Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
ESTERI ED ECONOMIA AL PD, UN TECNICO AL VIMINALE… CI SONO NOMI NUOVI
Dopo il passo indietro di Luigi Di Maio, da questa sera si fa sul serio. E per la prima volta si conosce la quantità della spartizione: otto ministri al M5S, e sette al Partito democratico.
È il risultato dell’incontro, definito “positivo”, e che è terminato pochi minuti fa al Nazareno dove a confrontarsi a Palazzo Chigi, sono stati Andrea Orlando, Dario Franceschini, Stefano Patuanelli, Vincenzo Spadafora, e va da sè il premier Conte. Con il Pd che ottiene i dicasteri di Economia ed Esteri (in pole Orlando), e con la certezza che al Viminale si siederà un tecnico.
Ma è tutto “work in progress”. A questo punto, però, può partire la rumba dei ministri. Di chi sogna un dicastero. Si parte affollati, ma si arriva in pochi al rush finale.
Come in conclave, c’è chi entra papa ma poi esce cardinale. C’è voluto il definitivo passo indietro del capo politico dei cinquestelle per sciogliere il nodo vicepremier. E accelerare, forse, la nascita dell’esecutivo.
Ecco, non si riproporrà lo schema del governo gialloverde, con “Gigino” e Salvini a incalzare e far da vice all’avvocato del popolo. Nè tanto meno lo schema del governo Berlusconi del 2001 quando il Cavaliere subiva il pressing a uomo di Marco Follini e Gianfranco Fini, entrambi vicepremier. Nulla di questo si riproporrà sul canale giallorosso. Sempre se Rousseau lo vorrà .
Battute a parte, davanti a tali novità – l’assenza di vicepremier – da ora in avanti ci si muoverà lungo la linea Grillo-Zingaretti.
Il fondatore dei pentastellati invoca una squadra pescando “da un pool di personalità del mondo della competenza al di fuori della politica”. E lo stesso si può dire del segretario del Nazareno, che a ogni piè sospinto, reclama «discontinuità » rispetto al passato in modo che l’esecutivo non sembri un assemblaggio di riciclati, aumentando così il tasso di innovazione.
Poi certo dalle parti del Pd filtra anche che il rinnovamento deve essere sì perseguito, ma, nelle condizioni date, con prudenza e realismo. Già perchè, spiegano dal Nazareno, “Conte è una figura autonoma, ma a volte sembra Napoleone, e allora meglio accompagnarlo con figure esperte in grado di frenare il suo ego”.
E allora se a Palazzo Chigi non ci saranno nè uno, nè due vicepremier, sembra conseguente che il pivot del Consiglio dei ministri, ovvero il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, spetti al Pd.
Dai piani alti di via Sant’Andrea delle Fratte si spinge per Dario Franceschini, mentre i cinquestelle caldeggiano la soluzione Vincenzo Spadafora, che resta il regista dell’operazione giallorossa, essendosi tenuto a casa sua il primo incontro che ha permesso a Di Maio e Zingaretti di guardarsi negli occhi. Tuttavia, queste due soluzioni se la dovranno vedere con il “metodo Conte”.
Il premier incaricato preferirebbe invece avere al suo fianco, come unico sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, ovvero l’attuale segretario generale di Palazzo Chigi.
In questo contesto l’avvocato del popolo ha l’urgenza di trovare una collocazione per Di Maio. Il capopolitico del Movimento, sfilatosi dalla corsa a vicepremier, desidera un ministero di peso. O Viminale, o Esteri.
In un primo tempo si era pensato alla Difesa, ma il vicepremier dimissionario spinge per la Farnesina. Tuttavia, dal vertice notturna si fa sapere che gli Esteri spetteranno al Pd. E allora Di Maio potrebbe in un’altra casella di peso.
Poi resta l’incognita di Di Battista: che ne sarà del guerrigliero dei pentastellati? In mattinata infatti è circolata l’idea di Dibba agli Affari Europei, ma nel tardo pomeriggio sembrava già essere tramontata.
In casa Pd si desiderano otto ministeri di peso. Ma alla fine ne dovrebbero incassare sette. Quattro uomini e tre donne.
All’interno di questo schema, due caselle dovrebbero spettare alla corrente di Matteo Renzi. Non a caso, al Nazareno le truppe dell’ex premier scalpitano e minacciano di non votare la fiducia.
L’ex sindaco di Firenze vorrebbe piazzare una fra Simona Malpezzi e Anna Ascani all’Istruzione, Tommaso Nannicini al Lavoro, Lorenzo Guerini alla Difesa, che lascerebbe il Copasir e l’ex inquilino del Mef Pier Carlo Padoan come commissario Europeo. Regna il caos dalle parti del PD, dove ex ministri, come Roberta Pinotti e Piero Fassino, sperano nel grande ritorno ma dovranno fare i conti con la richiesta di rinnovamento richiesta da Zingaretti.
