Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
SONO GLI STESSI CHE POI SI LAMENTANO DEL DEGRADO E DELLA MANCANZA DI DECORO DELLA CITTA’, SALVO POI RIEMPIRLA DI RIFIUTI DOPO LA MANIFESTAZIONE
D’accordo, la rivoluzione non è un pranzo di gala.
E soprattutto quando in gioco c’è la democrazia e la difesa della sovranità che appartiene al Popolo non si può andare troppo per il sottile. Anche perchè mentre dentro al Palazzo mangiano spigole e titillevoli aragoste fuori in piazza le brioche scarseggiano.
E come cantava Rita Pavone: «La storia del passato / Ormai ce l’ha insegnato Che un popolo affamato / Fa la rivoluzion».
È curioso quindi che questi boy scout del sovranismo, mamme e papà come ama ripetere sempre Matteo Salvini, gente che quando scende in piazza lascia tutto pulito e in ordine e che abbraccia le forze dell’ordine (che non devono andare nemmeno in tenuta antisommossa) si siano comportati in maniera così maleducata ed incivile.
Beninteso: non hanno messo a ferro e fuoco la città , non sono state spaccate vetrine e nè incendiati cassonetti (del resto a Roma non si noterebbe la differenza).
Quelli sono atti vandalici, gesti criminali.
I nostri patridioti, non tutti ovvio (ma così come non tutti quelli dei centri sociali sono dei pericolosi lanzichenecchi), si sono dimostrati essere poco attenti al decoro urbano.
Non stiamo parlando dei saluti romani fatti da alcuni sedicenti fascisti che erano in piazza. Parliamo dei non proprio amabili resti lasciati dietro dalla folla che chiedeva il rispetto della sovranità popolare.
Non si può mica pretendere che si comportino da gretini e che la loro battaglia sia ad impatto zero. Anzi dovremmo ringraziarli per averci difesi.
Gente che con tutta probabilità quando non è in piazza si sfoga sui social e sui vari gruppi locali tipo “Sei di Pizzopapero se…..” lamentandosi del degrado e della sporcizia che gli stranieri lasciano nelle vie, nelle piazze o nei vicoli di questo nostro bel Paese.
Eppure stando ad alcuni scatti pubblicati su Twitter hanno fatto lo stesso. Giornali e cartacce abbandonate sul selciato, striscioni in nome del popolo sovrano che sventolavano dalle finestre ora giacciono abbandonati per terra in attesa che qualcuno li recuperi.
Oppure ci penserà l’AMA a tirare su cartacce e bottiglie. E sicuro qualcuno dirà che tanto Roma è sempre sporca e quindi non è mica detto che siano stati proprio loro ad abbandonare quello striscione con scritto a caratteri cubitali “SOVRANITà€”.
Chi può dirlo, potrebbero essere benissimo stati i soliti Rom e zingaracci che insudiciano la nostra bella Capitale.
Oppure si tratta di manifesti messi a bella posta da qualche infiltrato dei centri sociali. Magari gli stessi che facevano i saluti romani per far passare per fascisti quelli di CasaPound o Forza Nuova.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
DALLA “SOBRIETA” SBANDIERATA IN MATTINATA A UNA REPLICA DOVE DISTRIBUISCE BOTTE DA ORBI ALLA LEGA
Alle ore 17.45 la giornata prende all’improvviso una piega inaspettata.
Giuseppe Conte si rialza dai banchi del governo per replicare al dibattito cui il Parlamento ha dato vita dopo il suo interminabile e sonnecchioso discorso d’insediamento.
E inizia a sparare palle chiodate in direzione dei banchi della Lega. Un vero e proprio regolamento di conti, una zuffa in grande stile, con il presidente del Consiglio a sfidare anche con la prossemica i banchi leghisti, e questi a ribollire di urla e cori, un deputato brandisce una sedia in mano (Sì, una sedia. Sì, nell’aula di Montecitorio), scatenando l’ira di Roberto Fico e il riflesso pavloviano di un team di commessi che scatta verso il branditore.
Un corpo a corpo. Le repliche di un presidente del Consiglio al dibattito d’Aula possono essere generiche, riannodare i fili dei buoni propositi enunciati nel discorso di qualche ora prima e poco più, scavalcare asperità e critiche.
Possono esserlo, non lo sono state. Conte parte subito in quarta: “Avete parlato di tradimento, oltraggio agli italiani, sequestro di voto. Mi chiedo se la nostra Costituzione esista ancora o è stata stracciata. Non cambierete la realtà dei fatti, la vostra è una mistificazione”. Scatta il boato della nuova maggioranza, il Partito democratico è il primo a scattare in piedi.
