Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
GLI STORICI DA TEMPO HANNO STABILITO CHE I CAVALIERE CON LA SPADA SGUAINATA E’ UNA LEGGENDA INVENTATA DAL FRATE DOMINICANO GALVANO FIAMMA
Se dagli anni ’80 di Umberto Bossi la Lega ad oggi è molto cambiata (non si chiama più Nord, mira a tutta l’Italia, esistono meridionali che la votano…), una cosa è rimasta tale e quale: il raduno di Pontida.
Il cuore immacolato di Salvini unisce tutti, tutti sono accomunati dalla devozione verso l’unica altra reliquia della Lega del tempo che fu: la spada sguainata tenuta in mano dal condottiero Alberto da Giussano.
Chi era Alberto da Giussano: la spilla è ispirata a una statua di Butti che si trova a Legnano, luogo in cui la leggenda dell’eroe è nata perchè qui, al comando della Lega Lombarda, nel 1176, sconfisse l’esercito di Federico Barbarossa.
O almeno, questo è quello che racconta il frate domenicano Galvano Fiamma che un secolo e mezzo dopo la battaglia scrive la Chronica Galvanica, in cui si dice che Alberto da Giussano era il comandante della Compagnia della Morte, uno squadrone composto da 900 cavalieri lombardi.
Gli storici hanno combattuto a lungo per incastrare storicamente la figura di Alberto da Giussano, che non compare in nessuna altra cronaca dell’epoca.
Non solo: la Galvanica è un’opera nota per i suoi voli di fantasia (si trova scritto che la battaglia di Legnano fu vinta grazie all’intervento di tre colombe che misero in fuga l’esercito del Barbarossa) e le imprecisioni storiche (la data della battaglia è riportata sbagliata).
Già questo aveva fatto alzare non pochi sopraccigli agli storici, specie dopo che si scoprì che il vero nome del capitano lombardo presente alla battaglia era Guido da Landriano.
Insomma, una bufala. O meglio, una leggenda che sta alla base della mitologia leghista, tanto da esserne diventato il simbolo principale, ancora oggi utilizzato anche da chi, come i meridionali, non possono essere in alcun modo legati a quello che è una parte della mitologia lombarda.
(da Globalist)
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Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
OCCORRE PORTARE LA DORSALE ADRIATICA FINO A LECCE E LA TIRRENICA IN CALABRIA E IN SICILIA
Ieri il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha spiegato che «il piano straordinario per il Sud sarà strutturale» e che dovrà comprendere anche il potenziamento della rete ferroviaria «sia per quanto riguarda l’Alta velocità sia il trasporto pubblico locale».
E in un’intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno ha detto: «Negli ultimi mesi c’è stato già un lavoro costante per la realizzazione della linea Napoli-Bari. Dall’Europa ho percepito un clima molto positivo di fronte alla richiesta di creare un regime speciale per il Sud, che abbia carattere strutturale».
Il problema, spiega Michelangelo Borrillo sul Corriere della Sera, è che nel frattempo non si è ancora chiarito cosa voglia dire il governo con «Alta velocità al Sud».
Soltanto completare l’Alta capacità tra Bari-Foggia-Napoli? O osare di più allungando l’Alta velocità che collega Milano a Bologna lungo l’intera dorsale Adriatica fino a Lecce? Od osare ancor di più «collegando» anche la Sicilia e la Calabria al resto dell’Italia che da Salerno in su, lungo la linea Tirrenica, viaggia velocemente sui treni?
Perchè se la sfida lanciata da Conte è solo l’Alta capacità tra Bari e Napoli, nel 2026 sarà portata a termine ma colmerà soltanto una lacuna gravissima delle infrastrutture italiane: la mancanza di un treno diretto tra le due capitali del Mezzogiorno continentale, ancora oggi distanti tra loro 4 ore con cambio a Caserta.
Se invece si punterà anche ad accorciare i tempi di percorrenza da Reggio Calabria a Roma (oggi quasi 5 ore, di cui da Reggio a Salerno 3 ore e 20 minuti) e da Bari a Bologna (oggi 5 ore e 40 minuti, come da Milano a Salerno, che distano quasi 150 chilometri in più), allora sarà una vera rivoluzione.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
L’ARMA NON GLI PERDONA DI AVER FATTO CHIAREZZA SUL CASO CUCCHI
È un appello disperato quello di Riccardo Casamassima, teste chiave del processo su Stefano Cucchi grazie al quale sono state riaperte le dichiarazioni sui pestaggi.
