Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
MA COSA E’ CAMBIATO DA QUANDO IANNONE INVITO’ PAOLA CONCIA A UN DIBATTITO NELLA SEDE DI CASAPOUND?
Ha annunciato la sua partecipazione, seppur a titolo personale, al Gay Pride di Mantova: per questo
CasaPound ha espulso dal movimento un consigliere comunale, Luca De Marchi.
“De Marchi predilige ancora una volta la ricerca di visibilità personale alla condivisione di intenti con una comunità politica che da sempre è esteticamente e politicamente distante da certe manifestazioni: per questo non ci sono le condizioni perchè il consigliere De Marchi possa proseguire la propria attività politica sotto il simbolo del nostro movimento”: così si legge in un comunicato del movimento di estrema destra.
Il Gay Pride è in programma a Mantova sabato 16 giugno e ha il patrocinio e un contributo economico dalla giunta di centrosinistra guidata da Mattia Palazzi.
De Marchi era stato eletto in consiglio comunale nel 2015 con una sua lista civica.
Nei giorni scorsi, annunciando la sua partecipazione al Pride, aveva spiegato: “Parteciperò per senso civico e per difendere le libertà di tutti, la libertà di manifestare, vivere la propria sessualità liberamente e rivendicare nuovi e futuri diritti alle coppie omosessuali”
Parole che CasaPound non ha apprezzato, per questo la sezione regionale del movimento ha deciso l’allontanamento.
Eppure nell’ottobre del 2009 fu CasaPound, allora non ancora nell’occhio dei media, a invitare e accogliere con tutti gli onori in via Napoleone III, sede nazionale, Paola Concia, allora deputata Pd e unico parlamentare dichiaratamente gay di quella legislatura.
Un incontro voluto dagli stessi rappresentanti di Casa Pound, irritati dall’invito, rivolto loro dal Sindaco Alemanno, a non partecipare alla fiaccolata contro tutti i razzismi e l’intolleranza organizzato a Roma in quei giorni. Da qui l’idea di dare vita ad un dibattito con il mondo glbtq, nel corso del quale Davide Di Stefano, ci tenne a precisare: “mai omofobi e mai razzisti, mai condannati nè mai indagati in 10 anni di storia per reati legati alla discriminazione sessuale, razziale o religiosa. Noi non siamo il Ku Klux Klan! E pensi, onorevole Concia, che il suo collega Touadì, presente in quel manifesto, è lo zio di un ex militante del Blocco. Questo per farle capire…”.
Totale apertura da parte di Casa Pound ad una legge che riconosca le coppie di fatto, con la Concia che ha polemicamente commentato: “probabilmente sono più d’accordo con un documento come il vostro che con altri fogli prodotti dal mio partito”.
Era una posizione innovativa e coraggiosa per la destra sociale italiana e lo rimarcammo.
Poi le sirene del potere hanno fatto cambiare verso.
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
COORDINAMENTO INVESTIGATIVO TRA LE PROCURE DI GENOVA E ROMA … TROPPE DISSONANZE E BUCHI NERI TRA PARNASI E IL LUSSEMBURGO… I VERSAMENTI RETROATTIVI DOPO L’INCHIESTA DELL’ESPRESSO
« I conti segreti di Salvini ». Due mesi fa, titolava così L’Espresso l’inchiesta di copertina sui soldi della Lega. Per la prima volta una sconosciuta associazione dal curioso nome “Più voci” usciva dall’anonimato. Fino ad allora nessuno poteva immaginarne l’esistenza.
Anche perchè non ha mai pubblicizzato alcuna attività politica, culturale, sociale.
E non ha una sede aperta al pubblico, come le più classiche delle associazioni che lavorano sul territorio.
Si trova, infatti, in via Angelo Maj 24, in un anonimo condominio di Bergamo, presso lo studio dei commercialisti che compongono il cerchio strettissimo del segretario, oggi ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
Sulla Più voci scovata dall’Espresso e fondata nel 2015 dal tesoriere della Lega scelto da Matteo Salvini, qualcuno dei protagonisti mente.
