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I FIGLI DI SILVIO E MEDIASET OFFRONO FORZA ITALIA A SALVINI: SMANTELLARLA ENTRO POCHI MESI E INGLOBARLA NELLA “LEGA” IN CAMBIO DI 20-30 PARLAMENTARI GARANTITI

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

LA CONTROMOSSA DI MARA CARFAGNA: RIUNISCE 30 PARLAMENTARI PRONTI A LASCIARE IL PARTITO SE SARA’ SVENDUTO A SALVINI

Carmelo Lopapa su Repubblica racconta oggi che i figli di Berlusconi e Mediaset stanno lavorando per consegnare definitivamente Forza Italia a Matteo Salvini.
I sondaggi sono ormai impietosi, se di dovesse davvero votare nella prima metà  del 2020 — come i più ottimisti sognano a destra — il partito del Cavaliere rischia di inchiodarsi al 5% se non al di sotto, con Giorgia Meloni a doppia cifra e Salvini oltre il 30.
Sarebbe il sipario più catastrofico su un quarto di secolo di storia berlusconiana. E allora? Meglio scommettere tutte le residue fiches sul cavallo vincente
Il progetto, maturato in una serie di riunioni molto ristrette e top secret delle ultime settimane in famiglia, è dunque quello di sposare la “Lega Italia” alla quale Matteo Salvini darà  vita col congresso milanese del 21 dicembre.
A sentire i dirigenti forzisti, il leader del primo partito avrebbe dato il suo via libera per accogliere nelle liste, soprattutto al Sud, un drappello di 20-30 parlamentari di quel che resta di Fi.
La squadra dei fedelissimi, vicini all’azienda di famiglia e ai suoi interessi.
Voce (e disponibilità ), va detto, per nulla confermate dallo stato maggiore leghista. Anche se l’ex ministro dell’Interno al momento ha tutto l’interesse a rafforzarsi, soprattutto nel Mezzogiorno, per frenare l’ascesa sorprendente di Fdi.
Tutto poi dipenderà  dalla legge elettorale, ovvio, che la maggioranza Pd-M5S vuole proporzionale. I bene informati raccontano che tra i pontieri in azione per facilitare il travaso ci sia Denis Verdini.
Ovvero l’ex coordinatore berlusconiano, al momento suocero di Salvini, al fianco del quale Salvini sedeva e parlava fitto l’altro ieri sera al convegno “Il ratto di Europa”, organizzato da Il Tempo a Roma.
Se andrà  in porto, il progetto porterà  di fatto allo smantellamento di Forza Italia da qui a qualche mese. Poco male, in Mediaset si sono già  allineati.
Prova ne sarebbe il rilancio in grande spolvero dei giornalisti ritenuti assai vicini alle posizioni sovraniste e filo salviniane: da Mario Giordano a Paolo Del Debbio a Nicola Porro. Non sarebbero stati ri-piazzati dall’azienda nei talk di punta, fa notare chi frequenta Cologno Monzese, per portare acqua a mulini avversari.
Poi invece c’è chi, in ossequio alla lealtà  incrollabile al vecchio amico, non si è allineato affatto: è il duo Fedele Confalonieri-Gianni Letta.
Consapevoli, entrambi, che il Cavaliere non fa salti di gioia all’idea di farsi da parte per indossare i panni del “padre nobile”. «Cos’è che dovrei fare io?», sembra sia stata l’espressione stupita con la quale l’ex premier si è rivolto non più tardi di dieci giorni fa a un senatore dei suoi che lo ha raggiunto ad Arcore per illustrargli la soluzione. Subito accompagnato alla porta di Villa San Martino con un piccato: «Ti ringrazio, terrò conto del tuo consiglio».
Non da tutti questa soluzione sarà  accettata. Mara Carfagna ha riunito a cena 30 parlamentari di Forza Italia intenzionati a non avallare la svendita dei valori liberali del partito. Se prevalesse la linea filo-salviniana il giorno dopo lascerebbero il partito.

