Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
FDI 7,4%, FORZA ITALIA 7%, + EUROPA 4%, LA SINISTRA 2,4%, VERDI 1,9%… CENTRODESTRA CALA AL 44,5%, CENTROSINISTRA 30,9%
La Lega continua a perdere consensi e ora si ritrova di pochissimo al di sopra della soglia del 30%. L’ultimo sondaggio realizzato dall’istituto Ixè evidenzia un riavvicinamento di Movimento 5 Stelle e Pd nei confronti del partito di Matteo Salvini, così come si registra un evidente calo per la coalizione di centrodestra.
I sondaggi sembrano premiare le due formazioni principali del nuovo esecutivo, penalizzando, invece, chi questa crisi l’ha voluta.
L’ultimo sondaggio realizzato dall’istituto Ixè per Cartabianca, evidenzia comunque il saldo primato della Lega, inseguita proprio da dem e pentastellati.
Il Movimento 5 Stelle cresce di oltre cinque punti percentuali rispetto al voto di maggio e passa dal 17,1% al 22,3%.
Leggermente in salita troviamo anche il Partito Democratico: dal 22,7% delle europee al 23% di oggi.
Chi, invece, esce ridimensionato dal confronto con le elezioni di maggio è la Lega: il partito di Matteo Salvini parte dal 34,3% conquistato alle urne e si attesta ora, invece, di pochissimo al di sopra della soglia del 30%, fermandosi al 30,1%.
Nel centrodestra il calo della Lega non viene compensato da Forza Italia che, anzi, continua a perdere consensi: oggi è registrata al 7%, contro l’8,8% di maggio.
Meglio va a Fratelli d’Italia, che passa dal 6,5% al 7,4%.
Nel suo complesso il centrodestra fa registrare un deciso calo, passando dal 49,6% al 44,5%.
Nel centrosinistra troviamo in crescita +Europa: dal 3,1% al 4%. Scende, invece, Europa Verde: dal 2,3% all’1,5%.
Il totale dell’area di centrosinistra, comprensiva del Pd, sale dal 28,1% di maggio al 28,5% di oggi.
Al di fuori di questa orbita, sempre nel centrosinistra, troviamo La Sinistra che è in crescita dello 0,7% e si attesta al 2,4%.
Tutti gli altri partiti, sommando i loro voti, scendono dal 3,5% delle elezioni europee al 2,3% di oggi.
(da Fanpage)
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Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
FUORI DA PALAZZO CHIGI, I MINISTRI DI SPESA AL M5S: PER IL PD UN NUOVO CAPITOLO DELLA SAGA DELLA “RESPONSABILITA’ NAZIONALE”
Ci sono dei dettagli che spiegano il tutto. Come, ad esempio, che nella delegazione del Pd al governo, tra i tanti rappresentanti del sud, ci sono addirittura ben due “pugliesi” e l’unico del Nord (sopra l’Emilia) è Lorenzo Guerini, lombardo, alla Difesa, ministero più di prestigio che di consenso. L’unico.
Perchè è andata così: Teresa Bellanova, pasionaria salentina del renzismo, idolo della Leopolda non poteva non essere inserita, in quota Renzi, per ragioni di equilibri e tenuta. Ed è andata all’Agricoltura (uno dei pochi ministeri di spesa incassati).
E Francesco Boccia, uomo del sud, di grande esperienza, punto di riferimento dei non renziani anche in Puglia, è andato agli Affari Regionali, dove si occuperà della delicata partita delle autonomie.
È chiaro, se il governo nasce con l’ambizione di durare l’intera legislatura, il congresso del Pd si farà prima della fine del governo. Ed già iniziato con la sua formazione.
Bastava intercettare qualche commento che l’ex segretario ha cominciato ad affidare ai suoi, consapevole che questo assetto, nella base, produrrà delle lacerazioni: “Il governo andava fatto, ma non così, erano meglio figure alla Cantone…”.
O i malumori dal territorio rimbalzati nelle chat. Ecco, il punto è quanto l’operazione politica di “rinnovamento” realizzata dal Zingaretti reggerà nel doppio fronte: interno, col fuoco amico dell’ex segretario che si sentirà piuttosto libero rispetto a questo governo, ed esterno, nell’ambito di un assetto in cui il Pd è estraneo al cuore pulsante dell’esecutivo.
Perchè il rinnovamento di personale politico c’è, anzi è il più grande rinnovamento realizzato rispetto agli ultimi quindici anni, con il cambio (ad esclusione di Franceschini) di tutta la delegazione di governo.
E l’ingresso di una nuova generazione della sinistra riformista, si sarebbe detto una volta: Gualtieri (romano), Provenzano (siciliano), Amendola (campano), oltre a Francesco Boccia e Paola De Micheli (piacentina), che già hanno una certa esperienza di governo ma non hanno mai ricoperto la carica di ministri.