Chi? Luca Parnasi, da poco in carcere per l’indagine sul nuovo stadio della Roma, cioè uno degli imprenditori che hanno finanziato con 250 mila euro la sconosciuta associazione leghista? O Giulio Centemero, il cassiere del partito, braccio destro del neo ministro dell’Interno?
Intanto sull’asse Roma-Genova si sta instaurando una collaborazione investigativa tra le due procure.
Un coordinamento tra i pm che indagano sull’affare stadio-Parnasi e i loro colleghi che scavano sul tesoro della Lega. Gli inquirenti, dunque, hanno acceso un faro sui contributi ora finiti al centro della cronaca.
Vi sono dissonanze tra la versione fornita dai fedelissimi di Salvini e quella di Parnasi, registrata dalle cimici dei carabinieri.
Messe a confronto restuiscono un quadro contraddittorio, confuso. È un imprenitore generoso, Parnasi. Che ha fiuto per il cambiamento, percepisce prima di altri in che direzione soffierà il vento del rinnovamento nei palazzi. Negli ultimi anni, infatti, si è avvicinato alla Lega e ai Cinquestelle. Il nuovo potere, appunto.
Di certo la Lega non è ancora riuscita a chiarire fino in fondo è il ruolo dell’associazione “Più voci”. Registrata davanti a un notaio nell’autunno del 2015, dai tre commercialisti lombardi che Salvini ha voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero, tesoriere, assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Ognuno di loro con l’arrivo di Salvini alla segreteria si è ritagliato un ruolo sempre maggiore all’interno della Lega.
Di certo Parnasi è molto vicino al leader ora capo dei Viminale. «Amico fraterno», lo definisce in alcuni dialoghi contenuti nelle informative depositate in procura a Roma.
Parnasi non è stato il solo a versare a Più voci. L’Espresso ha documentato come anche il colosso della grande distribuzione Esselunga abbia donato denaro alla fondazione-associazione leghista. Soldi che dopo una breve sosta sui conti di Più voci sono ripartiti per finire su quelli delle società della galassi del Carroccio.
Ora, però, è l’indagine della procura di Roma, con l’arresto di Parnasi, che permette di compiere un passo in avanti.
Il costruttore romano, intercettato, mostra una certa agitazione dopo aver ricevuto le nostre domande in cui gli chiedevamo conto di quei 250 mila euro versati a Più voci. Tramite il commercialista, quindi, contatta l’amico di Milano, cioè Andrea Manzoni. L’immobiliarista ha intenzione di chiedere all’uomo di Salvini di «fare una cosa retroattiva» rispetto al versamento.
E poi aggiunge: «Te lo avevo detto che era una rogna», riferendosi all’inchiesta dell’Espresso sull’associazione della Lega.
Ma è il passaggio successivo che rende l’idea di quanto scompiglio avessero provocato le domande: «Ragionando sulle possibili conseguenze dell’articolo, Parnasi e il suo commercialista, ipotizzano di creare una falsa documentazione contabile, retrodatata, per giustificare l’erogazione».
Ma perchè tanto trambusto? Forse perchè qualcuno non dice la verità .
Forse è arrivato il momento per il partito del ministro di pubblicare anche i nomi degli altri finanziatori della Più voci. Esistono, e sono diversi. Lo sostiene Parnasi, secondo cui almeno 10 imprenditori avrebbero versato alla Più voci. E ce lo aveva confermato il tesoriere della Lega, trincerandosi però dietro il muro della privacy.
In questi mesi L’Espresso ha ricostruito nei dettagli i flussi finanziari e societari della galassia leghista dopo gli scandali orchestrati dal vecchio tesoriere Francesco Belsito. E seguendo i fili degli affari da via Angelo Maj siamo arrivati fino in Lussemburgo, nel polmone offshore dell’Europa.
