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LA GIORNATA DA VASO DI COCCIO DI DON ABBONDIO TRIA

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

STRETTO FRA LA STRONCATURA UE E L’ARROGANZA DI SALVINI E DI MAIO…CON UN DEF ANCORA DA SCRIVERE E LA PROPOSTA DI NUOVE CLAUSOLE

Sull’aereo che in tarda serata lo riporta con urgenza a Roma dopo la riunione dell’Eurogruppo a Lussemburgo, il ministro dell’Economia Giovanni Tria porta con sè il biglietto e un bagaglio.
È l’eredità , gravosa, di una giornata sotto pressione. Una giornata da vaso di coccio tra tensioni che hanno attraversato tre piani differenti: l’Europa – che ha stroncato la decisione di portare il deficit al 2,4% – i mercati, con lo spread schizzato a 282 punti, e le rivendicazioni di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che non mollano la presa sull’impianto della manovra per incassare il superamento della Fornero e il reddito di cittadinanza.
E lui, il ministro che un mese fa aveva promesso ai suoi colleghi di tenere i conti sotto controllo, punto di caduta di una fibrillazione crescente e con la preoccupazione di una Nota di aggiornamento tutta da scrivere perchè, ad oggi, ancora piena di spazi bianchi.
Un biglietto e un bagaglio si diceva.
Sul biglietto, Tria ha impresso la difesa della linea del 2,4 per cento. “Il deficit al 2,4% – ha detto al termine dell’Eurogruppo – è un numero che non corrisponde esattamente ad alcune regole europee ma fa parte della normale dinamica europea: è sempre accaduto a molti Paesi nel corso degli ultimi decenni, se andiamo a vedere il numero di Paesi che sono in regola con tutte le regole europee sono pochissimi”.
Il bagaglio ha invece una targhetta e la voce “destinatario” recita Salvini e Di Maio. Per Tria toccherà  a loro – è il ragionamento ricostruito da alcune fonti di governo – lavorare a testa bassa per trovare la corrispondenza tra le misure pretese e i saldi della Nota di aggiornamento al Def.
Tria è arrivato a Lussemburgo con un bagaglio altrettanto pesante. Dentro c’era la forzatura del deficit imposta dai due vicepremier e una Nota di aggiornamento al Def di fatto senza numeri. Non solo.
I minuti che hanno accompagnato la sua entrata alla riunione dell’Eurogruppo sono stati gli stessi minuti che hanno registrato una scossa pesantissima sui mercati, con Piazza Affari in affanno e lo spread in rampa di lancio per sfondare quota 280, chiudendo poi a 282.
È metà  pomeriggio ed è il momento più drammatico e debole di una giornata che si prospetta ancora lunga.
È qui che matura la decisione di rientrare prima in Italia, annullando la partecipazione all’Ecofin di domani: il lavoro da fare sul Def è ancora in alto mare, le opposizioni insorgono, gli investitori mostrano tutto il loro nervosismo per l’incertezza sui dettagli della manovra.
Lo spread a due anni sale di circa 30 punti. Meglio ritornare in Italia e provare a mettere i numeri in fila. Dall’Italia, inoltre, Di Maio e Salvini rilasciano dichiarazioni continue per ribadire che il 2,4% non si tocca.
Prima – ed è il cuore della sua missione – c’è però da spiegare all’Europa perchè un mese fa si era impegnato a portare il deficit al massimo all’1,6% e ora si vuole salire fino al 2,4%, tra l’altro per tre anni.
A margine dell’Eurogruppo, Tria incontra i due guardiani dei conti, il commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici e il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis.
Dopo lo strappo che si è consumato con la Nota di aggiornamento al Def, Tria ha dovuto costruire una motivazione che potesse reggere, quantomeno nelle intenzioni. L’ha spiegata ieri in un’intervista al Sole 24 ore con questo ragionamento e l’ha ribadita oggi: “La crescita tendenziale, a legislazione vigente, per l’anno prossimo sarebbe dello 0,9%, contro l’1,4% previsto prima. Questo porta il disavanzo 2019, sempre in termini tendenziali, all’1,2%. Questo deficit includeva un aumento dell’Iva da 12,5 miliardi, che il governo ha ribadito fin dall’inizio di voler bloccare. In altri termini già  per 2019 l’eredità  effettiva lasciata, nelle nuove condizioni economiche, era di un deficit già  sostanzialmente vicino al 2 per cento”.
E considerando che lo 0,2% del Pil sarà  riservato, nelle intenzioni del governo, agli investimenti, ecco che lo sforzo aggiuntivo chiesto all’Europa si riduce ad appena lo 0,2%, circa 3,5 miliardi.
A questo ragionamento, Tria ha aggiunto quello sulla crescita: se il meccanismo pensato dal governo non porterà  a un rafforzamento del Pil allora entrerà  in azione il piano di riserva, cioè contenere il rialzo del deficit con la revisione della spesa.
In altre parole con i tagli.
È il tentativo di normalizzare quello che va oltre le regole, cioè il 2,4%. Tria ha sulle spalle il peso del mediatore che deve difendere gli interessi nazionali.
Ma sul volo per Roma è il momento di tirare fuori il bagaglio.
È ingombrante e il peso è quello di una difficoltà  che domani sarà  ancora in scena dentro le stanze del governo.

(da “Huffingtonpost”)

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MATTARELLA RICEVE CONTE: “VI RENDETE CONTO DI QUELLO CHE STA ACCADENDO?”

