Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
PUR DI INCASSARE I DIRITTI TV E MUOVERE IL BUSINESS SI STA METTENDO IN PERICOLO LA SALUTE DEI GIOCATORI PER UN CIRCO BARNUM CHE NARCOTIZZA LE MASSE … SOLO DEI FOLLI POSSONO PENSARE CHE SI POSSA GIOCARE CON 13 GIOCATORI NON POSITIVI, COMPRESE RISERVE E RAGAZZINI DELLA PRIMAVERA
Cosa ne pensiamo:
1) Il campionato è falsato.
E’ evidente a tutte le persone in buona fede che se a una squadra di calcio vengono a mancare anche soli tre giocatori titolari, soprattutto se si tratta di una squadra di bassa-media classifica che non conta su una panchina adeguata, l’indisponibilità dei calciatori penalizza pesantemente la squadra. Secondo la Lega calcio si deve invece giocare “ad ogni costo” anche se si hanno a disposizione almeno 13 atleti (comprese le riserve e la squadra primavera). Ovvero su una rosa di 40-50 calciatori si deve giocare se si raccattano 13 ragazzini.
2) Si mette a rischio la salute
Il caso Genoa è emblematico: da due giocatori positivi si è arrivati a 21. La Lega ha rinviato allora la gara Torino-Genoa inventandosi un bonus. Ovvero per una volta è ammesso il rinvio se i giocatori positivi sono più di 13, MA SOLO PER UNA VOLTA. Ridicolo, visto che sono provati i casi di recidiva e quindi tra un mese potrebbe ripetersi la positività .
3) Il business miliardario non si può fermare
Oggi contano i diritti Tv, le maggiori entrate per i club non sono gli incassi allo stadio (tra il 10 e 20% degli introiti) ma quelli delle Tv che trasmettono le partite. Niente partite, niente soldi. Quindi prima della salute vengono i quattrini e chi se frega dei contagi.
4) La Asl di Napoli ha titolo a bloccare i giocatori in quarantena
Persino il protocollo farsa della Lega prevede che istituzioni sanitarie nazionali o locali possano bloccare lo svolgimento di una partita. Quello che vale per i comuni mortali dovrebbe sempre valere anche per le categorie privilegiate: perchè mai giocatori in quarantena dovrebbero essere liberi di circolare con il rischio che possano contagiare altre persone? E poi ci lamentiamo del tipo che doveva stare in quarantena a casa e invece è in centro a fare shopping?
5) La soluzione c’e’: è quella di buon senso
Oltre un certo limite si chiude il circo: fino a che è possibile si proceda a rinviare le partite con più di tre contagiati, ricollocandole in altra data.
In caso che i contagi dilaghino e la strada non sia percorribile si dichiari chiuso il campionato e amen.
La maggiore spesa è quella degli stipendi dei calciatori: visto che le società versano loro i contributi, per qualche mese percepiranno la cassa integrazione.
Con i soldi che guadagnano possono permetterselo sicuramente più di un operaio e non moriranno certo di fame. Le società senza spese sopravviveranno e gli addetti ai lavori ne guadagneranno in salute.
Per l’indotto stesso discorso: bonus salvaguardia per qualche mese e tutti in attesa di tempi migliori.
Alle emergenze si risponde con soluzioni e sacrifici per tutti.
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
PASTICCIO CLAMOROSO TRA GOVERNO, LEGA DI SERIE A E AUTORITA’ SANITARIE: IL NAPOLI PREPARA IL RICORSO…COSI’ IL CAMPIONATO E’ GIA’ FALSATO O E’ GIA’ FINITO
Triplice fiasco su Juventus-Napoli. Al termine di una giornata surreale, il dato che emerge è che la Lega Calcio, organo composto da società private, può ignorare le norme di rango superiore rispetto ai suoi protocolli, le disposizioni di una azienda sanitaria locale e i richiami di due ministeri.
Il Governo, contraddetto pubblicamente, non ci fa una bella figura, i vertici del calcio nemmeno, i club coinvolti rischiano di pagare il danno d’immagine maggiore, tra accuse incrociate di vittimismo e furbizia.
