Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
NON AVEVA LE CARTE IN REGOLE SULLA SICUREZZA DEL LOCALE
Dopo esser finito tra le pagine della cronaca politica, il Papeete Beach si ritrova anche nelle aule di tribunale.
I gestori del famoso stabilimento balneare di Milano Marittima — diventato un emblema dell’estate per via della presenza continua di Matteo Salvini, della sua atipica conferenza stampa e per tutte le polemiche che ne sono conseguite tra inni nazionali lanciati a mo’ di remix e moto d’acqua della polizia — sono finiti a processo a Ravenna per via di una denuncia partita da un’indagine dei Carabinieri nel 2016.
A giudizio sono finiti, nel processo iniziato questa mattina a Ravenna, i due gestori del Papeete Beach: i fratelli Rossella e Massimo Casanova.
Quest’ultimo, in particolare, è grande amico di Matteo Salvini che prima lo ha nominato referente per la Lega in Puglia e poi lo ha candidato alle elezioni europee dello scorso 26 maggio. E dal giorno dopo, inoltre, Casanova è diventato Europarlamentare del Carroccio.
L’indagine sul Papeete Beach non risale a quest’anno.
Il tutto è partito dalla tarda serata del 10 agosto del 2016 quando i carabinieri arrivarono nello stabilimento balneare di Milano Marittima nel corso di un cosiddetto ‘aperitivo musicale’. Si trattava di un banale controllo, come se ne fanno molti sulle spiagge nella stagione estiva.
Ma le forze dell’ordine scoprirono la mancanza di qualcosa dal punto di vista delle autorizzazioni per ospitare eventi di quella portata.
Le serate, che erano già andate avanti per tutto il periodo estivo, erano state pubblicizzate e realizzate senza la consulenza di una commissione di vigilanza sulla sicurezza all’interno dei locali di pubblico spettacolo.
Quella mancata autorizzazione, ora, costa il processo ai gestori del Papeete Beach al tribunale di Pesaro.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
GIARRUSSO: “CI HA FATTO PERDERE 6 MILIONI DI VOTI” (SE NE ACCORTO ADESSO?)
È stata una riunione infuocata a Palazzo Madama tra i senatori del Movimento 5 Stelle. Alla fine di questo incontro, durato più del dovuto, Michele Giarrusso ha annunciato di aver già pronta — e non solamente firmata da lui — una lettera ufficiale per chiedere un passo indietro a Luigi Di Maio dai suoi ruoli.
In particolare l’attenzione va su quello di capo politico del Movimento 5 Stelle. Insomma, dopo la scissione nel Partito Democratico, l’alleanza con i dem ha portato una sorte di serpe in seno anche nei pentastellati.
Secondo quanto raccolto dall’AdnKronos, la proposta da parte dei dissidente di Movimento 5 Stelle — oggi si sono riuniti i senatori, ma il malcontento vaga nell’aria anche alla Camera da diversi giorni — sarebbe quella di sostituire il capo politico pentastellato con un comitato composto da dieci persone.
In sintesi: dieci teste pensanti al posto di quella di Luigi Di Maio, finito sulla graticola dopo l’accordo portato avanti e concretizzato con il Partito Democratico per dar vita al governo Conte 2.
E questa lettera, annunciata anche da Michele Giarrusso, va già alla ricerca delle firme pentastellate all’interno del Parlamento. Qualora non si raggiungesse il numero minimo di consensi, inoltre, la fronda dei dissidenti anti-Luigi Di Maio sarebbe pronta a rivolgersi anche al garante Beppe Grillo affinchè si arrivi a una soluzione: togliere il potere politico nel Movimento dalle mani di Di Maio.
«Di Maio dovrebbe lasciare tutti gli incarichi. Non vedo quale esperienza possa vantare agli Esteri. Abbiamo perso 6 milioni di voti, siamo in minoranza in Consiglio dei ministri — ha detto Michele Giarrusso all’AdnKronos -. Toninelli deve raccontarci per filo e per segno come mai abbiamo mandato a quel paese 6 milioni di elettori. Finchè non chiarisce su quanto successo nell’ultimo anno e mezzo, non abbiamo bisogno di ulteriori ambiguità ».
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
CARCERE A VITA PER CARMINE, OTTAVIO E ROBERTO SPADA, QUEST’ULTIMO GIA’ CONDANNATO PER LA TESTATA AL GIORNALISTA RAI
Tre ergastoli. Per Carmine, Roberto e Ottavio Spada. E la sentenza di primo grado riconosce che il clan Spada, la potente famiglia sinti del litorale romano, è un’associazione mafiosa.