Il carabiniere però sostiene che dopo aver parlato la sua vita è diventata “un inferno”: “Voglio solo chiedere aiuto: vorrei attirare l’attenzione del governo, magari del premier e del nuovo ministro della Difesa. Vorrei raccontar loro quello che sto passando. Ho solo la colpa di aver riferito quello che sapevo sul caso Cucchi: sarebbe il dovere di ogni cittadino, specie di un carabiniere” ha detto.
Nessuno gli ha detto che non avrebbe dovuto raccontare tutto quello che sapeva ma “da quando ho testimoniato sono stato insultato, soprattutto sui social. Da quel momento la vita è diventata impossibile”, continua Casamassima che considera punitivo il suo trasferimento dall’8 Reggimento alla Scuola allievi perchè “dopo aver fatto centinaia di arresti e dopo aver ottenuto numerosi encomi per l’attività operativa, mi sono ritrovato ad aprire e chiudere un cancello. Non è solo una questione di demansionamento, ma anche un danno economico: tra straordinari vietati e altre indennità perse mi sono ritrovato uno stipendio ridotto di 300 euro”
A seguito delle proteste, poi, aggiunge Casamassima “mi sono ritrovato in un ufficio senza competenze. Da solo, a guardare il muro e a occuparmi di nulla”.
Adesso però è partito il procedimento più grave, “quello di Stato, per le ultime denunce sui social. In caso di condanna rischio di perdere il lavoro”, spiega ancora Casamassima che chiede “di tornare a fare il lavoro di prima o di lavorare in una caserma più vicina a quella in cui sta mia moglie, anche lei carabiniere. Sarebbe il ricongiungimento familiare che solo a me viene negato”.
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
E SULL’INTESA CON IL M5S PER LE REGIONALI: “SI RAGIONERA’ CASO PER CASO, BONACCINI IN EMILIA NON SI TOCCA”
Un ultimo appello, prima che sia troppo tardi: “Non esistono separazioni consensuali. In queste cose si sa come si inizia ma non come si va a finire”.
Andrea Orlando, in una lunga conversazione con l’HuffPost, affronta il nodo scissione. E i rischi per il Governo e per il Pd: “Anche a Renzi conviene stare dentro per rappresentare il Nord”.
E sull’alleanza in Umbria e nelle regioni dice, con prudenza: “Si valuterà a livello locale. Bonaccini non è in discussione”. L’alleanza Pd-M5S? “Non è il nuovo centrosinistra, non rinuncio alla vocazione maggioritaria”.
Orlando, mi pare che il dado sia tratto. Renzi se ne andrà . Lei è d’accordo a una “separazione consensuale”? Ognuno per conto suo, così si litiga di meno…
Ma no, assolutamente no. Non esistono separazioni consensuali in politica. Si inizia sempre col dire “lasciamoci così senza rancore”, ma poi immediatamente si apre una competizione nello stesso campo politico, che ha due effetti collaterali. Il primo è indebolire il Governo.
Perchè Renzi si metterà a fare una specie di Salvini centrista, turbo-riformista, insomma tira la corda al limite.
Eviterei il paragone con Salvini, ma è chiaro che sarebbe costretto a radicalizzare le posizioni e questo non può che avere delle conseguenze sulla stabilità , sulla coesione e anche sull’immagine stessa del Governo.
Poi, diceva, c’è il secondo effetto collaterale della scissione.
Altrettanto deleterio. Che quello di cadere nella tentativo di fare la caricatura alla forza politica che si lascia. Ora, francamente senza polemica, ma ho letto alcune motivazioni addotte oggi:: sembra che parlino non del Pd di oggi che ha fatto i conti, da tempo, con il mercato, con la globalizzazione, con la centralità dell’impresa, ma del Pci del ’48. Che pure già si poneva il problema della crescita e dei ceti medi. Questo tentativo di caricatura trovo che sia ancora più insidioso.
Però Orlando, c’è chi questa prospettiva la teorizza. Bettini, ad esempio, è tra i fautori di un ritorno allo schema Ds e Margherita, in versione 2.0: tu fai il centro, noi la sinistra, poi ci alleiamo.
