Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
LA SCONFITTA HA DATO ALLE TESTA ALLE ZECCHE PADANE
A quanto pare l’insuccesso ha dato alla testa a qualche parlamentare della Lega.
Parlando a Pontida pochi giorni dopo essere passato con il suo gruppo all’opposizione il deputato Vito Comencini, veronese, se n’è uscito con due frasi inqualificabili.
La prima riguarda l’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella: «Posso dirlo? Questo Presidente della Repubblica mi fa schifo! Mi fa schifo chi non tiene in conto della 34% dei cittadini». Così, testuale.
Poi, pochi secondi dopo, sempre nello stesso intervento davanti all’assemblea della Lega giovani in una tensostruttura a poche decine di metri dal famoso pratone di Pontida Comencini ha aggiunto: «Certo anche Pertini baciò la bara di Tito, quello che ha fatto le Foibe».
E se l’affermazione su Mattarella dimostra solo estrema ignoranza istituzionale, qui mancano proprio i fondamentali, perchè Comencini rispolvera una bufala creata e rimbalzata negli ambienti dell’estrema destra.
(da Open)
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Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
LA SCISSIONE POTREBBE FINIRE PER FARE UN FAVORE AL GOVERNO E ALLARGARE LA MAGGIORANZA
La scissione dei renziani dal Pd sembra più vicina che mai. Sarebbero pronti i nuovi gruppi renziani: Matteo Renzi potrebbe tenerli a battesimo, alla Camera e al Senato, dopo averne parlato con il premier Giuseppe Conte e anche con Luigi Di Maio. Perchè, questa la premessa fatta da più di una fonte renziana, nascerebbero non contro il governo, ma a suo sostegno.
E sarebbero l’embrione di quella che i renziani definiscono la “separazione consensuale” dal Pd, che potrebbe dare il via (magari alla Leopolda, ma niente è deciso) alla nascita di una nuova “casa”: “Non un partitino del 3% ma un soggetto che parli al Paese”.
In questo senso i gruppi parlamentari sarebbero solo un primo step, un passaggio che potrebbe portare anche all’ingresso in maggioranza di nuovi parlamentari. L’uscita dei renziani, ragiona uno di loro, “toglierebbe anche a Zingaretti l’alibi di non controllare i parlamentari: uscirebbero Renzi e Bellanova e magari si preparerebbe l’ingresso di Calenda e Bersani”. Alla Camera ci sarebbero già i venti deputati necessari alla nascita di un gruppo, il cui volto potrebbe essere Luigi Marattin, mentre l’ipotesi è che Teresa Bellanova diventi il capo delegazione nel governo. Ettore Rosato avrebbe invece un incarico di coordinamento nel nuovo soggetto politico.
Un evento a lungo temuto praticamente da quando Matteo Renzi non è più segretario. Nicola Zingaretti predica da sempre unità e Andrea Orlando, suo vice, avverte: “Il Pd dovrebbe discutere di come affrontare i problemi del Paese governando, non di come e se dividersi”.
Dario Franceschini ai suoi è apparso indignato di fronte all’ipotesi di una scissione, citando sms ricevuti nelle ultime settimane che andavano in direzione opposta. Renzi in effetti aveva pensato a un’operazione su tempi più lunghi, da lanciare alla Leopolda il 19 ottobre od oltre, ma “ormai la convivenza non funziona più”, fanno notare gli esponenti a lui vicini, auspicando una “separazione consensuale”.
“Nei prossimi giorni faremo una riflessione”, sintetizza un dirigente renziano. Renzi oggi era allo stadio per Fiorentina-Juventus. Al Senato, dove i sostenitori dell’ex Rottamatore sarebbero in proporzione più numerosi rispetto alla Camera, il nuovo gruppo potrebbe essere il nucleo per un’allargamento della maggioranza al centrodestra.
