Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
PRIMA IL CHINOTTO ITALIANO? QUALCUNO AVVISI SALVINI CHE LA LURISIA (MAGGIORE PRODUTTRICE DI CHINOTTO IN ITALIA) E’ STATA APPENA ACQUISTATA DALLA COCA COLA
Potere delle multinazionali. Giorni fa, dal palco della Zena Fest, la festa della Lega a Genova, Matteo Salvini ha lanciato pacchi di Kinder Ferrero ai suoi sostenitori, incitando alla “disobbedienza civile” per resistere alla ventilata tassa sulle merendine che il ministro dell’Istruzione, il toninellico Lorenzo Fioramonti, vorrebbe introdurre per aumentare i fondi alle scuole italiane.
Sembrava una scena del film Il dormiglione di Woody Allen, 1973, quando il protagonista, svegliatosi dopo molti anni, scopre i benefici nutrizionali di torte di creme e merendine che i dietologi da sempre avevano demonizzato. Il sonno della ragione crea insani appetiti.
Dopo le merendine, in un sussulto di resipiscenza, il leader del Carroccio ha però assicurato la platea al grido di «Resisteremo con il chinotto».
Il chinotto fa molto km zero (si produce in gran parte nel savonese), presidio Slow Food, stile vintage, orgogliosa tradizione italiana.
Forse Salvini non era stato avvertito che nel frattempo la Lurisia, la maggior produttrice di chinotto (tra gli gli azionisti c’è Oscar Farinetti), era stata venduta alla Coca Cola.
Tanto che Slow Food ha deciso di interrompere subito la collaborazione con l’azienda di acque minerali di Roccaforte nel Cuneese
Addio pane e salame, addio porchetta: sovranismo di testa, globalismo di pancia.
(da agenzie)
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Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
TRENT’ANNI, NATO IN ERITREA: DAL SEQUESTRO IN SUDAN AL VIAGGIO DI 14 GIORNI NEL DESERTO, DALLA PRIGIONIA IN LIBIA AL VIAGGIO IN MARE
Il 19 settembre di quest’anno, Abraham Tesfai lo ricorderà per sempre. È il giorno in cui si è laureato, il giorno in cui ha coronato un sogno che inseguiva da bambino. Trent’anni, nato e cresciuto in Eritrea, oggi lavora come operatore in una cooperativa. Attivista impegnato per la tutela dei diritti umani dei suoi connazionali, vive a Bologna. Lì ha realizzato quel sogno per cui è scappato dal suo Paese d’origine e nel 2008 ha raggiunto Lampedusa su un’imbarcazione appena più grande di un canotto, scampando alla morte – “eravamo ammassati e il gommone imbarcava acqua”, ricorda – grazie all’intervento di un elicottero e poi di una nave della Marina militare italiana.
In mezzo ci sono il sequestro in Sudan, la fuga e il viaggio di quattordici giorni in mezzo al deserto, l’arrivo e la prigionia in Libia, “lì ho visto tutta la miseria e il male che può esserci su questa terra, lì sono morti i tre amici con i quali ero andato via dall’Eritrea”, racconta e la voce si abbassa di tono.
La sua è la storia di chi crede nella bellezza di un sogno e si impegna per realizzarlo, ma anche di chi si batte per la libertà e i diritti fondamentali, per sollevare il velo sulle sofferenze di milioni di persone contro l’indifferenza montante, in tempi di porti chiusi, invasioni vagheggiate, emergenze umanitarie ignorate, muri reali e simbolici.
Dal suo arrivo in Italia sono passati undici anni, durante i quali Abraham, che allora di anni ne aveva diciannove, ha dovuto ricominciare daccapo. Una volta, due, tre. Quando da Lampedusa è stato destinato in un centro di accoglienza a Caltanissetta e, dopo tre mesi, si è ritrovato per strada, in tasca un visto umanitario.
Conosceva quasi niente di italiano – “purtroppo nelle strutture di accoglienza la lingua si insegna poco” – insieme a un paio di migranti conosciuti da poco, ha deciso di saltare su un treno e raggiungere Bologna.
Racconta Abraham: “Amici eritrei mi ospitarono, ma mi consigliarono di andare in Svizzera”. E lui ci va, prova a ripartire da lì, ma, essendo sbarcato e avendo dunque impresso le sue impronte digitali in Italia, in base a quanto stabilito in linea con l’Agenda europea, viene rimandato indietro.