E soprattutto sono più i posti in piedi che i posti da ministro. Di certo, rivestiranno un ruolo di peso Andrea Orlando (sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giustizia) e Paola De Micheli. Quest’ultima è la numera due della segreteria, e promessa al Ministero dello Sviluppo economico, dicastero chiave perchè da lì passeranno le future nomine nelle società partecipate dello Stato.
Come, quasi certamente, saranno valorizzati, figure come quella di Giuseppe Provenzano, economista e vicedirettore dello Svimez, che potrebbe finire al ministero del Lavoro.
Poi c’è chi avanza il nome di Lia Quartapelle, 37 anni, al secondo giro a Montecitorio, che potrebbe finire o alla Farnesina o agli Affari europei.
Per l’Economia, nel caso di soluzione di politica, come sembra profilarsi, si fa il nome di Roberto Gualtieri, europarlamentare e presidente della commissione per i Problemi economici e monetari del parlamento europei. Altrimenti in caso di tecnico d’area circola il nome di Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti.
Un discorso a parte merita la casella del Viminale, che quasi certamente sarà concertata con il Quirinale. Per questa ragione prendono quota i profili tecnici di Alessandro Pansa, capo del Dis, e dell’ex prefetto di Milano, Luciana Lamorgese.
I cinquestelle blindano Riccardo Fraccaro (Rapporti con il Parlamento) e Alfonso Bonafede (Giustizia). Ma quest’ultimo se la dovrà vedere con Pietro Grasso che potrebbe entrare così al governo.
Sarà forse riconfermata Giulia Grillo alla Sanità , così come Barbara Lezzi al ministero del Sud. Ai Trasporti da settimane è dato in pole positition l’ingegnere triestino Stefano Patuanelli, capogruppo in Senato degli stellati, stimanto trasversalmente, e uno dei protagonisti della trattativa fra i gialli e i rossi.
Nella squadra ministeriale dei cinquestelle avanzano le quotazioni di Lorenzo Fioramonti (Istruzione), Francesco D’Uva, Nicola Morra e Stefano Buffagni (Sviluppo Economico). In quota Fico, potrebbe spuntarla Giuseppe Brescia, presidente di commissione, e in rampa di lancio per le ministero delle Riforme.
Ma si annuncia anche l’istituzione di nuovi ministeri come quello dell’Innovazione, dove è in ascesa Mattia Fantinati, già sottosegretario alla Pa. Inutile dire che il tutto dovrà ricevere il via libera del premier Conte.
Raccontano infatti che a M5S e Pd non abbia chiesto un nome per ogni ministero, ma una rosa di nomi. E questa voce che si rincorre nelle ore in cui sono rimasti soltanto posti in piedi sembra preoccupare Largo del Nazareno.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
ANCORA APERTO IL NODO IMMIGRAZIONE… MOLTI TEMI RESTANO NEL VAGO
La vera notizia è nella parte più politica del programma, la legge elettorale con il grande ritorno del proporzionale puro. La proporzionale come si diceva una volta.
È il punto che permette di sterilizzare Salvini e di smontare il suo schema maggioritario, favorito dalla legge vigente che consente – quando sarà – al leader della Lega di chiamare un plebiscito su di sè: una coalizione prima del voto con lui candidato premier.
Evidentemente in un sistema proporzionale le coalizioni si fanno dopo il voto, in Parlamento, e l’inquilino di palazzo Chigi è frutto non di una scelta nelle urne ma del negoziato successivo tra i partiti.
Ed è, quella proporzionale, una legge che consente anche al Pd di digerire la misura sul taglio dei parlamentari su cui i dem avevano votato già contro nelle prime letture in Parlamento.
Il perchè è semplice: quella riforma, a sistema vigente, creava una forte torsione maggioritaria, aumentando a dismisura il numero dei collegi e favorendo in tal modo i partiti maggiori. In questo modo il taglio si può fare, ma è riequilibrato nei suoi effetti dal nuovo meccanismo di voto e questo è il punto più chiaro nell’ambito di un programma che è ancora incompiuto.
Ci sono solo i titoli, e neppure tutti. Dello svolgimento, figurarsi, neppure l’ombra. Il tratto del cantiere aperto, con il pontile critico dell’immigrazione, è dato dal fatto che il programma non sarà pubblicato integralmente sulla piattaforma Rousseau, teatro domani del voto degli iscritti M5s.
Sono le 19.13 quando nel cielo nero che sovrasta palazzo Chigi esplode il rumore di un tuono così potente da far saltare i sistemi di allarme delle macchine di servizio parcheggiate nella piazza davanti al palazzo del governo. Giuseppe Conte è apparso da pochi minuti su Facebook per lanciare un appello agli iscritti M5s con l’obiettivo di far partire l’esperienza del governo tra i pentastellati e il Pd. Subito dopo Luigi Di Maio, in video e sempre sui social, rinuncia alla carica di vicepremier, sbloccando di fatto la trattativa.