Non sto tra quelli che la teorizzano, nè mi convince pienamente questa teoria. Per una ragione, direi, elementare. Nè i Ds nè la Margherita sarebbero adatti ad affrontare le grandi sfide successive alla crisi del 2008. Se è vero quello che ci siamo detti in questi anni sulla crisi democratica che ha generato il populismo, sulla rivolta contro l’establishment, faccio fatica a sostenere che con categorie vecchie si possa stare in questo mondo nuovo. Oggi la lotta alla disuguaglianze, che è il vero terreno su cui ci giochiamo tutto, non si fa con vecchi arnesi, patrimoniale ed evocazione romantica della classe operaia. E riguarda quel ceto medio impoverito che un tempo era la base elettorale del mondo moderato. È tutto più complicato….
Però si avverte questo richiamo al “come eravamo”.
Ed è sbagliato perchè come eravamo non lo siamo più. Stenterei a definire il Pd come i Ds: Franceschini, Gentiloni, Delrio o Guerini non vengono da una tradizione anche solo lontanamente laburista. Capisce quando parlo di caricatura e il rischio di questa operazione? Quando invece noi abbiamo il dovere, a partire da ciò che siamo, di innovarci anche nell’elaborazione.
Lei è vicesegretario del Pd. Ma perchè Renzi se ne va?
Se fosse vero sarebbe una delle cose più incomprensibili della storia politica recente. La scissione di Livorno si fece sulla rivoluzione d’Ottobre, quella di Palazzo Barberini sul fronte popolare, Bertinotti sul no alla svolta di Occhetto. Siamo nelle scissioni post-moderne.
Neanche Leu ruppe su una frattura epocale
Ecco appunto, un precedente quasi incomprensibile quanto questo. Ma questa lo è ancora di più, perchè allora si era alla vigilia di una sconfitta annunciata. Qui invece si compie alla vigilia di una fase nuova che Renzi è stato il primo a volere per fermare Salvini. E aggiungo: giustamente, come si è visto a Pontida dove non è stato risparmiato neanche il capo dello Stato a cui fa tutta la mia solidarietà .
Oltre a un generico appello, cosa dice a Renzi affinchè si fermi?
Dico che sarebbe un errore politico, perchè si sa come si inizia ma poi in questi casi non si sa come va a finire ed è difficile recuperare, anche perchè inevitabilmente si scatenano le tifoserie. Questa operazione fa male alla sinistra e fa male anche a Renzi. Perchè in una coalizione dove c’è il tema della rappresentanza del Nord produttivo e dell’impresa innovativa, la forza che Renzi potrebbe avere nel Pd è enorme, ponendosi come garante di quel mondo dentro una forza politica che ha una funzione politica. Quale è la funzione che può svolgere un nuovo partito rispetto a questo tema, se non indebolire il Pd proprio nel momento in cui abbiamo iniziato un esperimento difficile con una forza che ha ancora connotazioni populiste che uniti possiamo contenere?
È il proporzionale, bellezza. È chiaro che quel meccanismo agevola le scissioni. È come combattere il fascismo proponendo la Repubblica di Weimar: frammentazioni, coalizioni litigiose, governi deboli.
Non do per scontato il ritorno al proporzionale. Va fatta una legge che aiuti a evitare che il taglio dei parlamentari sacrifichi le forze minori e i territori meno popolati. Ma non mi appendo a un modello. Le leggi hanno una funzione ortopedica, ma non fanno le coalizioni, il vero tema è quello della capacità di far convivere le culture.
Ecco, la convivenza. Vedo che in parecchi nel suo partito hanno applaudito al modello umbro di convivenza. Di Maio propone una alleanza tutta civica.
È una base. Ma va verificato territorio per territorio. A livello locale l’argomento Salvini non è sufficiente, ma va irrobustito ancor di più da una solida base politico-programmatica e va discusso con i dirigenti del territorio.
Non ho capito. Va bene per l’Umbria però non è un modello universale? Detta in modo esplicito: in Emilia c’è Bonaccini e non si può rinunciare al governatore uscente?
Diciamo che le due esperienze si incontrano più facilmente su un terreno neutro come l’Umbria, però non penso che questo esaurisca il tema. Nè in Umbria nè altrove perchè, dopo quello che si è detto in questi anni, anche un programma “terzo” va discusso. E comunque, per rispondere alla sua domanda, non c’è nè un modello nazionale nè un modello umbro. E non credo che la via sia rinunciare a Bonaccini e alle esperienze di buon governo.