Torna a Bologna, incontra don Giovanni Nicolini, ex direttore della Caritas locale. “Mi ha dato una piccola stanza – spiega Abraham, mi ha aiutato in un momento tanto difficile. Erano anni di crisi, non avevo punti di riferimento. Davvero non sapevo cosa fare”.
Una cosa, in realtà , la sapeva. Voleva laurearsi. Non solo per ambizione personale. Lo studio, per Abraham, significa prima di tutto “radici” e la possibilità di restare connessi alla storia, sua, personale e familiare, e collettiva, dell’Eritrea.
“Sono nato e cresciuto in una famiglia che ha combattuto per l’indipendenza del mio Paese, i miei genitori hanno trasmesso a noi figli il valore dello studio perchè avessimo possibilità che loro non hanno avuto. Mamma e papà sostenevano il Fronte di liberazione e nel ’91, quando si arrivò all’indipendenza, erano felici”, sospira.
Ma nel volgere di pochi anni i liberatori si trasformano in oppressori e il presidente, Isaias Afewerki, concentra tutto il potere nelle sue mani. Abraham ricorda la disillusione dei suoi, lo sconforto “quando, andavo alle scuole medie, mi arrivò la notizia che l’Università ad Asmara era chiusa”. La situazione peggiora, arriva un editto che impone il servizio militare obbligatorio e permanente a uomini e donne.
Tocca anche a lui e in quelle caserme si ritrova faccia a faccia con l’orrore – “cose inenarrabili. Ci legavano mani e piedi, ci torturavano. Avevo diciotto anni, sono arrivato a odiare la vita – dice – L’unica possibilità di salvezza era andare via”.
E così una notte, insieme a tre amici e sotto una pioggia scrosciante Abraham scappa. Nelle orecchie il suono dell’acqua che veniva giù, in corpo la paura di essere scoperto – “ci avrebbero uccisi di sicuro” – in mente il desiderio di riprendere a studiare e laurearsi.
Quando, respinto dalla Svizzera, torna a Bologna, pensa subito di iscriversi all’Università . “In Eritrea avevo preso il diploma di liceo, ma ce lo aveva il regime, era impossibile ottenere il documento. Così sono andato alla scuola serale”.
L’inizio è in salita: la mattina in giro per lavoro – “magazziniere, autista in una ditta di pulizie, ho fatto tanti lavori” – il pomeriggio tra i banchi. E, sempre, la paura di non farcela, “il disagio di trovarmi accanto all’uomo bianco, che io consideravo superiore. Poi a una verifica di matematica presi il voto più alto della classe e ho iniziato ad avere fiducia nelle mie possibilità . E anche grazie a tanti insegnanti che hanno creduto in me, ho preso il diploma da perito meccanico”.
Passo successivo, l’iscrizione all’Università . Abraham ha scelto la facoltà di Agraria, “per aiutare la gente in Eritrea” e infatti ha centrato la sua tesi sullo studio della coltivazione del teff, un cereale tipico e largamente utilizzato nel suo Paese d’origine. Dal 2012 ha iniziato a supportare i suoi connazionali, intanto arrivati sempre più numerosi in Italia, lavorando anche come interprete, pure per la Questura di Bologna. Fa parte della rete di attivisti “Eritrea democratica”, partecipa a iniziative e organizza incontri e diverse volte è stato ospite in Parlamento, in Italia e a Bruxelles, per denunciare le condizioni in cui vivono gli eritrei nel loro Paese e i migranti rinchiusi nelle carceri libiche.
Corre dei rischi Abraham e lo sa – nel suo “La frontiera” Alessandro Leogrande ha scritto che gli eritrei difficilmente parlano di quanto accade sotto la dittatura di Afewerki rinunciando all”anonimato “per la presenza in tutta Europa di agenti dei servizi eritrei” perchè temono possibili ripercussioni sulle loro famiglie.
“I miei genitori non hanno avuto il visto per raggiungermi nel giorno della laurea, – va avanti Abraham – più volte hanno tentato di tapparmi la bocca, ma io vado avanti. Sapere come stanno le cose è fondamentale. Gli eritrei sono forzati alla migrazione da una situazione insostenibile. Io, e come me, la gran parte dei miei connazionali, non ho mai voluto lasciare il mio Paese d’origine”.