Nomi a cui aggiungere quello di Roberto Speranza (lucano) alla Salute che rappresenta quella parte di Leu più incline al processo unitario col Pd.
Il problema appunto è l’incastro di un’operazione in cui, dentro il governo, il Pd non ha un punto di riferimento politico forte, col segretario che ha scelto di rimanere fuori per tante ragioni: perchè, non è un mistero, non ne era convinto dall’inizio, per non restare intrappolato all’interno di un assetto dove non controlla i gruppi, per non schiacciare il suo ruolo solo nella difesa del governo.
E Matteo Renzi che, certamente, non sente come vincolante la presenza di un paio dei suoi (la Bellanova e la Bonetti) in termini di parola, azione, autonomia, insomma “mani libere” provvedimento dopo provvedimento, a partire magari sulla giustizia che sfornerà il ministro Bonafede, uno dei tanti elementi di “continuità ” rispetto all’era gialloverde.
Ricapitolando, in epoca di “egemonia” salviniana nel paese: il Nord non è rappresentato dal Pd; i ministeri “produttivi” tutti in mano ai Cinque stelle (Lavoro, Sviluppo), anzi in mano agli uomini di Di Maio; il Pd fuori completamente da palazzo Chigi, dove l’ultimo braccio di ferro su Fraccaro è servito a far capire chi comanda; un tecnico al Viminale perchè, dicono, così ha voluto Mattarella, rinunciando così a gestire proprio il terreno cruciale dello scontro con Salvini. E scaricandone tutto il peso politico, in termini di emotività e consenso, sulle spalle di una stimatissima prefetta.
Il successo del Pd, parliamoci chiaro, è affidato soprattutto (se non solamente) alla capacità di ottenere margini di flessibilità economici grazie a una rinnovata centralità europea affidata al tandem Gualtieri-Gentiloni. Ovvero alla sfida più complicata.
Perchè è vero che tutti si attendono una maggiore benevolenza dell’Europa col nuovo governo, ma è anche vero che la prossima finanziaria, il cui primo obiettivo è sterilizzare le clausole di salvaguardia, non sarà propriamente il paese di Bengodi.
E mai un ministro dell’Economia, che comunque deve mostrare prudenza e realismo in materia di conti, è stato in materia di manovra una figura di consenso e non divisiva, fuori e dentro il governo. E non vissuto come “l’uomo di Bruxelles” che stringe i cordoni della borsa. Insomma, sembra tanto un altro capitolo di quella benedetta “responsabilità ” nazionale che, più volte, a sinistra si è trasformata in una donazione di sangue.
Al netto dell’entusiasmo di maniera sulla “svolta”, si percepisce quale sia la preoccupazione su un’operazione che il segretario non voleva proprio per questo: non c’è istituto di sondaggi (Pagnoncelli, Weber, Noto) che non registri i Cinque stelle in crescita grazie alla rinnovata centralità politica.
È cioè rinato quel terzo polo che le elezioni del 26 maggio avevano pressochè cancellato. Assieme al governo. I cui volti sono Di Maio agli Esteri e Conte a Palazzo Chigi. Senza tanta discontinuità .
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
POSTA ALTA, RISCHIO GROSSO… GENTILONI COMMISSARIO UE, GUALTIERI ALL’ECONOMIA, AMENDOLA AGLI AFFARI UE
Paolo Gentiloni commissario europeo con una delega forte (in ballo il commercio internazionale ma anche gli Affari economici), Roberto Gualtieri all’Economia, Enzo Amendola agli Affari europei.
Nel nuovo governo con il M5s, il Pd si prende l’Europa, con tutto quello che comporta in termini di responsabilità e rischi, onori e oneri.
Una scelta consapevole da parte dei Dem, iniziata tra l’altro già a luglio con l’elezione di David Sassoli alla presidenza del Parlamento europeo, mossa di inizio di un percorso europeo e poi anche italiano di allontanamento dei sovranisti dalle stanze dei bottoni a Bruxelles e quindi anche a Roma. E ora?
Conte 2 è un governo nato per ‘riagganciare l’Europa’ e riportare l’Italia fuori dai rischi di ‘Ital-exit’, dentro una dinamica europeista, da paese fondatore qual è dell’Unione.
Una manovra che per primo il premier Giuseppe Conte si carica sulle spalle, ormai fedele alla linea europeista che ha sposato da qualche mese in qua, in raccordo con Sergio Mattarella, di fatto da quando a fine 2018 ha contribuito — insieme all’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria — a evitare per l’Italia la procedura per violazione della regola del debito.