E pure le Asl, responsabili della salute pubblica sul territorio di competenza come ribadito anche dal Cts, vengono travolte dalle polemiche per decisioni ritenute esagerate.
In un contesto nazionale che vede la preoccupazione aumentare di pari passo con la curva dei contagi, a dare spettacolo – purtroppo imbarazzante – sono un po’ tutti: governo dello Stato, Governo del calcio e pure i club che nell’arco di due giorni non sono riusciti a trovare una soluzione di comune accordo.
L’unica comunicazione tra il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis e l’omologo della Juventus Andrea Agnelli sta in un messaggino inviato dal primo al secondo: “Rimandiamo?”. Risposta: “La Juventus come sempre si attiene ai regolamenti”, ha detto lo stesso Agnelli a Sky.
La giornata è iniziata con le due squadre ferme sulle posizioni del giorno prima. La Juventus fin dalla mattina ha confermato di voler scendere in campo con o senza la presenza del Napoli, ha fatto svolgere la rifinitura ai suoi giocatori e ha rilanciato la lista dei convocati come se nulla fosse.
Il Napoli è rimasto invece in isolamento. Perchè gli azzurri non sono partiti per Torino? Eppure pochi giorni fa la Lega ha adottato un protocollo per far disputare le partite in caso di calciatori positivi in una o più squadre alla vigilia di un match.
La circolare del 2 ottobre non difetta di chiarezza e anzi prevede che partite come Juventus-Napoli rientrino nella casistica dei match da giocare, in linea generale.
In base a questa circolare, gli azzurri dovranno essere penalizzati con la sconfitta a tavolino per 3 a 0 e un punto di penalizzazione in classifica.
Tuttavia, visto che la vigilanza e le responsabilità in tema di sanità sono com’è ovvio in campo alle autorità pubbliche, si prevede il rinvio senza penalità “fatti salvi eventuali provvedimenti delle Autorità Statali o locali”.
Dopo due casi di positività Covid registrati tra i calciatori (Zielinski ed Elmas) ieri l’Asl Napoli 1 ha disposto che i “contatti stretti” (cioè tutta la squadra) dei giocatori risultati positivi “dovranno rispettare l’isolamento fiduciario”.
“Pertanto – continua l’azienda sanitaria – si resta in attesa di conoscere il domicilio presso il quale verrà effettuato l’isolamento per poter avviare le azioni conseguenziali di sorveglianza sanitaria”. Si tratta di una decisione in controtendenza rispetto a quelle prese dalle Asl di altre regioni, dove ai club con casi di positività è stato comunque permesso di giocare.
La decisione spetta comunque alle autorità competenti per territorio e non è affatto detto che siano coordinate.
Nella lettera dell’Asl napoletana si richiama la circolare del Ministero della Salute del 18 giugno, e qui si cela probabilmente il fallo interpretativo dietro il caso Juventus-Napoli.
Nella circolare si legge che per l’attività agonistica di squadra professionista l’Asl “può prevedere che [..] alla quarantena dei contatti stretti possa far seguito” il tampone per tutta la squadra il giorno della gara programmata “in modo da ottenere i risultati entro 4 ore e consentire l’accesso allo stadio e la disputa della gara solo ai soggetti risultati negativi”.
Viene quindi definito un protocollo sanitario da seguire per consentire ai negativi di poter scendere in campo, ma non introduce un obbligo quanto una facoltà che resta ovviamente in capo all’Asl (non “provvede” ma “prevede che… possa… ”).
D’altronde che la volontà delle autorità sanitarie campane fosse quella di impedire la partenza dei calciatori per Torino è chiaro anche dalla lettera inviata questa mattina dall’Asl Napoli 2 alla società napoletana. “Tenuto conto che i calciatori del Napoli recandosi a Torino avrebbero inevitabilmente contatti con una pluralità di terzi (personale dell’aeroporto, equipaggio e passeggeri del volo, personale dell’hotel sede di ritiro, addetti e tesserati della Juventus) si ritiene che le condizioni non consentano lo spostamento in sicurezza”.
