MILLE PERSONE ALLA DERIVA DAVANTI ALLA LIBIA, LA GUARDIA COSTIERA ITALIANA PRIMA DA’ L’ALLARME POI SI DEFILA
Giugno 24th, 2018 Riccardo FucileLA DENUNCIA DI PROACTIVA OPEN ARMS: “CI HANNO DETTO CHE DOBBIAMO LASCIARE FARE ALLA GUARDIA COSTIERA LIBICA” VIOLATA LA CONVENZIONE DI AMBURGO E LA RECENTE SENTENZA DEL TRIBUNALE DI RAGUSA .. NON ESISTE UNA ZONA SAR LIBICA, FUORI DALLE 30 MIGLIA SONO ACQUE INTERNAZIONALI
Ci sono mille migranti alla deriva nel Mediterraneo a bordo di sei barconi forse in acque libiche.
Il coordinamento dei soccorsi è stato assunto dalla Guardia costiera di Tripoli, dopo la prima segnalazione di emergenza fornita da quella italiana.
Il Centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma, infatti, una volta ricevuta l’allerta, ha avvisato tutte le navi in transito in quella zona, con un messaggio circolare e contemporaneamente ha avvisato i libici della situazione.
Ma attorno alla segnalazione di emergenza lanciata dall’Italia si è creato un caso, perchè la Ong spagnola Proactiva Open Arms, la cui nave si trova a 65 miglia dai barconi, accusa su Twitter: “Alle 12.40 abbiamo risposto alle 7 chiamate della Guardia costiera di Roma rivolte a tutte le navi per il salvataggio in acque internazionali di 1.000 persone alla deriva. Risposta: ‘Non abbiamo bisogno del vostro aiuto’“.
Poco fa, sempre sui social, l’organizzazione non governatica iberica ha scritto ancora: “Circa 1.000 persone alla deriva. La Guardia costiera di Roma lancia un avviso a tutte le imbarcazioni della zona e quando chiediamo istruzioni, ci rispondono: ‘Non siete necessari’. Se non vogliono barche che vadano in soccorso, cosa vogliono?”.
Fonti della Guardia costiera, pur senza replicare alle affermazioni della Ong, sottolineano che a tutte le navi in transito è stata data la stessa indicazione e cioè di rivolgersi alla Guardia costiera libica poichè le imbarcazioni in difficoltà si trovano in acque di ricerca e soccorso della Libia.
“Il Centro di coordinamento di Roma passa tutti i casi in acque internazionali alla “Guardia costiera libica” — sottolinea la ong — Assisteremo al più grande respingimento della storia del Mediterraneo, eseguito con la forza e contro la volontà delle persone. Troveranno presto altre vie di fuga via terra”.
Il nuovo scontro tra la Guardia costiera italiana — che sabato aveva annunciato alle navi in una circolare “da oggi rivolgetevi ai libici” — avviene nel giorno in cui viene lanciato un appello al Comando generale delle Capitanerie di Porto e “alle loro coscienze” per chiedere l’immediato ripristino delle operazioni di soccorso in mare nei riguardi delle Ong. La lettera è stata inviata via e-mail da moltissime persone che hanno aderito all’invito lanciato attraverso i social.
“La Guardia Costiera italiana — sottolinea il documento — ha sempre svolto importanti operazioni di soccorso in mare portando in salvo migliaia di persone, operando anche al limite delle acque libiche. Ci chiediamo perchè oggi delegando alla Libia, Paese con Governo instabile, non in grado di garantire i diritti fondamentali dell’uomo e ancora priva di una Centrale operativa nazionale di coordinamento degli interventi di soccorso in mare, il vostro Corpo, pur eseguendo un comando, intenda vanificare l’importante operato fin qui svolto e contravvenire alla Convenzione Sar siglata ad Amburgo nel 1979 ed alla Convenzione Onu sul diritto del mare del 1982″.
L’appello ricorda che sulla Guardia Costiera Libica pesano pesanti accuse di “condotte violente durante le intercettazioni in mare e collusione con i trafficanti“, come evidenziato da un recente Rapporto di Amnesty International e “sono in corso indagini da parte del Tribunale penale internazionale“.
Inoltre, il Tribunale di Ragusa nel caso Open Arms, ha precisato che le responsabilità di ricerca e soccorso non possono essere delegate a Paesi che non sono in grado di offrire porti sicuri, come appunto la Libia. Le operazioni di soccorso — sottolinea ancora il documento — “si devono concludere in un porto sicuro nel più breve tempo possibile, sempre in rispetto della Convenzione Sar”.
LA LIBIA NON HA UNA ZONA SAR
La Libia infatti ha rinunciato ad avere una SAR nel dicembre scorso dopo che a luglio aveva mandato all’International Maretime Organisation (Imo), l’organizzazione legata ad una convenzione Onu che promuove tecniche e principi di navigazione a livello internazionale, una notifica con cui comunicava l’estensione della sua Sar.
Come si evince da un documento che prende in esame la situazione dei soccorsi in mare nel Mediterraneo Centrale nel caso di stati che non hanno dichiarato la propria area SAR (come appunto la Libia) i poteri di coordinamento delle operazioni di salvataggio in mare (ovvero quelli svolti dagli MRCC) sono limitati alle acque costiere e a quelle immediatamente adiacenti.
Nei casi di soccorso in acque internazionali invece le navi che sono in transito possono invocare il principio della libertà dell’alto mare (UNCLOS,Articoli 58(1), 87(1)(a) e90) che stabilisce la libertà di navigazione.
La guardia costiera libica non ha quindi alcun potere di dare istruzioni o coordinare i soccorsi nè può impedire alle imbarcazioni di iniziare operazioni di soccorso.
Ad oggi gli interventi della guardia costiera libica sono stati infatti coordinati dall’IRMCC della Guardia Costiera italiana (che opera alle dipendenze del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti).
Come abbiamo spiegato un evento SAR deve obbligatoriamente concludersi in un porto designato sul territorio dello Stato che sta coordinando i soccorsi.
Per la Libia ci sarebbe un ulteriore problema visto che è indubitabile che i porti libici non corrispondono alla definizione di place of safety.
Come è possibile verificare sul sito Sarcontacts non esistono nemmeno i contatti per chiamare la SAR libica mentre ci sono quelli per contattare la SAR italiana.
Questo perchè non esiste una MRCC libica; ed essendo le SAR unilateralmente dichiarate, dovrebbero essere i libici ad annunciarla e non l’Italia.
Per istituire un’area SAR servono particolari infrastrutture di sorveglianza e di comunicazione che la Libia oggi non ha (l’Italia e l’UE stanno finanziandone la costruzione). I libici prevedono di dichiarare la propria area SAR nel 2020.
(da “Il Fatto Quotidiano”)