Lega e Fratelli d’Italia marcano a uomo il presidente. Partono le girandole di cori: “Elezioni, venduto, dignità , mai col Pd, inciucio” vengono scanditi senza soluzione di continuità .
Il presidente non si sottrae, non smorza, non smussa, non vola alto. Si gira, mette il corpo in favore di Carroccio, li sfida con lo sguardo, gli molla ceffoni come “la vostra coerenza è solo alle vostre convenienze elettorali”, o “avete sbagliato giuramento, non perseguite l’interesse esclusivo della nazione”.
Il tono nasale e la voce roca attenuano appena un po’ la violenza verbale squadernata dall’avvocato della maggioranza giallorossa.
Sono passate solo cinque ore da quando aveva assicurato che il linguaggio del nuovo governo sarà “mite”.
E in effetti per tutta la chilometrica prolusione mattutina quello dell’avvocato del popolo lo era sempre stato, mite. Mite e felpato, garbato, cortese, sublimatosi nel discorso di cambio maggioranza nel quale la rimozione lessicale degli spigoli era arrivata a essere tangente a una certa involuzione di democristiana memoria. “Il patto politico si proietta in dimensione intergenerazionale”. “Serve una nuova e risolutrice stagione riformatrice”. Citava Giuseppe Saragat: “La Repubblica e la democrazia siano umane”.
“Manco la pace de Kant”, lo fulminava un funzionario di Montecitorio con la saggezza di anni di onorato servizio. “Il presidente non voleva lasciare fuori nulla — spiegava un membro del suo staff — per questo può essere sembrato prolisso”.
Un appannato ricordo, il pomeriggio spazza via qualsivoglia bizantinismo da novello Forlani del premier bis. Giancarlo Giorgetti e Lorenzo Fontana sono seduti vicini, sguardo basso. Compulsano gli smartphone per non ritrovarsi nell’imbarazzo di non seguire la gazzarra dei loro.
Il Pd continua ad applaudire, sono solo i pretoriani di Matteo Renzi — Luca Lotti e soprattutto Maria Elena Boschi — a tenere le braccia incrociate.
L’avvocato del popolo siede sul banco della difesa 5 stelle: “Il Movimento ha subito un tradimento e ora viene accusato, è assurdo”.
C’è un punto esclamativo alla fine del virgolettato, lo si desume evidentemente dal tono in cui viene pronunciato. Il capogruppo pentastellato Francesco D’Uva si alza, invita i suoi a non dare adito all’emiciclo di infiammarsi.
La metamorfosi è totale, Conte cavalca e esaspera quel crinale comunicativo che lo identifica nel campione dell’anti salvinismo, comandante di una nave che viola il blocco del porto che lui stesso ha contribuito a chiudere.
Rinfaccia le alleanze europee del Carroccio, schernisce gli uomini di Bellerio: “Pensavate di avere l’ipoteca sulla sicurezza e la difesa di questo paese, non è così”
Alla fine è di nuovo standing ovation. Della parte opposta dell’emiciclo rispetto a quella alla quale ci si era abituati nell’ultimo anno.
È cambiato il mondo, la maggioranza, forse anche il presidente del Consiglio, che ha passato simbolicamente la campanella a una versione 2.0 di sè stesso.
Si fa l’ora di cena, i deputati votano la fiducia. L’emotività della giornata fa sorridere democratici e grillini, è tutto un mulinare di pacche sulle spalle, c’è la fila per complimentarsi con il finto refuso di D’Uva, che aveva chiesto “per quale mojito” Salvini aveva staccato la spina.
Si sciama lentamente via, gli uni da una parte, gli altri dall’altra, senza una vera amalgama. Durerà ?
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
UNA RECITA SENZA ANIMA, DI MAIO SEMBRAVA USCITO DAL MUSEO DELLE CERE CON POLTRONA INCORPORATA … NEANCHE UNA SANA FINZIONE DEL MATRIMONIO DI NECESSITA’
La faccia, guardategli la faccia. Non sorride mai, Luigi Di Maio. E non parla. Proprio così, neanche qualche sussurro di complicità con Dario Franceschini, seduto alla sua sinistra sui banchi del governo.
Che imbarazzo in quelle labbra sottili, morse fino a fare sparire, per tutto il discorso del premier, quasi castrista nei tempi.
Alla fine, Sergio Battelli, pentastellato tosto, esce dall’Aula. E inspira forte, con entrambi i polmoni. Poi sputa l’aria: “Sono come il vino che ha bisogno di decantare. È tutto surreale. Quelli che stavano con noi ci insultano, quelli che ci insultavano ci applaudono. È surreale”.