Nell’impegno europeista, Conte si ritrova di fianco il Pd che si è preso i posti in prima fila nel governo per riallineare Roma a Bruxelles, confidando nella possibilità di cambiare le regole e rivedere quel patto di stabilità e crescita entrato in discussione con la crisi del 2008.
Di contro, il M5s che invece ha mantenuto il presidio sui ministeri più utili per i cavalli di battaglia del Movimento delle orgini, il Movimento che Beppe Grillo vorrebbe rinverdire: l’Ambiente con Costa, lo sviluppo economico — dove si decide in materia di trivelle – con Patuanelli, il Lavoro con Catalfo, madrina del reddito di cittadinanza.
Insomma, al Movimento le ‘bandiere’, su materie diventate molto sensibili per gli elettori. Al Pd la responsabilità europeista che non sempre fa rima con popolarità .
Un boomerang per i Dem? Dipende.
Centrale è la delega che verrà attribuita al commissario Gentiloni. Sarà vicepresidente in Commissione europea, secondo gli accordi siglati da Conte al consiglio europeo sulle nomine prima dell’estate.
Quanto al portafoglio, ne dovrebbe ottenere uno di peso, adatto ad un ex presidente del Consiglio, quale è Gentiloni. A quanto apprende Huffpost, il Conte 2 cambierà la sua richiesta alla nuova presidente Ursula von der Leyen.
A luglio, l’accordo di massima era la Concorrenza, con la vicepresidenza. Ma adesso in Italia il quadro è completamente cambiato, Salvini non è all’opposizione, il nuovo esecutivo si pone in termini di confronto senza scontro con Bruxelles e in più il candidato a rappresentare l’Italia nella nuova Commissione europea è un ex premier. E’ con questo ragionamento che Conte vuole chiedere la delega agli Affari Economici per Gentiloni, che diverrebbe il successore del socialista francese Pierre Moscovici, nonostante il debito alto che — Salvini o non Salvini — ancora marchia in rosso le finanze italiane alla vigilia della discussione sulla prossima legge di stabilità .
Ma ce n’è un altro di ragionamento a supporto della nuova richiesta italiana. E in questo caso è un ragionamento europeo. Tra i paesi più grandi dell’Unione, tutti hanno già un avamposto in Commissione o in altre istituzioni economiche dell’Ue.
La Germania esprime la nuova presidente. La Francia ha Christine Lagarde, nominata futura governatrice della Bce per il dopo Draghi e non a caso è lei la prima a ‘benedire’ la nomina di Gualtieri al Mef: “Fa bene all’Italia e all’Ue”.
La Spagna ha l’Alto rappresentante per la politica estera, Joseph Borrell. Il Portogallo ha il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno.
Quando a luglio l’Italia ha ottenuto la promessa della delega alla Concorrenza, il massimo cui poteva aspirare un governo populista, altri paesi — decisamente più rigoristi – come la Finlandia e l’Olanda si sono fatti avanti per ottenere gli Affari Economici.
Tanto che girava il nome della finlandese Jutta Urpilainen, socialista sì, ma in ‘stile nordico’, ex ministro dell’economia del Governo del falco Katainen
Ma ora che Roma ha imboccato la strada opposta all’euroscetticismo, il quadro è cambiato e Gentiloni può davvero aspirare a prendere il posto di Moscovici, confidano gli italiani tra Roma e Bruxelles.
Tanto più se nella nuova Commissione von der Leyen prevarranno i paesi che vogliono rivedere il patto di stabilità e crescita, proposito già inserito in almeno due documenti che circolano a Palazzo Berlaymont, ancora non adottati dalla nuova presidente che deve comporre la squadra e sta ancora cercando un equilibrio di genere, geografico, politico e tra le varie tendenze pro-rigore o pro-flessibilità .
La prossima settimana la presidente vorrebbe presentare la nuova squadra: ora che la crisi italiana si è risolta, potrà procedere già questo weekend con gli ultimi colloqui con gli Stati membri per la scelta dei commissari.
L’alternativa per Gentiloni è la delega al Commercio internazionale, portafoglio comunque importante e dal profilo molto politico nell’era dei dazi di Trump contro la Cina e l’Europa.
Il Pd si prende l’Europa per cambiarne le regole. E’ una scommessa che confida nel nuovo corso von der Leyen. La posta è alta, il rischio pure.
Se perde, rischia di diventare il partner debole dell’alleanza di governo e di subire i prevedibili attacchi del M5s, che — soprattutto a Roma più che tra gli eletti a Bruxelles – è certamente meno legato ad una dinamica europeista.