Dentro palazzo Chigi, seduti intorno a un tavolo, ci sono il premier e i capigruppo dei due partiti, Graziano Delrio e Andrea Marcucci per il Pd, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli per i 5 stelle. Sul tavolo ci sono due programmi, consegnati a Conte alla fine della scorsa settimana.
Quei programmi vanno amalgamati in un solo, che dovrà essere allegato al quesito su Rousseau. La riunione va avanti da un’ora e mezza. Terminerà intorno alle 20. A quell’ora la pioggia non cadrà più copiosa, ma sui sampietrini di piazza Colonna si scivola a causa dell’acqua che ristagna. Il punto di caduta dei lavori in corso sul programma di governo è assimilabile a questa immagine. Il sereno è una condizione ancora da rincorrere e infatti la riunione viene riaggiornata a domani. Quando gli iscritti M5s voteranno su Rousseau il programma di governo sarà ancora work in progress. È l’ennesima prova, se mai ce ne fosse bisogno, che a contare nella trattativa sono le caselle di governo, non i programmi.
I passi in avanti ci sono e lo dice apertamente Delrio uscendo da palazzo Chigi. Il ritorno al proporzionale puro, come si diceva, salda in un punto fermo le agende di Pd e 5 stelle, unite in questo nella possibilità di dare un altro colpo a Salvini e alla Lega. C’è intesa piena e i pentastellati portano così a casa il taglio dei parlamentari senza l’allungamento dei tempi inizialmente messo dal Pd sul piatto delle rivendicazioni.
Nel programma, spiegano fonti vicine alla trattativa, non ci sarà alcuna restrizione temporale: ci sarà scritto che il taglio dei parlamentari si fa. Punto. Secco così.
Ma se in questo caso i dettagli sono superflui per i motivi di cui si diceva sopra, per gli altri punti del programma la sintesi è d’obbligo. Come dettagliare il via libera comune alla volontà di fermare l’aumento dell’Iva quando la ricerca dei 23 miliardi necessari a questo scopo è ancora da ideare?
Su questo punto ci si ferma al titolo. Il tratto è quello della convergenza, così come c’è comunanza di vedute sul taglio del cuneo fiscale e sul salario minimo. Su queste due voci c’è sempre stata unità d’intenti tra i due partiti, non sulle modalità d’azione. Secondo quanto apprende Huffpost da fonti di primo livello, il taglio del cuneo rientrerà in una strategia di riduzione delle tasse di lungo periodo, spalmata su tre anni. Si partirà comunque subito con il taglio del cuneo.
Schema Pd, ancora però da confezionare nella sua forma compiuta: l’obiettivo è arrivare a dare 1.500 euro netti in più all’anno a 20 milioni di lavoratori. Bisogna però trovare i soldi: 15 miliardi per il prossimo triennio.
Anche il salario minimo, misura cara ai 5 stelle, vedrà la luce, almeno queste sono le intenzioni perchè con 23 miliardi da trovare per disinnescare le clausole di salvaguardia sull’Iva e 3-4 miliardi di spese indifferibili, lo spazio per finanziare altre misure è più che stretto: è un’impresa ardua, se non un azzardo.
Ma questa è una partita lunga, che tira in ballo l’Europa e il processo di gestazione della manovra che si snoderà lungo tutto l’autunno.
Per ritornare all’oggi, la quadra sul salario minimo è stata raggiunta sul disegno presentato dal Pd: sarà previsto nei settori che non sono attualmente coperti dai contratti nazionali.
Se su manovra e lavoro si registra sintonia, la nota che ancora non è stata collocata nel pentagramma e che impedisce di arrivare alla votazione su Rousseau con un programma chiuso è l’immigrazione.
Sul tavolo ci sono i decreti sicurezza. Il Pd insiste per recepire i rilievi del capo dello Stato, i 5 stelle mantengono il loro punto di vista. Se ne discuterà domani, sempre a palazzo Chigi, ma alcune fonti mettono in evidenza che sicuramente non si arriverà a una linea massimalista, cioè bruciare in piazza i due provvedimenti voluti fortemente da Salvini. Sì, Salvini.
Nell’elenco del programma di governo quantomeno un sottotitolo c’è. È alla voce riforma della legge elettorale. Ed è un sottotitolo che da solo vale forse gran parte del programma di governo o quantomeno ne è la sua blindatura.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI UN ESPERTO: “SU TUTTI I SOCIAL SALVINI STA CROLLANDO”
In questa particolare fase della politica italiana, che sotto l’ombrellone ha diviso gli italiani tra favorevoli all’alleanza giallo-rossa e nemici del governo della poltrona, c’è una sola certezza. Matteo Salvini è il grande sconfitto
Dalle foto al Papeete in poi il leader leghista sembra essersi incartato in una crisi politica ma soprattutto d’immagine che non può essere causale.
