Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
“HANNO VINTO PERCHE’ HANNO INTERPRETATO LA RABBIA CHE LE DEMOCRAZIE LIBERALI HANNO IGNORATO”
Il nuovo governo italiano? «Terribile». «Schifoso». Ma «alla fine potrebbe essere buono per l’Europa». Non è il parere di un oppositore di Movimento 5 Stelle e Lega e dell’esecutivo guidato dal professore Giuseppe Conte, ma il parere espresso in un articolo del New York Times dedicato alle vicende politiche italiane.
L’autore è l’opinionista Roger Cohen. Il titolo «Applauso al terribile governo italiano».
Sul prestigioso giornale americano si spiega che i due partiti al governo, Lega e M5s, «mettono insieme bigottismo e incompetenza a un livello inusitato».
«Sono un branco di miserabili sollevati dalla marea antiliberale globale», si legge.
Per farla breve, è la riflessione dell’autore dell’articolo, «non vedo niente nella Lega o nel Movimento 5 stelle diffuso via Internet che non mi disgusti».
Eppure, i due capi politici, Matteo Salvini e Luigi Di Maio («leader del Movimento 5 Stelle, che diventerà ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico non avendo mai svolto un lavoro che valga tale nome») «hanno ragione».
«Sono sulla pista giusta e per questo hanno vinto, proprio come Trump ha vinto perchè ha intuito una rabbia che stava filtrando e che troppi liberali avevano ignorato».
«Hanno ragione che quasi tre decenni di globalizzazione dalla fine della Guerra Fredda hanno lasciato troppe persone in troppe democrazie occidentali, affamate di speranza o addirittura di una voce, e hanno dato loro l’impressione che il sistema fosse manipolato dalle èlite di Bruxelles o altri centri».
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
INCONTRO BERLUSCONI-SALVINI PER CERCARE DI SALVARE LE APPARENZE
Ecco dunque la scena, che rende lecita la domanda, anche se Berlusconi e Salvini si sono incontrati: ha ancora senso usare l’espressione “centrodestra”?
Dicevamo, la scena che rottama l’ipocrisia delle parole.
Voto di fiducia sul governo Conte, o meglio sul governo Salvini-Di Maio (il tempo dirà se la trazione è più dell’uno o dell’altro): la Lega voterà , ovviamente, la fiducia, spiegando — senza tanta convinzione ma comunque lo farà — che comunque il centrodestra, ci mancherebbe, non è rotto; poi sarà la volta di Forza Italia che voterà contro, ma nello stile che contraddistingue il partito azzurro da più governi a questa a parte, senza particolare vis pugnandi, soprattutto se il nuovo governo non sarà ostile agli interessi aziendali di B.
Da ultimo Fratelli d’Italia che, come già annunciato, si asterrà , come si dice in questi casi, “valutando provvedimento dopo provvedimento”: no, ad esempio, al reddito di cittadinanza, sì se su sicurezza e immigrazione agli annunci seguiranno fatti concreti.
È il quadro di una disarticolazione estrema, dopo una campagna elettorale da “separati in casa” — su tasse, Europa, collocazione internazionale del paese — e di un dopo voto ai limiti del grottesco, con l’autoproclamatosi San Giorgio dei moderati che benedice il Drago populista per paura del ritorno al voto.
Per esorcizzare la scoperta di una malinconica marginalità i berlusconiani, nelle dichiarazioni poco convinte spiegano che non è la prima volta che i due partiti alleati si dividono su un passaggio parlamentare, perchè “accadde anche col governo Letta e col governo Monti”.
In fondo, Berlusconi e Salvini si sono anche incontrati, alla vigilia del voto di fiducia, proprio per non dare l’idea che sta andando tutto in frantumi. Come realmente è. Perchè non è questione di questa o quella casella del governo più o meno ostile al Cavaliere (chi prenderà le deleghe alle Comunicazioni?), è l’intera operazione che segna una cesura storica.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
“OCCORRE DISTINGUERE LE BUFALE DALLE NOVITA'”
Il caos sulla flat tax dentro la Lega è legato a un motivo preciso: l’assenza di coperture. A dirlo, in un’intervista a Huffpost, è il professore Luigi Lovecchio, esperto di fiscalità generale e tributi: “C’è confusione sull’applicazione perchè mancano i soldi”.