Proprio il Granducato dove la guardia di finanza di Genova ha inviato una rogatoria per raccogliere maggiori informazioni su strani movimenti di denaro.
Tanto che nei giorni scorsi sono state eseguite delle perquisizioni presso due filiali della Sparkasse, istituto di Bolzano dal quale sono transitati alcuni milioni riconducibili al partito, sospettano i detective.
Di quel denaro a distanza di cinque anni non c’è più traccia. Con il partito e il suo attuale leader che piangono miseria.
E allora come sopravvive il partito del ministro?
Con quali soldi?
(da “L’Espresso”)
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Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
E GIORGETTI DICE CHE LA LEGA NON HA ALCUNA INTENZIONE DI RESTITUIRLI (NON AVEVAMO DUBBI)
«Ne mettiamo cento sul giornale e cento sulla radio». «Ma alle tre di notte su Radio Padania manco per
il cazzo»: in questo scambio di battute da cui trapela un tripudio di romanità (soprattutto percepita) c’è un nuovo caso che riguarda l’inchiesta sullo Stadio della Roma a Tor di Valle.
A parlare sono Gianluca Talone, suo collaboratore, e Luca Parnasi: stanno discutendo, racconta oggi Repubblica, di soldi che stanno per essere bonificati su conti riconducibili alla Lega Nord.
Si tratta di altri soldi rispetto ai 250mila andati alla Onlus Più Voci, riconducibile alla Lega Nord anche se Parnasi nelle intercettazioni nega che l’associazione risponda al Carroccio, parlando invece di un circolo di imprenditori e politici.
Giancarlo Giorgetti oggi parla della questione con il Fatto Quotidiano e spiega che il Carroccio non ha alcuna intenzione di rendere pubblici i versamenti o restituire i soldi, come gli aveva chiesto ieri il giornale:
Lei sa quanti soldi ha versato Parnasi alla Lega?
Assolutamente no.
È stato lei il ponte tra Parnasi e il partito?
Parnasi diceva: “Voi mi piacete, vorrei aiutarvi per qualche iniziativa”. Gli ho detto che ne doveva parlare con l’amministratore del partito, Giulio Centemero. Ho scoperto adesso di questa associazione (la onlus Più Voci, ndr) di cui non faccio parte. Centemero mi ha detto che è stato fatto tutto in modo regolare.
Parnasi ha versato alla onlus 250mila euro?
Ne sapete più voi di me.
In un’altra intercettazione Parnasi parla di “100 e 100”, sembra riferirsi a due versamenti distinti.
Penso per la Procura sia agevole verificare.
Si impegna a rendere pubblici tutti i versamenti di Parnasi alla Lega?
Penso che arrivati a questo punto siano già abbastanza pubblici. Non ho motivo di ritenere che ci sia dell’altro.
La storia è interessante perchè racconta il curioso attivismo di Parnasi nei confronti del governo Lega-M5S, speculare a quello di Luca Lanzalone e del suo collaboratore che ha raccontato oggi La Stampa.
La ricostruzione parte dalla cena di marzo con Giorgetti e Lanzalone per la costituzione del nuovo esecutivo, e dal mese successivo, nel giorno in cui il Quirinale prendeva atto dello stallo nelle trattative per la formazione del nuovo governo con una nuova pausa di riflessione, «Parnasi propone una persona terza super partes, poi spartendo i vari ministeri, dice che bisogna stabilire le regole precise per l’alleanza e dice a Lanzalone di fare riferimento a Giancarlo (Giorgetti)».
Più avanti «Parnasi gli chiede se Luigi (Di Maio) sa del lavoro fatto con Giancarlo (Giorgetti), Lanzalone dice di sì. I due condividono che questa cosa sia stata utile».
Nelle discussioni successive, racconta Repubblica, il costruttore propone un premier terzo e un programma fatto sulla base di alcuni punti specifici, insomma un contratto: proprio quello che succederà qualche tempo dopo.