Vedo che lei è molto attento a non fare fughe in avanti. Però, con franchezza, a me pare che il suo partito sia incastrato in una dinamica che non controlla più. Per paura di perdere le elezioni, fa il governo e rinuncia alla discontinuità , in Umbria dice sì a Di Maio che parla a voi come a una banda di ladri.
Mi pare eccessivo.
Mi pare che siamo dentro lo schema caro a Marco Travaglio: il Pd come forza da destrutturare nell’alleanza con i Cinque Stelle hanno che hanno una forza rigeneratrice.
Non è così. È chiaro che il Pd vince se cambia i Cinque Stelle e se contiene le pulsioni antipolitiche ancora forti di quel movimento. Ma quella possibilità si gioca sulla capacita di cambiare noi stessi. E sulla capacità di stare un passo avanti sui temi su cui c’è possibilità di intesa in partenza, come diseguaglianze e sostenibilità . Dobbiamo cioè giocare una partita all’attacco.
Finora è stata in difesa. Dove è la discontinuità politica, “sentimentale” per dirla con Gramsci, di uomini?
Io starei al programma che in larga parte è la proiezione del nostro piano per l’Italia e non mi pare di poco conto. Lì si misura la capacità egemonica senza spocchia e senza subalternità . E anche la compagine di governo è fortemente rinnovata, dal Pd ai Cinque Stelle.
Non voglio fare del qualunquismo ma gira su whatsapp un collage di video di quello che è stato detto in questi anni. È esilarante: Renzi che doveva lasciare la politica ora si allea con quelli che dicevano “partito di Bibbiano” e voi che dicevate “mai con i Cinque stelle”. Ora si cambia e si rimuove quel che è accaduto, senza tante analisi e autocritiche.
Non c’è dubbio che noi paghiamo i popcorn, un anno in cui invece di distinguere i 5 stelle dalla Lega li abbiamo troppo spesso accomunati. E oggi il tornante storico ci impone una nuova direzione con un oggettivo deficit teorico. Però è importante che le due questioni sulle quali costruiamo una convergenza più naturale sono quelle sulle quali la sinistra avrebbe comunque dovuto fare i conti in modo radicale: sostenibilità ed eguaglianza sociale.
Resta che abbracciate una nomenklatura dei Cinque stelle che ha fallito in questo anni gialloverde.
Questo passaggio ci consente un’operazione che dall’opposizione sarebbe stata più lunga. Ci costringe a fare i conti con le nostre stesse lacune. Per giocare all’attacco e non in difesa.
Il quadro è cambiato. Fino a un mese fa parlavate di ritorno al bipolarismo, vocazione maggioritaria sulla crisi dei 5 stelle. Ora siamo in un assetto tripolare. Se l’esperimento funziona quella tra Pd e 5 stelle sarà una alleanza organica? Un nuovo centrosinistra?
Io non rinuncerei alla vocazione maggioritaria, anche in un polo in cui c’è alleanza con i 5 stelle. Nè vedo questa alleanza come il nuovo centrosinistra, ma come una esperienza di metamorfosi. Perchè credo che il Pd non debba rinunciare a costruire un nuovo centrosinistra di profilo europeo, sapendo che siamo con dei compagni di viaggio che possono cambiare noi e noi possiamo cambiare loro, ma non è detto che questo evolva in una alleanza politica stabile.
Ultima domanda. Perchè non è entrato al governo?
Perchè era giusto evitare che ci fosse mezzo governo Gentiloni e mezzo governo Salvini-Di Maio. E perchè la sfida si gioca nel ricostruire il partito nel rapporto con la società . Adesso il tema dei dirigenti locali non è chiedere appuntamento al sottosegretario, ma agli imprenditori in difficoltà , agli insegnanti, ai lavoratori e con loro andare a parlare con i sottosegretari per risolvere le questioni.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
LOTTI, GUERINI E DELRIO NON SEGUIRANNO LA NUOVA STRATEGIA RENZIANA
Mentre i renziani di stretta osservanza preparano la scissione al grido di “Toscana o morte”, ci sono anche i renziani “lealisti” che vogliono restare nel Partito Democratico. Un’ampia e vasta area che va da Lotti a Guerini passando — a quanto pare — per Delrio non seguirà i vari Boschi, etc nella nuova avventura del senatore di Scandicci.
