta l’imprenditore puntava al Ca’ Sagredo, hotel di lusso ospitato da Palazzo Morosini sul Canal Grande. L’operazione si è però fermata per cause di forza maggiore, dopo che l’hotel veneziano è stato messo sotto sequestro su richiesta della procura di Monza che indaga su Giuseppe Malaspina, imprenditore di origini calabresi residente in Brianza e finito agli arresti il 21 maggio scorso. Il Ca’ Sagredo faceva capo proprio a Malaspina ed era stato messo in vendita dopo il fallimento delle sue società , indebitate con Unicredit.
Niente da fare allora, almeno per il momento. Marseglia sarà costretto ad attendere che si sblocchi la partita giudiziaria.
Non è solo questione di hotel, però. Come detto, i profitti del gruppo Marseglia derivano in buona parte dalla produzione di elettricità da fonti cosiddette pulite. Un’attività che gode di generosi incentivi statali, fissati per legge.
Difficile immaginare, allora, che all’occorrenza non possa far comodo un amico a Roma, seduto addirittura sulla poltrona di presidente del Consiglio.
(da “L’Espresso”)
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Giugno 14th, 2018 Riccardo Fucile
TUTTO PARTE DA UNA DENUNCIA DI UN REVISORE DEI CONTI DELLA LEGA: 10 MILIONI TRANSITATI VERSO IL LUSSEMBURGO PER SOTTRARLI AI GIUDICI ITALIANI CHE INDAGANO SULLA TRUFFA DA 48 MILIONI DEI VERTICI LEGHISTI GIA’ CONDANNATI
Ci sono tre milioni di buone ragioni per cercare i soldi della Lega a Bolzano. Ne sono fermamente convinti i magistrati di Genova che vogliono sequestrare 48 milioni di euro per la truffa dei rimborsi elettorali e che hanno puntato la Sparkasse a causa di due operazioni.
Una che risale a un paio di anni fa e una che è recente.
Nel 2016 dieci milioni partono da un conto di “transito” della banca Sparkasse di Bolzano in direzione del Lussemburgo per approdare sul conto di Pharus Management, fondo di investimento collettivo con sede nel granducato.
Poco meno di due anni dopo, nel gennaio del 2018, tre di quei milioni compiono il percorso inverso per rientrare nei depositi della banca.
Gli inquirenti sono convinti che quel denaro appartenga al Carroccio: per questo ieri òa Guardia di finanza di Genova, su input della procura del capoluogo ligure, ha fatto acquisizioni di documenti alla banca Sparkasse di Bolzano e in una filiale di Milano per capire se quei soldi sono parte del cosiddetto ‘tesoro’ del Carroccio: 48 milioni di rimborsi elettorali dal 2008 al 2010, non dovuti, per i quali sono stati condannati in primo grado per truffa, nel luglio dello scorso anno, Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito e per i quali è in corso l’appello.
Le fiamme gialle hanno sequestrato documenti cartacei e file informatici al presidente dell’istituto di credito altoatesino, Gerhard Brandstaetter, e ad altri dirigenti oltre che dipendenti a Bolzano e Milano.
Dati informatici sono stati acquisiti dalla sede del server della banca a Collecchio (Parma).
Dopo la condanna di Bossi e Belsito, i magistrati e la guardia di finanza hanno cercato di rintracciare i 48 milioni, per chiederne la confisca in caso di condanna definitiva. Ma solo 2 milioni sono stati trovati, il resto, secondo i vertici della Lega non ci sarebbe più, perchè speso negli anni passati per attività politiche.
Ne era nato un braccio di ferro tra la procura e gli avvocati della Lega: la prima chiedeva il sequestro delle cifre che sarebbero arrivate successivamente nelle casse del partito, i secondi che i magistrati si dovessero fermare.
Nei mesi scorsi la Cassazione aveva dato ragione ai pm genovesi. Nel frattempo, a dicembre 2017 l’ex revisore contabile Stefano Aldovisi, uno dei condannati insieme a Bossi e Belsito, aveva presentato un esposto dove segnalava che i soldi erano forse stati “dirottati” verso la Sparkasse e da qui fatti sparire all’estero.
Ne era nata una indagine per riciclaggio che nei giorni scorsi ha avuto una accelerazione dopo la segnalazione fatta a Bankitalia dal Lussemburgo sui 3 milioni.
Intanto ieri Ferruccio Sansa del Fatto Quotidiano, Matteo Indice della Stampa e Marco Preve di Repubblica, sono stati a lungo sentiti senza avvocato dalla Guardia di Finanza, a Bolzano, su quanto scritto nelle edizioni del 13 giugno 2018 riguardo la vicenda.
(da agenzie)
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