E il 2 giugno riuscirà a conoscere il presidente del Consiglio incaricato, mentre Lanzalone, a colloquio con il suo collaboratore Luciano Costantini afferma che Alfonso (il ministro della Giustizia, Bonafede, ndr) gli ha detto che vorrebbe portarlo ovunque e aspetterà che gli indichi la posizione che vuole assumere.
Luciano gli ha chiesto che cosa serve. Alfonso gli ha risposto che non ha ancora capito come funziona il ministero.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
LUCA CAPORILLI, BRACCIO DESTRO DEL COSTRUTTORE, VUOTA IL SACCO: “AVEVAMO ACCORDI PARTICOLARI CON LANZALONE”
Si erano incontrati pochi giorni fa e si sono rivisti ieri pomeriggio in piazzale Clodio. Lui, interrogato dai pm di Roma perchè agli arresti domiciliari con l’accusa di aver preso «mazzette» dall’imprenditore Luca Parnasi; e lei chiamata come testimone nella stessa vicenda.
Da una parte l’ex presidente di Acea vicino ai 5 Stelle, Luca Alfredo Lanzalone, e dall’altra la sindaca di Roma, Virginia Raggi.
«L’avvocato Lanzalone mi fu presentato dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e da Riccardo Fraccaro», ha spiegato Raggi al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e all’aggiunto Paolo Ielo, precisando: «Non si può dire che sia stata una mia scelta, io venivo dall’esperienza dell’arresto di Marra e quando chiesi un approfondimento sul concordato preventivo per alcune partecipate del Comune e un aiuto per la questione “stadio della Roma”, Fraccaro e Bonafede mi presentarono l’avvocato Lanzalone che consideravo un grande professionista».
Un modo elegante per scaricare l’avvocato genovese che tre piani più in alto rispondeva alle incalzanti domande del gip Maria Paola Tomaselli e del pm Barbara Zuin.
«Nella mia vita non ho mai compiuto nulla di illecito», ha spiegato. «Non sono un corrotto, sono venuto a Roma per dare una mano alla giunta. Mi sono messo in gioco personalmente, conosco Parnasi, ma non ho commesso alcun reato», ha giurato.
A tradire Lanzalone, però, uno stretto collaboratore di Parnasi: Luca Caporilli, 54 anni, dirigente di Eurnova, la «cassaforte» delle società dell’imprenditore romano, in carcere con l’accusa di associazione a delinquere, che ha ammesso l’esistenza di accordi particolari con Lanzalone.
È la tesi del gip Tomaselli, per il quale Lanzalone avrebbe usato i suoi poteri di mediatore per gli «interessi del Parnasi e del suo gruppo… in violazione dei doveri istituzionali di imparzialità e correttezza».
Tutto questo in cambio di «lucrosi incarichi dello studio legale Lanzalone & Partners, in persona di Luciano Costantini (socio di Lanzalone, ndr) e Stefano Sonzogni».
Nella lunga giornata di interrogatori sono stati sentiti anche l’imprenditore Parnasi, che si è avvalso della facoltà di non rispondere, così come altri tre dei suoi collaboratori.
A parlare, invece, è stato l’ex assessore regionale del Pd, Michele Civita. «Ho chiesto aiuto per mio figlio, è stata una leggerezza compiuta in buona fede», ha detto assicurando di «non aver mai favorito Parnasi», come dimostrerebbe il fatto all’epoca della richiesta il problema che interessava Parnasi era già stato risolto.
Si è avvalso della facoltà di non rispondere il vicepresidente del consiglio regionale, Adriano Palozzi, Forza Italia. Come persone informate sui fatti, infine, sono stati ascoltati il direttore generale della Roma, Mauro Baldissoni, e il nuovo Dg del Campidoglio, Franco Giampaoletti.