Dalla maggioranza di Zingaretti arrivano tutte dichiarazioni contrarie all’ipotesi di “scisma”. Il Paese non capirebbe, secondo Marina Sereni di AreaDem, neo viceministra. Ma seppure in un’intervista al Corriere della Sera Goffredo Bettini dica che preferirebbe che Renzi restasse nel Pd, sottolinea anche che non sarebbe certo “uno scandalo” se si arrivasse alla scissione.
Come diceva lo stesso ex premier conversando a registratori spenti con i giornalisti alla sua scuola di politica estiva in Garfagnana, meno di un mese fa, “in fondo anche per loro sarebbe una liberazione. E potrebbero far rientrare i fuoriusciti, con Bersani e D’Alema”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
PERCHE’ IL PIANO DI SALVINI NON FUNZIONA
Oggi Matteo Salvini, intervenendo all’assemblea degli amministratori locali della Lega a Milano, ha raccontato qual è il suo piano per fermare la legge proporzionale che il MoVimento 5 Stelle e il Partito Democratico potrebbero approvare prima della fine della legislatura.
Il piano di Salvini è semplice ma delirante, quantomeno secondo l’illustrazione che ne ha fatto oggi.
Salvini propone che cinque Regioni approvino a maggioranza assoluta “entro settembre” la proposta di un referendum abrogativo della parte proporzionale dell’attuale legge elettorale, lasciando la parte maggioritaria.
L’obiettivo, ha spiegato, è”avere un sistema elettorale completamente maggioritario chi prende un voto in più vince, anche con l’indicazione del candidato premier”.
“Il quesito è già pronto”, ha sostenuto. Poi è andato ancora più nello specifico: “Vogliamo una legge elettorale totalmente maggioritaria, diciamo all’inglese, con 630 collegi in cui si eleggono i parlamentari. La gente così conosce nomi e cognomi, e si governa. Lunedì vi faremo avere il quesito”.
A chi gli ha chiesto se vuole inserire anche il vincolo di mandato, replica: “Per quello serve una riforma costituzionale”.
Salvini insomma propone più o meno un sistema inglese, non rendendosi conto che in una situazione di tripolarismo come quella fotografata alle elezioni politiche 2018 non è assolutamente detto che questa porti a un vincitore “la sera delle elezioni”, come si ama spesso ripetere.
Ma il piano di Salvini non funziona per una serie di motivi .
In primo luogo il leader della Lega pare non essersi ancora reso conto che la legge per la riduzione dei parlamentari porterà a cambiare i numeri e quindi è inutile fare il conto sui 630 deputati attuali.
In secondo luogo, anche se vincesse questo fantomatico referendum che le regioni dovrebbero chiedere, nulla vieterebbe al parlamento di cambiare la legge elettorale su base proporzionale.
Ma soprattutto, Salvini pare non rendersi conto che uno scenario di referendum in cui saranno tutti contro uno — e non c’è dubbio che nell’occasione non troverebbe certo l’intero appoggio del centrodestra per una proposta di riforma del genere — ha già visto uno sconfitto eccellente: l’altro Matteo, ovvero Renzi.
Salvini rischia di andare a impelagarsi in un’impresa troppo grande per lui, anche perchè i partiti della sua alleanza raggiungono sì attualmente una percentuale di voti ragguardevole, ma questa non arriva al 51%: l’impresa sarebbe piuttosto rischiosa. Infine, Salvini dovrebbe ricordare che il maggioritario nella versione da lui proposta — con alcuni correttivi — è stato già sperimentato in Italia: chi lo ha proposto (Mario Segni) ha fatto una brutta fine elettorale, mentre la stabilità auspicata non è mai stata raggiunta.
Quello di Salvini sembra il piano di un kamikaze che intende dare una spallata “popolare” alla legislatura che scade nel 2023 (e il semestre bianco che renderà impossibile sciogliere le camere inizia da agosto 2022).