Professore, nella Lega non c’è affatto unanimità sull’introduzione della flat tax. Bagnai propone due step, imprese prima e famiglie poi, Siri invece vuole procedere in modo unitario. Perchè questo caos?
“Il motivo fondamentale è che mancano le risorse. Secondo i proponenti, la flat tax si dovrebbe autofinanziare con l’emersione dell’evasione, ma questa è una scommessa molto aleatoria”.
Perchè?
“Il concetto, secondo loro, è che se io faccio pagare solo il 15% o il 20% a te che non dichiari niente allora tu sarai indotto a pagare di più. Ma ci vorrà tempo affinchè si inizi a innescare un meccanismo virtuoso di autofinanziamento della flat tax, cioè che l’evasore dichiari di più”.
Quanto?
“Direi cinque anni. E comunque sono cose scritte sulla sabbia, che vanno testate. L’evasore deve capire che paga poco e rischia molto. Perchè dovrebbe dichiarare anche solo per pagare il 20%? Se l’Agenzia delle Entrate non funziona bene e se non si introducono dei correttivi, io sono propenso a continuare a non dichiarare. Diciamo che è un meccanismo che si regge su qualcosa di aleatorio”.
Questo tra cinque anni. Intanto come si finanzia la flat tax?
“È evidente che con un’entrata in vigore così generalizzata, amplissima, senza adeguati meccanismi compensativi anche in relazione all’Agenzia delle Entrate, il rischio concretissimo è un drastico calo di gettito non compensato da niente. Questo rischio è forte. E poi bisogna distinguere le bufale dalle novità ”
Cioè?
“Leggo che vogliono abolire gli studi di settore, ma questi ultimi non sono più utilizzati da tempo. Leggo che vogliono abolire il redditometro, ma il redditometro non viene più usato, sono rarissimi gli accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate”.
Torniamo alla flat tax per le imprese. Il Pd attacca la Lega e rivendica questa misura.
“La flat tax per le imprese è stata prevista dal governo Gentiloni e si chiamava Iri: doveva entrare in vigore nel 2018, ma è stata rinviata al 2019 perchè non c’erano le risorse. L’Iri altro non è che la flat tax alle imprese, cioè il trasferimento del sistema Ires, con aliquota al 24,5%, alle imprese individuali e alle società di persone”.
Misura fotocopia quindi?
“Io non sono vicino agli ambienti di governo, non so cosa vogliono fare. Se poi ci vogliono aggiungere i lavoratori autonomi, cioè i professionisti come i notai, i commercialisti o gli avvocati, allora quella sarebbe una cosa nuova”.
In generale, quindi, la flat tax sarebbe meglio non introdurla?
“Il problema che sottintende la flat tax è serio ed è l’esigenza di equità , ma non siamo un Paese che se lo può permettere. Oggi obiettivamente l’Irpef la pagano solo poche persone perchè vuoi con l’evasione vuoi con una marea di imposte sostitutive, legalmente o illegalmente una grossa fetta dei redditi è sottratta all’Irpef. Per esempio i dividendi, che sono tassati con un’aliquota secca, gli interessi o i canoni di locazione che con la cedolare secca sfuggono all’Irpef. L’unico che paga l’Irpef è il lavoratore dipendente. Che ci sia l’esigenza di una maggiore equità è vero, ma chi finanzia la flat tax nell’immediato?”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
DUE VERSIONI DISCORDANTI SU MISURA CHE HA INDOTTO I PIRLA A VOTARLI… LE OPPOSIZIONI: “SULLE IMPRESE C’E’ GIA’, RIDICOLI”
Nel 2019 solo per le imprese, nel 2020 anche per le famiglie. Anzi no: per entrambe già il prossimo anno. No, ha ragione chi dice che va fatta in due tempi.
