Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
IMPUGNATE LE LEGGI REGIONALI LEGHISTE, GENTILONI COMMISSARIO UE, LUCANO LIBERO E SALVINI INDAGATO PER CAROLA: IL CAPITONE SOTTO SCHIAFFO
Pronti, partenza, via, ed ecco che il primo consiglio dei ministri del governo giallorosso impugna una legge della Regione Friuli Venezia Giulia – a guida Lega, va da sè – perchè contiene alcune disposizioni discriminatorie nei confronti dei cittadini stranieri, italiani e altre perchè valicano le competenze regionali.
Ed è una presa di posizione, su proposta del neo ministro degli Affari regionali Francesco Boccia, che suona subito come uno schiaffo a Matteo Salvini, alla Lega, e a una narrazione che per lunghi quattordici mesi ha dominato la scena cavalcando le politiche securitarie sull’immigrazione.
Senza perdere di vista un’altra misura, anche questa impugnata, che assegna contributi alle imprese che assumono i residenti in Friuli Venezia Giulia da almeno cinque anni.
Il caso diventa subito politico. Vuoi per il timing, vuoi perchè sembra riprendere la discontinuità evocato nel corso della trattativa da Nicola Zingaretti. Vuoi ancora per l’oggetto della contesa: l’immigrazione, che è stata il cavallo di battaglia della propaganda del Capitano leghista. E non importa se l’istruttoria era già stata avviata dal precedente governo, ovvero dal Conte-1, e nel dettaglio dalla presidenza del Consiglio e dal ministro agli Affari regionale Erika Stefani. Ops.
A via Bellerio si sentono invece accerchiati, traditi dai cinquestelle. Non si aspettavano certo che alla prima riunione a Palazzo Chigi i gialli e i rossi arrivassero a tanto
Nelle telefonate che si scambiano i leghisti sembra un film già visto: “Vuoi vedere – si domanda un leghista di peso – che questa roba appartiene al non scritto del programma di governo?”.
Dall’altra parte del campo Boccia si intesta il primo atto e controreplica colpo su colpo: “Si tratta – spiega – di un’attività ordinaria, corrente e oserei dire anche banale. C’era una legge regionale che violava una serie di norme, la Regione Friuli solo ieri sera ha scritto che avrebbe scelto di adeguarsi, ci auguriamo che lo faccia. I termini per impugnare la legge scadevano domani e il Consiglio dei ministri aveva già deciso di impugnarla. Se il Friuli Venezia Giulia si adeguerà si potrà pensare anche di ritirare il provvedimento”.
Fatto sta che il primo giorno di scuola dai banchi dell’opposizione lascia le ferite al quartier generale di Salvini.
Prima, il decreto che formalizza la nomina di Paolo Gentiloni a commissario Ue. “Il massimo del sistema di potere, dei salotti, dei poteri forti e che quindi a Berlino e Parigi stanno stappando lo spumante”, sbotterà a tarda sera l’ex ministro dell’Interno. Ed è un altro colpo basso perchè Gentiloni potrebbe realmente riuscire ad ottenere l’importantissimo portafoglio economico.
Per intenderci, quello che fino ad oggi è stato il posto “dell’odiato” Pierre Moscovici. Poi il secondo atto che, visto dalla Lega, appare come un altro definitivo schiaffo perchè sconfessa una norma di una regione a guida Carroccio su un tema marcatamente leghista, come la questione migranti.
Ma non è finita. In questo contesto si inseriscono l’indagine per diffamazione nei confronti di Salvini dopo la denuncia presentata a giugno da parte di Carola Rackete, comandante della Sea Watch 3.
Eppoi ancora, la decisione del Tribunale di Locri di revocare il divieto di dimora a Mimmo Lucano. Ed è un’altra botta per lo storytelling di un Capitano che solo un mese fa dal Papeete Beach invocava “pieni poteri”.
E adesso si ritrova a Pinzolo, senza essere più al Viminale, ma all’opposizione
Salvini apre il via a una lunghissima campagna elettorale. Domani sarà in Umbria, sabato in Piemonte, domenica in Emilia Romagna.
Per lunedì, giorno della fiducia a Montecitorio, convoca un presidio fuori dal palazzo, ma senza bandiere di partito. Quasi a voler far notare la differenza tra lui e Giorgia Meloni, che manifesterà con tanto di vessilli di Fratelli d’Italia.