Ma i kamikaze di solito fanno una brutta fine.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
AVEVA APERTO TROPPI FRONTI, RISCHIAVA DI ESSERE TRAVOLTO: LA SUA E’ STATA UNA MOSSA DIFENSIVA SPERANDO DI SALVARSI
Con il passare dei giorni gli animi si calmano, i pensieri trovano una forma più compiuta e, in qualche modo, anche gli obiettivi si fanno più chiari. Ed allora, alla vigilia dell’appuntamento di Pontida, si può proporre una versione diversa della crisi di governo alle nostre spalle, una versione che inquadra con angolo visuale nuovo le scelte del leader della Lega Matteo Salvini.
Versione che trova conferme interloquendo con diversi esponenti del partito, in molti casi anch’essi impegnati nella ricostruzione di quanto accaduto davvero.
Torniamo alla situazione di fine luglio, in cui Salvini è “alfa e omega” della politica italiana, inseguito (con sua piena collaborazione) da selve di microfoni, telecamere e smartphone in ogni momento della giornata.
Egli è il politico italiano più importante, in vetta ai sondaggi, ministro dell’Interno, ago della bilancia del Governo nazionale, trionfatore di tutti gli appuntamenti elettorali dei 12 mesi precedenti.
Eppure sente che qualcosa non va, anche grazie ai segnali di quelli (non proprio tutti) che gli vogliono bene. In particolare capisce di avere troppi fronti aperti (diciamo sei), il cui combinato disposto diventa una potenziale tempesta in grado di travolgerlo.
C’è un fronte interno al partito, dove cresce lo scontento per provvedimenti che ormai sono finiti sul binario morto (autonomie regionali in testa). È un fronte che ha in Lombardia e Veneto i suoi punti più critici, con il governatore Zaia in posizione sì leale verso Salvini sul piano personale, ma di feroce critica sul piano politico, poichè i veneti (ed anche i lombardi in verità , ma il carattere di Fontana è diverso) si sono espressi con un referendum destinato a restare inattuato.
Poi c’è un fronte sostanzialmente drammatico con l’alleato di Governo.
Qui vale la pena di farla breve: il M5S dopo le elezioni europee decide (con buona pace di Di Maio che si adegua) che il nemico è la Lega, di cui debbono essere frenati, sminuzzati, calpestati tutti i provvedimenti (ad eccezione di quelli in materia di immigrazione, di cui parleremo tra poco). Insomma una snervante guerra di posizione che rende un calvario la giornata di tutti i membri del governo leghisti, molto spesso colti da autentiche crisi di disperazione (Giorgetti compreso, tagliato fuori da ogni riunione importante a Palazzo Chigi).
Al terzo posto c’è un tema Viminale in stretta correlazione con la gestione del dossier immigrazione, vale a dire l’argomento che ha portato a Salvini milioni di voti.
Qui la delicatezza è tutta nel rapporto tra la posizione rigidissima del ministro (quindi in grado di catalizzare consensi) e l’ostilità delle strutture istituzionali ad applicare impostazioni troppo drastiche (che non appartengono alla tradizione delle amministrazioni italiane). Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, Prefetture, Forze di Polizia, Procure della Repubblica.
E poi ancora ministeri competenti a vario titolo (Infrastrutture, Difesa): insomma un coacervo di norme, abitudini, volontà e sentimenti messo sotto pressione per dare sostanza alla indicazione politica, ma non per questo privo di strumenti per esprimere il suo dissenso.
Ma non è finita qui, perchè ci sono altri tre fronti delicatissimi.
Il quarto è quello europeo, dove Salvini ha sottovalutato la forza dell’establishment di Bruxelles e Francoforte. Evitando di andare alle riunioni o sproloquiando di minibot e altre varie amenità , la Lega si è messa contro tutti quelli che contano, ottenendo cosi due (disastrosi) risultati.
Il primo è ben visibile nel voto del 16 luglio che elegge Ursula von der Leyen a Presidente Ue con il sostegno decisivo di Pd e M5S (quella è la vera data di nascita del Governo giallo-rosso).