È soprattutto nel suo ambiente ideale, quello del web, che i risultati da noi monitorati certificano che qualcosa non va come i suoi spin avevano previsto.
La bestia, la macchina della propaganda online in grado di portare Salvini dal 17% delle politiche 2018 al 34% delle scorse europee, sembra aver arrestato la sua forza.
Proprio durante la campagna elettorale per le europee erano iniziati a imporsi tra i principali argomenti dibattutti su Twitter degli Hashtag contro Matteo Salvini.
Slogan come #salvinidimettiti, #QuestaLegaèUnaVergogna, #GRATTA_e_VINCI_49milioni, sono diventanti dei trending topic molto virali che hanno compattato e rilanciato community online, come #facciamorete, aggregate contro la Lega.
Nei giorni caldi della crisi la reputazione online di Matteo Salvini è stata completamente asfaltata: il 27 agosto per più di 12 ore tra i principali argomenti di discussione c’è stato #legaladrona.
Il 23 agosto è stata la volta di #salviniasfaltato (oltre 13 ore nelle trending topic) mentre per tutta la settimana dopo ferragosto si è parlato di Salvini in termini di #capitanfracassa o di #salvinibufalaro (per usare un eufemismo).
Ovviamente le critiche e l’ironia contro Salvini sono scoppiate anche su Facebook. Gruppi come “Mai Con Salvini” o “Noi contro Salvini” hanno pubblicato molti post contro l’ex ministro dell’Interno, risultando nelle ultime settimane più virali addirittura della pagina Facebook ufficiale della Lega.
Nell’ultimo mese la fanpage “Mai con Salvini” ha ottenuto una media di 4.266 interazioni per singolo post, il triplo dei 1.505 ottenuti dalla Lega.
Il 20 agosto, giorno delle accuse di Conte contro Salvini, abbiamo rilevato come il volume di ricerche sul premier si sia attestato su un parametro pari a 100 contro il 69 del capo della Lega
L’ex ministro degli Interni si conferma in crisi con l’opinione pubblica digitale anche se andiamo a registrare il livello di popolarità dei vari leader coinvolti nelle ultime manovre di Palazzo.
In particolare su Facebook, il social dove Matteo Salvini è il politico italiano più seguito (3.765.482 fan), la caduta è stata rovinosa.
Dal giorno della crisi, il 15 agosto, ad oggi, l’emorragia di popolarità di Salvini è fotografata dal confronto con Giuseppe Conte.
Il premier in questi ultimi 15 giorni ha agganciato oltre 104 mila nuovi potenziali elettori contro i soli 18.802 raggiunti del leader leghista.
Nello stesso periodo Nicola Zingaretti (288.674 fan) e Luigi Di Maio (2.245.311 fan) hanno ottenuto rispettivamente 7.309 e 7.678 nuovi utenti.
Una delle tendenze più vistose su Facebook è che stanno diventando sempre più popolari, al ritmo di oltre 3000 nuovi fan al mese, delle community come “Cara Italia” che postano quotidinamente post contro Salvini e la Lega.
Abbiamo anche monitorato come Matteo Salvini sia stato per la prima volta superato da Giuseppe Conte per quanto riguarda le ricerche degli italiani sul web.
Anche se ci spostiamo su Twitter le cose non cambiano per Matteo Salvini: la sua chiamata alle piazze si è rivelato un flop.
Nella giornata di venerdì l’ex ministro leghista ha lanciato sui social la manifestazione di Roma per andare al voto. Su Twitter “tutti a Roma” ha raccolto meno di 3 mila tweet non riuscendo a imporsi nella trending topic italiana.
Insomma più che una bestia la macchina della propaganda di Salvini sembra esser diventata un gattino che non graffia.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
DI MAIO NON INVITA A VOTARE PER IL SI’… IN BALLO IL SUO RUOLO E QUELLO DI GRILLO
Rousseau, non il filosofo Jean Jacques ma la piattaforma online del Movimento 5 Stelle, viene agitato come una clava.
Luigi Di Maio definisce “determinante” la consultazione online sulla nascita del governo con il Partito democratico e in effetti martedì sarà il D-Day.
Non solo per la creazione dell’esecutivo ma soprattutto per gli equilibri interni al Movimento 5 Stelle, per il suo assetto futuro.
Insomma per i rapporti di forza, dopo che il leader Beppe Grillo, nonostante i dubbi del capo politico, è intervenuto più e più volte a favore di un’alleanza con il Pd arrivando quasi a bastonare, mataforicamente parlando, l’ex vicepremier.
Ed è per questo che dalle percentuali, quindi dal risultato, si conoscerà il peso specifico che Di Maio ha nel mondo pentastellato.