Dopo oltre nove ore di Camera di consiglio i giudici della Corte d’Assise hanno confermato i capi d’accusa, e quindi il 416bis agli oltre 20 imputati a processo per associazione a delinquere di stampo mafioso e videocollegati dai rispettivi carceri. L’inchiesta era partita dopo gli oltre 30 arresti del 25 gennaio 2018 con cui le forze dell’ordine hanno eseguito l’ordinanza per gli omicidi del 2011 di Giovanni Galleoni e Francesco Antonini, considerati come l’inizio dell’ascesa degli Spada.
Erano accusati a vario titolo di reati come l’associazione di stampo mafioso, l’omicidio, l’estorsione, l’usura, la detenzione e porto di armi e di esplosivi, incendio e danneggiamento aggravati, ed altri crimini contro la persona, oltre al traffico di stupefacenti, l’attribuzione fittizia di beni e l’acquisizione, in modo diretto e indiretto, della gestione e il controllo di attività economiche, e appalti legati a stabilimenti balneari, sale giochi e negozi. Dei 24 imputati, 17 sono stati condannati e sette ne escono assolti con formula piena.
I due pm che hanno istruito il processo, Ilaria Calò e Mario Palazzi, nel corso della requisitoria avevano chiesto duecentootto anni più tre ergastoli per associazione a delinquere di stampo mafioso nei confronti degli imputati che avevano scelto il rito ordinario nel maxi processo del clan.
Le pene più alte erano state richieste per il boss Carmine Spada, detto Romoletto, il fratello Roberto Spada, noto alle cronache per la testata che fracassò il setto nasale al giornalista Daniele Piervincenzi nel novembre del 2018, e il nipote Ottavio Spada, detto Marco: per loro tre ergastoli. E sono stati confermati. Roberto Spada era già stato condannato per la testata a Piervincenzi.
Nell’attesa della sentenza l’aula bunker si era riempita di cittadini di Ostia che volevano assistere alla lettura del verdetto, e anche la sindaca Raggi che ha espresso “soddisfazione” per sentenza e ha aggiunto: “Istituzioni e cittadini onesti se uniti vincono sempre. Continuerò #atestaalta la battaglia per la legalità “.
Presente anche qualche familiare degli imputati, in netta minoranza rispetto al pubblico di residenti del X Municipio, accompagnati dal presidente dell’associazione antimafia Noi Massimiliano Vender, dal presidente della Fnsi Giuseppe Giulietti e da Giampiero Cioffredi presidente dell’Osservatorio sulla legalità della Regione Lazio.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
IL PARERE DEL MINISTERO E’ CHIARO, ORA TOCCA ALLA PROCURA DI LOCRI… IL SINDACO ERA DIPENDENTE DEL COMUNE, AVREBBE DOVUTO DIMETTERSI PRIMA
Il sindaco di Riace Tonino Trifoli era ineleggibile in quanto dipendente del Comune nel momento in cui si è candidato. Lo ha scritto il ministero dell’Interno in una nota inviata alla Prefettura di Reggio Calabria il 13 settembre 2019. A pochi giorni dall’udienza sull’ineleggibilità del sindaco, che si terrà davanti al Tribunale di Locri, infatti, arriva il parere del ministero “sulla sussistenza della causa ostativa all’espletamento del mandato da sindaco”.
Ex Lsu-Lpu poi assorbito dal Comune di Riace, prima di essere eletto alla guida di una coalizione sostenuta anche dalla Lega, Trifoli era un dipendente a tempo determinato quando ha presentato una richiesta di aspettativa non retribuita per motivi elettorali. Aspettativa però che non poteva essere concessa dall’amministrazione comunale perchè Trifoli non era un dipendente a tempo pieno.
“Posto che il signor Antonio Trifoli — scrive il ministero — è un ex lavoratore di pubblica utilità che, a far data dal primo gennaio 2015, è stato contrattualizzato (dal Comune di Riace) con fondi a totale carico della Regione Calabria, nel caso di specie viene in considerazione la situazione di ex lavoratori socialmente utili o di pubblica utilità stabilizzati a termine e, quindi, titolari di un rapporto a tempo determinato con il Comune”.