Il secondo si sarebbe manifestato a breve con un atteggiamento di assoluta chiusura verso la manovra di bilancio italiana, rendendo così impossibile la Flat Tax e persino difficile evitare l’aumento dell’Iva, anche perchè, nel frattempo, sia Conte che Tria avevano scelto di schierarsi dalla parte di Bruxelles (con buona pace del Capitano).
Il quinto fronte è anch’esso internazionale ma fuori da confini continentali. Qui Salvini ha giocato con poca lucidità tra Mosca e Washington, finendo per indispettire gli uni e gli altri. I primi chiamati direttamente in causa dalla vicenda Savoini (osservata con malcelato disappunto da quelle parti, per usare un eufemismo di spettacolare indulgenza); i secondi costretti a giocare una partita di rimessa che, come è noto, non è metodo apprezzato nè alla Casa Bianca nè al Dipartimento di Stato.
Infine, ed è il fronte numero sei, c’è proprio la conversazione all’hotel Metropol del manipolo leghista, una vicenda tutt’altro che conclusa ma certamente fastidiosa per un ministro dell’Interno in carica.
Adesso mettiamo tutto insieme e proviamo ad entrare nella testa del leader della Lega, proprio nei giorni del suo successo clamoroso davanti al pubblico festante del Papeete. Ebbene possiamo affermare con ragionevole certezza che proprio Salvini capisce che i fronti aperti sono troppi, che lui è ormai la volpe cui danno tutti la caccia.
A quel punto decide di fare una mossa che è in realtà più difensiva che offensiva, non priva della sostanziale ammissione di aver perso la battaglia d’estate.
Salvini prova a sparigliare, puntando alle elezioni (dal Pd qualche segnale in tal senso gli era arrivato). Ma vuole innanzitutto azzerare la situazione e riprendere un (nuovo) filo del discorso. Vuole andare al governo con una maggioranza più “coerente” e vuole ripensare la strategia internazionale, avendo capito di avere sbagliato. E vuole provare a farlo prima che sia troppo tardi.
Ecco allora il nuovo atteggiamento verso i vecchi alleati italiani, con la partecipazione alla manifestazione della Meloni davanti al Parlamento e il pranzo di ieri a Milano con il Cavaliere.
Ed ecco, con elevata probabilità , una nuova versione “sovranista” a livello internazionale, dove sarà il caso di seguire Orban (che ha votato a favore della von der Leyen) e limitare i rapporti con la Le Pen.
Insomma un Salvini che va all’opposizione per “ricominciare”, facendo tesoro degli errori (non pochi) commessi sin qui. In quest’ottica il discorso a Pontida andrà letto in controluce, depurandolo da tutti gli aspetti retorici e di propaganda.
(da“Huffingtonpost”)
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Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
GUALTIERI OTTIMISTA SUL MASSIMO DELLA FLESSIBILITA’ CHE CI CONCEDERA’ L’EUROPA… MA SITUAZIONE COMPLICATA DAI TARGET IRREALISTICI DI TRIA SULLE PRIVATIZZAZIONI
“Una manovra restrittiva sarebbe controproducente, l’ho detto ai colleghi dell’Eurogruppo”. Pacato e senza i toni alti che mal si concilierebbero sia con la fase che con il suo modo di essere, Roberto Gualtieri lascia Helsinki fiducioso che anche quest’anno la nuova Commissione europea, guidata da Ursula von der Leyen a partire da novembre, possa garantire all’Italia altri margini di flessibilità previsti dalle regole europee. “Ovvio che questo governo si batte all’interno di regole che comprendono un pieno uso della flessibilità ”, dice il neo-ministro evitando di dare cifre, “premature”.
Al termine di questa due giorni di Eurogruppo ed Ecofin informali in Finlandia, presidente di turno dell’Ue, al suo debutto europeo da neoministro dell’economia Gualtieri procede coi piedi di piombo, ma sa anche di poter contare su un clima diverso non solo nei confronti dell’Italia, che ora non è più governata dal sovranista Matteo Salvini, bensì su tutto l’impianto economico europeo: le regole stesse del patto di stabilità e crescita che ormai sono in discussione, sebbene ancora senza esito, e le responsabilità della Germania.