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

PRESSING DEL QUIRINALE SUL GOVERNO DEI LADRI DEI RISPARMI DEGLI ITALIANI… MA CHI LAVORA PER DISTRUGGERE L’EUROPA AL SERVIZIO DI POTENZE STRANIERE SE NE FREGA DEL DESTINO DEL POPOLO ITALIANO

L’incontro dà  il senso della delicatezza del momento. Giuseppe Conte sale al Colle. Proprio nel giorno in cui, di fatto, l’Europa boccia il Def gialloverde perchè un aumento del deficit su spesa improduttiva (non per investimenti) fa lievitare il debito. E mentre lo spread sale ancora sui mercati, oltre la soglia raggiunta nel venerdì nero. Ancor più preoccupante l’allargarsi dello spread a due anni, che fotografa le maggiori incertezze degli investitori verso l’Italia nel prossimo futuro: in questo caso il differenziale sale di una trentina di punti.
È la fotografia di un nuovo “caso Italia”.
§Di un incendio destinato a divampare, se qualcuno non indosserà  i panni del pompiere. Anche perchè, i pochi pompieri che c’erano, come nel caso del ministro dell’Economia sono stati inchiodati alla logica del gran falò dei conti pubblici.
Non c’è da stupirsi se, in questo quadro, Sergio Mattarella si è sentito in dovere di chiedere, nel corso del colloquio col premier, se si ha la consapevolezza di quel che sta accadendo.
Conte fa sapere in una nota che “si è trattato di un proficuo scambio svoltosi in un clima sereno e costruttivo”.
Sia come sia, il senso è di un garbato pressing del Quirinale perchè c’è ancora tempo affinchè prevalga la ragionevolezza.
O meglio affinchè il premier si faccia interprete, di questa ragionevolezza. Non è dato sapere quanto Mattarella confidi il questa eventualità , leggendo baldanzose dichiarazioni di giornata di Di Maio sull’Unione europea che “gioca a fare terrorismo sui mercati”, o sull’irrinunciabilità  a fare spesa in deficit.
Dichiarazioni rilasciate, e non è un dettaglio, dopo che è uscita la notizia dell’incontro al Quirinale del presidente del Consiglio.
Parole che alimentano il timore, nei vertici delle istituzioni, che proprio la manovra, rappresenti il terreno consapevole dell’innesco di un conflitto con l’Europa, teorizzato, voluto e perseguito dai teorici del cosiddetto “piano B”.
Tutti gli elementi portano a dire che, su questo dossier, Di Maio abbia consapevolmente messo nel conto un conflitto anche istituzionale, come ai tempi dell’impeachment e dalla linea di sfida al Quirinale in nome di Paolo Savona, il teorico, appunto, del “piano B”.
È chiaro, però, che compito di un capo dello Stato è comunque di tutelare l’interesse nazionale, nei limiti dei propri poteri e delle proprie prerogative.
E che, in questo iter lungo e complicato, non si limiterà  al ruolo di spettatore, come ha fatto capire solo un paio di giorni fa nel suo primo “monito” in materia di conti pubblici.
È presto per porsi, sin da ora, la fatidica domanda: “Mattarella firmerà  una manovra che mantiene questo livello di deficit, in un aperto conflitto con l’Europa e dopo settimane di inferno sui mercati?”.
Però non è presto constatare che, in questa fase, c’è un certo attivismo presidenziale, anche in termini della più classica moral suasion.
Perchè, evidentemente, al Colle nessuno vuole passare alla storia come complice del default nazionale.
Parliamoci chiaro, il rischio c’è. I mercati hanno dato i primi segnali di fibrillazione, ma sono in chiara “attesa speculativa”, finchè non saranno resi noti i numeri della manovra.
Non c’è un solo operatore finanziario e un solo economista di rilievo a non aver spiegato che questo Def è solo una misura elettorale, fatta di spesa corrente, e non di investimenti per creare lavoro.
Più debito, in un paese che già  ha un debito altissimo e proprio del momento in cui si sta chiudendo l’ombrello della Bce. La classica tempesta perfetta.
La domanda, a fine giornata, rimbalza nelle conversazioni informali di chi è di casa al Colle: “Conte che pure ha capito quale è la posta in gioco, avrà  la forza di spiegarlo a Salvini e Di Maio?”.
E la risposta non tarda ad arrivare, purtroppo per Mattarella. Fonti di Palazzo Chigi infatti spengono qualsiasi speranza e mostrano come il premier sia allineato e coperto sulle posizioni di Di Maio e Salvini: “Conte ha ribadito la bontà  della manovra economica a cui il governo sta lavorando, ribadendo anche che l’impostazione del Def non è in discussione, incluso il rapporto deficit/Pil al 2,4%”. Punto.

(da “Huffingtonpost”)

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BOCCIATO E RIMANDATO A CASA: TRIA ANTICIPA IL RIENTRO PER RIFARE I CONTI

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

MOSCOVICI: “NON E’ LUI CHE HA SCELTO QUESTA DIREZIONE”…”IL 2,4% NON E’ CREDIBILE”