Poi Pontida, poi ancora la manifestazione del 19 ottobre per dire No al governo dei “poltronisti”. Per stasera, però, basta così. È il primo vero giorno da opposizione.
Ma si è già capito che per il Carroccio il difficile viene adesso.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
FIGURA “ISTITUZIONALE” MA IRRIDUCIBILE, DETERMINATA, CORAGGIOSA, DI ASSOLUTA CAPACITA’ OPERATIVA E IN GRADO DI TENERE TESTA A CHIUNQUE
La composizione dell’esecutivo ha diversi aspetti interessanti, ma va riconosciuto ai due partiti di maggioranza (acerrimi nemici fino a quattro settimane fa e pronto a giurare che mai avrebbero fatto un governo insieme) di avere messo in campo una squadra dignitosa.
Detto ciò, va evidenziato subito il punto centrale di ogni discussione futura, che non a caso riguarda l’unico ministero assegnato a una figura “tecnica”.
Per arrivarci però facciamo un passo indietro e, per quanto possibile, recuperiamo un po’ di memoria.
In tutto il mondo (e quindi anche in Italia) il ministero della Sicurezza Nazionale ha enorme peso politico, soprattutto da quando i temi dell’immigrazione sono diventati elettoralmente decisivi.
Infatti nelle ultime due legislature (2008-2018) lì sono andate figure politiche di primo piano, cioè Maroni nel governo Berlusconi (quindi il più importante esponente di governo della Lega dell’epoca), poi Alfano con Renzi (quindi il leader del secondo partito della coalizione) e infine Minniti con Gentiloni (cioè il dirigente del Pd con maggiore esperienza in materia di sicurezza).
Nell’equilibrio giallo-rosso però si sceglie una figura tecnica, nella persona del prefetto Luciana Lamorgese (già capo di Gabinetto al Viminale nei governi Letta e Renzi e poi prefetto di Milano).
Scelta molto interessante sia sotto il profilo della persona individuata che per il suo significato politico e istituzionale, scelta che vale la pena esaminare.
Punto primo, la persona.
Luciana Lamorgese ha tutte le caratteristiche per sorprendere il grande pubblico, perchè presto avremo evidenza del fatto che ci troviamo di fronte a una figura certamente tutta “istituzionale”, ma non per questo ingessata o pavida.
Insomma scommetto che vedremo all’opera un ministro dell’Interno di determinazione irriducibile e di assoluta capacità operativa, in grado di reggere la scena anche in una dimensione a forte caratura politica.
Punto secondo: il contesto allargato in cui dovrà operare.
Qui la situazione si complica assai e per capirlo basta dare un’occhiata a quanto succede in giro per il mondo. Ebbene cosa fanno le forze politiche di destra quando sono all’opposizione e cercano di guadagnare consensi per vincere le elezioni? Essenzialmente picchiano duro sui temi della sicurezza (e dell’immigrazione).
La regola è sempre questa ed è una regola che ha dato grandi frutti. Si pensi all’Europa (Austria, Polonia, Ungheria, Grecia, Gran Bretagna), ma si guardi anche al Sud America (Brasile, Argentina) o all’Oceania (Australia), per non parlare di India, Filippine e Usa, dove i governanti sono tutti nazionalisti e conservatori, con posizioni assolutamente di destra in materia di sicurezza e immigrazione
Non c’è quindi motivo di pensare che le cose andranno diversamente in Italia, non appena la Lega ritroverà il filo della sua narrazione politica dopo il terremoto d’agosto.
Anche perchè la crisi di governo più pazza del mondo (cioè quella che con oggi ci lasciamo alle spalle) ci consegna un sistema politico nazionale (di fatto) bipolare e riportato (pur con qualche anomalia) a una dinamica classica destra-sinistra, con la nuova coalizione giallo-rossa a fare quello che forse Grillo auspica da sempre
Ebbene in questo contesto la maggioranza dovrà rivedere la linea Salvini in materia di sicurezza&immigrazione, imprimendo una svolta di sinistra (perchè questa è la cifra politica del governo) senza però perdere il contatto con la sensibilità della maggioranza degli italiani.