A meno che Conte non riesca a tenere a bada la parte di Movimento che in queste settimane di trattativa si è dimostrata più riottosa, a cominciare da Luigi Di Maio, neo-ministro degli Esteri.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
SI CAMBIERA’ REGISTRO SUI MIGRANTI: “BISOGNA ACCOGLIERE SECONDO LE REGOLE E INTEGRARE, NON RESPINGERE”… “RICUCIRE CON L’EUROPA DOVE BISOGNA TROVARE ALLEANZE”
Per il ministero degli Interni, dopo l’uragano Salvini, la prescelta del nuovo governo M5S-Pd è Luciana Lamorgese, consigliere di Stato dopo aver chiuso nell’ottobre del 2018 la sua esperienza alla guida della prefettura di Milano.
La scelta di un nome tecnico risponde alla volontà – caldeggiata dal Colle – di “spoliticizzare” il Viminale, evitando di assegnare ad una casella così delicata un politico che sarebbe prevedibilmente stato il bersaglio quotidiano del suo predecessore
Nata a Potenza l′11 settembre 1953, avvocato, Lamorgese è entrata in carriera nell’amministrazione dell’Interno nel marzo 1979. Dieci anni dopo è diventata viceprefetto ispettore, nel 1994 viceprefetto e nel 2003 prefetto.
Sul suo tavolo subito il tema migranti, che lei conosce bene per averlo affrontato più volte con diversi ruoli. Il Pd invoca discontinuità e così sarà .
Nel programma, ricorda Graziano Delrio, “c’è scritto che serve una nuova legge sull’immigrazione, che superi la logica emergenziale e affronti il problema in modo organico”.
E discontinuità sarà anche dal punto di vista comunicativo: difficile immaginare Lamorgese (a proposito, non ha profili social) sul tetto del Viminale alle prese con una diretta Facebook.
In attesa di nuove leggi c’è da affrontare la realtà più immediata, fatta di sbarchi, come dimostrano le cronache. Ed il contestato decreto sicurezza bis di Salvini è sempre in vigore.
Ebbene, cosa succederà alla prossima nave umanitaria che tenterà di entrare in acque italiane con un gruppo di migranti soccorsi? È ipotizzabile che il nuovo ministro non firmerà il divieto, come faceva puntualmente il leader leghista in base all’articolo 1 del suo dl che gli concedeva la facoltà di “limitare o vietare l’ingresso” a navi “per motivi di ordine e sicurezza pubblica”.
È una facoltà appunto, non un obbligo; quindi si possono già disinnescare così gli effetti della legge salviniana.
Lamorgese dovrà comunque far ricorso a tutte le sue riconosciute doti di mediazione ed ascolto per trovare un punto di equilibrio tra le esigenze dem – che sono per una cesura netta con le politiche del precedente Governo – e quelle di una parte dei Cinquestelle, che puntano comunque a mantenere una linea rigorista.
La stella polare del nuovo ministro, come recita il 15/o dei 26 punti contenuti nelle linee programmatiche del nuovo Governo, sarà aggiornare la normativa “seguendo le recenti osservazioni formulate dal presidente della Repubblica”.
Il riferimento è alla lettera che Sergio Mattarella ha inviato lo scorso 8 agosto con i rilievi al dl sicurezza bis. Il capo dello Stato aveva sollevato “rilevanti perplessità ”, in particolare, sulle sanzioni a carico delle navi che violano il divieto di ingresso in acque italiane: multe fino ad un milione di euro e confisca.
Serve, ha spiegato, “la necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti”, ricordando anche che il divieto può essere disposto “nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia”.
Anche sul primo decreto sicurezza, quello dell’ottobre 2018 che conteneva una stretta sui richiedenti asilo, il presidente aveva scritto per sottolineare che restano “fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”, in particolare quelli dell’art. 10 della Costituzione che stabilisce che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.
Nel Pd c’è chi vorrebbe abrogare tout court i due provvedimenti. Se si troveranno convergenze tre le due forze di Governo ci sarà la riscrittura del testo unico sull’immigrazione per un cambio più di sistema.
E Lamorgese dirà la sua, forte dell’esperienza maturata sul campo (è peraltro laureata in legge). Da prefetto di Milano aveva bacchettato le ordinanze anti-migranti dei sindaci leghisti: “è importante accettare la diversità , che è ricchezza e procedere con l’integrazione. Io dico che bisogna accogliere nelle regole e non respingere il diverso che può essere un arricchimento per il territorio”. E c’è da attendersi proprio un impulso alle politiche dell’integrazione, depotenziate da Salvini.
Il nuovo ministro punterà anche a ricucire l’essenziale rapporto con Bruxelles e con le altre capitali europee, da Parigi e Berlino, nella convinzione che occorre trovare alleanze per cambiare le cose, a cominciare dalla ‘gabbia’ del Trattato di Dublino che impone al Paese di primo arrivo di farsi carico dei migranti sbarcati.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
NEW ENTRY: LAMORGESE A PARTE, TRE SONO DEL PD E TRE DEL M5S
Sette donne, di cui una “tecnica”, tre nomi del Pd e tre del Movimento 5 Stelle.