Spiega oggi Carlo Bertini su La Stampa:
Da una parte i duri, Rosato in testa, Boschi, Bonifazi, Nobili, Marattin, altri parlamentari e tanti altri nei territori. Una barricata dove si ritroveranno in caso di scissione le ministre Bellanova e Bonetti, e i sottosegretari Ascani e Scalfarotto. Tutti a presidiare l’area Renzi. Mentre il ministro Guerini e i sottosegretari Margiotta, Malpezzi e Morani resteranno nel Pd. Insieme a decine di parlamentari della corrente Base riformista.
A patto però che Zingaretti registri il cambio di fase politica che la costruzione del governo deve comportare anche nel Pd. Tradotto, la corrente di Guerini e Lotti, chiede una gestione collegiale che porti magari ad una presidenza affidata alla ex minoranza: con un identikit che potrebbe corrispondere a quello di Graziano Delrio, che lascerebbe il posto ad un capogruppo fedele al segretario. Questo se cadesse l’ipotesi di una presidenza a Renzi («che stabilizzerebbe il partito», sostiene uno dei big), un tema che per il segretario non è all’ordine del giorno. Ma di cui si discute nel Pd.
A incaricarsi di lanciare la proposta di una gestione collegiale del partito, che porti ad un’alleanza tra le correnti Base riformista e la maggioranza che ruota attorno al leader (formata da Zingaretti, Gentiloni, Franceschini e Orlando) è stato Lorenzo Guerini. Con il suo stile felpato, il neo ministro della Difesa ha scelto il palco di Cortona, dove si svolgono le assise di Area dem, la corrente di Franceschini, per tendere la mano al segretario proprio nel momento di massima tensione con i renziani.
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
18 DEPUTATI E 6 SENATORI PRONTI A SEGUIRE L’EX PREMIER
Matteo Renzi avvia la scissione dal Pd. Il logo è pronto, ma top secret: la svolta potrebbe arrivare addirittura prima della Leopolda del 19 ottobre, creando due nuovi gruppi in Parlamento.
Oggi sono 18 i deputati e 6 senatori pronti a seguire l’ex premier in questa nuova avventura, che potrebbe condurre a breve a fondare un nuovo partito.
Claudio Bozza sul Corriere fa i conti in tasca al senatore di Scandicci:
A Montecitorio, per creare un nuovo gruppo, servono almeno 20 deputati. Per ora il pallottoliere è arrivato a 18, ma il vicepresidente della Camera Ettore Rosato è impegnato da giorni in una delicata campagna acquisti tra eletti del Misto e, soprattutto, tra gli antiSalvini di Forza Italia: Mara Carfagna è il principale interlocutore. Oltre a Rosato, tra gli scissionisti dem ci sono: Maria Elena Boschi, Silvia Fregolent, Marco Di Maio, Gennaro Migliore, la viceministra all’Istruzione Anna Ascani, Luciano Nobili, Roberto Giachetti, Luigi Marattin e il sottosegretario Ivan Scalfarotto, che assieme a Rosato è coordinatore dei comitati civici nati per superare il Pd
A sorpresa potrebbe esserci anche Catello Vitiello, espulso dal M5S prima dell’elezione. Resteranno invece nel Pd buona parte dei parlamentari della corrente di Base riformista, guidata da Luca Lotti e dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
In questo quadro, in Parlamento, si formerebbero due gruppi renziani: i «falchi» della nuova formazione e quelli dell’ala più moderata, dove potrebbe arrivare l’addio di qualche scontento.
Al Senato la partita è un po’ più complicata, perchè il regolamento non consente la creazione di un gruppo autonomo. I renziani, con l’ex premier in testa, potranno soltanto formare una componente all’interno del Misto, con la ministra Teresa Bellanova, l’ex tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, Davide Faraone, probabilmente Nadia Ginetti ed Eugenio Comincini.
Resta da capire quali saranno le mosse di un altro iper renziano come Andrea Marcucci: il capogruppo al Senato rimarrà nel Pd?Oppure lo farà solo in un primo momento per un addio in seguito?
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
LE IPOTESI ALLO STUDIO PER IL BONUS AI SALARI FINO A 35.000 EURO LORDI
Ridurre il cuneo fiscale e mettere nelle tasche dei lavoratori 4-5 miliardi per aumentare il potere d’acquisto e stimolare domanda e consumi: la legge di bilancio 2020 si pone l’obiettivo e, spiega oggi Roberto Petrini su Repubblica, le opzioni sul tavolo sono molte.