(da “NextQuotidiano”)

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LA RIVOLTA DEGLI ELETTI GRILLINI CONTRO DI MAIO E DI BATTISTA

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

IL DOCUMENTO PREPARATO DAI PARLAMENTARI METTE IN CRISI I RAPPORTI TRA ELETTI E CAPO POLITICO… DI MAIO NON RIESCE PIU’ NEANCHE A FAR ELEGGERE UN CAPOGRUPPO DI SUA FIDUCIA

Si sono riuniti mercoledì sera, alla Camera, i 14 capigruppo nelle diverse commissioni del Movimento 5 stelle. Ed è stato durante quella riunione, seguita a una chat riservata, che uno di loro ha tirato fuori un messaggio subito recapitato a Luigi Di Maio: «Se i toni non cambiano, se a guidare le danze dev’essere Alessandro Di Battista e i retroscena che ci danno pronti per il voto non vengono smentiti, faremo firmare a tutti un documento per sfiduciare il capo politico».
Che l’arma non sia così spuntata, i vertici M5S lo hanno capito quando – per l’ennesima volta – il tentativo di forzare la mano sull’elezione del capogruppo a Montecitorio, eleggendo un’unica squadra guidata da Francesco Silvestri, non è passato. Voto rinviato, probabilmente a gennaio, e proprio perchè l’attuale reggente è considerato troppo vicino al leader.
Molti parlamentari M5S hanno guardato con sgomento all’escalation degli ultimi giorni. Il mandato sul fondo salva-Stati che avevano affidato a Di Maio era per trattare con il resto della maggioranza, non per rompere. E il ritorno al fianco del capo di Di Battista non li rasserena: i nuovi arrivati lo conoscono poco, chi è alla seconda legislatura ha vissuto come un tradimento la sua mancata candidatura.
«Se volete che mi dimetta, dopo di me c’è solo Alessandro», ha detto a più persone Di Maio nei giorni di maggiore scontro con gli altri big del Movimento.
Ma Di Battista è colui che continua a definire il Pd «un partito di destra liberista», che ieri festeggiava la vittoria del referendum contro le riforme costituzionali di Renzi e che finge – dalla nascita del Conte 2 – di non sapere che il suo Movimento è alleato con i dem, con Leu, con Italia Viva.
Soprattutto, finge di non aver sentito gli ultimi discorsi di Beppe Grillo: è il centrosinistra il campo in cui deve stare il nuovo M5S.
Cambiando, guardando alle nuove divisioni mondiali, stando dalla parte dell’ambiente contro i sovranismi di Trump e Bolsonaro. Tutto questo, coloro che i detrattori chiamano ora “il magico duo”, e cioè Di Maio e Di Battista, sembrano non averlo capito. O accettato.
O forse, pensano che l’umoralità  di Grillo non gli permetta di stare davvero «più vicino» a Di Maio come aveva detto, lasciando loro le mani libere.

(da agenzie)

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L’INCONTRO SEGRETO TRA SALVINI E RENZI NELLA VILLA DI VERDINI

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

L’INDISCREZIONE DE “LA STAMPA” E LA SMENTITA DI RENZI

La Stampa racconta oggi in un articolo a firma di Fabio Martini che ci sarebbe stato un incontro segreto tra Matteo Salvini e Matteo Renzi in cui i due leader hanno parlato della fine del governo Conte.
L’incontro, secondo il quotidiano, si sarebbe svolto qualche giorno fa nella splendida villa di Denis Verdini al Pian dei Giullari, sulle colline attorno a Firenze.
Il capo della Lega, si sa, è legato in affettuosa amicizia con Francesca, la piccola di casa Verdini, e quanto a Renzi ai Giullari è di casa, visto che con papà  Denis ha intrecciato rapporti politici assai proficui per anni e anni.
Negli anni scorsi Verdini ha svolto con efficacia due ruoli: mediatore tra Renzi e Berlusconi e in una fase successiva, con i suoi Responsabili, ha dato una mano agli ultimi due governi Pd.
Senza peraltro ricevere nulla in cambio: alle ultime elezioni politiche il Pd non ha trovato l’escamotage “giusto” per farlo rientrare in Parlamento
Al confronto diretto i due Matteo sono arrivati con preoccupazioni molto diverse. Renzi è da giorni sotto pressione con l’inchiesta che riguarda la Fondazione Open e anche irritato per l’indifferenza di qualche suo amico e di tanti ex compagni per la vicenda giudiziaria che lo coinvolge, e al tempo stesso assai vigile sui movimenti in corso sulla riforma elettorale.
Così vigile che da qualche giorno Renzi ha cambiato atteggiamento sul governo. Certo, continua a dire che è il Pd a coltivare «la folle idea» di andare ad elezioni anticipate ma poi aggiunge: «Non l’ha ordinato il dottore di stare tutti assieme».
Salvini vuole andare rapidamente al voto e Renzi sarebbe interessato a questa prospettiva
Ecco perchè le mosse di Renzi sono decisive per la sorte della legislatura. Ecco perchè Salvini è interessato a capire come si voglia muovere il senatore di Rignano. Raccontano che nel reciproco sondaggio Renzi si sarebbe mostrato guardingo rispetto agli scenari che si apriranno, ma anche tentato dall’idea di un nuovo reset che congeli tutto e scongiuri una sua emarginazione: con un voto immediato, si bloccherebbe una riforma elettorale penalizzante per lui e non entrerebbe in vigore la riforma per la riduzione dei parlamentari. Con un plenum che ritornasse a 945 parlamentari, Renzi e non solo lui potrebbero contare su truppe più nutrite.
“A differenza di quanto scritto da ‘La Stampa’ Renzi e Salvini non si sono incontrati a Firenze, meno che mai nella casa di Denis Verdini. I due senatori si sono invece incrociati in Senato come peraltro rivelato dai numerosi giornalisti presenti in occasione della seduta parlamentare. Ma non vi è stato invece alcun incontro toscano. E meno che mai si è bevuto Chianti in una casa privata. La notizia è totalmente falsa”. Così una nota dell’ufficio stampa di Italia Viva.