Quella che doveva essere la punta di diamante della “pace fiscale” targata Lega e finita nel Contratto di governo con i 5 Stelle, cioè la flat tax, nasce nel caos.
Un grande punto interrogativo generato da due versioni discordanti, fornite dagli economisti di riferimento del Carroccio, cioè Alberto Bagnai e Armando Siri.
E poi c’è un terzo economista, sempre vicino a Salvini, cioè Claudio Borghi, che prende le parti di Bagnai, mettendo in luce la grande confusione.
Bagnai, ora anche parlamentare e in corsa per un posto che conta – quello di sottosegretario all’Economia – si spinge in avanti e in mattinata rivela le mosse sulla flat tax intervenendo ad Agorà : “Mi sembra che ci sia un accordo sul fatto di far partire la flat tax sui redditi di impresa a partire dall’anno prossimo. Il primo anno per le imprese e poi a partire dal secondo anno si prevede di applicarla alle famiglie”.
Partenza in due tempi? Altolà .
Lo stop a Bagnai arriva da Siri, il guru economico di Matteo Salvini e l’ideatore della flat tax all’italiana, visto che la configurazione indicata nel Contratto, con due aliquote (al 15% e al 20%) e un sistema di deduzioni, si discosta dallo schema classico dell’aliquota unica.
“Allo stato attuale – sottolinea Siri parlando ad Affaritaliani.it – posso dire che non è vero dal prossimo anno la flat tax entrerà in vigore solo per le imprese, ma che ci sarà anche per le famiglie. Poi tutto sarà a regime per il 2020”.
Poi arriva Borghi: meglio due step. “È prematuro – dice a Radio Cusano Campus – parlarne perchè non ci sono ancora le commissioni. Quella annunciata da Bagnai è un’ipotesi sul tavolo. Mettere la flat tax subito alle imprese è un lavoro semplice che si può fare in qualche mese. Rifare invece tutto il sistema del fisco che prevede anche i crediti d’imposta del passato, richiede più tempo. Riuscire a fare tutto entro la finanziaria di quest’anno è un obiettivo oggettivamente un po’ ambizioso. Quindi potrebbe essere logico, per una questione di tempi, mettere la flat tax prima per le imprese”.
Confusione, quindi, sulla flat tax e prima grande polemica politica da quando è nato il governo gialloverde.
Sia il Pd che Forza Italia, seppure con contenuti diversi, puntano il dito contro il Carroccio.
Meno di un’ora dalle dichiarazioni di Bagnai, infatti, e il Pd va all’attacco con il deputato Luigi Marattin, che nella scorsa legislatura si è occupato di fisco locale nel team di palazzo Chigi.
“È inconcepibile – scrive Marattin in una nota – un livello di ignoranza e approssimazione simile. La flat tax sui redditi di impresa esiste da qualche decennio. Prima si chiamava Irpeg, e ora si chiama Ires, e tassa proporzionalmente i redditi delle società di capitali. E a ridurla – dal 27,5% al 24% – è stato il governo Renzi. Nel caso il futuro sottosegretario Bagnai si riferisse, invece, agli utili di impresa delle società di persone, anche quella esiste già : si chiama Iri, e l’ha fatta sempre il governo Renzi”.
Segue, a ruota, una sfilza di dichiarazioni da parte dei dem che ripropongno lo stesso ragionamento: sia l’Ires che l’Iri sono imposte con un’unica aliquota e il governo Renzi ha già abbassato il peso della tassazione che grava sulle imprese.
Ettore Rosato, su Twitter, sintetizza in un tweet: “Una nuova strategia politica: annunciare cose, possibilmente cose fatte da altri. Si va sul sicuro. Come Alberto Bagnai e la flat tax per le imprese”.
