Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
“SERVONO SUBITO LOCKDOWN MIRATI”
I due ultimi Dpcm e le restrizioni imposte da alcune Regioni sono “insufficienti e tardivi”, l’argine del tracciamento è saltato, servono “immediatamente lockdown mirati, eventuali zone rosse locali e misure restrittive molto più rigorose”.
L’altolà di Nino Cartabellotta arriva insieme all’ultimo monitoraggio della Fondazione Gimbe, dal quale emerge che dal 14 al 20 ottobre sono peggiorati tutti gli indicatori dell’epidemia e fallite le strategie di tracciamento in quasi tutte le Regioni.
Raddoppiati contagi e morti, aumentato il numero dei ricoverati, del 66% negli ospedali, del 69% nelle terapie intensive.
Il virus corre sempre più veloce, per fermarlo servono azioni più precise – sottolinea il presidente della Fondazione bolognese.
“Non si può continuare a inseguirlo basandosi sui numeri del giorno che riflettono i contagi di 15 giorni prima, ma occorre guardare alla proiezione delle curve a 2 settimane per decidere immediatamente lockdown mirati, eventuali zone rosse locali e misure restrittive molto più rigorose” fa notare Cartabellotta.
Soprattutto nelle aree del Paese in cui il contagio è più diffuso, per prevenire il sovraccarico di ospedali e terapie intensive e il conseguente aumento della mortalità e un nuovo lockdown generalizzato.
I numeri degli ultimi sette giorni definiscono un quadro preoccupante. Rispetto alla settimana precedente, dal 14 al 20 ottobre si è registrato un incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi (68.982, erano 35.204) a fronte di un rilevante aumento dei casi testati (630.929 da 505.940) e di un ulteriore netto incremento del rapporto positivi/casi testati (10,9% dal 7%).
Crescono i casi positivi (142.739 da 87.193) e, sul fronte degli ospedali, si registra un’impennata dei pazienti ricoverati con sintomi (8.454 da 5.076) e in terapia intensiva (870 da 514). Più che raddoppiati i decessi, arrivati a quota 459 (nei sette giorni precedenti erano 216). I morti crescono dunque del 112,5%, i ricoverati, del 69,3% in terapia intensiva del 69,3%, del 66,5% negli ospedali, i nuovi casi del 95,9%, quelli restati del 24,7% e del 24,8% i tamponi totali.
Il report documenta un peggioramento in tutte le Regioni su tutti i fronti, fatta eccezione per il modesto incremento dei casi testati.
A livello nazionale l’incremento percentuale dei casi totali è del 18,9%, con variazioni regionali che oscillano dal 7,8% della Provincia Autonoma di Trento al 44,9% della Campania.
Performance “molto variabili” quelle delle Regioni, anche sulla capacità di test e tracciamento. A fronte di una media nazionale di 1.045 casi testati per 100.000 abitanti, il numero varia dai 561 della Provincia Autonoma di Trento ai 1.832 del Lazio. La brusca impennata del rapporto positivi/casi testati dal 7% al 10,9% per Cartabellotta “certifica il fallimento del sistema di testing and tracing per arginare la diffusione dei contagi”.
Le notevoli variabilità regionali documentano che la “prima diga” è definitivamente saltata in alcune Regioni: in Valle D’Aosta, dove oltre un caso testato su 3 è positivo e in Liguria quasi 1 su 4, ad esempio.
Anche se in termini di numeri assoluti cambia l’ordine di grandezza, l’andamento di tutte le curve è ormai molto simile. Il raddoppio dei nuovi casi nelle ultime due settimane ha ampliato in maniera rilevante il bacino dei casi attualmente positivi che hanno raggiunto il numero di 142.739. Al 13 ottobre, rispetto ad una media nazionale di 236 casi attualmente positivi per 100.000 abitanti, il range varia dai 64 della Calabria ai 577 della Valle D’Aosta. Anche il trend delle ospedalizzazioni è diventato esponenziale: come detto, nella settimana dal 14 al 20 ottobre i pazienti ricoverati con sintomi sono aumentati del 66,5% (+3.378) e quelli in terapia intensiva del 69,3% (+356), con un rapporto costante di 10:1.