“Il Napoli non poteva partire per Torino. Avrebbe messo a rischio molte altre persone”, ha chiarito ancora una volta il direttore generale della Asl Napoli 2 Nord Antonio D’Amore a Radio Capital.
Quindi non solo a rigor di logica, ma pure a rigor di norma (le due cose non sempre coincidono), il Napoli non poteva scendere in campo, a causa di un “provvedimento di una autorità locale” che rientra chiaramente tra quelli menzionati dalla circolare della Lega Calcio. Le regole, da questo punto di vista, sono chiare, anche se possono essere criticabili.
Per questo il ministro della Salute Roberto Speranza ha affermato in diretta tv a In Mezz’ora in Più che ”è già deciso che non si giocherà , è già una notizia consolidata. Ma ribadisco, attenzione perchè le cose importanti sono altre”.
Il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora – che domani incontrerà Lega e Figc – ha preferito non schierarsi apertamente, ricordando da un lato che “alle Autorità sanitarie locali è demandata una chiara responsabilità e una precisa azione di vigilanza” e al tempo stesso che “spetta ora agli organismi sportivi decidere sugli aspetti specifici del campionato, sia sulla decisione di stasera che su eventuali ricorsi futuri”.
Alla Lega Calcio la posizione del Governo ha interessato quel tanto che basta. E anzi, dopo una riunione, ha contraddetto apertamente il ministro della Salute disponendo che la partita si disputasse anche con la presenza di una sola squadra in campo. Secondo l’organo rappresentativo delle società le norme per rinviare la partita “non si applicano” perchè “non sussistono provvedimenti di Autorità Statali o locali che impediscano il regolare svolgimento della partita”.
Il Napoli invece prepara la battaglia legale mentre fuori dallo stadio San Paolo è apparso uno striscione: “Il peggior virus si chiama Juventus…20:45 Amuchina su Torino”.
Pessimo spettacolo, ed è appena iniziato.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
INVECE CHE PASSARE IL TEMPO A LAMENTARSI E’ ORA CHE GLI ITALIANI DIMOSTRINO SENSO CIVICO, CONDOTTE RESPONSABILI E APPARTENENZA A UNA COMUNITA’ NAZIONALE
Corsi e ricorsi storici… Quando le cose non vanno bene, quando ci sono i problemi – ed i drammi – è sempre colpa, soltanto, dei politici…
Il contagio aumenta? E’ colpa dei politici!
L’economia soffre, le imprese chiudono e le persone perdono l’impiego? I politici non sono capaci..
La scuola non funziona? La politica è inadeguata allo scopo.
Ma noi, come cittadini, come parte integrante di una comunità , cosa siamo disposti a fare – davvero – per gli altri e per la crescita della nostra terra e del nostro Paese?
Qui non si tratta di stabilire se, rispetto alle varie tematiche oggetto di riflessione e di attenzione, sia preferibile “l’approccio individualista” o quello “collettivista”, perchè l’impegno civico è questione che prescinde da qualsivoglia ipotesi preconcetta.
I politici ed i dirigenti incapaci ci saranno sempre: la “cosa” fa parte delle “regole del gioco”, purtroppo
La politica, però, non potrà mai supplire alla nostra carenza di impegno civico o di serietà . Ce le potrà imporre con la forza della legge, ma quando cose del genere accadono – diciamolo – è soltanto perchè si è consumata l’ennesima, profonda e devastante sconfitta di un intero popolo..
Certe battaglie sono parte e coinvolgono ciascuno di noi.
La crisi economica è reale. La pandemia, pure…
Soltanto condotte responsabili, soltanto il sentirci parte di un’unitaria comunità , da vivere responsabilmente, ci eviteranno ulteriori morti, ulteriori sofferenze, ulteriori chiusure di imprese ed ulteriori perdite di posti di lavoro, oltre alla disperazione, sia individuale che collettiva.
Destra, sinistra, centro… Lasciamole perdere le “etichette”. Se davvero ci vogliamo bene, e se davvero vogliamo bene alla nostra terra, dimostriamolo.