Dopo aver ricordato il percorso lavorativo del sindaco assunto con qualifica di istruttore di vigilanza categoria C, il ministero dell’Interno tira le somme: “Ciò stante, alla luce delle coordinate interpretative, tale condizione lavorativa caratterizzata dalla sussistenza, in capo al sindaco di Riace, di un rapporto di lavoro di carattere subordinato, a tempo parziale (26 ore settimanali) e determinato, rende applicabile, al caso di specie, la disciplina di cui al combinato disposto del comma 1, n. 7 e comma 8 dell’articolo 60 del decreto legislativo 267/2000”.
Al netto dei riferimenti normativi, per il ministero dell’Interno Trifoli non poteva essere eletto sindaco se non dopo essersi licenziato dal Comune di Riace.
Il parere è stato trasmesso nei giorni scorsi allo stesso Comune “per le conseguenti valutazioni da parte dell’organo consiliare”.
Conseguenti valutazioni che l’amministrazione — già ieri al centro delle cronache per la sostituzione di cartelli “Paese dell’accoglienza” installati dall’ex sindaco Lucano — ancora non ha assunto. Il parere è stato notificato sia al segretario che al presidente del Consiglio comunale ai quali il ministero ricorda anche le osservazioni della Cassazione sul tema: “Ciò che conta, al fine della sussistenza della causa di ineleggibilità , è la presenza delle condizioni tipiche del rapporto di impiego subordinato, cosi come declinate dalla giurisprudenza amministrativa ed ordinaria formatasi in materia, quali la sottoposizione ad ordini e direttive e l’inserimento del lavoratore nella struttura dell’ente”.
In altre parole, come ha fatto la Cassazione, anche il ministero si rifà al Tuel, la bibbia degli Enti locali, secondo cui sono ineleggibili a sindaco “i dipendenti del Comune e della Provincia per i rispettivi consigli”.
Allo stesso tempo, però, “le cause di ineleggibilità non hanno effetto se l’interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell’incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature”.
Ma non è questo il caso di Trifoli che adesso rischia di andare a casa dopo l’udienza del primo ottobre quando il Tribunale di Locri leggerà il parere del ministero dell’Interno.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
I MONOLOGHI IN TV DI UN BUGIARDO SERIALE: HA FATTO LA GUERRA ALLE ONG MENTRE TACEVA SULL’ARRIVO DEI BARCHINI, HA DIMINUITO I RIMPATRI, HA FATTO FINANZIARE I TRAFFICANTI DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA E AUMENTARE I MORTI DEL 6,04%
Come arrivano i migranti in Italia? Se ci dovessimo basare unicamente sulle dichiarazioni di Matteo Salvini degli ultimi 14 mesi dovremmo rispondere che i migranti che sbarcano nel nostro Paese arrivano quasi esclusivamente a bordo delle navi delle ONG.
I più attenti, quelli che si ricordano dei vari casi Diciotti o Gregoretti, potrebbero aggiungere: e della Guardia Costiera o della Marina Militare.
Ebbene, durante la gestione Salvini dell’immigrazione sono sbarcati in Italia 8.397 migranti. Tutti con le Ong? No.
Per la precisione tal 1 gennaio al 1 settembre 2019 in Italia sono sono sbarcati 5.025 migranti (tutti mentre Salvini era al governo).
Di questi però solo 472 sono arrivati a bordo delle imbarcazioni delle ONG. Gli altri 4.553 sono arrivati in un altro modo.
Eppure se si dovesse prestare fede unicamente alle parole dell’ex ministro saremmo portati a pensare che gli unici migranti arrivati sono quelli che sono scesi dalle varie Mediterranea, Open Arms e via dicendo.
Perchè è solo in quei casi che Salvini ha fatto la voce grossa, chiudendo i porti, firmando decreti e tenendo la gente in mezzo al mare per giorni.
Oggi che non è più ministro Salvini scopre che di migranti si può parlare a tutto tondo. Non più solo quelli che arrivano con le ONG ma anche degli altri.
Ad esempio oggi a SkyTg24, senza che nessuno provasse minimamente a rinfacciargli i dati Salvini ha commentato l’accordo raggiunto a Malta. «L’Europa quali si riprenderà , forse, nei prossimi mesi? Quelli che arrivano solo sulle navi delle ONG, che sono il 10%. Tutti gli altri, barchini barchette..» ha detto Salvini.
Che forse non si è accorto di aver ammesso che in questi 14 mesi ha fatto la guerra a quelli che lui definisce “vicescafisti” ma che in realtà non trasportano che una piccola percentuale dei migranti.