Questa la geometria delle ministre del neonato governo Conte Bis, per un terzo composto da donne.
Vediamo chi sono nel dettaglio
De Micheli, prima donna ministro delle Infrastrutture
Paola De Micheli è il nuovo ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nel governo M5S-Pd, prendendo il posto del grillino Danilo Toninelli. La vice segretaria del Pd, 46 anni appena compiuti, passerà alla storia come la prima donna a guidare il dicastero di Porta Pia.
Nata a Piacenza il 1 settembre 1973, De Micheli consegue la laurea in Scienze Politiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e si impegna in politica già dalla metà degli anni 90 con l’Ulivo di Romano Prodi. Con l’inizio della segreteria Pd di Pier Luigi Bersani entra a far parte del dipartimento Economia del Partito Democratico.
Nel 2008 viene eletta per la prima volta alla Camera dei Deputati per la Circoscrizione Emilia Romagna. Ripeterà le vittorie anche nelle elezioni politiche di febbraio 2013 e marzo 2018. Tra i ruoli ricoperti, quello di sottosegretaria all’Economia con il governo Renzi e sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio col governo Gentiloni, con delega al terremoto del centro-Italia. Al di fuori della politica, spicca l’incarico della De Micheli come presidente della Lega Pallavolo Serie A.
Teresa Bellanova, in prima linea sul caporalato
Teresa Bellanova, del Pd, è il nuovo ministro dell’Agricoltura. Classe 1958 di Ceglie Messapica in provincia di Brindisi, è stata viceministro dello Sviluppo economico nei governi Gentiloni e Renzi. Ha iniziato giovanissima come sindacalista della Cgil in Puglia ed è stata in prima linea nella lotta al caporalato
Il percorso nel sindacato l’ha portata a ricoprire diverse funzioni: coordinatrice regionale delle donne di Federbraccianti in Puglia, segretaria generale provinciale della Flai (la Federazione dei lavoratori dell’agroindustria), componente della segreteria nazionale della Filtea, con delega alle politiche per il Mezzogiorno.
Nel 2006 si è candidata alle elezioni politiche per i Democratici di Sinistra e, una volta eletta alla Camera, ha assunto l’incarico di componente della commissione Lavoro. Attività svolta fino all’ultima legislatura. “Allora come oggi la rappresentanza del lavoro e la difesa dei diritti delle persone costituiscono il tratto caratteristico ed irrinunciabile del mio impegno politico e sindacale e la mia stessa dirittura di vita”, scrive la Bellanova sul suo sito.
Bonetti, scout e matematica a favore dei diritti gay
Matematica, professore associato di Analisi, mantovana, un passato come capo scout nell’Agesci, il neo ministro per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti nel 2014 firmò un appello, insieme a don Gallo, per chiedere allo Stato di riconoscere le unioni gay e alla Chiesa di rivedere le proprie posizioni “perchè tutti abbiamo il diritto di amare e di essere amati”. Un deciso cambio di passo rispetto alle posizioni del precedente ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana e Alessandra Locatelli.
Matteo Renzi, un passato nell’Agesci anche per lui, nel 2017 la volle nella segreteria nazionale del Pd. Una scelta che destò più di una sorpresa, considerato che Bonetti, oggi 45enne, era una docente universitaria e non una politica in senso stretto.
Iscritta da poco nel Pd, ammise che la scelta colpì anche lei: “Mi è sembrata una proposta sproporzionata, ma ha prevalso la voglia di provare”, commentò la nomina attribuendola ai suoi contatti col mondo giovanile: “Credo che stia a significare la volontà di aprire tutte le porte al mondo giovanile, alle associazioni che a questo mondo si rivolgono e ai valori di cui sono portatrici”.
Sulla sua biografia, che compare sul sito del Pd, Bonetti scrive: “Nella ricerca ho imparato che si cresce se si gioca in squadra. La passione educativa e il desiderio di accompagnare le giovani generazioni ad essere buoni cittadini, capaci di contribuire a scrivere una storia bella e generativa per la nostra comunità , trovano le radici nel mio cammino scout – aggiunge – Su questa strada ho imparato la bellezza del camminare insieme, la felicità e la pienezza che nascono dal servizio, il coraggio di dire sì, la chiamata a lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”.
Dadone alla Pa, un’altra donna per palazzo Vidoni
Ministra della Pubblica Amministrazione è la deputata pentastellata Fabiana Dadone. Il ministero cambia di nuovo bandiera, al timone c’era la leghista Giulia Bongiorno e prima ancora la ministra del Pd Marianna Madia, ma resta in ‘quota rosa’.