Certe cose, nella specie le condotte responsabilmente individuali, sono di nostra esclusiva pertinenza. E’ nostro dovere farle, certe cose. Limitarsi a lamentarsi, chiedendo alla politica di fare “magie”, non è cosa, nè praticabile, nè seria.
Il pericolo è reale e la necessità di essere “uomini e donne vere”, lo è ancora di più.
Indossare la mascherina, evitare gli assembramenti, mantenere la distanza fisica, non sono capricci alla mercè dei “negazionisti” o meno: rappresentano quel “piccolo, grande dovere” che si dovrebbe appartenere a qualsivoglia persona seriamente innamorata della propria terra e di se stessa.
La realtà non è mai immutabile. Cambiarla è possibile, a condizione di essere dei “piccoli eroi del civismo”, però.
La “luna”, a ben vedere, non è, poi, così lontana… Volere, è potere…
Salvatore Totò Castello
Right Blu – la Destra Liberale
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
IL MOVIMENTO “C’EST MOI” DICE IL FIGLIO DEL FONDATORE
Affonda il colpo nel giorno dell’undicesimo anniversario. Ci sarebbe dovuta essere la festa del Villaggio Rousseau e invece sul Blog delle Stelle appare il post che preannuncia la scissione.
“Niente supporto al Movimento 5 Stelle se diventerà un partito”, scrive Davide Casaleggio e un attimo dopo Alessandro Di Battista ne rilancia il contenuto invitando alla lettura. L’asse tra i due è chiaro e sempre più saldo.
Così come è sotto gli occhi di tutti la lontananza tra loro e il resto del Movimento. Ma a questo punto, la domanda che rimbalza nelle chat è: “In caso di scissione, chi va dove?”.
Si potrebbe aprire una battaglia legale sul simbolo M5S, Oggi di proprietà di Beppe Grillo ma affidato all’Associazione Rousseau, quindi a Casaleggio e a Luigi Di Maio. Poi ce n’è anche un altro, già oggetto di disputa in tribunale. E comunque, da quel poco che trapela da ambienti milanesi, Casaleggio non ha alcuna intenzione di darla vinta facilmente. “Se andrà via, andrà via portandosi il pallone”, spiegano fonti pentastellate a lui vicine. La guerra è appena iniziata.
Ed infatti ecco la risposta del Comitato di Garanzia del Movimento, formato da Vito Crimi, Giancarlo Cancelleri e Roberta Lombardi, che lo mette in mora e lo diffida dall’utilizzare il sito “per veicolare suoi messaggi personali non condivisi con gli organi” del M5S.
“Il Blog delle Stelle è il canale ufficiale del Movimento 5 stelle e Davide Casaleggio — si legge nella pagina Facebook – non ricopre alcuna carica nel Movimento 5 Stelle. Il post pubblicato in data odierna rappresenta una sua iniziativa, personale e arbitraria, diffusa attraverso uno strumento di comunicazione ufficiale del Movimento 5 Stelle. Il Movimento 5 Stelle siamo noi, tutti, non è appannaggio di qualcuno in particolare”. Eppure il Blog delle Stelle è intestato a Davide Casaleggio.
Beppe Grillo scende in campo a suo modo, citando Casaleggio padre, proprio nel giorno in cui Casaleggio figlio dice nei fatti che il Movimento ha tradito il fondatore. “Nel libro ‘Il Grillo canta sempre al tramonto’ scritto con Fo e Casaleggio — ricorda il comico – quest’ultimo diceva: ‘Noi abbiamo scelto appositamente la data di #SanFrancesco per la creazione del MoVimento. Politica senza soldi. Rispetto degli animali e dell’ambiente. Siamo i pazzi della democrazia, forse molti non ci capiscono proprio per questo e continuano a chiedersi chi c’è dietro’”.
Sta un po’ di qua e un po’ di là riguardo il Movimento, di certo però non rinuncerebbe mai all’alleanza con il Pd quindi la distanza con Davide per adesso è siderale.