(da “La Stampa”)
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Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
PARNASI COMMENTA IL PRIMO FALLIMENTO DELL’ACCORDO: “DI MAIO E’ UN FESSO, CON IL LAVORO CHE ABBIAMO FATTO CON GIORGETTI…”
Giovanni Bianconi e Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera raccontano delle chiacchiere di governo
tra Luca Parnasi e Luca Lanzalone, avvenute quando il governo Lega-M5S sembrava quasi alla sua alba e poi verso un prematuro tramonto.
I dialoghi tra i due sono piuttosto significativi, soprattutto se letti con il senno di poi:
Nello stesso dialogo del 6 aprile, giorno in cui il Quirinale prendeva atto dello stallo nelle trattative per la formazione del nuovo governo con una nuova pausa di riflessione, «Parnasi propone una persona terza super partes, poi spartendo i vari ministeri, dice che bisogna stabilire le regole precise per l’alleanza e dice a Lanzalone di fare riferimento a Giancarlo (Giorgetti)».
Più avanti «Parnasi gli chiede se Luigi (Di Maio) sa del lavoro fatto con Giancarlo (Giorgetti), Lanzalone dice di sì. I due condividono che questa cosa sia stata utile».
Un mese più tardi, il 6 maggio, mentre i contatti tra i partiti si erano di nuovo interrotti, Parnasi telefona a Lanzalone e «chiede se hanno trovato una quadra per la formazione del nuovo governo. Lanzalone ne ha parlato con Giancarlo (Giorgetti) che a sua volta gli ha detto “con Salvini”…
E qui ci sono anche considerazioni su Di Battista, il cui nome spunta nella ricerca di un premier. Ma viene bocciato, per ragioni “mediatiche” prima che politiche:
Lanzalone voleva fare un sondaggio e si lamenta delle uscite pubbliche sui giornali di Di Maio. Commentano che l’unica cosa è un governo di scopo per andare a nuove elezioni, e spunta il nome di Di Battista. Lanzalone dice che Di Battista prende solo “la pancia” del Movimento ma perde altri voti. Parnasi commenta che Di Maio è stato “fesso ”e dice che “con il lavoro che abbiamo fatto io e te avevamo fatto il governo”.
Lanzalone risponde “erano a un pelo”… hanno fatto un casino da una parte e dell’altra, e dice che lo stesso problema ce l’ha Giancarlo (Giorgetti) con Salvini». Quaranta giorni dopo Parnasi è a San Vittore e Lanzalone agli arresti domiciliari, mentre Giorgetti, Salvini e Di Maio siedono a Palazzo Chigi.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
MENTRE LA RAGGI RIVELA: “LANZALONE ME LO HANNO MESSO BONAFEDE E FRACCARO, NEANCHE SAPEVO CHI FOSSE”
Tra le intercettazioni dell’inchiesta sullo stadio della Roma ci sono anche quelle che riguardano l’attuale ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che con Riccardo Fraccaro ha portato Luca Lanzalone in Campidoglio, come confermato ieri dalla stessa sindaca Virginia Raggi: «Non si può dire che sia stata una mia scelta, io venivo dall’esperienza dell’arresto di Marra e quando chiesi un approfondimento sul concordato preventivo per alcune partecipate del Comune e un aiuto per la questione “stadio della Roma”, Fraccaro e Bonafede mi presentarono l’avvocato Lanzalone che consideravo un grande professionista».
Si parte, racconta La Stampa, dagli interrogatori di ieri, dove uno dei collaboratori di Parnasi ha vuotato il sacco:
Luca Caporilli, 54 anni, dirigente di Eurnova, la «cassaforte» delle società dell’imprenditore romano, in carcere con l’accusa di associazione a delinquere, che ha ammesso l’esistenza di accordi particolari con Lanzalone. È la tesi del gip Tomaselli, per il quale Lanzalone avrebbe usato i suoi poteri di mediatore per gli «interessi del Parnasi e del suo gruppo… in violazione dei doveri istituzionali di imparzialità e correttezza».
utto questo in cambio di «lucrosi incarichi dello studio legale Lanzalone & Partners, in persona di Luciano Costantini (socio di Lanzalone, ndr) e Stefano Sonzogni».