Italia bocciata. La manovra economica con un deficit del 2,4 per cento del pil per i prossimi tre anni non passa la prova dell’Eurogruppo.
Oggi la riunione a Lussemburgo, a pochi giorni dall’approvazione della nota di aggiornamento al Def da parte del governo italiano. Il ministro del Tesoro Giovanni Tria si presenta ancora senza dati, senza dettagli.
Ma trova subito tanta preoccupazione e un disco rosso: il 2,4 per cento non va, gli spiegano il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis e il commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici in un incontro a margine del vertice lussemburghese.
Subito dopo, il ministro del Tesoro riparte: a sorpresa torna a Roma, anticipa il rientro per rifare i conti. Più precisamente, per svolgere la mission che gli affida l’Europa: convincere il governo a “tornare indietro”.
Perchè all’Eurogruppo non se la prendono con Tria. “Non è lui che vuole andare in questa direzione”, dice chiaramente Moscovici in conferenza stampa.
Prima di Moscovici, anche il presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno ‘salva’ Tria dalla tempesta di “dubbi e interrogativi” che in Europa avvolgono gli annunci italiani sulla legge di bilancio.
Lo sanno che Tria non avrebbe voluto portare il deficit ad una soglia così elevata e per giunta per tre anni. Sanno che è uscito sconfitto dal braccio di ferro con Luigi Di Maio (soprattutto con lui) e Matteo Salvini (che però con il suo luogotenente Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, esprime una linea più prudente, aprendo a modifiche alla manovra).
No, all’Eurogruppo l’imputato non è Tria bensì il governo gialloverde e il premier Giuseppe Conte, atteso a Bruxelles per il consiglio europeo del 18 ottobre. Considerato che il 15 ottobre, Roma dovrà  presentare la manovra nel dettaglio, il consiglio Ue sarà  la prima occasione utile per chiederne conto.
Ma fino al 15 ottobre i partner europei sperano che il governo italiano cambi idea. Insomma si sforzano di non considerare definitivi gli annunci fatti dopo l’approvazione della nota di aggiornamento del Def in consiglio dei ministri lo scorso giovedì sera.
Non li considerano ‘credibili’, la peggiore delle accuse.
Ecco le parole di Centeno: “Aspettiamo ancora i dati, ma oggi abbiamo avuto un dialogo con Tria. Siamo tutti consapevoli di ciò che è in ballo: siamo tutti legati all’euro. E ora sta all’Italia presentare una legge di bilancio credibile e sostenibile…”. Un deficit al 2,4 per cento del pil fino al 2021 “il governo italiano sa bene che cosa significa ed è una responsabilità  che si assume — dice Moscovici – Spero che il governo sia franco con il popolo italiano delle conseguenze: aumentare la spesa pubblica può condurre ad un guadagno politico ed economico di breve termine. Non per il ministro delle Finanze, non è lui che spinge: ma alla fine, chi paga il conto?”.
E allora Tria proverà  a forzare. “La posizione della Commissione è chiara, tenteremo di convincere l’Italia a tornare indietro”, aggiunge Moscovici. Ne va della “fiducia nella zona euro”.
“La Commissione vuole essere in grado di visionare i documenti e questo accadrà  alla metà  di ottobre — dice Dombrovskis – ma la nostra valutazione riguardo a quello che emerge fino ad ora è che il piano italiano non sia compatibile con il Patto di stabilità “.
La manovra italiana non era nemmeno all’ordine del giorno dell’Eurogruppo di oggi. Eppure il tema diventa centrale, a dimostrazione di quanta preoccupazione abbia sollevato tra le Cancellerie dell’Unione.
Quel 2,4 per cento è l’incubo dei colloqui tra i leader, l’epicentro delle domande ai leader da parte della stampa: anche la stampa straniera chiede del Belpaese.
Tanto che durante la conferenza stampa viene fatta esplicita richiesta di cambiare argomento: stop alle domande sull’Italia, troppe, Centeno e Moscovici hanno detto tutto quello che potevano dire.
Ora aspettano i dati, aspettano di capire come si evolveranno “i negoziati ancora in corso a Roma”, azzarda il presidente portoghese lasciando intendere di una dinamica interna al governo italiano che evidentemente ancora non ha espresso l’ultima parola. O per lo meno, quella espressa finora in Europa, non viene presa sul serio.

(da “Huffingtonpost”)

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“ECCO I 17 MILIARDI DI COPERTURE PER IL REDDITO DI CITTADINANZA”: MA ORA CHE E’ AL GOVERNO I SOLDI NON CI SONO PIU’