Solo poco giorni fa l’associazione Rousseau di cui il figlio del co-fondatore è presidente aveva tagliato i servizi informatici ai 5 stelle, ora ha tolto anche l’esclusiva. Per tanti deputati e senatori è una liberazione non dover più dipendere dall’Associazione Rousseau e non versare più i 300 euro mensili, che ormai già molti parlamentari non versavano.
Le tensioni nel Movimento infatti covavano da tempo, con il patron di Rousseau che appariva sempre più isolato.
Il ‘caso’ dei mancati versamenti da parte degli eletti alla piattaforma web ha spezzato quello che sembrava un asse inscalfibile: Rousseau è pronto a dire addio al M5S e, di fatto, lo fa da oggi annunciando che il rapporto con i Cinque Stelle non è più esclusivo. “Ci attiveremo affinchè gli strumenti di partecipazione che abbiamo creato in questi anni siano a disposizione di tutti con un modello open source e saremo pronti a collaborare con movimenti, associazioni e organizzazioni”.
La progressiva trasformazione in partito è l’elemento che, per Casaleggio, mina alla base l’esistenza stessa di M5s. “Il Movimento 5 Stelle è nato con alcune promesse agli iscritti e agli elettori che io non ho dimenticato e non posso sconfessare. La prima di queste è che non saremmo mai diventati partito, non solo come struttura, ma soprattutto come mentalità .
Assieme a questo, però, Casaleggio accusa apertamente i vertici politici del Movimento dai quali si sente, evidentemente, tradito. “Ho dovuto sopportare insinuazioni, attacchi e calunnie nei miei confronti e nei confronti di mio padre anche da persone che grazie al nostro lavoro ricoprono oggi posizioni importanti”. Il riferimento è a Di Maio che ormai non fa altro che ripetere: “Rimaniamo uniti e guardiamo avanti”. Quando, per l’ex capo politico, l’Associazione Rousseau e Davide Casaleggio, fanno parte del passato.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
UN NEW NORMAL DAL PROFILO NOVECENTESCO DIVENTATO PILASTRO STIMATO ALL’ESTERO PER LA SUA RISPOSTA ALLA PANDEMIA
Profetico fu il suo amico Gianni Cuperlo, già compagno di partito, che in un sottopalco di una festa di Articolo Uno, fine estate 2019, all’ex mattatoio del Testaccio, lo incalzò a bruciapelo. “Roberto”, disse, “ti devo chiedere una cosa importante”. E all’evidente interesse del ministro alla Salute di fresco incarico, replicò serafico toccandosi il fianco: “Ho un doloretto qui, che mi consigli?”, tra le risate bonarie dei presenti.
Gratificante è stata di recente Angela Merkel, che sconsigliando ai connazionali i viaggi nell’Europa sferzata dal Covid, ha sorpreso non pochi elogiando l’Italia, fuor di stereotipo ‘bella ma casinista’, anzi uno dei posti “non a rischio” laddove “si agisce con grandissima cautela”.
La nomina insperata in un governo insperato, chimera giallorossa nata sulle ceneri dei “pieni poteri” di Matteo Salvini, e la ‘laurea honoris causa’ conferita dalla cancelliera dottoranda in chimica quantistica per la tenuta insperata in un contesto disperato.
Un sottopalco e la Merkel. Lo stupore e la cautela. Ecco, in un anno, i due poli di Roberto Speranza, il ministro della Salute ai tempi della grande pandemia.
Tra lo stupore di tutti arriva al giuramento del Conte 2, agosto 2019, esponente del piccolo LeU, sostanzialmente a digiuno di camici, corsie, farmaci. Ma non importa. Anche se a chi, come Gad Lerner gli chiederà se abbia dovuto fare un “corso accelerato” in virus ed epidemie, risponderà che “la sanità è stata una passione” e “da sempre”, Speranza, già rappresentante di istituto al “Galileo Galilei” di Potenza, ultimo segretario della Sinistra giovanile, creatura diessina che nel post Bolognina aveva preso il posto della più gloriosa Fgic, laureato in scienze politiche alla Luiss, un breve periodo alle risorse umane della Barilla, insomma non proprio un esperto di sanità , crede “nel primato della politica” sui tecnici.