(da “NextQuotidiano”)

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IL CONGRESSO-FUNERALE DELLA LEGA CHE SALVINI CERCA DI NASCONDERE

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

LA MOSSA PER LIBERARSI DEI DEBITI, CAMBIANDO RAGIONE SOCIALE… E SPUNTA LA BATTAGLIA PER UNO “STATO FEDERALE” DI CUI PERO’ SALVINI NON PARLA MAI… IL 21 DICEMBRE 500 DELEGATI CONVOCATI IN UN ALBERGO MILANESE SENZA SAPERE CHE MODIFICHE VERRANNO PROPOSTE

Repubblica parla del congresso fantasma della Lega convocato per il 21 dicembre ovvero l’ultimo sabato prima di Natale, ma sul quale a tutt’oggi il sito ufficiale Legaonline non ne fornisce alcuna comunicazione.
Gli oltre cinquecento delegati si ritroveranno in una sala milanese per deliberare modifiche allo statuto che si preannunciano di cruciale importanza.
Ma che, a due settimane dall’evento, nessuno di loro conosce perchè restano avvolte nel mistero. L’apparato propagandistico della Bestia salviniana si guarda bene dal farne cenno.
Se si ha notizia della convocazione del congresso del movimento, registrato con la denominazione “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”, lo si deve a Gianni Fava, unico dissidente fra i trenta membri del Consiglio federale riunitosi lo scorso lunedì 25 novembre nella sede di via Bellerio.
Altrimenti è probabile che non se ne saprebbe ancora niente. Per la verità  quel giorno, a sorpresa, su una sedia a rotelle, si presentò alla riunione anche Umberto Bossi, il fondatore che per statuto figura “presidente a vita” della Lega.
Ma dopo aver ascoltato quell’annuncio, se ne andò via senza votare la convocazione. Disse solo: «Non fate il funerale alla Lega, non se lo merita». Lo rassicurarono con un applauso. Secondo Gianni Fava, invece, «il congresso del 21 dicembre sarà  un vero e proprio funerale, anche se mascherato»
Le modifiche statutarie illustrate da Roberto Calderoli, preannunciando un testo scritto che nessuno ancora ha avuto modo di leggere, prevedono l’azzeramento delle cariche, la nomina di un commissario al posto dell’attuale segretario Matteo Salvini, e la modifica dell’articolo 33 dello statuto: sarà  consentita la doppia iscrizione, per cui i tesserati di Lega Nord potranno confluire anche nella “Lega per Salvini premier”.
E nel contempo verrà  abolita la distinzione fra “Associato ordinario militante”, titolare di diritto di voto, e “Associato sostenitore” che finora poteva diventare leghista membro effettivo solo dopo una prolungata anzianità  di tesseramento.
In pratica: largo ai nuovi venuti, gli aspiranti leghisti non più solo delle tredici regioni già  inserite nella Lega Nord, ma di tutta l’Italia, Mezzogiorno e isole comprese.
Tra i militanti, tenuti all’oscuro, fioccano le congetture.
Insomma, una vera e propria liquidazione, un colpo di mano al quale il responsabile organizzativo Roberto Calderoli lavorava silenziosamente da due anni. Calderoli, insieme a Matteo Salvini, Giancarlo Giorgetti, Lorenzo Fontana e al tesoriere Giulio Centemero, è anche uno dei cinque fondatori della “Lega per Salvini premier”, il cui statuto di 35 articoli è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 22 novembre del 2018.
È interessante scoprire che la Lega del futuro si autodefinisce “movimento politico confederale” che ha per finalità  “la pacifica trasformazione dello Stato italiano in un moderno Stato Federale”.
Curiosamente, non risulta che una tale drastica riforma in senso federalista della Repubblica italiana sia mai stata formulata sotto forma di proposta di legge costituzionale; nè tanto meno compare nella propaganda sovranista dell’aspirante premier.