E proprio La Stampa in un articolo a firma di Francesco Grignetti spiega come si sta muovendo attualmente Bonafede e dell’aiuto dello studio Lanzalone al ministero della Giustizia:
È il 2 giugno quando Lanzalone si confronta il suo collega Luciano Costantini e si sfoga: «Stamani alla cerimonia c’era solo Luigi (Di Maio, ndr). È sbagliato». I carabinieri annotano: «Luciano Costantini afferma che Alfonso (il ministro della Giustizia, Bonafede, ndr) gli ha detto che vorrebbe portarlo ovunque e aspetterà che gli indichi la posizione che vuole assumere. Luciano gli ha chiesto che cosa serve. Alfonso gli ha risposto che non ha ancora capito come funziona il ministero».
Se Costantini è quasi sistemato, Lanzalone di sè dice di «avere detto a Luigi (Di Maio, ndr) che è interessato alla nomina a commissario straordinario in qualche amministrazione straordinaria piuttosto che in Cassa Depositi e Prestiti».
Già , i due avvocati sono uomini di mondo e puntano al sodo.
Annotano i carabinieri: «Parlano degli amministratori giudiziari che sono sempre gli stessi e citano Laghi (Enrico Laghi, amministratore straordinario di Ilva e Alitalia, amico di Lanzalone, ndr) che fattura 700 mila euro al mese». Ah, ecco.
Anche Repubblica riporta gli stessi particolari della conversazione e aggiunge un altro dettaglio: Lanzalone dice che dovrà sentire Conte perchè ha bisogno “di una firma sui fanghi”.
Non si capisce però a cosa faccia riferimento l’avvocato (non più) preferito dai 5 Stelle.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
LEGA E M5S PENSAVANO DI INCASSARE 60 MILIARDI, ORA SONO DIVENTATI 13, MA NEANCHE QUELLI SONO PIU’ CERTI…E ALLORA DALLA “PACE FISCALE” (CHE ELIMINA IL DEBITO) SI PASSA AL CONDONO TOMBALE (CHE IMPEDIRA’ ANCHE FUTURI ACCERTAMENTI)
La cosiddetta pace fiscale è il condono previsto dal contratto fra MoVimento 5 Stelle e Lega. ![](https://s15.postimg.cc/x6ni33rmz/PAGLIACCI.jpg)
Il condono previsto dal contratto di governo prevede che nella maggior parte dei casi si paghi il 25% del dovuto per chiudere i conti.
Con il passare dei giorni è cresciuta una tentazione: trasformare la pace fiscale in un vero e proprio condono tombale.
C’è un precedente, quello del 2002 del governo Berlusconi: lo Stato incassò 34 miliardi di euro, record assoluto nel pur ricco ramo delle sanatorie.
Spiega oggi il Corriere della Sera che il problema da risolvere per il partito degli onesti è che gli incassi saranno molto minori di quello che si aspettavano Lega e M5S, da 60 miliardi ad appena 13:
I calcoli della Lega partono dal totale dei vecchi crediti dell’Agenzia delle Entrate,che superano gli 800 miliardi di euro. Il guaio è che gran parte di quei crediti sono soltanto teorici, non più recuperabili.
Perchè riguardano persone che nel frattempo sono morte, oppure nullatenenti, o proprietari solo della prima casa che non si può toccare per legge, o ancora imprese che nel frattempo sono fallite.
Secondo quanto indicato in passato dalla stessa Agenzia delle Entrate, in un’audizione parlamentare, e poi certificato dalla Corte dei conti, la cifra su cui sarebbe possibile recuperare qualcosa arriva a 51 miliardi di euro.
Considerato che il condono previsto dal contratto di governo prevede che nella maggior parte dei casi si paghi il 25% del dovuto per chiudere i conti, ecco che si arriva a 13 miliardi di euro.