Politica versus tecnica. Antipasto ideologico e un po’ nemesi di un conflitto che nei mesi pandemici scorrerà carsico nelle istituzioni per emergere in superficie più volte, drammatico e inevitabile.
Tanto che ai tecnici il ministro dovrà affidarsi e ricorrere, necessariamente. Contro il diabolico virus i due pilastri fondativi del suo mandato, l’articolo 32 della Costituzione – a cui ricorre come a un mantra — e il Sistema sanitario nazionale, non sono sufficienti.
Persino la battaglia, vinta, sull’abolizione del superticket diventa purtroppo trascurabile. Con migliaia di morti al giorno, le immagini tragiche delle bare di Bergamo, il lockdown, sono ben altre le decisioni da prendere.
“Nell’emergenza — racconterà — ho conosciuto persone straordinarie, da Ippolito a Brusaferro a Rezza, e altri con cui si è creata un’amicizia, direi quasi un’intimità , di quelle che dureranno tutta la vita”.
Amici per la vita che si aggiungeranno a quelli della politica, degli anni pre-pandemia. Pier Luigi Bersani, suo mentore, ovviamente, ma per ragioni anagrafiche soprattutto Enzo Amendola e Peppe Provenzano, compagni nella Sinistra giovanile, e ora colleghi ministri, “con la stessa cultura politica”, anche se in partiti diversi.
Dettaglio questo, non da poco, considerato che nel Partito democratico, abbandonato in polemica con Matteo Renzi nel 2017, Speranza non era proprio un corpo estraneo. Tutt’altro.
È proprio nel Pd che sorprende in parecchi quando nel 2009 sbanca le primarie per il segretario regionale della Basilicata piazzandosi davanti a due eminenze locali, il sindaco di Matera Salvatore Adduce, e l’ex segretario regionale della Margherita e più volte assessore, Erminio Restaino.
È tra lo stupore di molti deputati dem, che Pier Luigi Bersani, per il quale Speranza aveva curato le primarie vittoriose dell’anno prima, lo impone a capogruppo alla Camera e chiede il “voto per acclamazione” per il “giovane di lungo corso”, spaccando il partito.
Dieci giorni dopo, in quel drammatico marzo del 2013, dopo la “non vittoria” del suo mentore alle politiche, arriveranno i celebri “101” del Capranica e la stroncatura di Romano Prodi al Quirinale. “Una ferita che sentiamo ancora sulla pelle” – confesserà anni dopo a Vittorio Zincone – “Io in modo particolare. Non credo che si rimarginerà facilmente”.
E’ la politica a costringerlo a dare ascolto al suo cocktail genetico: anima lucana e dna british — è inglese suo fratello, Peter, e la madre; ha un cugino, Nick, già collaboratore del premier (laburista) Gordon Brown.
A indurlo a parlare poco, e con grandissima prudenza. Ed è proprio nella declinazione in infinite sfumature di una delle quattro virtù cardinali della morale occidentale, nella “retta norma dell’azione” decantata da Tommaso d’Aquino, che si esplicita la gestione dell’emergenza di Speranza.
Cautela, precauzione, attenzione. E ancora: “Dobbiamo dire la verità ”; “Il pericolo non è scampato”; “Ci aspettano mesi ancora difficili”.
Questo nelle dichiarazioni ai media, mentre non è un mistero che nelle segrete stanze del Comitato tecnico scientifico, o in sede di governo, Speranza abbia tenuto ferma la barra sulla massima prudenza, fino a essere percepito come un ‘frenatore’.
“Lo so che sono dipinto come quello più rigido.”- confessa in un colloquio, uno dei pochi, di quei giorni – “Ma proprio perchè sono il ministro della Salute mi sento in obbligo di essere severo. Non voglio ingannare nessuno”.
E non ingannare nessuno implica anche scomparire e non rilasciarle del tutto le interviste, come è accaduto nei due mesi neri di marzo e aprile, con il picco di contagi e decessi e il Paese bloccato dal lockdown.