La votazione online è l’ultimo ostacolo per la formazione del nuovo esecutivo e nessuno tra i 5Stelle riesce davvero a prevedere quale sarà l’esito.
Se ci sarà una vittoria schiacciante del sì sarà la conferma che Grillo tiene ancora in mano le redini del Movimento.
Al contrario prevarrà la linea Di Maio, il quale nell’appello lanciato nell’etere si è guardato bene dallo schierarsi apertamente.
A raccontare l’aria che tira ci pensa in mattinata il capogruppo del Senato Stefano Patuanelli che manda nel panico il mondo pentastellato e chi tifa per il governo giallorosso: “Se vince il ‘no’, Conte dovrà adeguarsi”. La democrazia è quindi anche un alibi se la formazione del governo dovesse fallire.
E infatti il premier incaricato sa benissimo che il voto su Rousseau potrebbe sbarrargli la strada. Così, a consultazioni in corso, contravvenendo alla grammatica istituzionale, dopo aver parlato alla Festa del Fatto Quotidiano adesso Conte appare anche in un videomessaggio.
Da qui invita gli attivisti M5s, si rivolge proprio a loro, a votare favore dell’accordo. Elenca i punti del programma e a pochissimi ore dall’inizio del sondaggio online parla di “occasione unica” prendendosi sulle spalle, più di Di Maio, la responsabilità di far virare il voto verso il sì.
L’ex vicepremier è invece più soft. Sono le ore della trattativa, di fatto quelle in cui si ragiona sulla lista dei ministri. I
Adesso nel puzzle complicato dei posti in palio Di Maio chiede comunque un ruolo di peso ma neanche questo è scontato. Sullo sfondo c’è il voto sulla piattaforma Rousseau che, a questo punto, ha il potere di vita o di morte sul governo che dovrebbe nascere. Ma anche sulla sopravvivenza di Di Maio.
Un sì risicato al nuovo governo con il Pd, ipotizziamo un 55% di voti a favore, sarebbe un assist a favore del capo politico che si è sempre mostrato scettico. Una vittoria schiacciante invece consacrerebbe Grillo leader indiscusso dentro il Movimento, ancora il vero trascinatore. In questo modo l’ex vicepremier ne uscirebbe ridimensionato ancora di più.
Sono 115.372 gli iscritti che potranno esprimere la loro preferenza, ma negli ultimi tempo ha votato un terzo degli aventi diritto. Adesso non è escluso che ci possa essere un ritorno in massa al click online.
Secondo i ben informati alla fine prevarrà il sì all’alleanza ma non sarà una vittoria schiacciante. Un risultato in bilico potrà essere utilizzato da Di Maio non sono per rafforzarsi internamente ma anche per ottenere qualcosa in più nel rush finale della trattativa.
Per questo il capo politico, nel videomessaggio del passo indietro sulla richiesta di diventare vicepremier, lancia un appello al voto senza schierarsi: “Ora tocca agli iscritti del Movimento e mi rivolgo a chi è perplesso, non c’è un voto giusto o sbagliato, c’è il vostro voto, noi abbiamo già vinto”.
Il quesito nasconde anche parecchie insidie. Nel caso dell’alleanza con la Lega era stata formulata una domanda generica, in cui era stato messo al voto il contratto di governo e il partito di Salvini non era neanche contemplato.
Ora invece la presenza della parola “Pd” nel testo del quesito viene vista, da alcuni, con l’intento di far votare “no” considerata la storica antipatia dei militanti grillini nei confronti dei dem. Non solo. In un primo momento la prima casella da sbarrare era il ‘no’, solo in un secondo momento l’ordine è stato invertito.
In tanti dentro il Movimento continuano a essere perplessi sulla svolta a sinistra. C’è ad esempio Gianluigi Paragone che dal primo momento si schierato contro tanto da non escludere l’abbandono del Parlamento. Voteranno ‘Sì’ i deputati e i senatori vicini a Roberto Fico, i grillini della prima ora risorti dopo il videomessaggio del fondatore di sabato notte che ha invitato a dire sì, la maggioranza dei deputati, specie quelli al secondo mandato.
Fino ad ora le votazioni su Rousseau non hanno riservato sorprese rispetto alle indicazioni della nomenklatura, proponendo sempre domande dalla risposta quasi automatica. Stavolta però qualcosa potrebbe cambiare e sono in tanti tra gli attivisti a cavalcare l’onda del dissenso. Non stupisce che in questo clima, Di Maio arrivi a dire: “Governo sì ma non a tutti i costi”, in un’intervista in onda su Class Cnbc.