E qui si tocca un’altra questione, che riguarda direttamente una certa narrazione sui migranti. Deformata e deformante, secondo studiosi, esperti e attivisti, eppure negli ultimi anni molto diffusa, sempre più accreditata.
“Se un Paese chiude i suoi porti – spiega Abraham – significa che vuole chiudersi, e questo non va bene. L’Italia non è questa, è un Paese aperto, che vuole guardare al futuro con serenità e noi abbiamo il dovere di impegnarci perchè prevalgano le ragioni della solidarietà e dell’integrazione”.
Dice “noi”, Abraham “perchè, “mi sento cittadino italiano nonostante abbia l’obiettivo di tornare in Eritrea, per avviare una collaborazione tra i due Paesi e so che non potrò farlo fino a quando non cade la dittatura – aggiunge – l’Italia, che all’Eritrea è profondamente legata, può fare qualcosa per cominciare ad affrontare quella che è una vera e propria emergenza umanitaria, al pari di quanto accade nelle carceri libiche. Mi sento cittadino italiano, sì, anche se avendo una carta di soggiorno ufficialmente non lo sono. Ma sono riconoscente a questo Paese, nel quale resterò a vivere fino a quando non potrò tornare in Eritrea, per avermi restituito alla vita, quando quasi avevo perso la speranza, e per avermi consentito di laurearmi, realizzando il sogno di una vita”.
(da agenzie)
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Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
MA NON ERANO IL PPE E LA MERKEL I NEMICI PRINCIPALI DEI SOVRANISTI E GLI ALLEATI DELLE BANCHE?
“La Lega nel Ppe? Non lo escluderei a priori. Con la Csu bavarese, ad esempio, ci sono molti elementi di consonanza”: Giancarlo Giorgetti, che passa per il braccio destro di Salvini a giorni alterni sui giornali, oggi a In 1/2 Ora in più da Lucia Annunziata ha completamente rivoltato la politica europea del segretario della Lega.
Mentre il capitano si è dedicato a costruire il partito dei sovranisti (che però, tranne che in Italia e in Francia, hanno perso ovunque) Giorgetti immagina l’entrata del Carroccio nel grande partito dei popolari europei che oggi annovera tra le sue figure la CDU di Angela Merkel.
La cosa quindi sarà particolarmente sgradita all’ala antieuro del partito di Salvini, anche se non è escluso che questi vengano convinti che alla fine anche la Merkel sia contraria sotto sotto all’euro: d’altro canto gente che credeva che Paolo Savona li avrebbe portati fuori dall’euro potrebbe credere più o meno a tutto.
In ogni caso l’abbandono del fronte sovranista da parte della Lega potrebbe essere una buona idea, visto che gli alleati intanto se la stanno vedendo malissimo: proprio oggi la FPOE ha preso una scoppola epocale alle elezioni in Austria.
Ma è anche possibile che la frase di Giorgetti sia indirizzata proprio a spegnere i bollenti spiriti di alcuni dei suoi eletti e a preparare una svolta moderata e conservatrice ma europeista di Salvini.
L’apertura di Giorgetti ha subito riscosso il favore di Forza Italia.
Restano due piccoli problemi: perchè mai il Ppe dovrebbe accettare la richiesta della Lega? In secondo luogo: cosa racconterà poi Salvini alla base sovranista a cui fino a ieri ha addidato il poteri forti della Merkel come causa di tutti i nostri mali?
(da “NetxQuotidiano”)
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Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
SARA’ UNA MANOVRA DA 30 MILIARDI CON IL DEFICIT AL 2,2%
Quella che Roberto Gualtieri si trova a tirare su in queste ore è una manovra in mezzo al guado. Per un governo appena nato, il provvedimento simbolo della programmazione economica è occasione irripetibile per imprimere un marchio, una svolta. Non è così per quello giallorosso.
Alla prima apparizione in tv dopo la nomina, intervistato da Lucia Annunziata a Mezz’ora in più su Rai3, il ministro dell’Economia lo mette in chiaro da subito: “Dobbiamo pagare il conto del Papeete”.
Al luogo simbolo dell’arrembaggio estivo di Salvini vengono dati i connotati della zavorra che condiziona gli impegni odierni: l’Italia deve saldare il conto della perdita di credibilità e delle risorse bruciate sui mercati.