E tutti gli altri? Quelli sono arrivati con barchini e barchette (e talvolta con navi della Guardia Costiera).
Gli stessi per i quali oggi Salvini dimostra di essere preoccupato visto che sarebbero esclusi dall’accordo di ripartizione. Accordo che però in 14 mesi lui non è mai riuscito a far siglare. E anche quando il governo Conte otteneva che altri stati europei si facessero carico dei migranti si è sempre parlato di quelli a bordo di quelle che Salvini chiama “navi organizzate”.
Ed è un peccato che la Guardia Costiera abbia smesso dal 2018 di pubblicare il dossier sull’attività SAR nel Mediterraneo Centrale, altrimenti sapremmo con esattezza la ripartizione dei migranti salvati.
E non si capisce quindi come mai oggi quell’accordo per Salvini «sia una sola, una fregatura» mentre quando c’era lui invece lui la ripartizione dei migranti salvati dalle ONG veniva presentata come la tanto attesa vittoria del governo sovranista contro l’Unione Europea.
Non si capisce nemmeno come Salvini possa dire impunemente (ovvero senza che nessun giornalista gli rinfacci la verità ) che «Conte ha riaperto i porti italiani» quando tutti sappiamo che i porti sono sempre rimasti aperti e che al massimo Salvini ha fatto divieto unicamente alle navi delle ONG di sbarcare.
E lo ha fatto, bisogna aggiungere, solo per un limitato periodo di tempo. Perchè nella maggior parte dei casi di “crisi” sui migranti aperti da Salvini quelle persone sono sbarcate in Italia alla fine della sceneggiata sovranista.
«Io ho più che dimezzato il numero di morti nel mar Mediterraneo, meno partenze, meno morti, meno problemi», continua Salvini.
E anche questa volta in studio nessuno gli dice che in proporzione al numero degli sbarchi le partenze non sono affatto diminuite e che in termini assoluti il numero dei morti non è affatto dimezzato.
Senza contare che in rapporto alle partenze il rischio di morire nella traversata è aumentato.
Salvini può sciorinare i numeri che vuole, ad esempio dire che a settembre 2019 sono sbarcate più persone che a settembre del 2018 e collegare questo dato alle politiche del nuovo governo che agirebbe come pull factor per i migranti.
In fondo qualche giorno fa raccontava che la Guardia Costiera libica, quella che spara ai migranti e che li riporta nei campi di detenzione, da quando lui non è più al Viminale sarebbe addirittura demotivata. Demotivata a fare cosa di preciso?
«Grazie al governo del tradimento e dei porti aperti ne partiranno di più, ne sbarcheranno di più e più persone rischieranno di morire» scrive oggi Salvini su Facebook.
Ma la sua non è una preoccupazione per le sorti dei migranti, altrimenti avrebbe trovato il modo di evitare che il tasso di mortalità nel Mediterraneo centrale aumentasse.
E quando Salvini dice che questi cento o duecento migranti che sbarcano in più (perchè stiamo parlando di poche centinaia di persone) «ce le troveremo in giro per le nostre città a Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo» lasciando intendere che si dedicheranno ad attività criminali non spiega che fine hanno fatto tutti quelli cui con il Decreto Sicurezza ha tolto la protezione umanitaria e ha sbattuto fuori dai centri in mezzo ad una strada senza alcun diritto.
Ma quello era il Salvini di Governo, che nascondeva sotto il tappeto i migranti. Oggi ci tocca il Salvini di lotta, lo stesso di prima, lo stesso che anni fa parlava di invasione e sostituzione etnica.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
IL SINDACO NON VUOLE LA PRESENZA DI SAVIANO E ZEROCALCARE E VUOLE DECIDERE CON I SOLDI DEL MINISTERO CHI INVITARE… RIBADIAMO, MAI PIU’ UN EURO PER L’AQUILA, OGNUNO HA IL SINDACO CHE SI MERITA
E alla fine interviene il ministro dei Beni culturali. La disputa innescata dal sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi – che vuole impedire il festival in città con Roberto Saviano e Zerocalcare – vede l’ingresso in campo di Dario Franceschini. Che richiama il primo cittadino di Fratelli d’Italia.
“La invito – dice Franceschini – a porre in essere tutti gli atti volti ad assicurare lo svolgimento del Festival secondo il programma previsto che, come ho già ribadito nei giorni scorsi e alla luce di quanto sopra illustrato, non può nè deve essere oggetto di alcuna pressione e interferenza politica”.