Non sarà impresa facile, anche perchè il (rinato) sistema bipolare finisce inevitabilmente per rendere più compatte le forze di opposizione (FI e FdI in primo luogo), che (mese dopo mese) troveranno momenti d’intesa più forti (anche se la diversa collocazione europea peserà non poco e renderà questo processo assai travagliato).
Ecco quindi lo stato dell’arte: al Viminale va un super tecnico di grandi capacità e ci va con la stima assoluta delle forze politiche di governo e la (decisiva) benedizione del Quirinale.
Ma quella che dovrà giocare il prefetto (da qui in poi ministro) Lamorgese sarà un partita tecnica al 25% e tutta politica per il resto.
E sarà una battaglia durissima
Roberto Arditti
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
ESAMINIAMO I DUE CURRICULUM
Sono in pochi, in queste prime ore del Conte bis, a chiedersi se il nuovo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese riuscirà a fare meglio del suo predecessore Matteo Salvini.
Segno che molti pensano che fare peggio di Salvini per quanto certamente possibile sia decisamente poco probabile.
Di converso è difficile anche solo immaginare un ministro che riesca ad eguagliare i tanti record di Salvini al Viminale: la quantità di uniformi dei corpi dello Stato indossate (a proposito, che guardaroba ha?), di promesse non mantenute o il ridotto numero di giorni trascorsi in ufficio o di decreti emanati.
E così mentre anche gli ultimi addetti alla comunicazione del sedicente Capitano lasciano mestamente gli uffici del Ministero e smettono di prendere lo stipendio elargito dai contribuenti italiani non resta che dedicarci all’impietoso gioco del confronto.
Non certo sui provvedimenti, visto che il ministro Lamorgese deve ancora iniziare il suo lavoro, ma sul curriculum.
In fondo se uno deve occupare una poltrona è il minimo dare una sbirciatina a quello che ha fatto prima di arrivarci.
Il primo dettaglio che salta agli occhi è che la neoministra non ha social e pagine ufficiali. Ma senza video dal tetto del palazzo, dall’ufficio — ma più comunemente da località balneari o piazze — come faremo a rimanere informati ed aggiornati sul suo operato?
Chissà se quando quel galantuomo di Salvini scrive che è un Governo “con persone sbagliate al posto sbagliato” pensa anche alla ministro Lamorgese
Dopo la sbornia social in salsa salviniana sarà davvero surreale dover tornare a leggere i comunicati del Viminale, i documenti, gli atti ufficiali. Riusciremo a farne a meno? Niente paura, il Capitano ha già fatto sapere che lui rimane il ministro.
Giusto per confermare la sua essenza squisitamente democratica. Il buongiorno intanto si vede dal mattino. Quando il nuovo ministro si è recata al Viminale Salvini non c’era e non c’è stato un passaggio di consegne formale.
Ma addentriamoci un po’ di più nel confronto.
Di Salvini sappiamo che non ha terminato gli studi (non è certo una colpa) e che salvo la arcinota esperienza al Burghy dal 1992 ha lavorato esclusivamente per il suo partito: la Lega Nord dove ha ricoperto il ruolo di segretario provinciale, nazionale (ovvero della Lombardia) e federale.
È stato consigliere comunale per quasi vent’anni a partire dal 1993, deputato, eurodeputato (ma non ha certo lasciato il segno a Bruxelles), senatore e infine ministro (per 14 mesi).
Di professione sarebbe giornalista, come ama sempre ai “colleghi” durante le interviste, è iscritto all’albo dal 1997 ma ha lavorato esclusivamente per i media del partito: il quotidiano La Padania e Radio Padania.
La ministra Lamorgese invece è laureata in Giurisprudenza con il massimo dei voti, è abilitata alla professione di avvocato e dal 1979 lavora per il Viminale. Nel 1989 è stata promossa alla qualifica di viceprefetto ispettore e nel 1994 e a quella di viceprefetto.
Nel 1996 è stata direttore dell’ufficio Ordinamento della Pubblica Amministrazione presso l’ufficio centrale per gli Affari legislativi e le Relazioni internazionali.
Nel 2003, quando Salvini si accingeva ad essere eletto per la prima volta all’Europarlamento Lamorgese veniva nominata prefetto e in seguito — nel 2010 — diventava prefetto di Venezia.
Nel 2011 è stata nominata anche Soggetto Attuatore per l’espletamento di tutte le attività necessarie per l’individuazione, l’allestimento o la realizzazione e la gestione delle strutture di accoglienza nella Regione Veneto.