Ritorniamo indietro, alle mani di Giggino, che mai si concedono un applauso, compostamente poggiate su qualche foglio appoggiato sul banco. Solo un anno fa l’avvocato del popolo gli chiese il permesso di dire alcune frasi, prima di iniziare.
Adesso ha l’aria dell’estraneo in casa. Resta immobile quando dai banchi del Pd scrosciano applausi, nei passaggi più di sinistra, sia pur generici. Imperturbabile quando dai banchi dei Cinque Stelle partono sui titoli del loro programmi.
Fa obiettivamente effetto questo amalgama che non c’è.
Ecco Stefano Buffagni, uno che a questa operazione è sempre stato contrario: “Quando usciremo da qui ci riempiranno di insulti. Ma come la spieghi questa roba? Quelli del Pd che, a tratti, sembravano ultras di Conte, gli altri che ci urlano ‘poltrone, poltrone’…”
Parliamoci chiaro: magari è presto per esprimere un giudizio, ma la giornata ha il sapore di una recita senz’anima.
Vivaddio, qualcuno dà il titolo con una frase. È Antonello Giacomelli, vecchia volpe che si occupò di comunicazioni ai tempi del Nazareno: “È evidente che sarà un casino, ma almeno non c’è più il ‘pazzo’”.
È chiaro a chi si riferisce (Salvini, ndr), in fondo il senso della manovra è tutto qui. E poi si vede. I due “popoli” restano distinti, distanti, pieni di riserve, perchè la rimozione non basta per fare l’impasto. Rimozione enorme, “scurdammoce o passat”, affogata in un’orgia di retorica, equilibrismo, vacuità prolissa nel discorso del premier, “continuo” fin a quanto si può, “discontinuo” fin dove è possibile, quasi paradossale nell’effetto finale.
È così, la chiamano discontinuità , anzi ognuno la chiama dove vuole.
Già si intravede il film delle prossime settimane, nelle nebbie di un programma che elude i punti più divisivi: la “revisione” delle concessioni autostradali, che consente ai Cinque stelle di promettere la revoca e al Pd si assicurare che non saranno toccate; il taglio dei parlamentari che si farà , ma a data da destinarsi, perchè inserito in un sistema di garanzie, il che consente ai Cinque stelle di gioire per il taglio e agli altri di gioire per le garanzie; quota cento e reddito di cittadinanza innominati, senza spiegare dove saranno presi i soldi per il cuneo fiscale. Che meraviglia ascoltare il premier compiacersi per la fiducia dei mercati, ritrovata dopo mesi di giudizi severi, omettendo che erano i mesi in cui annunciava l’anno bellissimo.
Adesso guardate il volto di Maria Elena Boschi, durante il discorso di Conte. È l’opposto di Di Maio, sorridente, luminoso. Neanche lei concede mai un applauso (sono in parecchi tra i renziani), però è un segno di forza, non di debolezza, proprio di chi è riuscito nell’operazione (il governo) e ora può permettersi il lusso di avere le mani libere. Lo hanno capito tutti. È questo che farà Renzi nei prossimi mesi.
Ricapitoliamo questo primo giorno della nuova era: pochi e svogliati applausi, clima senza orgoglio del nuovo inizio, i brevi cenni dell’universo che non bastano a fare un programma, i tanti inglesismi che non bastano a fare un premier.
Massì, diciamolo, neanche un po’ di sana finzione amorosa nel matrimonio di necessità . Sentila, Alessia Morani, una delle amazzoni del renzismo duro e puro, quello che inveiva contro i “cialtroni”: “Certo che ho ancora le querele contro di loro e loro contro di me. Mica ho cambiato idea su di loro”. Ah ecco.
Poi aggiunge: “L’ho cambiata sulle priorità per il paese. Un mese fa c’era il Papeete, ricordate?”. Di Maio è scomparso, non si vede in giro, neanche un caffè alla buvette. Però c’è la sua compagna Virginia Saba, che parla disinvolta con i cronisti. Sorridente, almeno lei.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
“NON MI SENTO DI RAPPRESENTARE QUESTO TIPO DI CULTURA”
Aldo De Scalzi un dei più noti compositori italiani restituisce al sindaco la sua onorificenza di ambasciatore di Genova nel mondo ricevuta nerl 2017.
I motivi sono legati alle politiche culturali della giunta sovranista di Marco Bucci.
De Scalzi lo annuncia con un commento ad un post sulla pagina Facebook di Elisa Serafini ex assessore alla cultura a Tursi che lo scorso anno in polemica con la visione di Bucci si dimise polemizzando con scelte considerate retrograde, specie in tema di diritti civili.
Scrive De Scalzi nel commento: “Penso che restituirò la mia umile targa di “ambasciatore” senza fare troppo rumore”
E poi rispondendo a un altro commento “Ti ringrazio ma non mi sento di rappresentare questo tipo di “cultura”.