La replica di Biondi arriva dopo qualche ora: “Temo che il ministro Franceschini sia stato male informato e non sa che non esiste alcun programma definitivo del Festival degli incontri.”
È solo l’ultima puntata di uno scontro cominciato l’11 agosto quando il sindaco di Fratelli d’Italia ha detto no al cartellone programmato per il decennale del terremoto che prevedeva la presenza di molti artisti ed esponenti della cultura, tra cui anche Saviano e Zerocalcare. Finiti nel mirino del primo cittadino.
Eppure il cartellone era stato approvato e finanziato dal ministero dei Beni culturali nel periodo del governo gialloverde.
Lo scorso weekend – ospite di Atreju – il sindaco aveva rincarato la dose aggiungendo che L’Aquila è una città nobile, aristocratica e non merita questo genere di cose”.
La direttrice artistica della rassegna, Silvia Barbagallo – organizzatrice di eventi come Più libri più liberi – ora dice: “Finalmente. Le parole di Franceschini sono molto importanti perchè ripristinano il racconto di quello che è stato il nostro lavoro e ne proteggono la correttezza. Non credo che l’intervento del ministro basti a risolvere tutto. Ma è importante sottolineare il suo no all’ingerenza della politica nel mondo della cultura. È fondamentale per tutti gli eventi culturali perchè questo caso era diventato un po’ emblematico”.
Il veto di Biondi è per ora determinante: perchè il sindaco non sta sbloccando i fondi all’ente attuatore della rassegna, che è aquilano; e in più serve la sua autorizzazione per i luoghi del festival, che sono quasi tutti comunali. Ma l’intervento di Franceschini riporta il caso sotto i riflettori.
La soluzione è semplice: il ministero ritiri il finanziamento di 700.000 euro, il sindaco si faccia il festival con i suoi soldi e da domani azzerare ogni finanziamento al Comune, si paghino la ricostruzione con i loro quattrini.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
RIAPRE IL FRONTE CON SALVINI: “OCCORRE TRASPARENZA NEI CONFRONTI DEI CITTADINI”
Un nuovo passaggio parlamentare sarebbe “urgente e necessario”.
Lo ha detto il premier Giuseppe Conte, rispondendo, a Skytg24, a una domanda sui rapporti tra Russia e Lega, precisando di non avere comunque “elementi”.
Il premier si riferisce al caso con al centro gli incontri all’hotel Metropol di Mosca su cui la procura di Milano ha aperto un’inchiesta.
Se si ha “un ruolo – ha aggiunto Conte – nell’ambito di un Governo, bisogna assicurare massima trasparenza nei confronti dei cittadini”.
Per questo, ha continuato il premier, “ho avvertito l’esigenza, la necessità , vorrei dire l’urgenza” di “andare in Parlamento a chiarire tutte le informazioni che erano in mio possesso. Se altri l’hanno pensata diversamente, mi è dispiaciuto”.
“Io non ho elementi – ha spiegato – per dire che la Russia sta svolgendo un ruolo disintegrante verso governi, verso sistemi, partiti o altro, quindi non posso assolutamente affermare e non condividere questa prospettiva. Ritengo, e aggiungo, che la Russia giochi anche un ruolo importante in tutte le crisi geopolitiche più importanti al mondo, quindi la mia posizione è che con la Russia bisogna dialogare, bisogna sempre mantenere aperto questo dialogo”.
Rispondendo poi alla domanda se fosse necessario un ulteriore passaggio parlamentare per chiarire la vicenda, Conte ha risposto: “La mia posizione è chiara: se si assumono delle responsabilità istituzionali così elevate, addirittura un ruolo nell’ambito di un Governo, bisogna assicurare massima trasparenza nei confronti dei cittadini. Le istituzioni, la fiducia dei cittadini nelle istituzioni si alimenta con la trasparenza e correttezza dei comportamenti”.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
IL BENEFICIO POTREBBE ESTENDERSI FINO ALLA SOGLIA DI 36.000 EURO DI REDDITO
La promessa è allettante ma la sua realizzazione pare molto difficile.
Il governo mira ad ottenere un extra-deficit che porti il rapporto con il Prodotto Interno Lordo al 2,6% per finanziare la riduzione del cuneo fiscale.
Spiega oggi Il Messaggero in un articolo a firma di Luca Cifoni che il Conte bis gode di una credibilità che in precedenza non c’era e la carta della fiducia potrebbe essere giocata fino in fondo al momento della trattativa con Bruxelles.