Dal 19 luglio 2013 al 12 febbraio 2017 ha svolto le funzioni di capo di Gabinetto del ministero dell’Interno durante i mandati dei ministri Alfano e Minniti.
Successivamente ha ricoperto il ruolo di prefetto Milano (la prima donna a ricevere l’incarico) fino al 2018 quando è stata nominata consigliere di Stato dal Presidente del Consiglio Conte.
A Milano si impegnò assieme ai comuni della Provincia alla realizzazione del protocollo per “un’accoglienza equilibrata, sostenibile e diffusa dei richiedenti la protezione internazionale”.
Manco a dirlo i sindaci dei comuni leghisti si opposero (mentre quelle di sinistra vennero insultate). Alcuni sindaci della Lega emanarono ordinanze per rendere impossibile ai soggetti privati che si fossero resi disponibili ad accogliere i migranti di rispondere alle richieste della Prefettura. In qualità di prefetto Lamorgese cancellò quelle ordinanze perchè presentavano «diversi profili di dubbia legittimità , anche costituzionale».
Lle strade di Lamorgese e Salvini si sono già incrociate. Non solo a nell’ultimo anno.
Nel maggio del 2017 la Prefettura mise in atto un’operazione di Polizia imponente per lo sgombero di migranti e senzatetto nei pressi della Stazione Centrale.
Un “blitz muscolare” al quale non fecero seguito nè denunce nè arresti. Come sottolineava il Post vennero schierati 300 agenti, cani, cavalli, mezzi blindati e un elicottero per portare in Questura in tutto 52 persone senza che nessuno venisse denunciato, semplicemente perchè non c’erano gli estremi.
Ad assistere a quel tentativo di alleggerire la presenza di stranieri nella zona della Stazione Centrale si precipitò l’allora europarlamentare Matteo Salvini, desideroso come sempre di un palcoscenico da cui gridare le sue parole d’ordine su sicurezza e migranti.
Poi Salvini sarebbe diventato ministro manipolando la paura per lo straniero e alimentando percezione di insicurezza dei cittadini.
Ma Salvini non ha fatto nulla per cambiare le cose, anzi ha messo in mezzo alla strada moltissimo stranieri che si sono trovati da un giorno all’altro sprovvisti della protezione umanitaria.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
SE VOTA CONTRO DOVREBBE ESSERE ESPULSO DAL M5S: RESTIAMO IN ATTESA DOMANI DELLA QUARTA VERSIONE
Gianluigi Bombatomica Paragone aveva detto qualche tempo fa che si sarebbe dimesso in caso di governo M5S-PD.
Poi dopo il voto su Rousseau aveva scritto su Facebook che ci stava ripensando e che avrebbe parlato con Di Maio e con il suo capogruppo.
Oggi ha cambiato di nuovo idea. Ma con molte varianti: in primo luogo non dice più che si dimetterà (strano, no?) e in secondo luogo non ha postato l’intervista rilasciata ad AdnKronos su Facebook, dove i suoi fans lo avevano elogiato quando aveva annunciato il suo ripensamento.
“Io la fiducia a questo governo non la darò”. Parola di Gianluigi Paragone, senatore del Movimento 5 Stelle, che in un’intervista all’Adnkronos chiarisce la sua posizione nei confronti del nuovo esecutivo giallorosso, che oggi ha giurato al Quirinale nelle mani del Capo dello Stato Sergio Mattarella. “
Resto della mia idea, il mio sarà un no politico”, rimarca l’ex conduttore televisivo. “E’ chiaro — prosegue — che, come ho già detto, rispetto il giudizio di chi ha votato sulla piattaforma Rousseau. Quello è il mio popolo e io sono un vero populista. Sarò il meno duro possibile ma non posso votare la fiducia. Il mio sì non c’è, vedrò come fare per essere coerente con quello che penso e con quello che la base del M5S ha deciso”.
Se non vota la fiducia al governo del M5S, Paragone è di fatto fuori dal MoVimento 5 Stelle.
Qualche giorno fa Alessandro Sallusti lo aveva attaccato sostenendo: “Han fatto l’accordo con il PD e lui resta, dove vuoi che vada Paragone? Rimane in conseguenza dello stipendio da mantenere…”.