Se Paragone non ha dubbi, e giustifica il suo dissenso incasellandolo come analisi politica, Alessandro Di Battista dopo aver incontrato oggi Di Maio, non ha dichiarato la sua intenzione di voto, anche se nei giorni scorsi su Facebook ha vergato parole di fuoco contro l’ipotesi giallorossa. Ora però il suo nome è tornato a circolare come possibile ministro e in questo contesto tutto può ancora succedere.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
DOVRA’ PAGARE CIRCA 20.000 EURO PER LE FRASI RAZZISTE PRONUNCIATE A LA ZANZARA DI RADIO24
Alla trasmissione La Zanzara di Radio24 aveva rilasciato dichiarazioni che definire discutibili è un eufemismo gentile: ed infatti ci ha pensato la Giustizia.
Le frasi incriminate sono state particolarmente due: “Non vogliamo extracomunitari. Qua non vogliamo nessuno che venga a rompere i coglioni” e riferendosi quindi all’ipotesi che alcuni richiedenti asilo venissero ospitati nel Comune di Albettone, e con riferimento alle case individuate per dare ospitalità , si era espresso così: “O le muriamo o le riempiamo di merda; dimmi cosa viene a fare un immigrato ad Albettone che rischia la pelle. Lo devono capire che siamo razzisti” e, non pago, aveva aggiunto che le persone di colore hanno un quoziente di intelligenza “molto più basso, lo dimostra la storia; esportiamo cervelli e importiamo negri, pensa dove andremo”
Poi la ciliegina sulla torta: “Facciamo il più grande allevamento d’Europa di maiali se dovesse essere che vogliono aprire una moschea ad Albettone”.
Il Sindaco di Albettone di Vicenza, Joe Formaggio, è stato condannato dal Tribunale civile di Milano per comportamento discriminatorio e incitamento all’odio razziale nei confronti di rom e migranti.
Dovrà pagare un risarcimento danni di 12mila euro e le spese legali alle associazioni di Milano Avvocati per niente e Asgi-Associazione studi giuridici sull’immigrazione, che avevano denunciato le “dichiarazioni violentemente oppositive alla possibilità che alcuni richiedenti asilo venissero destinati ad occupare abitazioni site all’interno del Comune di Albettone nei confronti dei quali venivano altresì pronunziate frasi dal chiaro contenuto discriminatorio”.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
“SE VUOI UTILIZZARE I MIEI VIDEO, FALLO DOPO AVER CONCORDATO IL PREZZO PER L’UTILIZZO DEL COPYRIGHT, TANTO 49 MILIONI LI HAI”
“Ma che bello il ‘clima’ del governo a guida PD: sbarcati gli immigrati della nave dei centri sociali per ‘emergenza sanitaria’… Paralitici e infermi”
Così Matteo Salvini su Twitter, postando il video pubblicato da Mediterranea saving humans che mostra i migranti della Mare Jonio che si abbracciano dopo l’annuncio del capo missione Luca Casarini sull’imminente sbarco a Lampedusa.
Pronta la risposta su Twitter del fotoreporter, Francesco Bellina: “Gentile Matteo Salvini, se vuole utilizzare i miei video è pregato di farlo dopo aver concordato il prezzo per l’utilizzo e cessione del copyright. Tanto lei i soldi li ha #49milioni”.
Mediterranea aveva poche ore prima comunicato che “le ultime 31 persone rimaste a bordo della Mare Jonio” sarebbero sbarcate e trasportate poi a Lampedusa. “La loro odissea è finita – dice l’ong – e all’orizzonte si intravede un po’ di umanità . Benvenuti in Europa!”.
E Bellina aveva filmato il momento dell’annuncio durante il quale i migranti si sono abbracciati felici per la fine del loro viaggio via mare.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
L’ATTACCANTE BELGA: “I SOCIAL E LE SOCIETA’ DI CALCIO DOVREBBERO LAVORARE MEGLIO”… CI VORREBBERO PRESIDENTI CHE CHIUDESSERO LO STADIO PER UNA INTERA STAGIONE AI TIFOSI DICENDO: “QUANDO VI SARETE CIVILIZZATI SI RIAPRONO LE PORTE”
Lukaku non ci sta. Vittima di cori razzisti durante Cagliari-Inter di domenica, l’attaccante belga si è sfogato su uno dei mali del calcio, purtroppo sempre attuale: “Molti giocatori nell’ultimo mese sono stati vittime di abusi razzisti. A me è successo ieri. Il calcio è uno gioco che deve far felici tutti e non possiamo accettare nessuna forma di discriminazione che lo possa far vergognare. Spero che tutte le Federazioni del mondo reagiscano duramente contro tutti i casi di discriminazione”.
Il neo centravanti interista se la prende anche con il ruolo dei social network: “Instagram, Twitter, Facebook devono lavorare meglio così come le società calcistiche perchè ogni giorno si vede almeno un commento razzista sotto al post di una persona di colore – prosegue Lukaku nel suo messaggio – Noi lo diciamo da anni ma ancora nessuno si muove. Signore e signori, siamo nel 2019 e invece di andare avanti stiamo tornando indietro. Penso che noi giocatori dovremmo unirci per fare una dichiarazione su questo problema: dobbiamo mantenere il nostro gioco pulito e divertente per tutti”.