Però c’è anche la volontà di uno slancio in avanti, facendo sponda con la benevolenza dell’Europa. La vulnerabilità della manovra è frutto dell’incrocio di queste due dimensioni. Nel guado maturano disegni ambiziosi, come sul green, ma anche rotture di tabù, come quello sull’aumento dell’Iva.
Alla presentazione della Nota di aggiornamento al Def – la cornice della manovra – mancano poco più di 24 ore e per la prima volta Gualtieri dà volto e significato alle operazioni che si stanno conducendo nel gran cantiere del Tesoro.
La manovra si aggirerà intorno ai 30 miliardi. Considerando che servono 23,1 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e un altro paio di miliardi per le spese indifferibili, si capisce già come il menù sia avaro di sogni di gloria. Il conto del Papeete va collocato proprio qui.
Dove trovare 30 miliardi? Risposta: il grande serbatoio è Bruxelles. E qui Gualtieri, senza citare direttamente il numero, dà un’indicazione precisa del valore su cui il governo intende collocare il deficit.
È questo numeretto che misura la flessibilità che sarà concessa all’Italia. “Forse – dice il ministro – è meglio non dichiarare il 2,4% e poi fare il 2,04% e nel frattempo avere un’impennata dello spread. È preferibile collocarsi meglio dall’inizio per non avere turbative, è una saggia via di mezzo che noi percorreremo”.
Eccolo Gualtieri il mediatore, uno degli uomini chiave che Bruxelles ha messo a blindatura dei nuovi rapporti con Roma. Il deficit si collocherà al 2,2%: sono 11 miliardi.
La caccia alle coperture del conto del Papeete si incrocia con quelle che servono per finanziare le nuove misure. Irrompe qui la rottura del tabù sull’Iva.
La viva voce di Gualtieri apre lo spazio all’ipotesi di un aumento dell’aliquota per i beni a più alta evasione e un contestuale abbassamento di quella che grava sui beni di maggior consumo.
Certo ci saranno meccanismi di compensazione, come la possibilità di pagare di meno se si usa il bancomat invece del contante, ma il dato è che l’Iva non è più intoccabile.
Il paradosso rischia di essere questo: un governo nato con la mission di scongiurare l’aumento dell’Iva rischia di essere costretto a fare rimodulazioni o aumenti selettivi della stessa imposta per trovare le risorse necessarie.
Se ne parlerà più avanti perchè il cantiere non è giunto al termine dei lavori, ma queste dinamiche caratterizzano appieno il guado in cui si trova la manovra.
Fin qui quello che questo governo è obbligato a fare per mettere una pezza a un vaso che gli è stato consegnato rotto. Contemporaneamente, però, si lavora al tentativo di dare una discontinuità .
Insomma, un segnale bisogna pur darlo. Di elementi di continuità , tra l’altro, ce ne sono parecchi: il reddito di cittadinanza e la quota 100, così come la mini flat tax per le partite Iva restano in piedi così come ideate da Lega e 5 stelle. “Non è un governo serio quello che cambia subito le carte in tavola”, spiega il ministro dell’Economia.
Non ci saranno tagli a scuola, università e sanità . L’abolizione del superticket, battaglia cara a Leu, ci sarà ma non subito.
Gualtieri punta tutto sul taglio del cuneo fiscale e, in un’ottica più lunga, sul green. Angela Merkel ha messo 100 miliardi per il clima fino al 2030. Gualtieri posiziona l’Italia sulla scia della Germania: “Istituiremo un grande fondo alla tedesca, nell’ottica della transizione ecologica dell’economia”.
In un arco temporale più ristretto si punta a incassare una partita che vale tanto e cioè fare scorporare le spese per l’ambiente dal deficit. Gualtieri si dice ottimista.
Da buon mediatore ha annusato il nuovo clima che si respira in Europa. Passa anche da qui quella benevolenza europea che si vuole sfruttare a vantaggio dell’economia italiana.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
RISPETTO A GENTILONI AGGIUNTE CLAUSOLE SALVAGUARDIA PER ALTRI 3,9 MILIARDI E CIRCA 9 MILIARDI DI INTERESSI PASSIVI IN PIU’ A CAUSA DELLO SPREAD ALTO
Il nuovo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha la battuta pronta: “Abbiamo questo grande conto del Papeete che ci è stato lasciato da pagare e dobbiamo farlo in modo equilibrato, senza danneggiare la crescita, trovando le soluzioni e anche la giusta mediazione tra le posizioni in campo”, ha detto, con un chiaro riferimento a Salvini e alla Lega, a 1/2 Ora in più da Lucia Annunziata.