(da agenzie)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
HA VOTATO I DECRETI SICUREZZA, HA FIRMATO LE ORDINANZE ILLEGALI DI SALVINI, NON HA MAI DENUNCIATO LA FARSA DELLA ZONA SAR LIBICA, HA ORDINATO ALLA MARINA DI SALVARE UN BARCONE ALLA DERIVA SOLO CON ORE DI RITARDO E DOPO CHE ERA ANNEGATA UNA BAMBINA
È delusa e arrabbiata Elisabetta Trenta. L’ex ministra della Difesa giubilata assieme a Giulia Grillo, Danilo Toninelli e Barbara Lezzi (e forse proprio per questo) si sfoga oggi in un’intervista al Messaggero (che sarebbe il giornale di Caltagirone, uno non proprio amato dai grillini).
In realtà lei non avrebbe proprio voglia di parlare con i giornali: «Nessun giornale si è trovato bene con me. Il trattamento che mi è stato riservato è stato sempre pesante. Tantissimi attacchi». Ma già che c’è si toglie qualche sassolino dalla scarpa.
E racconta di sapere che il MoVimento non l’avrebbe lasciata al Ministero (il sottosegretario Angelo Tofalo, il G.I. Joe del Ministero ne aveva chiesto le dimissioni già da tempo).
Immaginate quanto duri possano essere stati gli ultimi giorni, le ultime settimane. Ma la ex ministra è un fiume in piena, confessa a Simone Canettieri di non essere affatto contenta per come si sono evolute le cose dopo la caduta del Governo: «non meritavo tutto questo», dice.
E non si capisce bene cosa pensava di meritare visto che il suo Ministero si era troppo appiattito sulla linea di quello di Matteo Salvini. Al punto di arrivare a pubblicare su Facebook un vero e proprio capolavoro del cerchiobottismo quando ha annunciato di aver firmato il divieto di ingresso per la Mare Jonio ma al tempo stesso ha fatto sapere di dissociarsi dalla firma (e quindi da sè stessa) perchè bisogna garantire a donne e bambini il diritto al soccorso.
Bocca mia taci sembra di sentir dire la Trenta quando per pudore preferisce non rispondere alle domande del giornalista.
Ma una cosa ci tiene a ribadirla: «Sono stata una delle persone che ha lottato più di tutti contro Salvini». Il che se ci pensate è davvero un punto di vista interessante visto che la Trenta ha firmato il Decreto Sicurezza bis, che più volte ha controfirmato i divieti di avvicinamento per le ONG.
E visto che da ministro della Difesa non ha dato l’ordine ad una nave della Marina Militare di salvare un gruppo di migranti.
O meglio, ha aspettato che uscisse la notizia che una bambina era morta (in un altro caso invece non intervennero proprio).
Se questo è il modo di lottare contro Salvini c’è da chiedersi cosa sarebbe successo se si fosse schierata al suo fianco.
Ma la risposta la sappiamo: sarebbe diventata come Danilo Toninelli, uno che addirittura rivendicava di aver chiuso lui i porti. Ma è vero: la Trenta ha davvero lottato contro Salvini. Lo ha fatto però solo a partire da agosto, ovvero dopo l’esplosione della crisi di governo.
Ci sarebbero tante cose da dire e da chiedere alla Trenta.
Ad esempio, come mai non ha denunciato la farsa della SAR libica quando sapeva benissimo che la sedicente guardia costiera di Al-Sarraj non era in grado di pattugliare ed operare i soccorsi nell’area di Search and Rescue?
In teoria la Trenta dovrebbe essere quella più titolata a rispondere visto che il centro di coordinamento è a bordo di una nave della nostra Marina Militare ormeggiata nel porto di Tripoli.
Ma alla Trenta si può chiedere come è finita la storiella degli F-35 che raccontava lo scorso anno, oppure come mai mentre le agenzie pubblicavano la notizia che aveva controfirmato l’ennesimo divieto lei su Facebook pubblicava le foto di una visita in ospedale ad una bambina gravemente malata.
Purtroppo la Trenta non ha tempo per molte domande. Deve fare gli scatoloni, e poi correre all’Altare della Patria a deporre una corona d’alloro al Milite Ignoto.
C’è tempo per un ultimo ragionamento, quello sul fatto che Difesa e Interni debbano — a suo avviso — essere guidati dalla medesima corrente politica.