Il video dell’accaduto sta facendo il giro del web, vista la notorietà di Lukaku, e proprio dall’Inghilterra, dove il belga giocava con la maglia del Manchester United, arrivano le condanne più dure.
Sul caso potrebbe aprire un fascicolo il giudice sportivo con il Cagliari che rischia una squalifica del campo.
Il Cagliari: “Individueremo i responsabili”
Anche il Cagliari decide di prendere posizione sulla vicenda degli ululati razzisti a Lukaku. In una nota pubblicata sul proprio sito ufficiale, la società rossoblù “prende con forza le distanze dagli sparuti, ma non meno deprecabili episodi verificatisi alla Sardegna Arena in occasione di Cagliari-Inter. Il Club ribadisce una volta di più l’intenzione di individuare, isolare ed estromettere dalla propria casa gli ignoranti, anche fosse uno soltanto, che si rendono protagonisti di gesti e comportamenti deprecabili e totalmente agli antipodi dei valori che, con determinazione, il Cagliari Calcio porta avanti in ogni singola iniziativa. Quotidianamente. Proprio Cagliari-Inter è stata, infatti, l’ennesima occasione dove ammirare il vero tifo, quello positivo e mai contro qualcuno. La nostra Curva Futura, primo settore in Italia ad essere costruito per ospitare i bambini, ha visto tanti sostenitori nerazzurri e rossoblù vivere insieme una splendida serata all’insegna della passione per il calcio. La Società non accetta che si possa minimizzare quanto accaduto, ribadisce gli alti contenuti morali della sua gente, quella che alberga in tutti i settori dello stadio, ma respinge fermamente ogni accusa infamante e sciocchi stereotipi che non possono assolutamente essere indirizzati verso i tifosi del Cagliari e il popolo sardo”.
Da parte del Cagliari c’è anche “piena solidarietà a Romelu Lukaku e ancora più impegno per debellare una delle piaghe che affliggono il mondo del calcio e non solo. Ben sapendo, però, che la tecnologia da sola non basta, ma che l’impegno delle società necessita di un supporto reale da parte dei soggetti che operano nel mondo del calcio: dai veri tifosi agli stewards, dai media alle forze dell’ordine fino alla Lega Serie A e la FIGC. Il Cagliari Calcio vi chiede aiuto per vincere una battaglia che riguarda tutti. Nessuno escluso.”
Da Koulibaly a Pogba
L’episodio di Cagliari con i cori razzisti, seppur da parte di una frangia minoritaria dei tifosi rossoblu, nei confronti di Romelu Lukaku, è solo l’ultimo di un malcostume che ha colpito spesso negli ultimi anni la Serie A. Proprio in Sardegna era già successo due anni fa a Matuidi, e poi a Kean, entrambi giocatori della Juventus e questa volta a Lukaku. Ma l’elenco è lungo e tocca tutti i punti dello stivale.
Nella stagione 2000-2001 Akeem Omolade, attaccante del Treviso, entra in campo dalla panchina, in casa, contro il Pescara. La curva del Treviso lo ricopre di fischi. Un episodio che colpisce i compagni di squadra, che nella seguente gara interna, contro il Genoa, scendono in campo col volto dipinto di nero: i titolari, i giocatori della panchina e l’allenatore.
Nel novembre 2005 arriva il caso del difensore del Messina Andrè Kpolo Zoro, impegnato a San Siro per Inter-Messina, al 21′ del secondo tempo, all’ennesimo insulto a sfondo razzista ricevuto dagli spalti, prende in mano il pallone e minaccia di lasciare il campo.
Poi ci fu l’episodio di Boateng: durante l’amichevole contro la Pro Sesto nello stadio di Busto Arsizio, stanco dei continui cori razzisti rivolti ai calciatori neri del Milan e provenienti dal settore dei tifosi della squadra avversaria, il milanista prima scagliò il pallone contro la rete di recinzione, poi lasciò il campo rifiutandosi di continuare a giocare, seguito dal resto della squadra. Tante polemiche lo scorso dicembre durante Inter-Napoli per i ‘buù razzisti indirizzati a Kalidou Koulibaly. E poi il caso più recente di Paul Pogba, finito sulla graticola lo scorso 19 agosto dopo il rigore sbagliato contro il Wolverhampton che gli sono costati pesanti post razzisti su twitter. Tanti, troppi episodi che evidentemente sono serviti a poco.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
L’EX CONSULENTE DI SALVINI, IN AFFARI CON IL RE DELL’EOLICO, AVEVA APPUNTAMENTO PER SPONSORIZZARE UN EMENDAMENTO CHE LO AVREBBE FAVORITO
Il 13 novembre dell’anno scorso, alle 14 in punto, il faccendiere Paolo Arata (l’ex consulente del ministro Salvini per l’energia) era in Transatlantico — il grande corridoio delle strette di mano in Parlamento — per sponsorizzare l’emendamento che stava tanto a cuore al suo socio siciliano in odore di mafia, Vito Nicastri.