(da “NextQuotidiano”)

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LIBERO FA DIVENTARE IL PACCO BOMBA INVIATO A LAMORGESE COME DIRETTO A SALVINI: IL TITOLO VERGOGNOSO E FALSO

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

“ERA DIRETTO A SALVINI”, MA NEL TESTO DELL’ARTICOLO SI RIPORTA CHE ERA DIRETTO ALLA LAMORGESE… MA SPROFONDARE DALLA VERGOGNA MAI?

Ieri abbiamo raccontato la vicenda del pacco bomba spedito a Lamorgese con i ritagli che inneggiano al ritorno di Salvini portata alla luce da Leggo Milano.
Il giornalista Emilio Orlando ha raccontato che un ordigno “potenzialmente mortale” è stato spedito al Viminale ma è stato intercettato prima che arrivasse negli uffici del Ministero dell’Interno.
L’ordigno non fortunatamente non è esploso e non è mai arrivato al Ministero, è stato disinnescato dagli artificieri al centro di smistamento delle Poste nel quartiere Ostiense. E nel pezzo si diceva anche che all’interno del pacco erano stati inseriti anche alcuni ritagli di giornale che «inneggiavano al ritorno di Matteo Salvini al Viminale». L’episodio è avvenuto alla fine di ottobre ma è stato mantenuto il massimo riserbo, probabilmente per non intralciare le indagini per risalire all’identità  degli attentatori condotte dall’antiterrorismo e dalla scientifica.
Ebbene, come è riuscito a sintetizzare tutto ciò il quotidiano Libero? Con un titolo meraviglioso: “Pacco bomba al Viminale: Salvini nel mirino“.
La cosa divertente è che nel pezzo invece si scriveva questo:
Nessuna rivendicazione, ma all’interno del pacco c’era un foglio “firmato”da un fantomatico movimento “Nemici dello Stato” e alcuni ritagli di giornale che facevano riferimento all’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. Al Viminale e al ministro Luciana Lamorgese è arrivata la solidarietà  di tutti i partiti politici.
E quindi a Libero sapevano benissimo che essendo arrivato ad ottobre non poteva esserci Salvini nel mirino.
Eppure nel titolo, che tutti leggono mentre pochi arrivano alle ultime righe dell’articolo, c’è scritto il contrario. Si sono sbagliati. Ma a favore del Capitano.
Che strano, eh?

(da “NextQuotidiano”)

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RAPPORTO CENSIS: ITALIANI STANCHI DEI POLITICI, RAZZISMO E ANTISEMITISMO IN CRESCITA, GUARDANO ALL’UOMO FORTE MA FAREBBERO MEGLIO A GUARDARSI ALLO SPECCHIO

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

SANITA’ SEMPRE PIU’ PRIVATA, RISENTIMENTO VERSO IL SISTEMA PREVIDENZIALE: LI AVETE VOTATI VOI, DI CHE VI LAMENTATE?