Una stima che potrebbe scendere verso il basso, perchè nel frattempo dai quei 51 miliardi qualcosa è andato via con le due rottamazioni delle cartelle di Equitalia.
Proprio per questo la Lega vorrebbe trasformare la pace fiscale in un vero e proprio condono tombale.
La differenza non è da poco. Il condono classico cancella solo i debiti che in quel momento sono iscritti a ruolo, cioè già noti al Fisco.
Il condono tombale non solo cancella i debiti già noti ma elimina ogni possibilità di accertamento sul passato per chi fa domanda.
La Lega è tentata anche perchè il condono tombale lo approvò nel 2002, al governo con Silvio Berlusconi. Allora lo Stato incassò 34 miliardi di euro, spalmati su più anni, record assoluto nel pur ricco ramo delle sanatorie.
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
CONTINUA LA TELENOVELA DEI SOLDI NON VERSATI DAI PARLAMENTARI FUORIUSCITI DAL PD PER FONDARE LEU
La storia dei parlamentari fuoriusciti dal Partito Democratico e dei soldi non versati da chi ha fondato MDP e poi Liberi e Uguali si arricchisce di un nuovo capitolo.
Il tesoriere del Partito Democratico ha fatto un ricorso al tribunale civile e un decreto ingiuntivo nei confronti dei “morosi”. Tra cui c’è Pietro Grasso, spesso chiamato in causa in queste vicende
La mannaia di Francesco Bonifazi affonda il colpo giusto in tempo per gli opening party di Ibiza, isola della quale il tesoriere dem è assiduo frequentatore. I soldi per far quadrare i conti del Pd arriveranno dai “traditori”.
Quelli che prima hanno fondato il gruppo Mdp e poi Liberi e Uguali. I bersaniani, insomma.
Dovevano dei soldi al partito che, dopo la scissione, non hanno più versato.
E allora i compagni si sono rivolti alla giustizia. Il Tribunale civile ha dato loro ragione. Abbandonare il partito di elezione non cancella l’obbligo di versare le quote pregresse. Così sono arrivati i decreti ingiuntivi.
Anche all’ex presidente del Senato Pietro Grasso. Che ha guidato Leu, in maniera abbastanza modesta, alle elezioni e che adesso rischia una condanna per insolvenza.
Grasso deve 80mila euro ma ha fatto sapere di non aver ricevuto alcuna ingiunzione:
All’epoca la scissione dei bersaniani era costata 630mila euro l’anno, in termini di mancati versamenti ai Gruppi parlamentari. Ora quei soldi tornano indietro con gli interessi.
«L’esperimento di recupero delle somme dovute dai parlamentari morosi sta producendo gli effetti desiderati», informa una nota del Pd, «degli oltre 60 decreti ingiuntivi richiesti, per un totale di circa 1,6 milioni, ne sono stati emessi una larga parte, peraltro, riconoscendo l’immediata esecutività del credito. Questi proventi saranno destinati in favore dei lavoratori».
Secondo statuto, i parlamentari piddini dovevano restituire 1.500 euro al mese della loro indennità . Gli onorevoli entrati in rotta di collisione con Renzi hanno approfittato della situazione per tenersi i soldi. Ma ora devono sganciare. Grasso deve qualcosa come 80mila euro.
Lui? Parla di «ritorsione» e dice di non aver avuto nessuna notifica.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 16th, 2018 Riccardo Fucile
IN UN PAESE DOVE CLANDESTINI DELL’UMANITA’ ISTIGANO ALL’ODIO, L’ESEMPIO DI UN ATTO DI AMORE NON POTEVA VENIRE CHE DA UN BAMBINO
Una traballante presa di corrente deve aver provocato qualche scintilla in cucina. Forse vicino a uno
straccio, a un rotolo di carta. Primo focolaio di un incendio che alle 4 del mattino, in pochi minuti, ha devastato i due livelli di un appartamento in pieno centro a Messina.