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

QUANDO I BALLISTI DICEVANO DI AVERE I SOLDI “CERTIFICATI UNO A UNO” MENTRE ORA FANNO DEFICIT

“Il Movimento 5 stelle ha trovato le coperture per il reddito di cittadinanza. Leggi qui!”.
Sono decine i post del blog di Beppe Grillo – quando ancora era l’organo ufficiale – che rimandano a un articolo di fine aprile 2015 che elenca tutte le risorse che sarebbero state dirottate per finanziare la madre di tutte le proposte stellate.
Peccato che le coperture che dall’opposizione M5s definiva “certificate una ad una”, al contrario “dei numeri di aria fritta sulla crescita del Pil o della disoccupazione forniti a giorni alterni dal governo” (all’epoca a Palazzo Chigi sedeva Matteo Renzi) ora che sono al governo non ci siano più. E che gran parte del reddito verrà  finanziato in deficit.
Parole paradossali da leggere oggi.
Sia per le critiche rivolte all’esecutivo di allora, sia per il braccio di ferro condotto all’interno dell’attuale governo sulla necessità  di finanziare le spese in deficit, fino a forzare il 2,4% di rapporto deficit/Pil oggi sostanzialmente bocciato dall’Europa.
Quei 17 miliardi messi nero su bianco quando il Movimento era all’opposizione, ora che il Movimento è al governo si sono dissolti come neve al sole.
Ecco il dettaglio delle spese a questo punto soltanto immaginate dai 5 stelle quando pensarsi al governo non era niente di più che un gioco di ruolo.
Si trovano 5 miliardi di tagli di spese della Pubblica amministrazione, 2,5 miliardi di spese militari, 2,5 miliardi dall’aumento dei canoni per attività  di ricerca sugli idrocarburi, 900 milioni dall’aumento di entrate a carico dei bilanci di banche e assicurazioni, 800 milioni dal taglio di auto blu delle aziende ospedaliere, 700 milioni dalle pensioni d’oro, 600 milioni dalla tassazione del gioco d’azzardo, 600 milioni dall’8 per mille dell’Irpef non destinato, 400 milioni dalla soppressione di enti inutili, 300 milioni dal taglio delle consulenze della Pa, 299 milioni dall’abolizione dei fondi della social card, 140 milioni dall’aumento del canone per i concessionari autostradali, 100 milioni dal taglio delle auto blu, 100 milioni dalla riduzione degli affitti della Pa, 100 milioni dall’Imu alla Chiesa, 62 milioni dai tagli di dotazione degli organi costituzionali, 60 milioni dalla riduzione delle indennità  parlamentari, 51 milioni dal taglio dei fondi per l’editoria, 45 milioni dal taglio del finanziamento ai partiti, 40 milioni dal divieto di cumulo delle pensioni, 5 milioni dall’eliminazione del contributo statale per le intercettazioni, 1 miliardo fra tagli delle spese militari, movimenti politici e Banca d’Italia.
Una lista della spesa smarrita una volta entrati nella stanza dei bottoni. Quei soldi, la gran parte di essi almeno, verranno trovati in deficit.
Con buona pace dei “certificatori” delle coperture.

(da “Huffingtonpost”)

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IL GIALLO DEL DECRETO SICUREZZA, ARRIVA AL COLLE CON UNA MODIFICA, CAMBIATO L’ARTICOLO SULLO STOP ALL’ASILO

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

NON PIU’ SOSPENSIONE AUTOMATICA IN CASO DI CONDANNA MA VALUTAZIONE DA PARTE DELLA COMMISSIONE… ERA UNO DEGLI ASPETTI INCOSTITUZIONALI, SALVINI HA DOVUTO CAMBIARLA SU INTERVENTO DI MATTARELLA

La “sospensione del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale” è diventata “procedimento immediato innanzi alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale”.
E a cambiare non è solo il titolo dell’articolo 10 del   decreto sicurezza (anche detto decreto Salvini), approvato il 24 settembre scorso dopo un tormentato consiglio dei ministri durato tre ore e rimasto nella memoria anche per una foto del premier e del ministro dell’Interno con un cartello in mano.
Il testo non era ancora arrivato al Colle. Oggetto di molte critiche e dubbi di costituzionalità . Oggi si scopre che ci sono state modifiche importanti rispetto a quella versione.   Ed è un giallo perchè il Viminale nega che vi siano state modifiche dopo il 24 settembre.
Ma basta paragonare il testo uscito dal Consiglio dei ministri e quello diffuso oggi per verificare che l’articolo 10, quello che norma lo stop alla protezione internazionale a migranti che siano stati condannati, anche solo in primo grado, per una serie di reati, è stato “ammorbidito” probabilmente per evitare quelle obiezioni di incostituzionalità  che avrebbero potuto pregiudicare la firma da parte del presidente della Repubblica.
E dunque, se prima era prevista la sospensione della domanda di asilo e l’espulsione, dopo la condanna in primo grado, ora c’è un’accelerazione dell’esame davanti alla Commissione territoriale.
Recita il nuovo testo: “Quando il richiedente asilo è sottoposto a procedimento penale ovvero è stato condannato anche con sentenza non definitiva, il questore ne dà  tempestiva comunicazione alla Commissione territoriale competente che provvede nell’immediatezza all’audizione dell’interessato e adotta contestuale decisione”. Dunque nessun automatismo nella sospensione del procedimento per il riconoscimento della protezione ma una valutazione della Commissione dopo l’audizione del migrante interessato.
Ma il Viminale afferma che le modifiche sono state apportate prima del Consiglio dei ministri del 24
E poi c’è una modifica sollecitata dal Mef, come ammette lo stesso Viminale. “Verrà  apportata una piccola modifica alla clausola finanziaria richiesta dal Ministero dell’Economia per la bollinatura da parte della Ragioneria generale dello Stato”.
Nel testo definitivo, in diversi articoli, compare infatti la dicitura: “dall’attuazione delle disposizioni…non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Resta da capire come, visto che il provvedimento prevede un raddoppio dei tempi di presenza nei centri di permanenza.
Dal Colle già  nelle scorse settimane erano arrivate osservazioni sulla legittimità  di alcune misure. “Il decreto verrà  inviato al Colle un’ora dopo quello su Genova”, aveva detto Salvini nei giorni scorsi. Evidentemente la gestione del testo è stata più lunga e complessa del previsto. I dubbi, in realtà , riguardavano l’intero impianto normativo. Ora bisognerà  capire se le modifiche normative apportate saranno ritenute sufficienti per ottenere la controfirma e la promulgazione del testo.
Di sicuro anche di questo – oltre che di manovra – si è parlato nell’incontro tra il premier Conte e il presidente Mattarella al Quirinale. A dirlo è stato, alla fine, lo stesso presidente del Consiglio.