L’erede di Tria ha citato anche in un’altra occasione il Papeete: “Sarebbe stata una deriva pericolosa per l’Italia se l’Opa del Papeete fosse passata”, quindi ora c’è “un grande impegno condiviso per migliorare il Paese”, ha detto successivamente.
Il deputato della Lega Giancarlo Giorgetti ha voluto replicare in diretta: “Volevo dire a Gualtieri che l’aumento dell’Iva non l’abbiamo lasciato noi ma il governo Gentiloni. Quindi si rivolga a lui, per quello. Gli spiegherà bene perchè l’ha fatto, a suo tempo”. Giorgetti evidentemente non si è accorto, anche se all’epoca era sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che il governo a cui partecipava, ovvero il primo di Conte, ha aggiunto clausole per 3,91 miliardi di euro portando il conto di Gentiloni (19,16) a 23,07.
Salvini invece non è stato nemmeno in grado di replicare nel merito, come spesso gli succede: “Questi sanno solo insultare”.
Il dato di fatto, che Salvini dimentica, è che a fine 2018 Bankitalia aveva calcolato 5 miliardi di interessi in più nel 2019 per l’effetto spread, ma aveva anche calcolato fino a 9 miliardi in più di spesa fino al 2020 con i tassi oltre quota 300.
Eccolo, il conto del Papeete causato anche dalla crisi dello spread provocato dal governo Lega-M5S.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
LA BOLDRINI RINGRAZIA, MA LUI LA PRENDE MALE E SOSPENDE L’ACCOUNT
Laura Boldrini si diverte un po’ su Twitter per la vittoria nel sondaggio del sovranista @GigiBuakaw, che aveva lanciato sul suo profilo un sondaggio di gradimento (con tanto di errore di grammatica sul qual è — prima l’italiano!) chiedendo quale donna si preferisse tra Laura Boldrini, Giorgia Meloni, Maria Elena Boschi e Mara Carfagna.
Vince la Boldrini perchè nel frattempo è partito un tam tam nell’hashtag Iostoconlaura:
È successo infatti che molti si sono dedicati a rilanciare il sondaggio chiedendo il voto per Boldrini, giusto per sabotare l’ideona dell’account.
E ovviamente piano piano la cosa ha preso piede…
E l’utente sovranista? Non l’ha presa benissimo.
Prima ha cancellato il sondaggio, poi ha protetto i tweet, infine ha direttamente sospeso l’account.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
IN UNA INTERVISTA AL MESSAGGERO L’EX MINISTRO PRONOSTICA ALTRI APPRODI: “NESSUNA CAMPAGNA ACQUISTI, ABBIAMO SCORAGGIATO QUALCUNO CHE VOLEVA VENIRE A TUTTI I COSTI”
In un’intervista rilasciata oggi al Messaggero, Maria Elena Boschi pronostica altri approdi ad Italia Viva, il nuovo partito di Renzi, dal M5S, da Forza Italia e soprattutto dal Partito Democratico:
«Nessuna campagna acquisti. Anzi abbiamo scoraggiato qualcuno che voleva venire a tutti i costi. Certo: se devono andare nella Lega o in Forza Italia e votare contro il governo meglio che stiano con noi».
Dal Pd qualcun altro vi seguirà ?
«Credo proprio di sì. Ancora qualche deputato, ancora qualche senatore. E poi soprattutto tanti sindaci. Ma i più arriveranno nel 2020, quando faremo il Big bang degli amministratori, come nel 2012. Del resto il clima è lo stesso, noi lo sentiamo».
E colleghi di Forza Italia? Molti guardano a Italia Viva con grande interesse
«Vedremo. Che qualcuno sia a disagio con la svolta estremista di Salvini è vero. E tutto sommato comprensibile. I moderati non stanno con i sovranisti, questo è certo. Comunque è prematuro parlarne, abbiamo molti mesi davanti a noi».
I movimenti al centro dello schieramento politico sono la novità di questo inizio autunno. Quanto vale oggi un’area di centro distinta dalla destra e dalla coalizione rosso-gialla?