La flessibilità da chiedere riguarderebbe investimenti nell’economia ‘green’, nel solco delle priorità europee annunciate da von der Leyen. Il punto è che non basterà .
Ci sarà da recuperare risorse per disinnescare le clausole di salvaguardia sull’Iva e per tentare un’operazione di riduzione del cuneo fiscale.
Ma il Governo “Conte I”, con Giovanni Tria all’economia, ha lasciato polvere sotto il tappeto: in primo luogo quel target di incasso di 18 miliardi di euro dalle privatizzazioni. Gualtieri dice chiaramente che quella “è una cifra irrealistica” e poi, in generale, non è dalle privatizzazioni che “si fa cassa: si possono trarre vantaggi nell’immediato, ma alla lunga si rischia di non avere player nell’economia globale.
“Da parte mia – spiega – c’è grande prudenza, ma non esiste ancora un piano del governo”. Altra cosa è che ci debba essere una “gestione migliore del patrimonio pubblico che è una componente della strategia del debito, ma — aggiunge — la mia visione è che l’Italia disponga di aziende pubbliche molto efficienti che portano dividendi allo Stato, non sono un costo e concorrono a essere nella loro autonomia elementi di capacità di politica industriale”.
Chiaro. Ma entro 4 settimane, da qui al 15 ottobre quando tutti gli Stati europei dovranno presentare il loro documento economico e finanziario, le risorse dovranno essere trovate, al netto della flessibilità che la nuova Commissione potrà concedere.
La manovra non sarà “restrittiva”, promette Gualtieri, mostrandosi prudente, ma sicuro di dossier che conosce bene dopo 5 anni di esperienza da presidente della Commissione problemi economici del Parlamento europeo.
Così bene da maneggiarli in un inglese non sempre immediato per i lettori italiani: “Stiamo lavorando per collocare la manovra economica nel quadro di una ‘fiscal stance’”, cioè ‘orientamento di politica fiscale’. L’8 e il 9 ottobre, Gualtieri potrà parlarne con i colleghi europei alla prossima riunione dell’Eurogruppo a Lussemburgo.
Però il vento è dalla parte di Roma e dei paesi del sud con debito più alto, questa volta.
Il che non è detto che di colpo gli ostacoli per una revisione delle regole non ci siano più. O che da un momento all’altro magicamente scompaia il tetto del 3 per cento di deficit sul pil o la soglia del 60 per cento cui allineare il debito.
Però la discussione sulle regole — chiesta anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella sabato scorso a Cernobbio – è davvero iniziata, qui alla riunione informale dell’Ecofin stamattina, malgrado le resistenze di Francia e Germania. Stamane, in effetti, i ministri degli Stati più ‘forti’ dell’Unione – dal francese Bruno Le Maire, al tedesco Olaf Scholz e i colleghi olandese – non erano presenti: se ne sono andati ieri sera, a dimostrare che la revisione delle regole non è la loro priorità o comunque è un punto difficile da maneggiare nei confronti del loro elettorato.
Al dibattito naturalmente erano rappresentati dai loro vice, la discussione c’è stata. E starà a von der Leyen trarre le conclusioni “entro dicembre” con una “comunicazione della Commissione”, dice Gualtieri.
In sostanza, stamane Thygesen Niels, il presidente del Consiglio europeo di bilancio – organismo indipendente chiamato a valutare l’applicazione del Patto di Stabilità Ue — ha presentato un rapporto molto critico sulle regole attuali e il modo in cui sono state applicate dal 2011 in poi.