E i pazienti morti sono più che raddoppiati, passando da 216 a 459, con un trend di crescita che si allinea a quello dei pazienti ospedalizzati e in terapia intensiva.
I dati confermano che i sistemi di tracciamento sono già saltati in gran parte del territorio nazionale e ora l’obiettivo principale è prevenire il sovraccarico di ospedali e terapie intensive. Nelle ultime settimane, alcune Regioni hanno introdotto misure restrittive: per Cartabellotta tutto questo dimostra “che la politica non ha una vera strategia per contenere la seconda ondata”. Quindi il monito: “Se, come riferito dal premier Conte in Parlamento, l’obiettivo è quello di tutelare sia la salute che l’economia, Governo, Regioni ed Enti locali devono prendere atto che il virus corre sempre più veloce delle loro decisioni. Non si può continuare ad inseguirlo basandosi sui numeri del giorno che riflettono i contagi di 15 giorni prima, ma – conclude Cartabellotta – occorre guardare alla proiezione delle curve a 2 settimane per decidere immediatamente lockdown mirati, eventuali zone rosse locali e misure restrittive molto più rigorose”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
LASCIATI SOLI IN PRIMA LINEA
“Agli ospedali, giustamente, hanno dato strutture e strumenti, ma noi nulla. Io sono
sempre quello. Il ministro Speranza aveva annunciato 230 milioni per la medicina di base ma di risorse non ne sono arrivate. La diagnostica ambulatoriale non riesce a fare da filtro con le strutture ospedaliere. La gente è frastornata e spaventata ed è difficile gestire i nostri pazienti”.
Il dottor Giandomenico Savorani è medico di base a Bologna. Come tutti gli altri suoi colleghi lavora in trincea cercando di seguire i suoi pazienti, di convincerli a non correre al pronto soccorso al primo sintomo.
Dottor Savorani, ci riesce?
“Non è facile. Purtroppo il caos tamponi, molecolari e antigenici, e test sierologici è un fatto, il servizio pubblico non ha ancora trovato un equilibrio, siamo in difficoltà , procediamo a ondate. Si individua una strada, poi si satura rapidamente. Ma è chiaro che quando ci vuole almeno una settimana per riuscire a prenotare un tampone e tre-quattro giorni per avere il risultato, non è facile convincere le persone a non correre al pronto soccorso”.
E infatti l’appello è proprio a voi medici di famiglia, a cercare di gestire i pazienti a domicilio e ad evitare che affollino senza motivo i pronto soccorso.
“E siamo tutti d’accordo, ma le persone sanno che comunque se ti presenti a un pronto soccorso nel giro di sei-sette ore un tampone te lo fanno e se hai sintomi una Tac riesci ad averla. Io invece cosa posso fare se non provare a fare una diagnosi e prendermi la responsabilità dell’attesa?”
Come gestisce i suoi pazienti con possibili sintomi Covid?
“Intanto cerco di capire il tipo di contatti che possono avere avuto. E’ chiaro che se si tratta di un ragazzo o di una persona adulta con una vita sociale attiva è una cosa se si tratta di una persona che conduce una vita più ritirata è un’altra. Aspetto due o tre giorni per valutare l’evoluzione della sintomatologia e se lo ritengo necessario avvio ai tamponi. Io lavoro in una zona centrale di Bologna dove molti miei pazienti possono permettersi di andare a fare il tampone privatamente, se no tocca rivolgersi al pubblico e i tempi di attesa sono quelli: 7-8 giorni per avere un appuntamento e due o tre per avere il referto. Una risposta assolutamente tardiva”.
E ancora l’inverno e il virus influenzale deve arrivare. Come sta messo a vaccini?
“Male, grazie. Ho già fatto 200 dosi in una settimana e sto finendo le scorte. L’informazione politica e dei mass media non ci ha favorito. Abbiamo una richiesta enorme ma non abbiamo la possibilità di vaccinare tutti. Ho fatto richiesta di nuove dosi ma mi hanno detto che fino a novembre non se ne parla. Intanto sono costretto a scegliere chi vaccinare: anziani e persone con altre patologie. Agli altri, per il momento, non posso che allargare le braccia”.