«Non so dire le percentuali. Vedo sondaggi che spaziano dal 3 al 7% per un partito ancora senza organizzazione, senza logo, senza iniziative. Ottimo, possiamo solo migliorare. Quello che forse non viene considerato è che Italia Viva sta raccogliendo migliaia di proposte, migliaia di contributi anche economici, migliaia di persone. Diciamo che la domanda c’è: a noi toccherà organizzare una proposta all’altezza di questa sfida. Io ci credo e sono molto ottimista, specie dopo questa prima settimana entusiasmante».
(da agenzie)
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Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
SOTTOTRACCIA CONTINUA LO SCONTRO TRA CONTE E DI MAIO
Federico Capurso sulla Stampa racconta oggi che Luigi Di Maio è impegnato in un braccio di ferro virtuale con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte su due temi che ritiene pericolosi elettoralmente: l’eutanasia e lo ius culturae.
Il premier affronta il «fine vita» accogliendo i dubbi dei vescovi italiani e spinge a favore di uno Ius culturae che estenda la cittadinanza ai minori stranieri.
Detta delle coordinate, dunque, alla sua azione di governo e indirettamente a chi, nel Movimento, lo vede come prossima guida del partito.
Dall’altra parte, invece, Di Maio sbuffa, svicola, frena; contrariato all’idea di dover prendere posizione su un terreno che considera da sempre scivoloso, perchè è lì che il suo elettorato è diviso.
Ed è questo un nuovo e pericoloso elemento di fragilità per la maggioranza giallorossa, non tanto per le idee delle due forze di maggioranza — anzi, più vicine di quanto non fossero quelle dei gialloverdi -, quanto per gli ulteriori attriti che stanno scaturendo tra Conte e Di Maio e che rischiano di riflettersi sul Movimento.
E quindi potrebbero presto nascere problemi proprio sul disegno di legge sullo Ius Culturae, di chi è stato nominato relatore Giuseppe Brescia del M5S, presidente della Commissione Affari Costituzionali:
Un provvedimento appoggiato da Conte e salutato entusiasticamente da una larga fetta di deputati, nonostante Di Maio lo osteggi apertamente.
Il numero di parlamentari grillini che vuole cogliere l’occasione del governo con il Pd per allontanare il M5S dal populismo di destra è vasto. Ed è cresciuto rispetto alla corrente di sinistra che un tempo si agitava sotto il vessillo del presidente della Camera Roberto Fico. «Di Maio si comporta come se il Movimento stesse ancora lavorando con la Lega», dice tra i denti un senatore di peso M5S. «Mi sembra evidente che non creda in questo progetto, a differenza di Conte».
(da “NextQuotidiano“)
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Settembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
PACATEZZA, EDUCAZIONE E MATURITA’
Antonello ha 16 anni e vive in un piccolo paese in provincia di Cosenza, Spezzano della Sila. Sotto casa ha trovato, scritto su un muro, un messaggio. Vernice nera, parole mozzate.
Succo del discorso chiarissimo, però: Antonello gay. Il ragazzo è giovane, non è ancora maggiorenne. Non ha ancora affrontato le prove più difficili che la vita ti mette di fronte. Questa scritta a metà tra il minatorio e il canzonatorio è un primo test.
Antonello lo supera alla grande.
“Non credo ci sia molto da dire, la foto parla da sè. Credo che arrivati oramai nel 2020, sia impossibile che un paese come Spezzano sia ancora così arretrato e chiuso mentalmente. Mi dispiace dirlo, ma migliorare l’estetica serve a ben poco se poi il succo del paese è questo. Non ci fa onore, fa solo ribrezzo, soprattutto se ci rendiamo conto che a scrivere ciò è qualcuno della mia età , se non più grande, persone che dovrebbero essere le prime a spronare al meglio, al cambiamento. Se questo è il messaggio che viene passato alle nuove generazioni, non so dove potremmo arrivare.”
Sono queste le parole che Antonello scrive su Facebook. La pacatezza della denuncia, la consapevolezza che non serve alzare i toni o perdere la calma, la bontà di un messaggio amaro e devastante che, proprio per la sua semplicità e l’educazione con cui è stato scritto, coglie perfettamente nel segno.
Ha semplicemente elevato il piano della discussione: dall’offesa scurrile scritta sul muro a una domanda che dovrebbe investire tutta la società .
(da agenzie)
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