(da “La Repubblica”)

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LE MANI DELLE COOP DI DESTRA SUL BUSINESS DEI MIGRANTI

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

NEL 2017 CHIUSI 34 CENTRI DI ACCOGLIENZA, TRA LE PERSONE ARRESTATE PERSONAGGI CON LEGAMI POLITICI SOVRANISTI E RAPPORTI CON LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

Ci sono i piccoli boss locali. E poi i colossi del sociale che macinano decine di milioni. Tutti con gli amici giusti, in contesti dove la politica pesa, senza distinzioni di schieramento
Se Mafia Capitale era il cancro che infettava Roma corrompendo politica e amministrazione, è vero che il suo sistema si ripete, in piccolo, in tutta Italia.
Il cuore del business dei migranti si chiama Cas, sigla delle strutture gestite da privati attraverso bandi delle prefetture.
Nati nel disastro della disorganizzazione dell’emergenza, con la politica che non ha potuto o in alcuni casi voluto occuparsi del fenomeno, i Cas sono spuntati come funghi. A fine anno erano 9.132 (il 99,8% delle strutture di prima accoglienza) e gestivano 148.502 richiedenti asilo (il 93,5% del totale).
I Cas sono spesso semplici case risistemate, senza grandi pretese. Hanno un vantaggio: i piccoli numeri sono più gestibili e hanno un minor impatto sul territorio. E uno svantaggio: non sono gli Sprar, organizzati dagli enti locali e sottoposti a un sistema di controlli molto più rigido.
Aggiungeteci che nel 2017 lo Stato ha elargito qualcosa come 1,68 miliardi di euro ai Cas, come poteva finire?
Accanto a cooperative, onlus e organizzazioni serie, che da sempre si occupano del sociale, sono arrivati i predoni. Che spesso sono legati a chi è al potere in quei territori.
A differenza di quel che vuole la vulgata, chi intasca i famigerati 35 euro per richiedente asilo sfruttando situazione e migranti, prime vittime del sistema, può dunque avere un diverso colore politico. Anche sovranista.
Prendete il caso Fondi, nel cuore del Sud Pontino, l’area in provincia di Latina che si spinge fino al confine con Caserta. Quarantamila abitanti, sede del più importante mercato ortofrutticolo all’ingrosso del centro Italia, è da almeno 15 anni la roccaforte laziale della destra, soprattutto di Forza Italia.
Gli affari a Fondi non riguardano solo frutta e verdura. Due Onlus, Azalea e La Ginestra, dal 2015 gestivano i centri di accoglienza per richiedenti asilo con un giro d’affari di quasi sei milioni di euro.
Nel 2016 scoppia una rivolta, gli ospiti scendono in strada, si ribellano, qualcuno chiama la Polizia. I magistrati di Latina decidono però di capire meglio cosa accade nei centri gestiti da piccoli imprenditori locali, famiglie fondane conosciute.
La squadra mobile scopre le condizioni disumane di quelle case di accoglienza: sovraffollamento, 1,66 euro spesi per fornire due pasti, vestiti recuperati qui e lì nei cassonetti dei rifiuti.
La Onlus più attiva è la Senis Hospes. L’anno scorso ha incassato 20 milioni
In altre parole una cresta sui finanziamenti destinati a rendere la vita perlomeno dignitosa a chi aveva scelto l’Italia per sfuggire a guerre e persecuzioni. Pochi giorni fa il pm Giuseppe Miliano ha chiuso l’inchiesta, chiedendo il rinvio a giudizio.
In città  i movimenti dell’ultra destra intanto cercavano di fatturare politicamente. Forza Nuova annunciava manifestazioni contro le vittime, dimenticando di raccontare fino in fondo chi fossero i carnefici.
Uno di questi, Luca Macaro, ha una storia interessante. Candidato nella lista Progetto Fondi, che appoggiava insieme alla Lega Lazio il candidato della destra Franco Cardinale, un padre — anche lui coinvolto nella gestione del centro di accoglienza, ma non indagato — che su Facebook metteva la classica manina tesa a mo’ di saluto romano e cliccava like sul profilo proprio dei camerati di Forza Nuova.
Una passione per i migranti, quello della famiglia Macaro, recentissimo. Scorrendo il profilo Facebook di Luca Macaro fino a qualche anno fa erano ben altri gli interessi: movida fondana e aperitivi.
Il colosso che finanzia Fi  
Se le due Onlus laziali in fondo erano piccole imprese, un vero e proprio gigante dell’accoglienza è invece il gruppo Senis Hospes / MediHospes, il gestore del centro di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia.
Travolto dallo scandalo nato dopo l’inchiesta giornalistica dell’Espresso, non si è perso d’animo. E, soprattutto, non è mai uscito dal giro. Secondo i dati del Viminale nel 2017 ha gestito 15 centri, da Pordenone a Messina, per un totale di 2.067 ospiti e un incasso superiore a 20 milioni di euro.
Anche qui amicizie e legami puntano a destra. Nelle dichiarazioni depositate alla Tesoreria della Camera dei deputati relative alle elezioni del 2013 il gruppo Senis Hospes risulta nell’elenco dei donatori del Popolo delle libertà  di Silvio Berlusconi, con un versamento di 15 mila euro.
Il presidente del gruppo, Camillo Aceto, ha poi staccato personalmente un assegno da 5 mila euro a Maurizio Lupi, che poco dopo diverrà  ministro delle Infrastrutture.
Ma i rapporti tra Aceto e Lupi erano prima di tutto ideologici, grazie al legame dei due con il movimento cattolico Comunione e Liberazione.
In Sicilia c’è l’Udc
Raccontano le cronache che a Trapani, con il picco del flusso di migranti, i vecchi Ras si siano messi a rastrellare case, cascine, piccole strutture. Posti letto da utilizzare per l’accoglienza.
Nulla a che vedere con lo spirito umanitario che pur contraddistingue una parte dell’isola. Nel 2016 le indagini portarono ad arrestare anche un sacerdote, don Sergio Librizzi, con pesanti accuse di molestie sessuali e di affari illeciti con i richiedenti asilo (condanna a 9 anni appena tornati in Appello dopo un passaggio in Cassazione).
Le indagini, però, non si sono fermate.
Da un’intercettazione spunta una nuova pista, che conduce lo scorso luglio a un arresto eccellente. L’ex deputato regionale dell’Udc, Onofrio Fratello, finisce in manette con l’accusa di aver gestito una capillare rete di strutture attraverso prestanome.
L’ex deputato regionale era stato condannato per mafia il 13 dicembre 2006 ed era sottoposto a una vigilanza sui movimenti patrimoniali. Da Cosa nostra al business sulla pelle di chi fugge dall’inferno di Tripoli il passo è stato breve.
Profondo Nord e politica  
Prima la Dc, poi il Pdl. Simone Borile, la politica, la masticava da sempre. Così come la monnezza, il suo primo business nel Veneto dei padroncini. Poi sono arrivati i migranti e ha intuito il nuovo filone. Le cose, però, non sono andate bene.
Lo scorso marzo la Finanza di Padova ha sottoposto a sequestro preventivo 3 milioni di euro per la sua attività  con i rifiuti. Quindi è arrivata l’inchiesta sulla gestione dei migranti dei centri di Cona e Bagnoli, dove è indagato. E anche in questo caso le indagini erano partite dalle proteste degli ospiti.
Ispezioni e contestazioni  
Centinaia di bandi, controlli difficoltosi, che spesso arrivano dopo le inchieste giornalistiche o le proteste degli ospiti.
Nel 2017 solo il 40% di queste strutture ha ricevuto un’ispezione e, in 36 casi, si è arrivati alla revoca dell’affidamento per gravi inadempienze. Le contestazioni sono state 3.000 e le penali applicate ammontano a 900.000 euro.
Numeri in fondo piccoli se si pensa all’intero sistema.
Recita la Relazione sul sistema di accoglienza, appena resa pubblica: «Nell’indire le gare finalizzate al superamento degli affidamenti diretti, i prefetti hanno affrontato oggettive difficoltà  riconducibili all’inidoneità  di molti immobili proposti, non rispondenti agli standard previsti od offerti da soggetti non qualificati o addirittura collegati ad ambienti malavitosi».
Anche per questo dallo scorso 1° dicembre il ministero ha assegnato un prefetto al coordinamento delle ispezioni e si è concordato con l’Anticorruzione uno schema unico dei capitolati d’appalto per rendere omogenei requisiti e standard. Sarà  però difficile e ci vorrà  tempo per liberarsi dei predoni.
Un’idea sarebbe partire dal Lazio, la regione più critica. Se a livello nazionale la media delle contestazioni per centro visitato è stato di 0,79, qui siamo a 2,38: tre volte tanto.
Forse non è un caso se a Roma tutti ricordano la frase di Salvatore Buzzi, il Ras delle coop alleato con il nerissimo ex Nar Massimo Carminati: «Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno».