Serafini aveva dedicato una lunga riflessione agli ultimi eventi della giunta.
Il siluramento di tre assessori fra i quali Giancarlo Vinacci e Arianna Viscogliosi ultimi rappresentanti di un’area liberal e non leghista.
Poi la scelta del Municipio Levante di finanziare un evento discutibile come Aperitivo con lo stalker, notizia raccontata per prima da Repubblica ieri e stigmatizzata da Lucia Annibali, deputata Pd e simbolo della violenza contro le donne.
Scrive Serafini: “Questa politica ha scelto di epurare le persone coraggiose. E purtroppo, è facile capire che, seguendo questa tendenza, non saranno le ultime a subire questo trattamento”.
De Scalzi sembra d’accordo con Serafini e annuncia la riconsegna dell’onorificenza che aveva ricevuto con il suo socio storico Pivio. Assieme hanno vinto numerosi premi e scritto le colonne sonore di film e serie televisive, oltrechè naturalmente di molti brani musicali.
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
PIU’ DISEGUAGLIANZE E POVERTA’ EDUCATIVA… ITALIA MOLTO LONTANA DAGLI OBIETTIVI UE
Bambini all’asilo nido e mamme al lavoro sono due elementi fondamentali per una società migliore. Eppure in Italia l’asilo nido pubblico è garantito soltanto a 1 bambino su 10, e in regioni come Calabria e Campania la copertura è pressochè assente, rispettivamente, solo il 2,6% e il 3,6% dei bambini frequenta un nido pubblico.
È un deficit drammatico, su cui pone l’accento, una volta di più, un rapporto di Save the children Italia.
In concomitanza con l’inizio dell’anno scolastico nel nostro Paese, l’organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro ha diffuso il rapporto “Il miglior inizio – Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita”, in cui si pone l’accento sulla disponibilità di asili pubblici in Italia e la ricaduta di tale deficit sulle disuguaglianze sociali.
Il rapporto di Save the children
Il rapporto è il risultato di una indagine pilota, condotta tra marzo e giugno 2019 in 10 città e province italiane ( Brindisi, Macerata, Milano, Napoli, Palermo, Prato, Reggio Emilia, Roma, Salerno e Trieste), realizzata in collaborazione con il Centro per la Salute del Bambino, che ha anche fornito una supervisione scientifica insieme all’Istituto degli Innocenti e all’Università di Macerata.
Si tratta di un’indagine di carattere esplorativo che ha coinvolto direttamente 653 bambini di età compresa tra 3 anni e mezzo e 4 anni e mezzo, ai quali, nell’ambito di incontri individuali a scuola con educatori appositamente formati, sono stati sottoposti i quesiti dello strumento Idela (International Development and Early Learning Assessment), sviluppato da Save the Children International nel 2014 e utilizzato in più di 40 Paesi al mondo.
Asilo nido base per l’istruzione
I bambini che hanno frequentato l’asilo nido — mettono in evidenza i risultati della ricerca — hanno risposto in maniera appropriata a circa il 47% dei quesiti proposti a fronte del 41,6% di quelli che hanno frequentato servizi integrativi, che sono andati in anticipo alla scuola dell’infanzia o che sono rimasti a casa e non hanno quindi usufruito di alcun servizio.
Una differenza che si fa ancor più marcata per i minori provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico. Tra questi, infatti, coloro che sono andati al nido hanno reagito appropriatamente al 44% delle domande contro il 38% dei bambini che non lo hanno frequentato.
Per quanto riguarda l’ambito matematico, ad esempio, i bambini tra i tre anni e mezzo e i quattro anni e mezzo in condizioni di svantaggio socio-economico che non hanno riconosciuto alcun numero sono stati il 44% tra coloro che sono andati al nido, percentuale che arriva al 50% per i bambini che non lo hanno frequentato.
Allo stesso modo, se più del 14% dei bambini che hanno frequentato il nido riconosce tra 6 e 10 numeri, la percentuale scende al 9,6% per chi non ci è andato.
Inoltre, l’indagine dice che i bambini in svantaggio socio-economico che hanno frequentato il nido riconoscono più lettere rispetto agli altri: quasi il 25% dei primi, infatti, ha riconosciuto tra 1 e 5 lettere a fronte di quasi il 20% di quelli che non hanno frequentato il nido.