Renato Brunetta bolla il tutto come “chiacchiere che già disattendono il contratto” e “certamente disattendono il programma del centrodestra. Messaggio chiaro a Salvini: “Si stanno già suicidando”, incalza Brunetta. Mara Carfagna, dal canto suo, dice no alla “contrapposizione” tra famiglie e imprese.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
LA LEGA VUOLE LA POLTRONA PER SIRI, IL CONDANNATO PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA, UNA GARANZIA
I due si sono parlati, ma il punto di caduta non è ancora stato trovato. Matteo Salvini e Luigi Di Maio, smaltita la sbornia della gioia e dell’euforia per il Governo che solo qualche giorno fa sembrava essere sfumato, hanno ingaggiato un confronto serrato sulla girandola di nomine che li attendono nei prossimi giorni.
Con la madre di tutte le partite dall’esito ancora incerto: la delega alle Telecomunicazioni.
Di fatto un altro Ministero, con una sua sede e una sua struttura, oltre al peso specifico delle competenze. Il capo politico dei 5 Stelle ha avvertito l’alleato: quella casella la vuole tenere per sè.
Una scelta non di poco conto, vista l’estrema attenzione al tema di Silvio Berlusconi e i rapporti con il Carroccio tutt’altro che interrotti.
Il segretario leghista non molla, e punta sul fedele Armando Siri proprio come sottosegretario alle Tlc.
È un gioco di incastri: “A Luigi sono arrivate mille e duecento richieste, non ci si capisce più nulla”, racconta una fonte vicina al leader”.
Anche perchè in vista c’è anche il rinnovo dei vertici Rai. Oltre ai quattro di competenza di Camera e Senato, sarà il Tesoro a scegliere presidente e amministratore delegato.
Intorno a via XX Settembre sono iniziate le grandi manovre. I 5 Stelle pensano di affiancare a Giovanni Tria uno o due nomi di peso, nei ruoli di viceministro e sottosegretario (per la Lega dovrebbe arrivare il falco Alberto Bagnai).
Che potrebbero essere Laura Castelli — in corsa anche per sostituire Giulia Grillo come capogruppo alla Camera — e Stefano Buffagni.
Quest’ultimo indicato anche per il Mise. Il mega ministero a cui Di Maio è a capo rappresenta un’altra tessera del domino. Soprattutto se il leader M5s avocasse a sè anche le tlc. Perchè a quel punto servirebbe una struttura politica robusta, a cui affidare una parte sostanziosa delle deleghe.
Qualche malizioso fa notare che nel primo giorno al Ministero il vicepremier abbia deciso di incontrare il Drappo Bianco, un’associazione di imprenditori della Brianza, terra proprio di Buffagni. Ma in corsa per entrare al Mise ci sarebbero anche Giorgio Sorial e il neo eletto Lorenzo Fioramonti.
Lo schema seguito dai 5 stelle è quello del controbilanciamento. Un ragionamento che su Ministeri, deleghe e Commissioni parlamentari porti a un sostanziale equilibrio dei posti occupati dall’alleato.
Anche se le teste della war room stellata hanno come primo orizzonte quello delle nomine delicatissime dei capo di gabinetto e dei portavoce, con un’attenzione particolare per il segretario generale di Palazzo Chigi e il direttore generale del ministero dell’Economia.
Come per il Tesoro, anche per gli Esteri — l’altro grande dicastero a guida tecnica — lo schema prevede uomini vicini al leader per dare un forte indirizzo politico. Manuela Del Re sarebbe indicata come viceministro, mentre il fedelissimo Manlio Di Stefano andrebbe a ricoprire la presidenza della Commissione a Montecitorio.
Da risolvere, nel brevissimo periodo, il nodo dei capigruppo, dopo il trasloco di Giulia Grillo e Danilo Toninelli nei rispettivi Ministeri. Al Senato l’idea sarebbe quella di promuovere sul campo Stefano Patuanelli, vicinissimo a Di Maio.