Il primo nodo da sciogliere è se agire sui contributi in busta paga, sulle detrazioni fiscali da lavoro dipendente, oppure addirittura sulle aliquote Irpef.
Quest’ultima è quella che ha minori probabilità di arrivare a destinazione: un intervento sugli scaglioni pur non essendo costoso (il taglio di un punto delle aliquote oggi a quota 27% e 38% costerebbe solo 3 miliardi) beneficerebbe, oltre al lavoro dipendente, anche gli autonomi che hanno già avuto la flat tax fino a 65 mila euro con il precedente governo.
L’altra idea coltivata nel Pd, ed in parte resa esplicita dal piano inserito nella “Costituente delle idee” prima della formazione del governo, prevederebbe di intervenire sulle detrazioni da lavoro dipendente che oggi ammontano a 1.880 euro fino a 8.000 euro di reddito annuo per azzerarsi a 55 mila euro.
L’intervento prevederebbe l’introduzione di una detrazione fissa di 1.500 fino a 35 mila euro di reddito per tutti, compresi gli incapienti, che riceverebbero erogazioni monetarie dirette.
Il piano tuttavia, che pure è arrivato nei pressi del Tesoro, ha il difetto di costare molto: fino a 12-15 miliardi.
L’idea della maggioranza prevederebbe il taglio dei contributi previdenziali di spettanza dell’Inps.
Come è noto i contributi pesano per il 9,2 per cento direttamente sulla busta paga del lavoratore (per il restante 24 per cento vengono sostenuti dalle imprese).
Il taglio di 2-3 punti dei versamenti in busta paga, naturalmente reintegrati all’Inps dalla fiscalità generale, costerebbe circa 5 miliardi e riuscirebbe a soddisfare una platea di 12-15 milioni di lavoratori.
A titolo di esempio, con uno stipendio intorno ai 30 mila euro lordi, un taglio di 3 punti potrebbe portare circa 900 euro in più all’anno nella busta paga.
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
IL GIOVANE 23ENNE, ORIGINARIO DEL BANGLADESH, TROVA UN PORTAFOGLIO E LO RICONSEGNA AI CARABINIERI: “IL PROPRIETARIO HA INSISTITO PER DARMI UNA RICOMPENSA MA HO RIFIUTATO, NE VA DELLA MIA DIGNITA’, HO FATTO SOLO IL MIO DOVERE”
“Non ho dovuto neanche pensarci, quei soldi non erano miei ecco perchè li ho restituiti”. Mentre parla è imbarazzato Mossan Rasal, 23 anni appena compiuti e originario del Bangladesh.
Da due anni gestisce una bancarella di pelletteria tra via Nazionale e via Torino, in pieno centro nella capitale, proprio dove ieri mattina ha trovato un portafoglio con 2mila euro. Il giovane, senza esitare, lo ha consegnato ai carabinieri alla vicina stazione Macao che hanno rintracciato il proprietario
Mossan, quando ha aperto il portafogli e ha visto la mazzetta di banconote, come ha reagito?
“La prima cosa che ho fatto è stato accertarmi dei documenti. Ho capito subito che, per chi lo aveva perso, doveva essere davvero un bel problema. All’interno c’erano le carte di credito, la patente di guida e i documenti di identità . Tutto insomma. Poi certo, ho visto che era pieno di soldi. Non sapevo quale cifra perchè non li ho contati, mi sono limitato a portare tutto alla stazione dei carabinieri”.
Cosa le hanno domandato i militari
“Mi hanno chiesto dove lo avevo trovato e quindi ho riferito tutto. Non parlo molto bene l’italiano ancora ma mi sono fatto capire. Quando hanno visto la mazzetta di soldi erano sorpresi quanto me e solo a quel punto ho saputo che si trattava di 2mila euro. Sono stati i primi a ringraziarmi ma, per come sono stato educato, ho fatto solo il mio dovere. Lavoro e anche se quei soldi li ho trovati per caso, non erano miei”.