(da “La Stampa”)

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PONTE MORANDI, ORA LEGA E M5S LITIGANO SU CHI DESIGNARE: AL LEGHISTA GEMME, IL M5S OPPONE IL FISICO CINGOLANI

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

E TOTI E TONINELLI SE LE DANNO DI SANTA RAGIONE… UNO SPETTACOLO PENOSO SULLA PELLE DEI GENOVESI: MA NOMINATE UNO CHE SAPPIA ALMENO COME RICOSTRUIRE UN PONTE INVECE CHE I VOSTRI AMICHETTI

“Nelle prossime ore, formalizzerò la nomina del commissario per la ricostruzione” del ponte Morandi a Genova. Lo annuncia il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in un post su Facebook.
Ma ci potrebbe essere un colpo di scena, nella nomina del supercommissario per la ricostruzione del ponte Morandi.
Il premier Giuseppe Conte, cui spetta la firma di un nuovo decreto che assegni il cruciale incarico, starebbe valutando anche un secondo nome, in verità  a lui e ai Cinque stelle più gradito: quello di Roberto Cingolani, fisico, 56 anni, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia.
E l’aspettativa per la scelta del presidente del consiglio cresce proprio perchè invece negli ultimi giorni era dato quasi per certo l’incarico a Claudio Gemme, 70 anni, manager Fincantieri, proposto dalla Lega (il vicepremier Matteo Salvini ne aveva tracciato il profilo, suggerendolo a Conte e all’altro vicepremier Luigi Di Maio) e che però aveva suscitato alcune perplessità  proprio per un potenziale conflitto di interesse visto che il governo vuole far costruire il ponte proprio a Fincantieri.
Gemme aveva subito chiarito di essere pronto a rassegnare immediatamente le dimissioni dall’azienda in caso di nomina.
Sarebbe il M5S a spingere invece, sul filo di lana, la figura di Roberto Cingolani. Milanese, ma genovese d’adozione perchè ha fatto crescere l’Istituto italiano di tecnologia, eccellenza scientifica mondiale che ha sede proprio a Morego, nella Val Polcevera disastrata dal crollo del Morandi.
Dalla sua, Cingolani non avrebbe profili di conflitto di interessi, sarebbe più giovane, avrebbe l’esperienza in relazioni internazionali e sarebbe presto “libero” perchè l’incarico che ha all’Iit scade tra due mesi.
Come tutto quello che riguarda Genova, dopo il crollo del ponte Morandi, e proviene dal governo: fino all’ultimo non è detta l’ultima parola, perchè il braccio di ferro tra Lega (Claudio Gemme) e M5S (Roberto Cingolani) non conosce quiete
Oggi intanto il ministro Toninelli replica a Toti che ieri lo aveva invitato a lasciare perdere “ponti dove giocare a bocce e fare grigliate”.
Il minsitro risponde così. “Mi spiace che in Regione Liguria ci sia qualcuno che sta facendo polemiche sperando di sfruttare politicamente una situazione drammatica quando, in questo momento, stiamo facendo umilmente il nostro lavoro per stare vicino ai genovesi e per dare loro velocemente un ponte che significa dignità . Chi fa polemiche sta sbagliando, non ama i genovesi”.
Sul nome del manager di Fincantieri Claudio Andrea Gemme come commissario per la ricostruzione non c’è alcun ripensamento. Lo assicura oggi il vicepremier Matteo Salvini, al termine dell’incontro con gli sfollati di ponte Morandi, a Certosa (Genova)
“Spero che la nomina del commissario arrivi oggi ma tra cavilli, ricorsi e controricorsi non si sa mai”, aggiunge il vicepremier Matteo Salvini.
Continua la tragica farsa sulla pelle degli sfollati, mentre i genovesi si chiedono perchè, invece dei loro amichetti, il governo non nomina uno che sappia almeno come si ricostruisce un ponte.