Così non è impossibile che la nuova Commissione conceda all’attuale esecutivo qualcosa che non sarebbe mai stato accordato al precedente.
Il rapporto deficit/Pil tendenziale per il 2020, che nelle stime del Mef viaggia intorno all’1,6 per cento dovrebbe scivolare verso l’alto, anche sopra la soglia psicologica del 2 per cento.
Di quanto? Si parla di un possibile 2,1-2,2 per cento, che consentirebbe di ricavare un minimo spazio finanziario per le misure di politica economica a partire dalla riduzione del cuneo fiscale.
Ma l’obiettivo del ministro Gualtieri potrebbe essere più ambizioso: il sogno proibito sarebbe un disavanzo al 2,6% del prodotto lordo.
Ovvero a distanza di sicurezza dalla soglia del 3, ma abbastanza in alto da liberare qualcosa come 18-19 miliardi e limitare la faticosa ricerca di coperture.
Resta da vedere se la Commissione e poi il Consiglio europeo (del quale fanno parte anche i Paesi più rigoristi del Nord) potranno accettare di spingersi così in avanti.
Una maggiore disponibilità di risorse permetterebbe di disegnare un intervento molto ampio a favore dei redditi da lavoro dipendente.
La nuova super-detrazione Irpef, destinata ad assorbire anche il bonus 80 euro, potrebbe andare a beneficio anche degli“incapienti”, in misura crescente in modo da non scoraggiare la ricerca del lavoro; mentre allo stesso tempo il beneficio si estenderebbe almeno parzialmente ai contribuenti con un reddito fino a 36 mila euro.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 24th, 2019 Riccardo Fucile
INTERVISTA A PADRE IOAN GUAITA CHE DENUNCIA LA REPRESSIONE E IL TERRORE DEL REGIME SOVRANISTA DEGLI OLIGARCHI RUSSI
È il prete più celebre della Russia da quando, a fine luglio, ha sfidato il presidente Putin accogliendo nella sua chiesa un gruppo di ragazzi che stavano manifestando contro il governo.
E ora è tra i protagonisti di un movimento di opinione che coinvolge religiosi, avvocati, artisti e insegnanti, e che sta facendo sentire la sua voce per scongiurare una deriva autoritaria basata su terrore e repressioni.
Le proteste, che hanno portato a violenze da parte della polizia e oltre mille arresti, sono esplose quando è stato impedito alla quasi totalità dei politici dell’opposizione di candidarsi alle elezioni comunali dell’8 settembre.
Il gesto ha suscitato particolare scalpore perchè è la prima volta che un esponente del patriarcato ortodosso, da sempre allineato con il governo, si pone in aperto dissidio con il Cremlino. Ma anche perchè padre Ioan Guaita non è russo ma italiano.
Finora Giovanni (questo il suo nome al secolo) non ha subito ritorsioni e nemmeno alcun richiamo da parte del patriarca Kirill: “Anche se le critiche non sono mancate”, racconta. “C’è chi ha detto che mi sono potuto permettere di fare una cosa del genere perchè ho il passaporto italiano, e chi ha detto che me lo sono potuto permettere in quanto ortodosso, perchè un cattolico o un protestante non l’avrebbero passata liscia”.
Nei giorni scorsi diversi tribunali hanno condannato a pene durissime (fino a 6 anni di carcere) i giovani che erano stati malmenati dalla polizia il 27 luglio.
Il 17 settembre padre Giovanni con altri 6 sacerdoti del Patriarcato ha scritto una lettera aperta invocando autentica giustizia e una revisione dei processi. In particolare si chiede che le misure punitive siano “commisurate alla violazione della legge” e si esprime stupore per il rifiuto dei giudici di usare come prove le videoregistrazioni fatte da molte persone durante gli eventi incriminati, da cui risulta evidente il comportamento pacifico degli arrestati di fronte alle violenze ingiustificate dei poliziotti.
Sardo, 57 anni, Giovanni vive in Russia dal 1984, insegna storia della Chiesa, è un esperto del cinema di Andrej Tarkovskij, ha scritto diversi libri, tra cui uno sul genocidio dell’Armenia chiamato L’Islam non ha colpa dei loro misfatti, e ha fatto parte più volte della delegazione del patriarcato di Mosca in Vaticano, incontrando personalmente Benedetto XVI e papa Francesco. Eppure non si considera un convertito.