Aveva un appuntamento, con la deputata leghista Silvana Comaroli, la relatrice della legge di bilancio. E diceva soddisfatto al telefono: “Lei è sensibilizzata al nostro emendamento”.
Spunta un’altra sorpresa nell’inchiesta della procura di Roma che vede indagato per corruzione l’allora sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri, grande sponsor di Arata.
Era stato il suo segretario, Marco Perini, a fissare l’appuntamento con l’onorevole Comaroli: “E’ una vecchia leghista, amica di Armando”, con queste parole rassicurava il faccendiere. “Ti do anche il suo numero se vuoi, così vi rintracciate”.
Al termine, Arata inviò un sms: “Incontrata bene, ma Armando deve fare telefonata anche presidente commissione, grazie”.
L’emendamento poi non fu inserito, ma Siri proseguì le sue manovre. E oggi a rileggere tutte le intercettazioni della Dia di Trapani depositate dalla procura di Roma sorge soprattutto una domanda: chi, all’interno della Lega, venne attivato da Siri per favorire Arata e Nicastri? Sono tre i misteri di questo caso
La prima manina aiutò il senatore a inserire nel programma di governo un paragrafo sul biometano, tema che stava molto a cuore ai due faccendieri. Il 15 maggio 2018, Siri diceva: “Ci provo, ma sarà difficile”. Due giorni dopo, esultava dicendo che era stata una “lotta, un casino grande”.
C’è poi un politico (o forse più) attraverso cui il cardinale Raymond Burke, il padre spirituale dei sovranisti, avrebbe fatto pressioni per la nomina di Siri a sottosegretario, come voleva Arata. “Ho saputo che entro domani fanno le decisioni”, diceva il faccendiere al porporato, era il 4 giugno, quattro giorni dopo Conte formava il nuovo governo.
Burke era in movimento: “Sono preoccupato, perchè ho comunicato con questi politici, ma non mi hanno risposto”.
Arata lo incalzava, e qui parlava al singolare, come se conoscesse l’identità del misterioso interlocutore del cardinale: “Magari ci riprovi oggi nel pomeriggio, può darsi che la richiama, sono giorni decisivi”. Burke era sempre disponibile: “Io posso scrivere di nuovo per ricordargli”. La risposta di Arata è memorabile: “Benissimo. Grazie per le preghiere”. Burke: “Ricambiate”. Evidentemente, per il faccendiere e il cardinale anche certe raccomandazioni passano dal buon Dio.
Resta la domanda: chi è il politico a cui Burke scriveva? Il 6 aprile precedente, Arata aveva sollecitato il cardinale a fare una telefonata.
Per Siri, ma anche per suo figlio Federico. “Se può fare quel famoso intervento su Giorgetti dagli Stati Uniti”. Poi, davvero Arata junior venne ingaggiato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti con un contratto di consulenza esterna.
Infine, qualcuno, all’interno della Lega, avrebbe informato Siri che “il presidente Mattarella aveva dubbi su di lui”. Un altro personaggio rimasto senza nome.
Oggi, il senatore leghista non è più sottosegretario, dopo l’avviso di garanzia il presidente del Consiglio Giuseppe Conte l’ha revocato, Salvini invece l’ha assolto: ad agosto, l’ha riportato pure al Viminale, al tavolo con le parti sociali.
E l’inchiesta, nata alla procura di Palermo e poi trasferita a Roma, continua ad ipotizzare che Arata avrebbe promesso a Siri una mazzetta da 30 mila.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
NEL PD FAVOREVOLI 69% CONTRARI 25%… NEL M5S A FAVORE 51% , CONTRO 40%
Elettori Pd e M5S favorevoli all’alleanza di governo.
È quanto emerge da un sondaggio di Swg per il Tg La7 presentato in diretta dal direttore Enrico Mentana.
Secondo la rilevazione, tra gli elettori dei 5 Stelle il 51 per cento si dice favorevole alla nascita di un Conte Bis in condominio con il Partito Democratico, mentre il 40% si dice contrario. Il restante 9% invece preferisce non esprimersi.
Tra i sostenitori del Partito Democratici il 69% vorrebbe il via libera alla nascita dell’esecutivo con l’ex odiato nemico a 5 Stelle, solo il 25 per cento è invece contrario. Alla platea dem è stato poi chiesto come considera il fatto che Giuseppe Conte sia premier del nuovo governo: il 58% ha risposto che non è del tutto positivo ma accettabile, il 35% lo giudica positivo e solo il 7% inaccettabile.
(da agenzie)
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