(da agenzie)

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NESSUNO DEI COMPAGNI DI SCUOLA ALLA FESTA DEL BAMBINO AUTISTICO: E’ L’ITALIA CIVILE CHE POI SI LAMENTA DELL’INCIVILTA’ DEGLI ALTRI

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

LA MAMMA DEL BIMBO: “DEI 23 DELLA CLASSE SOLO UNO E’ VENUTO ALLA FESTA, DAGLI ALTRI NEANCHE UN MESSAGGIO”… POI UN INVITO INASPETTATO

Una storia di discriminazione nei confronti di un bambino di 4 anni denunciata dalla mamma del piccolo. E’ successo a Cavezzo, in provincia di Modena.
Tutto era pronto e c’era grande attesa per festeggiare i 4 anni del bimbo. La sala era stata addobata con palloncini colorati, la tavola imbandita con cose da mangiare e da bere, le candeline pronte per la torta. Mancavano solo gli invitati che però non si sono mai presentati.
O meglio dei 23 compagni di scuola del piccolo solo uno si è presentato accettando l’invito gli altri invece hanno disertato in massa la festa senza neanche avvertire i genitori del bambino. E il motivo starebbe nel disturbo dello spettro autistico di cui soffre il piccolo festeggiato.
E’ successo a Cavezzo, in provincia di Modena. A denunciare l’accaduto è stata la madre su Facebook.
“Per fortuna – ha detto la mamma del piccolo – mio figlio proprio a causa della sua malattia non ha capito cosa è successo. Soltanto 5 genitori mi hanno risposto, tutti gli altri hanno ignorato il messaggio, mentre una sola mamma ha portato il suo bambino alla festa”.
“Voglio che questa storia – ha aggiunto la donna nel suo sfogo sui social – diventi virale”. E così è stato, visto che la notizia è arrivata agli organizzatori del Kids Festival, una manifestazione dedicata ai più piccoli, che hanno deciso di inviatre il bimbo autistico a Milano.
Durante il festival milanese per il piccolo è stato organizzato un compleanno davvero speciale. Per tutto il giorno ha giocato con gli altri bambini, ha scartato i regali, donati anche dagli organizzatori, dalla guardia di Finanza e dalle guardie del Parco nazionale. E alla fine non è mancata la torta con le candeline.
Durante l’evento la mamma ha tenuto un discorso e ha raccontato il calvario della sua famiglia. “Mio figlio fino ai 15 mesi era un bimbo come tutti gli altri. Poi ha iniziato a non guardarci più, a isolarsi, a urlare. Arrivare alla diagnosi non è stato semplice, abbiamo dovuto anche subire le critiche di chi pensava fossimo cattivi genitori, non in grado di educare nostro figlio”.
“Alcune mamme della classe di mio figlio – ha raccontato parlando del compleanno disertato – non mi rivolgono più la parola, nessun messaggio di solidarietà  nemmeno dalla scuola. Ma dopo che ho pubblicato il video sui social sono arrivati tanti messaggi di solidarietà  e l’invito, inaspettato, di partecipare al Kids Festival. E’ stata una bellissima giornata”.

(da agenzie)

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L’ETERNA DISCUSSIONE SUL NUMERO DEI PARTECIPANTI ALLE MANIFESTAZIONI DI PIAZZA

Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile

LA VERITA’ SUI QUATTRO GATTI DEL M5S A PALAZZO CHIGI, QUELLI A OMAGGIARE SALVINI A BARI E SULLA MANIFESTAZIONE DEL PD A PIAZZA DEL POPOLO