Gli italiani non ne possono più della politica. O meglio, non vogliono più vedere i politici: il 90% dei telespettatori, per intendersi, non li vorrebbe ‘tra i piedi’ mentre fa zapping.
Se a questa stanchezza si uniscono tutte le incertezze sul fronte economico e sociale che caratterizzano questi tempi, ecco farsi strada nella mente dei concittadini una soluzione: l’uomo forte, al di sopra del Parlamento, che rassicuri.
Fa paura, pensando alla nostra storia, quel che emerge dall’ultimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese.
Lo stato d’animo dominante tra il 65% degli italiani è l’incertezza. Dalla crisi economica, l’ansia per il futuro e la sfiducia verso il prossimo hanno portato anno dopo anno ad un logoramento sfociato da una parte in “stratagemmi individuali” di autodifesa e dall’altra in “crescenti pulsioni antidemocratiche”, facendo crescere l’attesa “messianica dell’uomo forte che tutto risolve”.
Per quasi la metà  degli italiani, il 48% per la precisione, ci vorrebbe “un uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni.
Non è tutto. I moltiplicati segnali di pericolosa deriva verso l’odio, l’intolleranza e il razzismo nei confronti delle minoranze trovano conferma nel senso comune: il 69,8% degli italiani è convinto che nell’ultimo anno siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati.
Eppure proprio gli stranieri sono sempre più funzionali al tessuto produttivo italiano: al primo semestre del 2019 i titolari di impresa nati all’estero che esercitano la propria attività  nel nostro Paese sono 452.204 e rappresentano il 14,9% dei 3.037.661 titolari di impresa attivi in Italia.
Tornando al problema dell’odio, significativo come per il 58% degli intervistati sia aumentato anche l’antisemitismo.
Pur in questo clima, gli italiani restano convinti al 62% dei casi che non si debba uscire dall’Unione europea, ma il 25%, uno su quattro, è invece favorevole all’Italexit.
Se il 61% dice no al ritorno della lira, il 24% è favorevole e se il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alla frontiere interne della Ue, considerate un ostacolo alla libera circolazione di merci e persone, il 32% sarebbe invece per rimetterle.
Probabilmente a far disamorare gli italiani del sistema politico è anche l’incertezza per il sistema previdenziale, verso il quale aumenta il risentimento.
Per il 45,2% degli italiani l’età  pensionabile non deve seguire l’andamento della speranza di vita, mentre per il 43,2% speranza di vita ed età  del pensionamento devono camminare insieme.
Quasi 2 milioni di pensioni in Italia sono erogate da trent’anni o più (il 12% del totale), a fronte di una durata media di 24 anni.
Sono il riflesso di periodi in cui era più facile andare in pensione, che però oggi generano cosi significativi per la previdenza. Il 53,6% delle pensioni erogate in Italia è inferiore a 750 euro mensili.
Non sorprende allora che il 73,9% degli italiani siano d’accordo con la necessità  di portare le pensioni minime a 780 euro al mese con risorse pubbliche.
Stenta poi a decollare il sistema sostenibile, specialmente tra i giovani. Nel 2018 erano quasi 8 milioni gli iscritti alla previdenza complementare, vale a dire il 34,3% degli occupati, ma la quota di iscritti scende al 27,5% tra i lavoratori millennial. Sono il 23,3% degli italiani dichiara di sapere bene che cosa sia la previdenza complementare (il 19,4% tra i 18-34enni).
In ambito sanitario, invece, il sistema pubblico non basta più: gli italiani sono costretti a rivolgersi al Servizio sanitario nazionale ma anche a operatori e strutture private, a pagamento.
In particolare, quasi una prenotazione su tre per prestazioni che dovrebbero essere garantite dal pubblico si “dirottano” poi sul privato.
Nel complesso, nell’ultimo anno il 62% degli italiani che ha svolto almeno una prestazione nel pubblico ne ha fatta anche almeno una nella sanità  a pagamento: il 56,7% di chi ha un reddito basso e il 68,9% di chi ha un reddito di oltre 50.000 euro annui.
Ci si rivolge al di fuori del Ssn sia per motivi soggettivi, per il desiderio di avere ciò che si vuole nei tempi e nelle modalità  preferite, sia per le difficoltà  di accedere al pubblico a causa di liste d’attesa troppo lunghe.
I dati parlano chiaro: su 100 prestazioni rientranti nei Livelli essenziali di assistenza che i cittadini hanno provato a prenotare nel pubblico, 27,9 sono transitate nella sanità  a pagamento. Mentre su 100 visite specialistiche 36,7 finiscono nella sanità  a pagamento, così come 24,8 accertamenti diagnostici su 100.
A influenzare l’umore degli italiani ci pensano poi i media. Secondo il Censis, cambiano gli umori a seconda dei mezzi di comunicazione: Gli “arrabbiati” si informano prevalentemente tramite i tg (il 66,6% rispetto al 65% medio), i giornali radio (il 22,8% rispetto al 20%) e i quotidiani (il 16,7% rispetto al 14,8%).
Tra gli utenti dei social network “compulsivi” (coloro che controllano continuamente quello che accade sui social, intervengono spesso e sollecitano discussioni) troviamo punte superiori alla media sia di ottimisti (22,3%) che di pessimisti (24,3%).
Per leggere le notizie scelgono Facebook (46%) come seconda fonte, poco lontano dai telegiornali (55,1%), e apprezzano i siti web di informazione (29,4%).
Facebook (48,6%) raggiunge l’apice dell’attenzione tra gli utenti “esibizionisti” (pubblicano spesso post, foto e video per esprimere le proprie idee e mostrare a tutti quello che fanno).
I “pragmatici” (usano i social per contattare amici e conoscenti) si definiscono poco pessimisti (14,6%) e più disorientati (30,7%). Mentre gli “spettatori” (guardano post, foto e video degli altri, ma non intervengono mai), sono poco pessimisti (17,1%).