Il quale, tuttavia, essendo un novizio del Palazzo scontenterebbe una parte dei senatori “anziani”, l’ala più in subbuglio nel Movimento per essere stata sostanzialmente tagliata fuori in toto dalla gestione post elettorale.
L’alternativa ci sarebbe, è quella di Vito Crimi, il quale tuttavia è in ballo per ricevere la delega ai Servizi. L’outsider potrebbe essere Daniele Pesco, traslocato il 4 marzo dalla Camera a Palazzo Madama.
Dubbi analoghi per la Camera.
La candidata naturale sarebbe la Castelli, in predicato tuttavia di trasferirsi al governo. Così come Maria Edera Spadoni, bloccata dalla nomina a vicepresidente d’Aula. In queste ore circola molto il nome di Vittorio Ferraresi, che tuttavia Alfonso Bonafede vorrebbe con sè al ministero della Giustizia.
Così come quello di Giulia Sarti, che però preferirebbe la Presidenza dell’Antimafia. “La verità — chiosa uno dei colonnelli — è che abbiamo più poltrone che cu.., con tutte le presidenze di Commissione ancora da assegnare”. Il lavorio è fitto, i fili a intrecciarsi talmente tanti che seguirli diventa complicatissimo, le prossime ore decisive.
Intanto Giuseppe Conte è nel suo studio di Palazzo Chigi, dove sta preparando il G7 del Canada (ha incontrato a questo proposito Moavero Milanesi) e il discorso da tenere davanti alle Camere tra domani e dopodomani, per conquistarne la fiducia (scontata). Il governo del cambiamento parte dai riti consueti di settant’anni di Repubblica.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
PER SALVINI E’ UNA FRASE FUORI CONTESTO, MA L’UNICO A ESSERE FUORI E’ LUI
La giornata di propaganda anti-immigrati vissuta da Salvini in Sicilia provoca degli strascichi diplomatici.
L’ambasciatore italiano è stato convocato – informa una nota del ministero degli esteri tunisino – e gli è stato espresso “il profondo stupore per le dichiarazioni del ministro dell’Interno italiano sul dossier immigrazione”.
Frasi che “non riflettono la cooperazione tra i due paesi nella gestione dell’immigrazione e indicano una conoscenza incompleta dei meccanismi di coordinamento tra i servizi tunisini e italiani”.
Insomma, il segnale di una profonda irritazione. Le frasi di Salvini, pronunciate tra l’altro a poche ore da un naufragio con decine di vittime, erano state tutt’altro che felpate: “La Tunisia esporta spesso galeotti”, aveva dichiarato il neoministro dell’Interno.
Che oggi replica alla mossa di Tunisi precisando che le sue frasi sono state prese “fuori contesto” (come se fossero tutto scemi) : “Sono disponibile a incontrare nel più breve tempo possibile il mio omologo tunisino per migliorare la cooperazione. Ognuno giustamente difende le sue posizioni. Da parte mia, appena passata la fiducia, sono pronto a prendere un aereo”.
Speriamo sia di sola andata.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
FRANCESCA MENNA E’ CONSIDERATA MOLTO LEGATA A ROBERTO FICO
Con una lettera al presidente del consiglio comunale Sandro Fucito, Francesca Menna, eletta a Napoli alle comunali del 2016 tra le fila del Movimento Cinque stelle, ha rassegnato le dimissioni da consigliere comunale.
Di prima mattina ha aperto il suo profilo Facebook con questo post: “Condivido con piacere”.
E sotto l’articolo di Repubblica: “Da Fico a Nugnes, il disagio della sinistra M5s per le posizione leghiste”.
Verso ora di pranzo ha postato la sua lettera di dimissioni giustificando la decisione di lasciare l’aula di via Verdi con “nuovi incarichi universitari” che non le consentirebbero di essere presente come prima in consiglio comunale.
La professoressa, come tutti i colleghi la chiamavano per la sua professione di docente di veterinaria all’università Federico II, era stata la seconda eletta due anni fa insieme al candidato sindaco del Movimento Matteo Brambilla.