Il giorno dopo la manifestazione del Partito Democratico a Roma molti simpatizzanti ed elettori del MoVmento 5 Stelle si affannano a dire che in Piazza del Popolo non c’era nessuno.
Oppure che quelli che erano in piazza erano pochi, così pochi da essere la dimostrazione che il PD orma è un partito da zerovirgola o da 12%.
Il PD è scomparso alle urne, e anche in piazza i suoi iscritti ed elettori si vergognano di farsi vedere.
Secondo il Partito Democratico alla manifestazione di ieri contro il governo c’erano 70mila persone. Un numero molto alto, perchè la capienza stimata massima di Piazza del Popolo è tra le 60mila e le 64mila persone.
I Dem però sottolineano che anche il primo tratto di via del Corso era piena di manifestati. E molti altri erano in piazzale Flaminio da dove stavano per entrare in piazza.
In un’altra nota inviata alle agenzie qualche minuto prima il PD Parlava di circa 50mila presenze. Persone arrivate con duecento pullman, sei treni, autobus speciali e mezzi propri. Comunque sia dalle foto della manifestazione di ieri era davvero difficile dire che Piazza del Popolo fosse vuota.
Eppure secondo Libero è stata “la domenica delle salme”. Un flop “terrificante” con “diecimila zombi del PD” in marcia su Roma.
Il Direttore del Fattoquotidiano.it Peter Gomez ha postato ieri su Twitter un commento dove mette in dubbio l’affluenza dichiarata dagli organizzatori della manifestazione.
Quello che è stato definito “tentativo di sminuire una manifestazione democratica è pacifica” è stato subito scoperto dai militanti PD che hanno postato altre foto dove si vede che effettivamente la piazza era affollata (anche se non stracolma).
È la solita guerra delle cifre, condita da gustose bufale
Il gioco è sempre quello di dire che in piazza c’erano i proverbiali “quattro gatti”. Ed in effetti è facile distorcere la realtà  pubblicando foto della manifestazione scattate però quando ancora in piazza non c’era nessuno o quando il grosso dei manifestanti doveva ancora arrivare.
Quindi sì: ad un certo punto ieri pomeriggio in piazza del Popolo c’era poca gente. Quindi quelle foto sono vere. Ma al tempo stesso non raccontano davvero quanta gente c’era in piazza.
Ed è vero che c’erano spazi vuoti (o occupati da gazebi e transenne) ma non si può certo dire che in piazza c’erano solo 10mila persone.
C’è allora chi ricorda che anche se in piazza c’erano 50mila persone gli italiani sono 60 milioni, quindi quelli di ieri erano una minuscola ed insignificante minoranza.
Non risulta però ci siano mai state manifestazioni cui ha partecipato la totalità  degli italiani. E non ci sono mai state manifestazioni politiche che siano riuscite a portare in piazza una percentuale “significativa” del corpo elettorale.
Un’altra strategia allora è quella di spiegare che ieri a Roma non c’era la “società  civile” ma solo i dirigenti del partito e i militanti. Un modo per dire che quelli del PD se la cantano e se la suonano.
Il che del resto si può dire di qualsiasi manifestazione politica (o sindacale) organizzata.
Ora però bisogna chiarire una cosa. I militanti (o gli elettori) sono esponenti della società  civile, ovvero sono cittadini italiani “comuni”.
A meno che non si voglia sostenere che gli elettori del PD non sono davvero cittadini italiani perchè appoggiano un partito che lavora “contro il Popolo”.
Poi però la memoria corre alla sera di qualche giorno fa quando il governo a 5 Stelle si affacciò su Piazza Colonna per annunciare l’approvazione della Manovra del Popolo.
La foto che tutti hanno visto è quella di Di Maio affacciato dal balcone di Palazzo Chigi su una selva di bandiere del MoVimento 5 Stelle mentre dalla piazza partivano cori e urla di incitazione per la grande vittoria del governo.
Vista dal basso la scena era diversa. Le due manifestazioni non sono certo paragonabili (e quella del M5S è stata “convocata” ad un’ora decisamente tarda), ma a “sostenere” Di Maio e i suoi c’erano un centinaio di persone.
E la maggior parte degli astanti non erano esponenti della “società  civile” e tanto meno i futuri beneficiari del Reddito di Cittadinanza o della Pensione di cittadinanza. A festeggiare il giorno storico per l’Italia c’erano soprattutto senatori e deputati del MoVimento 5 Stelle.
Tutti rigorosamente in giacca e cravatta, come si usa nelle grandi occasioni. Non è stata quindi una manifestazione spontanea nè una chiamata a raccolta del popolo a 5 Stelle.
Semplicemente era la claque organizzata per poter consentire ai Di Maio, Fraccaro, Bonafede e altri di prendersi il “meritato applauso”.
Certo che se ad applaudire alla Manovra del Popolo ci sono praticamente solo i parlamentari che prendono diecimila euro al mese di stipendio la cosa fa sorridere.
Eppure quasi nessuno ha raccontato quello che è successo davvero sotto Palazzo Chigi. Anzi si è sottolineata la “novità ” del popolo che per la prima volta festeggia l’approvazione del DEF e si è discusso al limite sul fatto che Di Maio abbia “rotto il tabù” del discorso dal balcone. Ma ad ascoltarlo non c’era praticamente nessuno.
Una storia già  vista per la spettacolare visita di Salvini a Bari.
Senza quella tifoseria organizzata sotto il palazzo, composta peraltro dai quei parlamentari che dovrebbero avere un ruolo “centrale” nella politica del M5S, la notizia dell’approvazione del DEF avrebbe avuto tutt’altra risonanza.
Le sarebbe mancata la dimensione “di popolo” che appunto è il tema sul quale viene costruita la narrazione della primo documento di economia e finanza approvato da un governo a 5 Stelle.
Perchè altrimenti si sarebbe parlato immediatamente del deficit al 2,4%, dei tagli alla spesa o del maggior debito che gli italiani dovranno ripagare.

(da “NextQuotidiano”)

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