Cresciuto in una famiglia cattolicissima, praticante e impegnato nel volontariato, aveva già fatto da tempo una scelta religiosa quando dieci anni fa è diventato un monaco ortodosso. “Per me non ha rappresentato una rottura con il passato ma una tappa di un percorso che considero coerente”.
Vuole dire che non ha rinnegato il cattolicesimo?
Assolutamente no. Io continuo a sentirmi cattolico, sia nel senso etimologico (“cattolico” significa universale) sia sotto il profilo affettivo, sia sotto quello teologico, perchè non credo che ci siano differenze dogmatiche così rilevanti tra cattolici e ortodossi. Posso dire che se ho scelto di far parte della Chiesa ortodossa, è prima di tutto perchè vivo in Russia, che è un paese di tradizione orientale.
Come è arrivato qui?
Ho studiato come slavista in Svizzera, e questo mi ha dato la possibilità di avere delle borse di studio a Mosca. Sono arrivato in Unione Sovietica una settimana dopo che Gorbaciov era diventato segretario del partito, quindi ho vissuto dall’interno tutti i cambiamenti, la Perestrojka, l’avvento di Eltsin e poi di Putin.
Perchè è diventato ortodosso?
A Mosca c’era una sola parrocchia cattolica, con un prete anziano, cieco, sordo ed estremamente conservatore: contestava apertamente il Concilio Vaticano II e celebrava ancora la messa dando le spalle ai fedeli. Al tempo stesso ho conosciuto una comunità di ortodossi molto aperti, accoglienti e dialoganti, e un grande teologo che sosteneva che quella ortodossa e quella cattolica sono in realtà due tradizioni di un’unica Chiesa, e che ciò che ci separa sono soprattutto malintesi e questioni storiche e politiche.
Quindi a suo avviso non c’è nessuna sostanziale differenza tra essere cattolico ed essere ortodosso?
Esatto. La celebre questione del “filioque”, se cioè lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figlio o solo dal Padre, è il risultato di un equivoco linguistico, tanto che il Credo in greco è lo stesso per tutti, e i cattolici lo hanno modificato solo nella traduzione latina. Lo scisma del 1054 è stato causato dal cattivo carattere dell’ambasciatore del papa e del patriarca di Costantinopoli, e la scomunica reciproca è stata ritirata nel 1965. Questo vuol dire che siamo in comunione.
L’unica vera differenza sta nel ruolo del Papa: il Vescovo di Roma è senza dubbio un “primus inter pares”, ma gli ortodossi sottolineano il “pares” mentre la Chiesa Cattolica rivendica un primato assoluto, e ha inserito il dogma dell’infallibilità papale.
Oggi una delle critiche più feroci nei confronti di papa Francesco da parte degli ambienti cattolici reazionari è proprio quella di autodefinirsi Vescovo di Roma. Tanto che alcuni sostengono che il vero papa resti Ratzinger.
L’atteggiamento di papa Francesco senza dubbio favorisce molto il dialogo con la Chiesa Ortodossa; un dialogo che è stato per anni particolarmente difficile proprio con la Chiesa russa: da questo punto di vista lo storico incontro tra Francesco e Kirill ha rappresentato l’ultima tappa di un rapporto che, in realtà , era già migliorato molto sotto il papato di Ratzinger: peraltro sono stato proprio io, nel 2013, a dover informare il patriarca delle sue dimissioni, ed eravamo tutti allibiti.
In questi trentacinque anni ha mai subito forme di razzismo per il fatto di essere italiano?
No, assolutamente. Anche perchè i russi sono un popolo molto aperto e nei confronti degli italiani hanno una grandissima simpatia.
Arriviamo alle violenze di queste settimane: cosa sta succedendo a Mosca?
L’8 settembre ci sono state le elezioni nel Comune di Mosca e il comitato elettorale ha respinto le candidature di praticamente tutti gli esponenti delle opposizioni, adducendo varie motivazioni come brogli e firme false. Così non solo i partiti ma anche i cittadini, e soprattutto i giovani, sono scesi in piazza per manifestare il proprio dissenso di fronte al Comune di Mosca. E la mia parrocchia si trova proprio davanti al Comune.
Ci sono state violenze?
Solo da parte della polizia: i manifestanti hanno sfilato in maniera assolutamente pacifica. Quando la polizia li ha caricati circa duecento ragazzi hanno cercato di rifugiarsi nella nostra chiesa.
E lei li ha fatti entrare.