Per lei non c’è nemmeno la consolazione di tornare sui banchi del Parlamento, visto che era stata trombata alle politiche del 2018.
Che farà ora? «Tornerò alla Link University dove insegno e dove dicono che io abbia cose strane», risponde. Per la verità l’unica “cosa strana” è un’inchiesta sulle presunte “lauree facili” che vede coinvolta una sua collaboratrice al Ministero. Ma la notizia risale all’inizio dell’anno, poi più nulla.
Ma si sa che giocare la carta del perseguitato politico (da chi?) è l’arma migliore quando bisogna andarsene. In fondo pure Salvini sono settimane che denuncia ogni genere di complotto ai suoi danni per spiegare come mai ha fatto cadere il governo.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
DIBBA RITORNA SOMMERGIBILE, NON PARLA DA GIORNI
Non parla dal giorno del voto su Rousseau, del quale non ha nemmeno annunciato i risultati. Prima era stato in silenzio per altri giorni trasformandosi di nuovo in Dibba il Sommergibile (terror del commestibile), mentre si rincorrevano le voci che lo volevano al ministero dello Sport (???), dal quale avrebbe potuto dare la caccia al suo arcinemico Malagò. Altri lo ipotizzavano agli Esteri, ma alla fine quella poltrona è andata a Luigi Di Maio.
Di certo Alessandro Di Battista vede di nuovo frustrate le sue ambizioni: anche la formazione del nuovo governo lo vede in panchina, in attesa dei sottosegretari e dei viceministri.
La tattica del non sporcarsi le mani e del saltare un giro finora non gli ha dato risultati apprezzabili, considerato che dovrà anche rinunciare al libro su Bibbiano che aveva annunciato per quei geniacci della Fazi Editore, che per farsi amici un grillino si sono inimicati tutti i lettori di libri d’Italia.
Ora Dibba è di nuovo solo. E già da questo si capisce che è male accompagnato.
Senza seggio, senza poltrona e senza la possibilità di prendersela con il PD per qualcosa, rischia di annoiarsi molto fino alla fine della legislatura, naturale o anticipata che sia.
(da agenzie)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
AHMED MUSA ERA STATO VITTIMA DI UN’AGGRESSIONE RAZZISTA A MIRAFIORI, ORA SPERA DI FREQUENTARE IL DOTTORATO
Sbarcato a Lampedusa nel 2011 senza documenti, oggi si è laureato a Torino con una tesi sui diritti umani in Darfur, l’area dalla quale proviene e dove è stato incarcerato e privato della nazionalità , dopo la tortura e l’uccisione del padre e di sei fratelli.
I suoi primi giorni nel capoluogo piemontese li ha passati dormendo nella stazione di Porta Nuova. Un anno fa era anche stato vittima di un’aggressione razzista, nel quartiere Mirafiori.
Oggi vive al Collegio universitario e punta al dottorato. Ha lo status di profugo e un figlio piccolo, che ha chiamato Nelson Mandela.
Il protagonista di questa storia è Ahmed Musa, 32 anni, nato a Entkena in Sudan. E’ sfuggito al carcere perchè, considerato morto, è stato abbandonato in un campo dove lo hanno trovato e soccorso dei contadini.
Da allora all’arrivo in Italia passano cinque anni, tre dei quali trascorsi in Libia. Prima che i miliziani filogovernativi attaccassero la sua città , si era laureato in Economia a Khartoum, dove insegnava e si era sposato con una collega, ora rifugiata in Norvegia.
“Lo studio – spiega Musa mentre attende di entrare a discutere la tesi, relatrice Valentina Pazè – è un mezzo per dimostrare che nessuno può distruggere la volontà di un altro. Con lo studio, mi hanno insegnato i miei genitori, puoi cambiare la vita tua e quella degli altri. Ecco perchè ho fatto questa scelta. E’ stato difficile ma qui mi trovo benissimo, sono fuggito da una guerra e ora sono una persona normale”.
(da agenzie)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
POI TAGLIA IL PARAGRAFO, MA ORMAI LA FRITTATA E’ FATTA
La Xinhua News Agency è l’agenzia di stampa ufficiale della Repubblica Popolare Cinese. Nelle ultime ore sul suo portale web, disponibile anche in lingua inglese, è apparso un lungo articolo sulla squadra dei ministri scelta dal premier Giuseppe Conte per la sua nuova esperienza di governo.