Dadone, classe 1984, sale a palazzo Vidoni a soli 35 anni, seconda solo a Di Maio nella graduatoria dei ministri più giovani. Piemontese, nata a Cuneo, arriva a guidare il ministero della P.a dopo l’esperienza svolta in commissione Affari Costituzionali della Camera, dove è stata anche capogruppo M5s. Dadone è al secondo mandato. È infatti entrata in Parlamento per la prima volta a seguito delle elezioni del 2013.
Allora aveva 29 anni, figurando tra le più giovani parlamentari del M5s elette. Faceva ingresso a palazzo Montecitorio con in tasca una laurea in giurisprudenza, forte dell’impegno come volontaria nel sociale.
“Non mi sono mai occupata di politica ma mi è piaciuta da subito l’idea di Grillo di riportare la politica attiva al popolo con un nuovo slogan 1=1”, furono le sue parole da esordiente. Compare anche alla guida del comitato ‘mafie, migranti e tratta di essere umani, nuove forme di schiavitù’ della commissione parlamentare antimafia.
Di recente Dadone è stata relatrice della legge per il referendum propositivo, uno dei mantra del movimento e del suo fondatore Beppe Grillo. È stata inoltre attiva in tema di conflitto d’interessi, materia su cui ha presentato un testo nella scorsa legislatura, riponendolo poi a luglio.
Catalfo al Lavoro, madre del Reddito e salario minimo
Nunzia Catalfo, senatrice M5s, è la nuova ministra del Lavoro e delle Politiche sociali. Prende il posto, raccogliendone il testimone, finora assegnato al capo politico del Movimento, Luigi Di Maio. Siciliana, classe 1967, nasce a Catania e professionalmente come orientatore e selezionatore del personale. Diploma di maturità scientifica.
È la madre del Reddito di cittadinanza (sua la prima firma del relativo disegno di legge nel 2013), misura bandiera del M5s approvata dal governo appena chiuso con la Lega, ma lo è anche del ddl targato 5 stelle per l’introduzione di un salario minimo orario (9 euro lordi la proposta). E’ stata, inoltre, prima firmataria del disegno di legge sull’equo indennizzo e sul riconoscimento delle cause di servizio per la polizia locale.
Attivista del Movimento fin dal 2008, viene eletta la prima volta nel 2013, rieletta poi nel 2018. In questa legislatura a Palazzo Madama è presidente della commissione della 11/ma Commissione permanente Lavoro pubblico e privato e previdenza sociale. A lei ora la guida del dicastero di via Veneto.
Pisano all’Innovazione, dalla giunta Appendino a Roma
Il ministero dell’Innovazione, una new entry nella compagine di governo, sarà guidato da Paola Pisano, assessora all’Innovazione nella giunta Appendino a Torino. Materia che ha anche insegnato nell’università della città . Nata nella capoluogo piemontese nel 1977, vanta un percorso accademico tutto dedicato all’innovazione.
Si è guadagnata il nomignolo affettuoso di “signora dei droni”, per i tanti progetti avviati in tal senso a Torino (ad esempio per monitorare le infrastrutture e per la sicurezza).
Di recente era stata protagonista delle cronache per la sua rinuncia alla candidatura come capolista M5s alle elezioni Europee, offerta che gli era arrivata dal capo politico del MoVimento Luigi Di Maio. Decisione per cui la sindaca di Torino Chiara Appendino l’aveva pubblicamente ringraziata, giudicando la sua fuoriuscita una “grave perdita per la città ”.
Pisano ha svolto un ruolo attivo nella giunta torinese, che punta a fare dell’innovazione il suo fiore all’occhiello. È stata tra l’altro la prima città metropolitana ad allacciarsi all’Anagrafe unica della popolazione. Pisano ha spinto pure per sperimentare le nuove frontiere della mobilità , lanciando Torino come laboratorio per la guida autonoma.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
PARE CHE I COSACCHI DELL’ARMATA ROSSA STIANO ABBEVERANDO I LORO CAVALLI IN PIAZZA SAN PIETRO… SALVO POI SCOPRIRE CHE I RUBLI DELLA RUSSIA ARRIVANO PROPRIO AI SOVRANISTI
Dalle parti del Partito Democratico si è sentito spesso parlare della necessità di una discontinuità con il governo precedente. Ma probabilmente nemmeno dalle parti del Nazareno pensavano che il bis di Conte significasse l’avvento del comunismo in Italia. Eppure è così che lo raccontano i giornali della fu galassia berlusconiana come il Giornale e Libero.
Sono arrivati i comunisti, è l’allarme che lanciano un giorno sì e l’altro pure.
Non li avete visti, ma i cosacchi dell’armata rossa stanno abbeverando i loro cavalli in Piazza San Pietro.