(da agenzie)

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L’AUTOGOL DI SALVINI SULLA NUTELLA: SENZA NOCCIOLE TURCHE NON SI PUO’ FARE

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

LA TURCHIA PRODUCE IL 70% DI NOCCIOLE, L’ITALIA SOLO IL 14%, LA FERRERO ASSORBE IL 20% DELLA PRODUZIONE MONDIALE: SALVINI VADA A RIPETIZIONE DI MATEMATICA

Niente nocciole turche, niente Nutella. La guerra autarchica di Matteo Salvini all’invasione della materia prima straniera nelle creme spalmabili made in Italy ha un difetto all’origine: il nostro paese produce molti meno frutti di quelli di cui ha bisogno la sola Ferrero (una delle ultime multinazionali tricolori sopravvissute allo shopping estero) per la sua produzione.
I numeri parlano da soli: la penisola ha prodotto nella campagna 2017/2018 circa 125mila tonnellate di nocciole, pari al 14% circa del totale mondiale. La società  di Alba, dicono stime di settore, consuma più del 20% del raccolto globale.
Ragione per cui è costretta a comprare parte del suo fabbisogno oltre frontiera e ha lanciato un progetto di filiere destinato ad aumentare del 30%, entro il 2025, la coltivazione nel nostro paese.
Il numero uno indiscusso del settore è la Turchia – entrata non a caso nel mirino del leader della Lega – cui fa capo oggi circa il 70% della produzione mondiale. Una leadership che Recep Tayyip Erdogan ha intenzione di consolidare grazie all’accordo di sviluppo e cooperazione a tre appena siglato con Georgia e Azerbaijan, i due astri nascenti che stanno scalando rapidamente le gerarchie del mercato e sono vicine al sorpasso degli Stati Uniti che occupano oggi il terzo gradino del podio alle spalle dell’Italia.
La produzione in Italia è circoscritta per ora a quattro regioni: il Lazio mette sul mercato circa 45mila tonnellate di nocciole l’anno, quasi tutte in arrivo dalla provincia di Viterbo, segue la Campania con 39mila (metà  da Avellino e dintorni), il Piemonte con 20mila e poi la Sicilia. Troppo poco per garantire al paese l’autosufficienza.
La Ferrero – alla luce anche delle fibrillazioni geopolitiche nell’area turca e caucasica e alle oscillazione dei raccolti legati alle variabili climatiche – ha deciso lo scorso anno di varare il Progetto Nocciola Italia. Obiettivo: aumentare del 30% la produzione nel nostro paese in cinque anni, portando da 70mila a 90mila gli ettari coltivati.
Il piano prevede una sorta di censimento dei terreni più vocati alla coltivazione nel nostro assieme all’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) per allargare ad altre aree la piantumazione dei nuovi noccioleti.
La società  piemontese si è impegnata a firmare accordi di filiera a lungo termine con le single aziende agricole, garantendo una consulenza nella scelta delle piante in vivaio, la formazione costante e l’impegno a comprare il 75% della produzione fino al 2037 a prezzi che prevedono un ritocco all’insù rispetto alla media di mercato e premi legati alla qualità  del prodotto consegnato.