Certo: la polizia ha impiegato una violenza estrema, prendendo i manifestanti a manganellate, fratturando gambe e braccia. Internet è pieno di queste scene che abbiamo visto anche dalle finestre della nostra chiesa. Durante la fuga, molti giovani a un certo punto si sono trovati imprigionati, tra un cortiletto e il muro della chiesa, e lo hanno scavalcato. Io ho detto loro che erano i benvenuti. Ho ricordato che in chiesa si prega, e quindi ho proposto di fare una preghiera per la pace, cosa che è stata subito accettata.
È la prima volta che la Chiesa russa si schiera dalla parte degli oppositori anzichè con il potere politico.
Non si tratta di politica: la Chiesa è aperta a tutti, io sono un prete e qualsiasi persona viene nella mia chiesa io devo accoglierla, e non fa alcuna differenza che lo faccia entrando dalla porta o scavalcando il muro di cinta.
Non ha subito conseguenze per il suo gesto?
Quella sera stessa, e anche la settimana dopo, quando c’è stata un’altra manifestazione, sono arrivati dei poliziotti. Ma non a chiedere conto del nostro comportamento: semplicemente perchè erano stati tutto il giorno sotto il sole in tuta mimetica con il casco e lo scudo: erano ragazzi giovanissimi anche loro, stanchi e sudati, e ci hanno chiesto un po’ d’acqua e di poter usare il bagno.
Quindi ha accolto le forze dell’ordine allo stesso modo in cui ha accolto i manifestanti.
Ho chiesto loro se erano credenti e ho ricordato loro che la violenza è un peccato molto grave. Ho detto che devono eseguire gli ordini, ma per arrestare una persona non c’è bisogno di usare violenza, e che quindi non devono malmenare i manifestanti.
Come hanno reagito?
Erano turbati. Non mi guardavano negli occhi, ma mi hanno ascoltato. D’altra parte questo è il lavoro del prete.
Come ha reagito la Chiesa di Mosca?
Nessun rimprovero e nessuna benedizione dai superiori. Ma ho ricevuto molte lettere entusiaste da ogni zona della Russia, anche dalla Siberia. Dopo il clamore suscitato dalla lettera aperta, però, un funzionario del patriarcato è intervenuto ufficialmente sostenendo che i preti abbiano fatto male ad intromettersi in una questione politica. Intanto però, in appena due giorni la petizione è stata firmata da più di 100 sacerdoti.
Ci sono state altre reazioni?
Sì, anche un gruppo di insegnanti ha scritto una lettera analoga alla nostra, che in pochissimo tempo ha raccolto 800 firme, e ora altre iniziative simili sono state prese da avvocati, attori, registi, medici e informatici. Insomma, siamo in gran fermento.
Si aspetta ritorsioni da parte del governo?
Per ora non è successo niente, poi viviamo in un paese in cui è sempre possibile dimostrare di qualsiasi persona che ha fatto qualcosa di contrario alla legge. Ma questo è la normalità ormai da molto tempo.
Come vede il futuro della Russia?
La Russia è un paese che cambia con una velocità sorprendente, ma non si sa mai in quale direzione. Il cammino verso un’autentica democrazia matura è ancora lungo: speriamo che il prezzo da pagare non siano altri spargimenti di sangue. Certo queste elezioni sono state un segnale inquietante.
Crede che Putin possa instaurare un regime basato sulla violenza?
Nel 2024 scade il suo ultimo mandato, e dovrà inventarsi qualcosa per restare al potere, anche perchè dopo quello che è successo in questi anni perdere il potere potrebbe essere pericoloso per lui.
Cossiga diceva che per legittimare una reazione autoritaria del governo, basta infiltrare tra i manifestanti qualcuno che compia un gesto violento.
Gli anni di piombo, con il terrorismo, le stragi e il ruolo opaco dei servizi segreti, rappresentano un precedente significativo. Non dimentichiamo che Putin viene dal Kgb, e sa come creare le condizioni per instaurare un regime autoritario.
Mentre lei apriva le porte della Chiesa, da noi un politico con un certo feeling con Putin chiudeva i porti.
Io spero che si aprano più porte e porti possibile. Ovviamente va sempre fatto con intelligenza. Ma chiudersi del tutto sarebbe una tragedia: anche perchè non solo siamo cristiani, ma siamo europei e l’Europa è stata costruita anche sui valori della solidarietà e della sensibilità riguardo al destino degli altri.
(da TPI)
argomento: denuncia | Commenta »