Legatissima al presidente della Camera Roberto Fico, è stata tra gli “assenti non giustificati” martedì quando il candidato premier M5s, l’attuale ministro Luigi Di Maio, era stato a Napoli per dichiarare di “essere pronto a collaborare con Mattarella” dopo la sua richiesta di impeachment nei confronti del Capo dello Stato.
(da agenzie)
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Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
UN MINISTRO DEL LAVORO TREMEBONDO CHE HA PAURA PERSINO DI SPENDERE UNA PAROLA SULLO SFRUTTAMENTO DEI BRACCIANTI… PEGGIO DEI RAZZISTI CI SONO SOLO I VIGLIACCHI AL SERVIZIO DEI RAZZISTI
Che volete che sia: era solo un africano.
Uno di quegli africani che erano diventati l’obiettivo del ‘vendicatore nazista’ Luca Traini, militante della Lega di Salvini con tanto di simboli nazisti tatuati in bella vista.
Poteva il governo del cambiamento spendere una parola per la morte di Soumaila Sacko il sindacalista bracciante agricolo ucciso con un colpo di lupara in testa nel Vibonese
Poteva e doveva. Ma non l’ha fatto.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che pure in Calabria è stato eletto, ha passato le prime ore da vice-premer a diffondere odio, dire ai migranti “la pacchia è finita, fate le valigie”.
O a sputare veleno sulla Sicilia falsamente descritta come un campo profughi dell’Europa, fregandosene per un po’ di propaganda di bassa lega anche di gettare una fosca luce verso una bellissima isola che vive anche di turismo
Eppure, in un discorso pieno di ipocrisia, Salvini aveva detto che i migranti regolari erano fratelli e i loro figli suo figli
Ma figli di chi se non di un dio minore?
Soumaila Sacko era regolarmente in Italia e lavorava duramente per pochi euro.
Ucciso barbaramente.
Non una parola di pietà , non una parola di solidarietà . Non una parola dal responsabile del Viminale e dal quello del Lavoro sulla necessità di estirpare lo strapotere criminale e lo sfruttamento dei più poveri e diseredati,
Era solo un africano.
Così mentre orde di razzisti sui social esultano, giustificano, minimizzano e danno la colpa agli africani di essere africani il “cambiamento” tace.
Hanno vinto le elezioni seminando odio.
Perchè guastarsi la festa per un ‘negro’?
(da Globalist)
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Giugno 4th, 2018 Riccardo Fucile
DIFENDERE I CONFINI DEL PROPRIO EGOISMO
Pacchia è fare soldi con le slot machine, le lotterie, il gioco d’azzardo legalizzato
Pacchia è fare accordi con la criminalità organizzata per gestire potere e soldi.
Pacchia è poter contare su una delle economie sommerse più importanti del mondo e sui suoi investimenti per evitare gli effetti devastanti della crisi e del credit crunch.
Pacchia è contare sul controllo del territorio fatto da mafia, ‘ndrine e camorra per evitare attentati.
Pacchia è andare a puttane minorenni impunemente.
Pacchia è eludere e frodare il fisco fregandosene degli altri, salvo poi lamentarsi del sistema sociale
Pacchia è approfittare di chi nelle scuole e negli ospedali si fa un culo quadrato per fornire servizi migliori alle persone sputando poi sul pubblico, tagliando servizi sociali, sbattendosene dei diritti altrui.
Pacchia è pensare di avere tutti i diritti e nessun dovere.
Pacchia è poter lavarsi i denti senza chiudere l’acqua quando la maggior parte delle persone del mondo nemmeno beve
Pacchia è poter vivere delle briciole che l’1% elargisce (per garantirsi di rimanere 1%) sbattendosene delle sorti del rimanente 99%.
Pacchia è poter andare in barca bordeggiando, non essere su un barcone in traversata.
Questa è la pacchia.
Ovvero come viviamo quasi tutti noi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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