(da agenzie)

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PERCHE’ SALVINI ATTACCA LA NUTELLA , METTENDO A RISCHIO 6.000 LAVORATORI ITALIANI? E’ FINITA LA SPONSORIZZAZIONE?

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

QUALCUNO LO AVVISI CHE LE NOCCIOLE ITALIANE NON SONO SUFFICIENTI PER LA PRODUZIONE, OVVIO CHE LA FERRERO NE ACQUISTI UNA PARTE IN TURCHIA… O FORSE QUALCUNO DEVE SPONSORIZZARE UNA AZIENDA EMILIANA CONCORRENTE?

«Ho scoperto che la Nutella usa nocciole turche e io preferisco aiutare le aziende che usano prodotti italiani. Preferisco mangiare italiano se posso scegliere e aiutare gli agricoltori italiani».
Matteo Salvini non sa cosa sono le CACs, si è accorto con mesi di ritardo che il nostro Paese stava partecipando ad una trattativa per la riforma del MES ma almeno sulla Nutella ci è arrivato: le nocciole non sono tutte italiane.
E aspettate che scopra che l’olio di palma non lo fanno in Puglia e che il cacao non viene da pregiate piantagioni calabresi.
Forse tra qualche mese scoprirà  che il petrolio usato per produrre materie plastiche, diesel e benzina non viene estratto in Basilicata e ci spiegherà  che è per quel motivo che non ha tolto le accise.
Esattamente come per il MES anche per la lista degli ingredienti della Nutella è sempre stato tutto online.
Ad esempio sulle nocciole si legge che «provengono principalmente dall’area del Mediterrraneo, soprattutto dalla regione del Mar Nero in Turchia e dall’Italia».
Come Salvini sia stato in grado di scoprirlo solo ora rimane un mistero, forse stava cercando documenti segreti per dimostrare il tradimento di Giuseppe Conte.
Eppure tutti sanno della smodata passione di Salvini per la crema spalmabile di Ferrero. Una passione che si è trasformata in arma di propaganda politica contro i professorini salutisti.
Oppure contro l’allora ministra francese Sègolène Royal che nel 2015 disse che la Nutella non si doveva mangiare perchè conteneva olio di palma.
L’allora parlamentare europeo Matteo Salvini salì sulle barricate virtuali di Facebook: «Il ministro francese dell’Ecologia, la socialista Royal, ha invitato i cittadini a “non mangiare più la Nutella per salvare il Pianeta”. Poichè contiene olio di palma, sarebbe causa della deforestazione.Un ministro così merita… la RUSPA!!! Nutella libera».
All’epoca Salvini non si era posto minimamente il problema della provenienza dell’olio di palma, eppure il dibattito sui prodotti contenenti olio di palma imperversò per mesi, con foto e video delle foreste malesi incendiate e abbattute.
Anzi, erano quelli del M5S ad andare all’attacco della Ferrero per la questione del palm oil. Qualche mese prima Salvini aveva scoperto che la Nutella si vendeva anche in Russia, e ne era giustamente orgoglioso (non che fosse merito su ma lasciamo correre).
Da quel giorno Salvini è diventato il politico-testimonial della Nutella. Un po’ perchè faceva rosicare i sinistri ai quali era solito spedire bacioni e pane e Nutella per tutti.
Ad esempio ad Aprile augurava una dolce Pasqua con la Nutella facendo gli auguri al prodotto della Ferrero che compiva 55 anni e “augurando” «una bella fetta di pane e Nutella ai simpatici buonisti e accoglienti milionari di sinistra Fazio e Saviano».
«Se dopo 7 mesi da ministro mi attaccano su pane e Nutella vuol dire che stiamo lavorando bene», diceva Salvini a gennaio.
Oggi non è ministro, ci sarebbe da parlare di tante cose, dal MES ad Alitalia passando per la crisi dell’Ilva ma Salvini continua a parlare di Nutella.
Incredibilmente, lo criticano. Dirà  che è perchè sta lavorando bene? E di preciso cosa starebbe facendo? Cosa dobbiamo fare delle letteralmente decine di post nutellosi di Salvini ora che il leader della Lega ha scoperto il sovranismo delle nocciole? Nulla.
La vera domanda è perchè proprio oggi Salvini abbia deciso di attaccare la Nutella.
La risposta la si trova magari cercando qual è l’altra crema spalmabile a base di nocciole che dichiara di utilizzare nocciole 100% italiane (cacao e vaniglia vengono sempre dall’estero) e la cui sede legale si trova (guarda caso) in Emilia Romagna.
In fondo per le elezioni in Emilia-Romagna Salvini ha deciso di lasciare nell’armadio felpe e magliette a favore di un dolcevita verde marcio con giacca di velluto a coste da studente di filosofia fuoricorso, che sarà  mai abbandonare l’amata Nutella.
Non è poi così strano che Salvini si occupi della provenienza delle nocciole. È pur sempre quello che si batteva contro l’olio tunisino senza dire che la produzione di olive italiane non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno.
Lo stesso vale per la Nutella: le nocciole italiane (che non vengono usate solo per la Nutella ma per una vasta gamma di prodotti) non bastano per un player che compete sul mercato globale e che ha 25 stabilimenti produttivi in tutto il mondo per un totale di   35.146 dipendenti.
Ed è solo un caso che Salvini invece non abbia deciso di parlare di un’altra cosa: i lavoratori. Perchè la Nutella è un prodotto italiano, fatto da lavoratori italiani.
In Italia la Ferrero ha seimila dipendenti, forse Salvini potrebbe preoccuparsi per loro invece che per le nocciole.
E se proprio vogliamo muovere una critica alla Ferrero facciamola non tanto sulla provenienza delle nocciole quanto su chi viene impiegato per la raccolta.
Un’inchiesta giornalistica della BBC sollevato la questione dello sfruttamento del lavoro minorile e dei migranti siriani nelle nei noccioleti turchi.
Anche se la Ferrero punta a raggiungere il 100% della tracciabilità  delle nocciole entro il 2020 per assicurarsi che provengano da piantagioni certificate al momento la tracciabilità  sarebbe ferma al 39%.
Se Salvini avesse a cuore i diritti dei lavoratori (italiani e non) avrebbe sollevato questo problema. Non lo ha fatto, a lui interessano le nocciole che parlano italiano. Chissà  perchè.