Determinante per prevenire la povertà educativa, dall’indagine di Save the Children, risulta essere la durata della frequenza dell’asilo nido. I bambini appartenenti a famiglie in svantaggio socio-economico che hanno frequentato il nido per tre anni, infatti, hanno risposto appropriatamente al 50% delle domande, a fronte del 42,5% per coloro la cui frequenza è stata tra i 12 e i 24 mesi e del 38% per un solo anno o meno (una percentuale del tutto simile a quella di chi non ha frequentato il nido).
Il deficit italiano
I dati sulla copertura dei servizi per la prima infanzia dicono che l’Italia è ancora molto lontana dal target stabilito dall’Unione europea di garantire ad almeno il 33% dei bambini tra 0 e 3 anni l’accesso al nido o ai servizi integrativi.
Nel nostro Paese, infatti, solo 1 bambino su 4 (il 24%) ha accesso al nido o a servizi integrativi per l’infanzia e, di questi, solo la metà (12,3%) frequenta un asilo pubblico. Copertura garantita dal servizio pubblico che è quasi assente in regioni come Calabria (2,6%) e Campania (3,6%), seguite da Puglia e Sicilia con il 5,9%, a fronte delle più virtuose Valle d’Aosta (28%), Provincia autonoma di Trento (26,7%), Emilia Romagna (26,6%) e Toscana (19,6%)[1].
Risultati decisamente migliori riguardano invece l’accesso alla scuola dell’infanzia, che in Italia accoglie il 92,6% dei bambini dai 3 ai 6 anni, superando pertanto l’obiettivo europeo del 90% di copertura.
Indispensabile per i bambini e per le donne
L’asilo nido non serve soltanto ai bambini, ma anche alle mamme. Se i bambini vanno all’asilo nido le madri possono scegliere di lavorare e la loro occupazione, sottolinea il rapporto, non rappresenta dunque un fattore di svantaggio per i bambini in termini di povertà educativa. I bambini che restano a casa con le madri, infatti, non beneficiano spesso di tempo di qualità con i genitori. Ad incidere sulla crescita educativa dei bambini, infatti, non è la durata del tempo passato con i genitori, ma la qualità di questo: lettura condivisa, la musica e i giochi all’aperto sono spesso attività che mancano in alcune famiglie e che l’asilo nido fornisce.
Dalla ricerca emerge che i bambini provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico, ma che leggono almeno due volte a settimana libri per l’infanzia con i genitori, rispondono in modo appropriato al 42% delle domande, a fronte del 36,8% di quelli che non leggono quasi mai con la propria mamma o papà . Differenze che risultano significative in ciascun ambito dell’indagine: in lettura e scrittura, e in matematica e problem solving, il gap è di circa 5 punti, mentre per quanto riguarda l’ambito fisico-motorio e socio-emozionale la differenza supera rispettivamente i 7 e gli 8 punti. Percentuali identiche si registrano per i minori svantaggiati che fanno attività all’aperto con i propri genitori (42% di risposte appropriate) rispetto ai propri coetanei nelle stesse condizioni che le svolgono solo poche volte durante l’anno (36,8%), con differenze presenti in ciascuno degli ambiti dell’indagine: fisico-motorio il 41,6% contro il 31,1%, matematico il 42,4% contro il 37,5%, lettura e scrittura il 35,2% contro il 27,7% e socio-emozionale il 41,1% rispetto al 31,1%.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
COSA NON TORNA NELLA SUA VERSIONE
Oltre all’indagine sull’omicidio di Mario Cerciello Rega e quella sulla diffusione dell’immagine in cui uno dei due ragazzi americani appare bendato, si apre un terzo filone d’inchiesta e riguarda Andrea Varriale, il collega del carabiniere ucciso.
Varriale era intervenuto, insieme a Cerciello, in piazza Mastai per fermare i due giovani che volevano ottenere soldi e droga in cambio del borsello di Sergio Brugiatelli.
Si complica dunque la posizione del collega di Cerciello, già accusato dai legali di Finnegan Lee Elder, uno dei due americani, di mentire. Gli avvocati hanno infatti ritirato l’istanza di scarcerazione: preferiscono aspettare perchè «l’accusa si fonda su ricostruzioni di testimoni le cui parole sono di opinabile attendibilità », in riferimento appunto a Varriale.
Ora il carabiniere è indagato dalla procura militare per “violata consegna”.
L’accusa viene mossa perchè, secondo quanto emerso dalle indagini dei pm di piazzale Clodio, sia Cerciello Rega sia Varriale, la sera dell’omicidio, si erano presentati senza la pistola di ordinanza all’appuntamento con i due ragazzi americani (e per tutto il turno in servizio). L’iscrizione risulta essere un atto dovuto: a Varriale viene contestato l’articolo 120 del codice penale militare di pace che riguarda appunto la «violata consegna da parte di militare di guardia o di servizio».