Viene descritta la direzione che prenderà questo esecutivo, si parla dei rapporti con Bruxelles, e vengono passati in rassegna anche alcuni dei nomi dei ministri che hanno giurato davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Fra questi, almeno nella versione originale dell’articolo, compaiono anche alcune righe su Luigi Di Maio. Parole non esattamente lusinghiere che riportano i dubbi sulla scelta di assegnarlo al ministero degli Esteri.
Un paragrafo che poi, forse per evitare conseguenze sul piano diplomatico, è stato rimosso in un momento successivo.
La decisione di mettere Di Maio a capo della Farnesina, in quel testo, viene definita «inusuale». Del capo politico dei Cinque Stelle si dice: «Non si è mai laureato all’università , ha delle conoscenze molto limitate sulle lingue straniere e nella sua vita pubblica non ha mai mostrato molto interesse nelle tematiche internazionali».
Internet non è un luogo dove il passato si dimentica facilmente, o dove gaffe e parole fuori posto vengono lasciate perdere. Su Twitter, infatti, si può trovare il testo originario in cui si riescono a leggere ancora i commenti su Di Maio.
Durante una vista a Shangai nel novembre 2018, Luigi Di Maio aveva sbagliato per due volte il nome di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese dal marzo 2013. In entrambi i casi, il nuovo ministro degli Esteri lo aveva chiamato semplicemente «Ping».
(da agenzie)
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Settembre 5th, 2019 Riccardo Fucile
SE LA PRENDA CON SALVINI CHE ERA VICEPREMIER E CON SE STESSO CHE HA PROPOSTO UNA LEGGE CHE DISCRIMINA GLI ITALIANI, NON SOLO GLI IMMIGRATI
Il nuovo governo Conte ha deliberato di impugnare una legge del Friuli Venezia Giulia – governata dal leghista Massimiliano Fedriga – con la motivazione che va oltre le competenze della Regione e contiene norme discriminatorie nei confronti dei migranti e degli italiani residenti fuori Regione.
Nel comunicato si legge che si impugnerà la legge n. 9 del 08/07/2019, “Disposizioni multisettoriali per esigenze urgenti del territorio regionale”, in quanto “numerose disposizioni sono risultate eccedere dalle competenze Statutarie della Regione” e “talune disposizioni in materia di immigrazione appaiono discriminatorie”.
Le disposizioni in materia di immigrazione a cui fa riferimento il Cdm nel suo comunicato riguardano in particolare gli articoli 22 e 54 comma c della legge regionale in questione. Il primo prevede lo spostamento di fondi – inizialmente destinati a misure per l’accoglienza diffusa – sui rimpatri coatti degli immigrati colpiti da provvedimento di espulsione (rimpatri che, però, sono di competenza statale e non regionale, sebbene il Fvg sia una regione a statuto speciale).
Il secondo comma prevede invece di destinare gli incentivi occupazionali esclusivamente a chi assume persone residenti da almeno cinque anni nella Regione. Un elemento, quest’ultimo, discriminatorio non solo per i migranti ma anche per gli stessi italiani provenienti da altre regioni.
“È una vergogna assoluta – ha replicato il governatore Fedriga – Il Movimento 5 Stelle e il Pd hanno già partorito il governo dell’immigrazione selvaggia. Questo è un segnale molto chiaro: un attacco alle autonomie”. E ha concluso: “Difenderemo le nostre norme davanti alla Corte Costituzionale”.
In verità , come fa notare anche l’ex governatrice del Friuli Venezia Giulia, la dem Debora Serracchiani, sui provvedimenti sotto accusa era già stata avviata un’istruttoria dal governo precedente – e precisamente dal Mise guidato da Luigi Di Maio allora alleato di Matteo Salvini – qualche giorno prima dello scoppio della crisi di governo. “Fedriga telefoni al suo ex vicepremier in vacanza in Trentino (Salvini, ndr) – è l’esortazione di Serracchiani – e gli chieda com’era stata fatta dal suo governo l’istruttoria che ha portato oggi all’impugnazione della legge regionale. Dovrebbe sapere che questi non sono atti che si costruiscono in un solo giorno”.
(da agenzie)
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