È stato comunque un bel gesto…
“L’ho ripetuto anche ai carabinieri, non credo di aver fatto nulla di eccezionale. Ho solo pensato a chi li aveva persi. Si è trattato di essere onesti, come la mia famiglia mi ha educato a essere. Sono arrivato a Roma 7 anni fa. I miei genitori hanno investito i loro risparmi per il trasferimento dal Bangladesh. I primi tempi in questa città sono stati difficili ma da circa due anni gestisco la bancarella di via Nazionale. Guadagno alla giornata e lavoro duramente. Non ho mai visto tanti soldi tutti insieme, ma non erano miei. Non li avevo guadagnati ed era giusto restituirli”.
Poi ha incontrato il “proprietario” del portafogli, come è andato il vostro colloquio?
“Poche ore dopo essere stato al comando, i carabinieri mi hanno chiamato e mi hanno informato che quell’uomo, un imprenditore, mi voleva incontrare. Inizialmente non volevo andare perchè non volevo tutta questa attenzione. Poi alla fine, mi sono convinto. Ora capisco di aver fatto bene a incontrarlo, era sinceramente felice di conoscermi e di potermi ringraziare di persona. Ma pure a lui ho spiegato che non era necessario perchè non ho fatto davvero nulla di eccezionale. Avrebbe voluto darmi una ricompensa, dei soldi. Però non ho voluto”.
Perchè ha rifiutato?
“Perchè non sarebbe stato dignitoso. Piuttosto l’ho invitato a visitare la mia bancarella, sarei felice se diventasse un mio cliente, questo sì. Ma non ho voluto dei soldi per avergli restituito il suo portafogli caduto proprio vicino al mio banchetto. Si è trattato di una pura casualità e non sarebbe stato giusto essere pagato per questo. Ci siamo stretti le mani, ci siamo conosciuti e abbiamo parlato a lungo. Si è dimostrato molto disponibile e questo per me è sufficiente. Spero però di poter essere un esempio per qualcuno e che la mia storia aiuti a riflettere”.
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2019 Riccardo Fucile
LA SEGRETARIA DI UNA SCUOLA PICCHIATA PER UN POSTO AUTO… QUESTI INFAMI SONO IL PRODOTTO DELLA DIFFUSIONE DELL’ODIO RAZZIALE DEI SOVRANISTI
La segretaria di una scuola media di Forlì di origini siciliane ha denunciato di essere stata insultata per le sue origini e picchiata da una coppia di vicini di casa in seguito ad una lite sul posto auto condominiale.
L’episodio risale al 26 agosto scorso quando Ilde Cascio, 53enne di Terrasini, in provincia di Palermo, ma da tempo trasferita in Emilia Romagna con il figlio, scrive su Facebook: “Oggi ho subito la più grande umiliazione della mia vita. Un vicino mi ha aggredita e picchiata, dentro il parcheggio dello stabile in cui abito. Mi ha detto che dato che sono in affitto non ho diritto a parcheggiare. Mi ha dato della terrona, della mafiosa e mi ha urlato di tornare a casa mia sputandomi in faccia e minacciandomi. Ho chiamato la Polizia e sono andata in ospedale per il referto. Spalla lussata e tendine del piede schiacciato, 5 giorni di prognosi. Non basteranno per dimenticare”.
La donna ha preparato coi propri legali una denuncia nella quale racconta che dopo una lite con la proprietaria di un appartamento nel condominio dove ha affittato una casa, questa l’ha ingiuriata dicendole: “Non hai capito che non puoi mettere la macchina qui? Noi siamo proprietari e ne possiamo mettere anche due. Morta di fame e terrona puzzolente”.
Subito dopo sarebbe intervenuto il marito della donna che l’ha spinta, le ha pestato il piede e le ha sputato addosso. Una volta rientrata dall’ospedale l’uomo l’avrebbe minacciata di morte: “Denunciami e ti ammazzo, lo giuro”.
Adesso Ilde Cascio, vive segregata in casa per paura che le possa accadere nuovamente qualcosa e vorrebbe cambiare condominio. Purtroppo, però, nessun altro vuole più affittarle un appartamento. « Trovare un’altra abitazione è un’impresa – denuncia la cinquantatreenne – Il proprietario di un appartamento addirittura ha risposto alla mia richiesta dicendomi che a Forlì preferiscono tenere le case chiuse piuttosto che affittarle a noi meridionali. Sono rimasta basita. Al giorno d’oggi non si può avere a che fare ancora con episodi di razzismo. C’è un reale problema di arretratezza culturale».
(da agenzie)
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