(da “NextQuotidiano”)

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RAVENNA, SALVINI IN PIAZZA FA UN FLOP CLAMOROSO: I FIGHETTI BORGHESI CON IL FREDDO STANNO VICINO AL CAMINETTO

Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile

400 PERSONE AL MASSIMO IN UNA STRADA SCELTA APPOSTA STRETTA E MEZZA DESERTA… MENTRE 8.000 SARDINE ALLA DARSENA CANTANO ROMAGNA MIA

Salvini a Ravenna ha tenuto un comizio in via Gioacchino Rasponi. Una strada centrale che, in tutta la sua lunghezza, non si estende per più di 130 metri.
Inevitabile fare il paragone con la contemporanea manifestazione delle sardine, che si è svolta in uno spazio aperto (in Darsena), molto più adatto a un raduno popolare che prevedesse la partecipazione di migliaia di persone.
E, in effetti, il risultato sull’adesione alle due iniziative è stato senza storia.
Una prima previsione si sarebbe potuta fare anche osservando gli eventi ufficiali pubblicati sui social network.
All’evento organizzato dalla pagina Facebook di Matteo Salvini avevano dichiarato di partecipare appena 168 persone, mentre si sono dichiarate interessate 583 persone.
Alla fine era tra trecento e quattrocento, come si evince dai filmati
A spazzare via qualsiasi dubbio, tuttavia, ci hanno pensato le immagini delle manifestazioni. Alla Darsena si è vista una folla oceanica.
In via Gioacchino Rasponi — con i social di Salvini che hanno accuratamente evitato immagini troppo panoramiche — c’erano 130 metri di persone che hanno occupato solo un pezzetto della strada, una parte della quale era anche transennata per fornire il necessario cordone di sicurezza al leader della Lega.
La profondità  di via Gioacchino Rasponi corrisponde a 4/5 file di persone. Insomma, non proprio la stessa cosa della vastità  della folla vista in Darsena, stimata in circa 8.000 sardine.
E Salvini non l’ha presa bene, qualcosa sta cambiando.

(da “NextQuotidiano”)

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