Ad aprire le danze il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, che tranquillizzava i lettori con un siamo tutti nei guai perchè stava per arrivare il governo di estrema sinistra con il suo carico di immigrati e patrimoniale per quei poveracci dei ricchi.
Il terrore continua anche oggi: il Giornale propone un titolo che fa il verso ad un celebre horror ed esprime tutta la sua preoccupazione per il programma folle di estrema sinistra che il governo del pacato professore universitario nonchè fu avvocato del Popolo si appresta a realizzare.
Manca solo quello che dice tutto serio e contrito che d’ora in poi a Bibbiano i bambini non si ruberanno più, si mangeranno direttamente.
In un commento di Carlo Lottieri pubblicato il 30 agosto si esprime viva preoccupazione per il pericolo social-statalista portato da quelli che fanno tornare il comunismo dopo trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino.
Tra gli alfieri del socialismo reale troviamo il PD, ovviamente erede del PCI-PDS-DS, ma anche i castristi come Fico e Di Battista. Forse perchè ricordano nell’aspetto i barbudos della Rivoluzione cubana.
Le ricette che preoccupano sono sempre le stesse: spesa pubblica, reddito di cittadinanza e tasse sempre più alte. Sarà una tragedia per i ricchi, dovranno rinunciare alla terza macchina o alle vacanze a Bali.
Non c’è solo il pericolo comunista: attenti anche alla secessione dei terroni contro il Nord
Anche Libero è sinceramente preoccupato: coi giallorossi torna la pacchia per gli stranieri che sono vivamente invitati tutti a venire in Italia. Soffrono gli italiani, che tornano si immagina ad essere invasi come ai bei tempi in cui i giornaloni sovranisti ce la menavano con l’invasione organizzata dei taxi del mare.
Ma il pericolo per il quotidiano diretto da Vittorio Feltri non è rappresentato solo dai sinistri. A comandare è il Sud perchè «i meridionali si sono impadroniti del Paese con una secessione di fatto» occupando i gangli del potere e tutti i principali posti del governo giallorosso.
Viene quasi da pensare che forse il governo Conte potrebbe ottenere un indice di gradimento molto più alto se si presentasse come il primo governo sovietico italiano.
Con un piccolo dettaglio: i rubli russi oggi arrivano ai sovranisti europei, guarda caso gli amici degli ex comunisti sono loro.
(da NextQuotidiano”)
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Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
METTETEVI COMODI
Non è laureato, neanche per corrispondenza
Non parla inglese.
Nessuna conoscenza di lingue straniere, neanche sommaria.
Parla a fatica italiano, capisce il napoletano (ma non di tutti i rioni) e pronuncia dignitosamente la parola francese “Rousseau”.
Considera la Francia un paese amico e un punto di riferimento grazie alla sua “tradizione democratica millenaria”.
Vuole così bene ai francesi che si è fatto fotografare a Parigi, insieme a Di Battista, con un tizio vestito con un gilet giallo che invocava un “golpe militare armato”.
È un sincero democratico, al punto da scagliarsi contro il feroce dittatore venezuelano Pinochet.
Si vanta di essere amico personale del Presidente cinese Xi Jinping, che chiama affettuosamente “Ping”.
Nel 2017 ha invitato americani e russi a “lanciare banconote in Siria, non missili”.
Ad oggi, la sua esperienza all’estero più importante è stata un viaggio negli Stati Uniti, in cui ha avuto l’onore di parlare (in italiano) con uno dei sei viceassistenti dell’assistente agli Affari europei del vice del segretario di Stato Rex Tillerson. E non è uno scherzo.
In un paese normale a uno con un curriculum del genere non gli facevano neanche portare il caffè alla Farnesina.
Forse qualche bibita.
Lorenzo Tosa
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Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
ADDIO A TONINELLI, TRENTA, GIULIA GRILLO, BARBARA LEZZI E BONISOLI
Serviva la discontinuità ed eccola servita: cadono le teste di quasi tutti i ministri del MoVimento 5 Stelle del Governo del Cambiamento. Il Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato Giuseppe Conte ha letto la lista dei ministri del suo nuovo governo.
Gli unici confermati nel ruolo che avevano nel governo precedente sono il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il Ministro dell’Ambiente Giuseppe Costa.
Fuori Toninelli “il concentrato” e l’umanissima Trenta: è l’inizio della fine per i #portichiusi?
Luigi Di Maio, come ampiamente previsto, andrà al Ministero degli Esteri (e lascerà i dicasteri del Lavoro e dello Sviluppo Economico) mentre Riccardo Fraccaro passerà dal dicastero per i rapporti con il Parlamento al ruolo di Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Tutti gli altri ministri del MoVimento 5 Stelle che hanno governato in questi ultimi 14 mesi dovranno lasciare il proprio posto.