“Ore al telefono con i malati. La palla al piede è la burocrazia”
«Oggi si comincia con i tamponi rapidi ai pazienti. Ma una cosa voglio dirla subito. Non è uno screening di massa, li faremo solo per appuntamento alle persone che sono state già vagliate dai medici di famiglia». Luca Pestarino, 45 anni, medico di base a Rivarolo, una delle zone più interessate dal contagio a Genova, è preoccupato dall’assalto di pazienti nei locali della Bassa Valpolcevera dove oggi un gruppo di medici che ha dato la disponibilità comincerà i test con i tamponi rapidi.
Dottor Pestarino, perchè è così preoccupato?
«La situazione è molto, molto impegnativa. Nessuno di noi si tira indietro ma tutti abbiamo ogni giorno decine di pazienti che ci chiamano e chiedono risposte. C’è la corsa folle al tampone e non solo per paura della malattia. Sono tantissimi quelli che ce lo chiedono con urgenza per poter far riammettere i ragazzi a scuola, per poter tornare al lavoro, per poter incontrare familiari anziani. E non c’è possibilità per tutti subito».
I test rapidi vi aiutano, no?
«Certo, ma deve essere chiaro che li facciamo a chi ne ha veramente bisogno».
Ma dove li fate, nei vostri studi?
«No, somministreremo i tamponi in assoluta sicurezza in alcuni spazi grandi, la sede del municipio di Teglia, il dopolavoro ferroviario di Rivarolo, quella del coro del Monte Bianco di Certosa, tutti per appuntamento. Ringrazio la società civile che ci è venuta incontro, gratuitamente».
Ai medici di famiglia viene chiesto di gestire i pazienti a domicilio e di evitare la corsa in ospedale. Lei ci riesce?
«Ogni giorno passo ore al telefono o sulle chat di Whatsapp a rispondere ai miei assistiti: “State a casa, state tranquilli. Non andate al pronto soccorso”. Tra le 50 e 100 telefonate al giorno, direi. Io ho una decina di pazienti positivi e seguirli a casa non è facile ma cerco di rispondere a tutti, li sento ogni giorno, li valuto, li tranquillizzo: anche a casa ci sono protocolli e terapie».
Cosa le serve per affrontare questi mesi complicati?
«Siamo in trincea, facciamo l’impossibile, ma abbiamo bisogno di risorse e di una semplificazione della burocrazia che ci ruba tempo prezioso
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
I TIMORI PIU’ FORTI RUOTANO INTORNO ALL’ECONOMIA… SULLA SANITA’ PREVALE LA RABBIA PER CIO’ CHE NON E’ STATO FATTO
La seconda ondata di Covid-19 spaventa gli italiani, sia sul piano sanitario che – soprattutto – su quello economico. E la maggioranza, questa volta, ritiene che che il governo si sia fatto trovare impreparato di fronte a un fenomeno che forse poteva essere gestito meglio. E’ quanto emerge da un sondaggio di Alessandra Ghisleri per La Stampa, che fotografa la paura e la rabbia degli italiani di fronte al riaccendersi dei contagi e al ritorno delle misure di contemimento.
Per il 53.6% degli italiani intervistati, il nostro Paese si è fatto cogliere impreparato soprattutto dal punto di vista sanitario; il dato interessante è che questa sensazione coinvolge anche gli elettorati della maggioranza
Le preoccupazioni principali per i cittadini oggi ruotano proprio intorno al lavoro e alla disoccupazione (29.7%, +9.1% in un mese), al rilancio dell’economia nazionale (21.8%, +2.3% in un mese) e alla sanità (17.0%, +1.1% in un mese).
Se l’arrivo di Covid-19 in Italia all’inizio dell’anno aveva messo in evidenza una volta di più tutte quelle difficoltà pregresse del sistema, oggi la prospettiva è cambiata e ci sentiamo impreparati e non attrezzati per l’arrivo della seconda ondata. Oggi gli italiani si sentono nuovamente sguarniti di certezze e sicurezze. Non sempre riescono a trovare una logica complessiva nelle regole imposte.
(da “Huffingtonpost”)
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