La bugia sulla pistola di ordinanza
Il carabiniere, nelle ore successive all’aggressione, ha rilasciato infatti dichiarazioni confuse. La sua prima bugia riguarda proprio quella pistola di ordinanza che in un primo momento — nel corso di ben due verbali di indagine — ha detto di avere con sè. Salvo smentirsi e ammettere di essersi presentato disarmato: «È un’attività che viene svolta in borghese, con un abbigliamento che renderebbe complicato il possesso della pistola senza far saltare la copertura».
Nel verbale d’indagine, il 28 luglio aveva dichiarato di «aver indossato la pistola di ordinanza e le manette di sicurezza» , mentre in almeno tre occasioni — al maresciallo capo Daniele De Nigris, all’appuntato Mauro Ecuba e al carabiniere scelto Alberto Calvo — ha ammesso di non essere armato.
La fake news sull’origine degli aggressori
Una seconda bugia di Varriale riguarda la nazionalità dei due giovani. Il carabiniere, nelle dichiarazioni rese il 28 luglio, ha detto di aver descritto i due «come possibili soggetti di etnia nord africana, anche in ragione del fatto che il giovane con il quale sono entrato in colluttazione aveva un colorito che mi era sembrato scuro, olivastro». È stato lui in sostanza a diffondere nelle ore successive all’omicidio la fake news dei due nordafricani.
Gli altri dubbi su Varriale
Il carabiniere, dopo l’aggressione, avrebbe dato altre indicazioni confuse. Per esempio ha detto di non sapere perchè gli fosse stato chiesto di identificare Brugiatelli, così come, dall’informativa depositata dai carabinieri del Nucleo investigativo, emerge che il carabiniere non ha saputo rispondere se quella notte la centrale operativa li avesse contattati o meno via radio poichè «erano scesi dal veicolo e avevano lasciato al suo interno la radio portatile».
Infine non è chiaro nemmeno perchè Varriale abbia sempre utilizzato la chat di WhatsApp per comunicare con il collega Cerciello Rega. Nei suoi tabulati non risultano telefonate o messaggi al carabiniere ucciso, eppure i due erano partner in turno.
(da Open)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
AUTORI DI OMICIDI, SPACCIO, ESTORSIONI… INSULTI IN AULA ALLA GIORNALISTA FEDERICA ANGELI, AUTRICE DI INCHIESTE E DENUNCE SUL MALAFFARE
Duecentootto anni più tre ergastoli per associazione a delinquere di stampo mafioso nei confronti dei 24 imputati che hanno scelto il rito ordinario nel maxi processo del clan Spada di Ostia.
Questa la condanna richiesta dai pubblici ministeri Ilaria Calò e Mario Palazzi al termine di una requisitoria durata quattro giorni.
Pene più alte richieste per il boss Carmine Spada, il fratello Roberto Spada, noto alle cronache per la testata che fracassò il setto nasale al collega Daniele Piervincenzi nel novembre del 2018, e il nipote Ottavio Spada, detto Marco: per loro tre sono stati chiesti gli ergastoli.
Giornate intense in cui nell’aula bunker di Rebibbia si sono ripercorsi episodi da pelle d’oca di minacce e angherie, di eliminazione fisica dei vertici dell’organizzazione rivale il 22 novembre del 2011, l’omicidio di Giovanni Galleoni e Francesco Antonini appunto.
E ancora: attentati progettati insieme al clan Fasciani, attentati subiti dal boss Carmine e non denunciati come avviene nella criminalità organizzata.
Oltre la rete di attività commerciali “conquistate come in un Risiko”, sottolinea il pubblico ministero Palazzi, e intestate a prestanomi per nascondere il patrimonio della famiglia.
Fondamentali sono state le dichiarazioni “attendibili” dei 5 collaboratori di giustizia, spiega Ilaria Calò, nella ricostruzione dell’organigramma del clan Spada. Michael Cardoni e la moglie Tamara Ianni, Paul Dociu, Antonio Gibilisco e Sebastiano Cassia hanno spiegato la scala gerarchica del clan e il ruolo di tutti gli imputati. §
“Sono tanti e sono persone che non si fermano davanti a niente, ti ammazzano senza pietà . Sono criminali di livello, spietati” riferisce alla Corte le parole della Ianni la pm, ricordando anche in aula che nell’ottobre del 2018 prima che Tamara Ianni e il marito Michael Cardoni “venissero qui in aula a rendere le loro dichiarazione in questo processo, è stato piazzato un ordigno esplosivo sul balcone di casa dei genitori della Ianni in via delle Azzorre a Ostia”.
Per la pubblica accusa che si tratti di una organizzazione a delinquere di stampo mafioso non vi sono dubbi. Per questo hanno chiesto una condanna esemplare per ciascuno dei componenti della famiglia sinti e per i loro sodali.