Salutano i loro uffici (e tornano in Parlamento alla Camera o al Senato) ministri imprescindibili come Danilo Toninelli (sarà sostituito dalla Dem Paola De Micheli) del quale in questi mesi abbiamo imparato ad apprezzare le gaffe, la massima concentrazione, il via libera a colate di cemento e condoni (ma col pugnetto chiuso) e l’appiattimento sulla linea di Salvini dei porti chiusi contro le Ong.
Se ne va anche un’altra protagonista della stagione del cambiamento: la ministra della Difesa Elisabetta Trenta (al suo posto Lorenzo Guerini del PD). Di lei ricorderemo due cose: l’umanità intermittente che a volte le impediva di firmare i divieti di sbarco per i migranti e a volte invece la metteva in rotta di collisione con Salvini e le spericolate acrobazie aeree sull’acquisto degli F-35, i caccia di nuova generazione che il MoVimento non ha mai particolarmente amato (ma che alla fine ha acquistato).
Ai grillini più oltranzisti non è sfuggito il suo immobilismo sulla questione del MUOS di Niscemi. Non essendo stata eletta alle politiche del 2018 (era candidata nelle liste del collegio Lazio 02) probabilmente tornerà alla carriera di docente (alla Link Campus University)
Addio a Barbara Lezzi e a Giulia Grillo
Tornano rispettivamente sui banchi di Palazzo Madama e di Montecitorio le ex ministre Barbara Lezzi e Giulia Grillo.
La Lezzi detiene il non poco invidiabile primato di essere la ministra del Sud probabilmente meno amata nel Mezzogiorno. Grazie alla clamorosa retromarcia del MoVimento 5 Stelle che in campagna elettorale aveva promesso di chiudere l’Ilva di Taranto e che dopo una patetica sceneggiata dell’ex ministro dello Sviluppo Economico Di Maio ha dato il via libera all’acquisto da parte di Arcelor-Mittal.
Ma sulla Lezzi pesa anche quello che gli attivisti pugliesi hanno percepito come un vero e proprio voltafaccia: il mancato stop al TAP.
Proprio la Lezzi provò a spiegare che il M5S non poteva fermare il gasdotto, senza dire che il suo partito sapeva benissimo che i trattati internazionali vincolanti erano stati già firmati (proprio durante la scorsa legislatura). Niente in confronto a quando provò a spiegare la vicenda in televisione parlando di asciugamani.
Giulia Grillo ha dovuto affrontare un compito ancora più difficile. Conciliare le istanze free-vax ben presenti all’interno del MoVimento (anche se qualcuno ha provato a spazzarle sotto il tappeto) e le promesse di abrogare la legge Lorenzin sui vaccini obbligatori fatte alle associazioni free-vax da alcuni esponenti del partito con la necessità di tutelare la salute pubblica, specie di quei bambini che non possono vaccinarsi. Fu così che all’inizio dello scorso anno scolastico la ministra se ne uscì con la storia dell’obbligo flessibile detto anche obbligo intelligente che ha consentito agli antivaccinisti di aggirare la legge anche per l’anno scolastico 2018/2019.
Non si può dire che abbia fatto poi molto per fermare gli antivax, che hanno continuato ad essere ricevuti nei ministeri mentre in Parlamento il M5S faceva casino sull’obbligo vaccinale
Last but not least lascia anche il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli (che però non tornerà in Parlamento perchè alle elezioni fu sconfitto da Tabacci) anche di lui ci piacerebbe poter dire qualcosa, ma oltre all’ennesima riforma dei Musei non è che abbia fatto molto per farsi notare (e per fortuna, visto l’andazzo dei suoi colleghi).
E chissà quali sorprese ci attendono con la nomina di viceministri e sottosegretari.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 4th, 2019 Riccardo Fucile
POSSIBILE CHE UNO STAFF CHE CI COSTAVA MILLE EURO AL GIORNO SIA COSI’ INEFFICIENTE?
Ma è possibile che uno staff come quello che Matteo Salvini ha portato a Palazzo Chigi e che ci costa(va) mille euro al giorno sia così inefficiente?
Salvini non è ormai più ministro dell’Interno nè vicepresidente del Consiglio, eppure sulla sua biografia su Twitter c’è ancora scritto così:
Ora, si sa che il Capitano questa cosa di dover lasciare il Viminale soltanto perchè ha fatto cadere il governo non l’ha mai mandata giù: infatti nei suoi piani c’era di rimanere ministro anche mentre il paese si avviava alle elezioni.
Però adesso questa bio si potrebbe anche cambiare, no?
Oppure vogliamo tenere duro fino alle prossime elezioni, tenendo conto che la scadenza naturale della legislatura arriva al 2023?
Non è più lui il ministro e sarebbe il momento di accettare la cosa.
Anche su Twitter.
(da agenzie)
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