“Queste regole spesso non proteggono la qualità degli investimenti — spiega Niels — Ci si è concentrati troppo sulla regola del debito e del deficit e poco sugli investimenti: perciò ora la priorità dovrebbe andare agli investimenti nell’economia ‘verde’. Insomma le regole non hanno funzionato come avrebbero dovuto anche perchè la crisi è stata più severa nei paesi con alto debito”, vale a dire Grecia e Italia. “Devono ridurre il debito quando il ciclo è positivo”, aggiunge Niels, uno che solo l’anno scorso rimproverava alla Commissione Juncker di aver concesso all’Italia troppa flessibilità .
Ecco, Gualtieri e il governo M5s-Pd piombano (non a caso, comunque) in una Europa che nel frattempo sta iniziando a rivedere molto di se stessa, a cominciare dalla richiesta alla Germania di usare il surplus accumulato in questi anni per investimenti che servano alla crescita di tutta l’Eurozona. Non era mai successo prima, ieri qui a Helsinki persino il ‘falco dell’austerity’ Valdis Dombrovskis, confermato vicepresidente della Commissione Ue anche con von der Leyen, lo ha detto al tedesco Scholz.
Tutto in discesa? No, ma nemmeno in salita. Lo dice chiaramente Giuseppe Conte, intervenendo alla Fiera del Levante: “Durante la mia visita a Bruxelles, ho avuto conferma che l’Italia si trova a un punto di svolta, una sfida cruciale. Gode oggi di un prezioso capitale di fiducia che, se sarà speso al meglio, produrrà effetti benefici nel breve, medio e lungo periodo”. Si vede sui mercati, dalla “sensibile riduzione dello spread”, che “scommettono con forza sulla capacità dell’Italia di recuperare il treno della crescita economica e sulla nuova fase politica”.
Gualtieri risponde ad una domanda sul ‘collega di partito’ Paolo Gentiloni, nuovo commissario all’Economia, l’altra gamba su cui poggia l’impegno europeista del nuovo governo: “Mi aspetto che Gentiloni sia protagonista del rilancio dell’Europa, non sarà il commissario della flessibilità dell’Italia ma del rilancio dell’Ue. Tutta la nostra impostazione è questa. Non chiediamo eccezioni per l’Italia ma vogliamo concorrere quale paese fondatore al rilancio del progetto europeo per affrontare le grandi sfide, dalla globalizzazione all’uguaglianza sociale, al cambiamento climatico”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
E’ GIA’ COMPLESSO FAR QUADRARE I CONTI… PER EVITARE AUMENTO E IVA E RIDURRE IL CUNEO FISCALE VANNO TROVATI 32 MILIARDI
La consapevolezza che la manovra non potrà essere lo scrigno dei sogni si fa ogni giorno che passa sempre più forte nelle stanze del governo. Già non si sa come far quadrare i conti con le spese obbligate, figurarsi pensare ai fuochi d’artificio. Mitezza, insomma. Certo il clima è cambiato, lo spread ha toccato i minimi dall’agosto dell’anno scorso, il bazooka di Draghi è tornato carico, l’Europa ci guarda con benevolenza, ma gli impegni restano tanti.
E già questo è un dato che segna un cambiamento rispetto all’irruenza di un anno fa, quando Matteo Salvini e Luigi Di Maio facevano a gara per allungare la rispettiva lista della spesa.
Anche i 5 stelle avrebbero messo da parte l’idea di far partire da subito il salario minimo in nome di una legge di bilancio improntata al realismo. E così lo scheletro della manovra, ad oggi, è molto scarno. Il cantiere è aperto, ma ancora da allestire. Di soldi all’appello ne mancano ancora parecchi.
Se si esamina da vicino lo scheletro della prima Finanziaria del nuovo governo si capisce subito come nelle prossime settimane bisognerà lavorare, e parecchio, per ottemperare alla prima esigenza, quella di evitare che l’Iva aumenti dal primo gennaio del prossimo anno. Eccolo lo scheletro della manovra così come si sta delineando nelle carte dei tecnici del Tesoro e dei responsabili economici dei partiti di governo.