“Oggi, i pm del pool Antimafia, Ilaria Calò e Mario Palazzi, dopo quattro giorni di requisitoria, hanno chiesto una condanna esemplare per associazione a delinquere di stampo mafioso nei confronti dei componenti del clan spada. Attendiamo con speranza la decisione che i giudici prenderanno con la sentenza. Qualunque sia il responso, continueremo la nostra lotta quotidiana contro i clan che hanno spadroneggiato su Ostia, adesso che, gli abitanti del litorale, stanno rialzando la testa e chiedono a gran voce quella legalità che gli era stata rubata. Abbiamo iniziato una guerra a un sistema mafioso, e non abbiamo intenzione di tornare indietro”. Questo il commento di Massimiliano Vender, presidente dell’Associazione Antimafia NOI, alla richiesta di condanna nei confronti del clan Spada da parte della Procura di Roma.
Alcune delle donne del gruppo hanno pensato bene di insultare in aula Federica Angeli, la cronista costretta a vivere sotto scorta per le sue inchieste su mafie, malaffare e sulle troppe connivenze
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
BROGLI, ARRESTI E CANCELLAZIONI DI CANDIDATI DI OPPOSIZIONE NON SONO SERVITI AD EVITARE LA DISFATTA
Le elezioni comunali di Mosca si sono rivelate una sonora batosta per il Cremlino. Probabilmente favoriti anche dai brogli, i filogovernativi hanno più o meno retto alle amministrative nel resto della Russia.
Ma non nella capitale, dove aver sbarrato la strada della candidatura a tanti oppositori non è servito a Putin ad evitare la disfatta alle urne.
Indebolito dalla stagnazione economica e probabilmente anche dalle massicce proteste degli ultimi mesi, il partito del potere, Russia Unita, ha sì conservato la maggioranza, ma ha perso addirittura un terzo dei seggi che deteneva nel Consiglio comunale moscovita, scesi da 38 a 25.
Un ruolo decisivo potrebbe averlo svolto il “voto intelligente” lanciato dal trascinatore delle proteste anti-Putin Aleksey Navalny: consiste nel votare per chi ha più chance di battere il candidato del governo e potrebbe creare non pochi grattacapi al Cremlino anche in futuro.
Ieri, 56 milioni di russi sono stati chiamati alle urne in 85 regioni per scegliere governatori, sindaci, consiglieri regionali e comunali. I filogovernativi l’hanno spuntata in buona parte delle 5.000 elezioni di vario livello, macchiate dalle denunce di diversi brogli, e considerate una sorta di prova generale in vista delle elezioni parlamentari del 2021.
Il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ha espresso soddisfazione. “Nel complesso” – ha detto – Russia Unita “ha avuto molto, molto successo”.
Il Cremlino, come prevedibile, ha ottenuto tutte le 16 poltrone di governatore in palio, compresa quella di San Pietroburgo (città -regione), dove è stato eletto primo cittadino il sindaco ad interim Aleksandr Beglov, un fedelissimo di Putin. Beglov ha ottenuto il 56% dei voti, ma non aveva rivali.
Avrebbe potuto batterlo solo il regista Vladimir Bortko, ma all’ultimo minuto il candidato comunista si è misteriosamente ritirato dalla competizione elettorale.
Al consiglio comunale di Khabarovsk, in estremo oriente, ha invece trionfato il Partito Liberaldemocratico, in realtà su posizioni nazionaliste e parte della cosiddetta “opposizione di sistema” spesso pronta a obbedire al volere di Putin.
Tutt’altra musica a Mosca, al centro dell’attenzione dopo che in questi mesi è stata teatro delle più imponenti proteste antigovernative degli ultimi otto anni, represse dalla polizia con arresti e manganellate e provocate proprio dalla decisione delle autorità di impedire la candidatura di numerosi dissidenti alle elezioni comunali.
La capitale ospita molti esponenti dell’intellighentsia e si è sempre distinta dalla Russia profonda, anche per le scelte di voto. Ieri nella megalopoli l’affluenza alle urne è stata bassissima, appena al 21,7%, cioè la metà rispetto al resto del Paese. Importante segnale di indifferenza.
Il sospetto che a Mosca le cose non fossero andate molto bene per Putin era emerso subito dopo la chiusura dei seggi. Ieri sera i tanto attesi exit poll non sono infatti stati pubblicati. Ufficialmente perchè troppa gente si era rifutata di rivelare per chi avesse votato.
Ma presto alcune fonti citate dai media liberali hanno annunciato che i candidati del Cremlino erano stati superati in almeno dieci seggi su 45.