Un rogo che segna la fine di due creature, Francesco Filippo, 13 anni, e Raniero di 10. Con il più grande che, stando alle prime ricostruzioni, è riuscito a saltare giù dal soppalco, ma che poi è tornato indietro per salvare il fratellino, finendo entrambi bloccati e soffocati sui tizzoni della scala di legno.
Sacrificio di un piccolo grande eroe.
Un lutto infinito per Giovanni Messina e Chiara Battaglia, i genitori che sono riusciti a strappare al fuoco gli altri figli, di 8 e 6 anni, Tancredi e Francesco.
Mentre sulla tragedia già cresce la polemica. Con soccorritori convinti di un forte ritardo dei Vigili del fuoco. Increduli quando si dà per certo che «un’autobotte e una squadra sono arrivate da Milazzo, 40 minuti di autostrada», come ripete il cugino dei Messina, Fernando Rizzo, un civilista che abita nella stessa palazzina, al secondo piano, in salvo pure lui con moglie e figli, in fuga lungo un cornicione dopo avere abbattuto la persiana di un appartamento disabitato.
È stato lo stesso avvocato a chiamare concitato il centralino dei Vigili del fuoco dove il primo allarme era giunto alle 4.07 con la voce di una vicina di casa terrorizzata.
E dalla caserma di via Salandra, distante appena un chilometro, sono schizzate verso la centralissima via dei Mille due camionette, seguite da auto-botte e scala aerea. Troppo grande quest’ultima per incunearsi fra i rami degli alberi piantanti sui marciapiedi dove erano già arrivate, impotenti, una volante della polizia e un’ambulanza.
In quei momenti l’avvocato Rizzo guidava infatti la piccola colonna di fuggitivi. È accaduto tutto in tre, quattro minuti. Il fuoco ha svegliato nella camera da letto del primo piano marito e moglie che, spalancata la porta d’ingresso, sono riusciti ad afferrare i due bimbi dai loro lettini. Un fumo denso impastava già le loro gole quando, correndo al secondo piano, hanno bussato a casa del cugino.
Papà Gianmaria ha provato a tornare indietro per correre verso Francesco Filippo e Raniero, mentre la madre gridava i loro nomi. «Il fumo sembrava un muro», racconta questo padre che non si dà pace ricordando la forzata ritirata con il pensiero ai bimbi rimasti dentro.
«Ma avevamo la speranza che arrivassero i vigili a salvarli», ripete come un automa la mamma, a sera, in una stanzetta del Papardo, l’ospedale dove sono finiti tutti sotto controllo. Resterà per sempre nella loro memoria quella fuga su un cornicione di 30 centimetri. Con Rizzo che porta via tutti su un balcone scavalcato per raggiungere la finestra dell’appartamento attiguo, unica via di salvezza, scrutando giù sulla strada, dove i vigili non arrivavano.
Smorza le polemiche il comandante dei pompieri, l’ingegnere Pietro Foderà , negando ritardi nelle operazioni: «Siamo riusciti a salvare gli abitanti dell’area, evacuando anche gli edifici adiacenti, ma le fiamme in quell’appartamento con parquet, soppalco e scala di legno hanno subito avvolto tutto».
Lo ha ripetuto ai funzionari di polizia che stilano verbali, coordinati dalla pm Annalisa Arena, turbata anche lei dalla storia del piccolo eroe, Francesco Filippo, ieri mattina atteso alla scuola «Verona Trento» per gli esami di licenza media, interrotti fra le lacrime da professori e compagni di classe.
Agghiacciante la vista della palazzina ridotta a un ammasso nerastro, a due passi dai negozi dei Messina sullo stesso viale, una boutique per bimbi e un negozio per adulti. La loro vita concentrata lì, come ricorda Laura Pulejo, la vicina: «Facendo la spola per accompagnare i figli a scuola o in palestra. Due genitori magnifici…».
(da “il Corriere della Sera“)
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