C’è la colonna rossa, quella degli impegni che non possono essere elusi. Dentro ci sono le cosiddette clausole di salvaguardia sull’Iva, che valgono 23,1 miliardi e 4 miliardi di spese indifferibile.
Nella stessa colonna va collocata l’unica misura di natura propositiva che l’esecutivo giallorosso può permettersi di sostenere e cioè il taglio del cuneo fiscale. Costa cinque miliardi. Il menù finisce qui.
Se l’anno scorso c’erano le misure bandiera di un governo anch’esso al debutto, e cioè il reddito di cittadinanza e la quota 100, quest’anno sia il Pd che i 5 stelle hanno deciso di concentrarsi sul taglio del costo del lavoro. L’importo è decisamente inferiore alla spesa per le due misure bandiera di Lega e 5 stelle, superiore ai 10 miliardi. Tirando una riga, la somma dà 32,1 miliardi.
Se la spesa è pari a 32 miliardi, la cassaforte che deve contenere le risorse per le coperture è ancora mezza sguarnita.
Il lingotto pesante è più politico che economico: si chiama flessibilità . Da cercare in Europa. Le ultime stime parlano di una richiesta compresa tra i 12 e i 15 miliardi.
In questo modo – almeno questo è il ragionamento del governo – Bruxelles dovrebbe permettere un rialzo del deficit dall′1,6% al 2,3-2,4 per cento.
Si rispetterebbe così il principio politico di ottenere flessibilità in cambio di un rispetto delle regole, ma l’anno scorso – è doveroso ricordarlo – proprio il deficit collocato al 2,4% provocò una diatriba tra Roma e Bruxelles che sfociò nel rischio di arrivare all’attivazione della procedura d’infrazione.
Ma come si diceva questa è una questione politica e i nuovi rapporti tra l’Italia e l’Europa potrebbero lasciare spazio per una flessibilità vicina ai desiderata del governo italiano. Dando per assodato l’ottenimento della flessibilità , è caccia alle risorse che mancano, pari a 17 miliardi.
Gli appunti lasciati dall’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria sul taglio delle detrazioni fiscali sono destinati a essere cestinati. Per una ragione politica: un taglio lineare, dal 19% al 18%, significa andare a toccare ambiti politicamente sensibili come la sanità e sdoganare un seppur contenuto aumento delle tasse.
Nè i 5 stelle nè il Pd intendono dare spazio a questa ipotesi. Come si trovano allora 17 miliardi? Sono giorni di conteggi.
Le operazioni a cui fanno riferimento questi conteggi sono le minori spese per il reddito di cittadinanza e quota 100, i soldi che si recupereranno con il calo dello spread, gli incassi della fatturazione elettronica.
Prende piede anche l’ipotesi di chiedere a Bankitalia e a Cdp un altro sacrificio, come fatto a luglio, attraverso il versamento di dividendi ed extradividendi. La somma di tutte queste voci, però, è ancora incerto e dovrebbe toccare al massimo gli 8-9 miliardi. Lo scheletro della manovra è ancora fragile.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
LE FAMIGLIE NUMEROSE PENALIZZATE RISPETTO AI SINGLE… CONTANTE RIDOTTO A 50 EURO… IL LAVORO NON C’E’
Sul reddito di cittadinanza si cambia. C’è l’ipotesi di rivedere i criteri in base a cui si stabilisce la somma a cui un beneficiario ha diritto e dunque di ritoccare le scale di equivalenza.
Perchè con il meccanismo attuale le famiglie numerose risultano penalizzate rispetto ai single. Ma soprattutto, saranno inasprite le sanzioni anti-furbetti.
Mentre balla anche un altro correttivo: quello di impedire o ridurre l’uso dei contanti consentendo di spendere soltanto attraverso le carte di credito.
Spiega oggi Il Messaggero:
Stando a quanto emerso dai controlli condotti dalle Fiamme Gialle, un’ampia schiera di percettori del sussidio non rinuncia a giocare somme importanti di cui non è nota la fonte di provenienza. Non è escluso che la somma che è possibile prelevare con le card venga ridotta, da 100 a 50 euro per i beneficiari single per esempio, per far sì che il reddito di cittadinanza non venga disperso.