Alla fine per Putin la sconfitta è stata molto più pesante: i suoi sono stati battuti non in dieci ma in ben 20 collegi di Mosca.
Il numero dei deputati filogovernativi è così crollato da 38 ad appena 25. Russia Unita ha ancora la maggioranza (i consiglieri comunali a Mosca sono appunto 45), ma la Mosgorduma non è più blindata.
Siederanno in Consiglio anche 13 comunisti (erano cinque), tre esponenti di Russia Giusta e, soprattutto, quattro membri del partito liberale Yabloko, vero movimento d’opposizione.
“Abbiamo lottato insieme, grazie a tutti per il vostro contributo”, ha detto oggi Navalny, sicuro che il suo “voto intelligente” abbia fatto perdere terreno a Russia Unita. L’oppositore ha cercato di trasformare le amministrative in una sorta di referendum su Putin e, di fronte alla quasi totale mancanza di candidati dissidenti, ha invitato i suoi sostenitori a turarsi il naso e votare per il candidato con maggiori possibilità di battere quello del Cremlino.
Una scelta contestata all’interno della stessa opposizione. I candidati consigliati da Navalny erano infatti spesso esponenti del controverso partito comunista, accusato di fingersi antigovernativo per poi appoggiare regolarmente le iniziative di Putin.
Navalny in ogni caso ha dimostrato che il leader russo non è più imbattibile. Il rating di approvazione di Putin resta alto, ma nell’ultimo anno si è notevolmente ridotto a causa dell’aumento dell’età pensionabile e del continuo calo dei salari reali.
I peggiori contraccolpi li ha però subiti Russia Unita, il cui livello di popolarità a livello nazionale secondo i sondaggi è appena del 31-32%, record negativo degli ultimi 13 anni. Ma a Mosca il partito di Putin è dato persino all’11-22%.
Proprio per questa ragione, moltissimi politici legati al Cremlino hanno deciso di correre alle elezioni amministrative di ieri camuffati da “indipendenti”. A Mosca non c’era addirittura nessun candidato di Russia Unita. Ma non è bastato.
Anzi, secondo Navalny, il partito di Putin, “grazie ai brogli”, avrebbe pure “rubato” quattro seggi nel Consiglio comunale di Mosca. Non è possibile dire se sia vero. Certo, l’ong Golos ha denunciato l’uso di “strumenti illegali in stile anni ’90” alle elezioni, ovvero casi in cui le persone “sono costrette a votare, vengono pagate o vengono portate in gruppo alle urne”.
Sul web compaiono inoltre alcuni video che sembrerebbero provare casi di brogli a San Pietroburgo e in altri luoghi.
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
INUTILE FARE LE VITTIME, LE REGOLE VALGONO PER TUTTI… I VERI RIVOLUZIONARI NON FANNO LE RUOTE DI SCORTA DI UN SEQUESTRATORE DI PERSONE O DI SOGGETTI CHE DURANTE IL FASCISMO AL MASSIMO AVREBBERO PULITO I CESSI
Casapound scompare dai social . Sono stati infatti cancellati da Facebook e Instagram i profili ufficiali del partito e quelli di numerosi responsabili nazionali, locali e provinciali, compresi quelli degli eletti in alcune città italiane.
Si tratta di decine di siti e profili vicini all’organizzazione guidata da Gianluca Iannone. A cominciare dalla pagina principale, ‘CasaPound Italia’, ‘certificata’ da Fb con tanto di spunta blu: ha 280mila follower. Restano attivi invece i profili di Twitter.
Facebook ha subito spiegato: “Le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram. Candidati e partiti politici, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia”,
Secondo un portavoce, “gli account che abbiamo rimosso oggi violano questa policy e non potranno più essere presenti su Facebook o Instagram”.
“Abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose, che vieta a coloro che sono impegnati nell”odio organizzatò di utilizzare i nostri servizi”, continua il portavoce di Facebook. La definizione delle persone e delle organizzazioni pericolose, si apprende dal social, avviene sulla base di un ampio processo e vengono presi in considerazione un’ampia serie di segnali.
“Si tratta di un attacco senza precedenti. Siamo schifati”, aggiunge Gianluca Iannone. “Stanno chiudendo tutti i profili, provinciali, regionali, nazionali e quelli ufficiali, sia del movimento che del blocco studentesco – spiega Iannone -. Stanno arrivando le notifiche a tutti, anche ai responsabili del Primato Nazionale (il quotidiano del movimento, ndr)
“Ci cancellano perchè eravamo in piazza contro il” governo”, reagisce Casapound – Siamo di fronte ad un attacco discriminatorio dal parte dei colossi del web”.
(da agenzie)
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