Difficilmente invece il nuovo governo metterà mano ai requisiti di cui è necessario essere in possesso per accedere al sussidio al fine di allargare la platea dei beneficiari. Un’operazione simile non è a costo zero e i numeri della legge di Bilancio, tra sterilizzazione delle clausole Iva e taglio del cuneo fiscale, sono già sufficientemente proibitivi.
Inoltre si ragiona su come implementare le politiche attive per il lavoro perchè una delle avarie più evidenti del reddito di cittadinanza riguarda proprio l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei beneficiari considerati attivabili: centinaia di migliaia di percettori del bonus ricevono da mesi il sussidio senza muovere un dito
Nessuno dei possibili ritocchi di cui si è discusso in queste settimane comporterà maggiori oneri per la finanza pubblica. L’obiettivo, al contrario, è di ampliare semmai i risparmi legati alle minori spese finali per il reddito di cittadinanza, così da racimolare risorse utili da reinvestire nella finanziaria.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
“MI HA INFORMATO CHE GLI ALTRI HOT SPOT SICILIANI ERANO PIENI MENTRE QUELLO DI LAMPEDUSA ERA VUOTO”… “APPREZZO LA SUA CORRETTEZZA, QUALCOSA E’ CAMBIATO, PRIMA SALVINI NON SI E’ MAI FATTO VIVO NEANCHE CON UNA TELEFONATA”
Il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, ha telefonato al sindaco di Lampedusa, Salvatore Martello, che questa mattina aveva polemizzato per la scelta del Viminale di indicare l’isola come “porto sicuro” per lo sbarco dei migranti della Ocean Viking.
“Mi ha spiegato – ha detto Martello – che tutti gli hotspot siciliani erano pieni e quello di Lampedusa era vuoto”.
Martello ha aggiunto: “È cambiata una cosa importantissima perchè col precedente governo non abbiamo mai ricevuto alcuna telefonata. Adesso, evidentemente, la considerazione dei lampedusani è cambiata”.
(da AgrigentoNotizie)
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Settembre 14th, 2019 Riccardo Fucile
IN TOTALE SONO 42 I TUNISINI APPRODATI NELLE SPIAGGE
Accerchiate. Da stamani, migliorate le condizioni del tempo, le isole Pelagie sono tornate ad essere attorniate da barchini e migranti.
Tre i diversi gruppi di tunisini bloccati nel giro di pochissime ore. L’ultimissima “carretta del mare” è arrivata in concomitanza con il tramonto. Ed è giunta – con a bordo una ventina di uomini – praticamente davanti la spiagglia dell’isola dei Conigli, a pochissimi metri dal bagnasciuga.
Increduli i tantissimi turisti che erano ancora sull’arenile. Gente che ha fatto subito scattare l’allarme. E la polizia di Stato si è precipitata.
Dieci i tunisini che sono stati invece ritrovati, dalla Guardia costiera, sull’isolotto di Lampione. I migranti, nel pomeriggio, sono stati subito soccorsi e sono stati portati a Lampedusa.
Vanno ad aggiungersi ai 12, fra i quali una donna, che erano arrivati stamattina a bordo di un barchino. Ad accorgersi di loro, quando erano praticamente giunti a destinazione, è stata una motovedetta della Guardia di finanza.
I 42 sbarcati, grazie a piccole imbarcazioni di fortuna, verranno ospitati all’hotspot di contrada Imbriacola dove – dopo i trasferimenti degli scorsi giorni verso Porto Empedocle – erano rimasti, almeno fino a questa mattina, soltanto due immigrati: due uomini che hanno un principio di scabbia e sono stati lasciati nella struttura – si chiama “blocco sanitario” – perchè tenuti sotto cure mediche.
(da AgrigentoNotizie)
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