D’altra parte, è lui stesso a teorizzarlo, definendosi “novecentesco”, refrattario a social o comparsate nei tg. Meglio lavorare nell’ombra, telefonare a tutti gli esponenti dell’opposizione prima di decidere la zona rossa di Codogno, mediare, e limitarsi a gioire col suo staff negli uffici ministeriali romani di Lungotevere Ripa, mostrando il cellulare con il pezzo sul New York Times del Nobel all’Economia Paul Krugman.
Dal titolo che vale più di mille tweet: “Perchè l’America di Trump non può essere come l’Italia?”.
Insomma, assodato che il personaggio ha un profilo decisamente ‘new normal’, un quarantenne con due figli sposato con moglie conosciuta a 16 anni,a questo punto il pericolo è di farne un ‘santino’. Ma pur sfumate in questa atmosfera sobria e responsabile, le decisioni controverse non sono mancate, come quella di chiudere immediatamente i voli con la Cina, con l’effetto di non controllare i flussi in entrata e uscita via terra o via mare.
O la tendenza a scegliere la via più dura, quindi paradossalmente meno coraggiosa, come nella difesa della chiusura a oltranza, a fronte di un panorama economico in via di disfacimento.
“Non so se rifarei tutto”, ha anche confessato, ma chi potrebbe sostenere il contrario al cospetto di un evento inaspettato e inedito come una pandemia? Anche se in verità un cambio di tendenza si è avuta quest’estate, con il nostro a rassicurare “che non ci sarà un nuovo lockdown” e a mettere la faccia sulla riapertura delle scuole.
Ora che, come sostiene lo stesso, siamo nell’“ora della resistenza al virus”, con mezza Europa contaminata di nuovo e la seconda ondata purtroppo alle porte, non resta che sperare che il paradigma speranziano regga.
Che la cura da lui annunciata “vicina” lo sia per davvero. E che il ministro della cautela e dello stupore possa tornare all’Olimpico dov’è abbonato a tifare Roma (il suo amato Totti difficile che possa tornare a goderselo).
A strappare sulla politica, per dire, su temi pre-pandemici come lo Statuto dei lavoratori o il Jobs Act. O sul Mes, che garantirebbe 20 miliardi per l’agognato modello territoriale di sanità .
Vorrebbe dire che “new normal” saremmo tornati a essere tutti noi.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
UNO STUDIO CERTIFICA: “GENERA RABBIA E RIGETTO VERSO IL PRODOTTO E IL MARCHIO”
Secondo i risultati di uno studio condotto da un team di ricercatrici e ricercatori dell’Università di Padova e Trieste, la pubblicità sessualizzata genera rabbia e rigetto verso il prodotto e il marchio
«Il sesso? Vende». Questo, per decenni, è stato il “ritornello” che ha guidato il lavoro delle agenzie pubblicitarie di tutto il mondo. Una sorta di regola aurea che però, nel corso degli anni, è stata più volte messa in discussione, parallelamente allo sviluppo e alla crescita dell’empowerment delle donne, che ne ha aumentato il potere economico e decisionale, e di conseguenza d’acquisto.
Un’oggettificazione sessuale, quella delle donne nelle pubblicità , che con il passare del tempo è risultata sempre meno efficace, se non addirittura controproducente in termini di (mancato) acquisto dei prodotti sponsorizzati e di (negativo) ritorno d’immagine per i marchi che ne hanno fatto ricorso.
Inoltre, con il passaggio del ruolo del consumatore a prosumer (crasi di producer (produttore) e consumer (consumatore), coniata da Alvin Toffle e risalente a ormai 50 anni fa, ndr) il mondo della pubblicità — e non solo della produzione — ha dovuto rimettere in discussione le proprie “leggi”, per rimanere al passo con i cambiamenti socio-culturali del mondo.
L’effetto paradosso
A ciò si aggiunge anche la variazione e l’aumento di strumenti per indirizzare il messaggio promozionale verso i consumatori. Se prima l’attenzione delle persone incontrava a intermittenza la pubblicità sulla carta stampata, in tv, alla radio o mediante le grandi affissioni sparse per le città , oggi si interfaccia in modo pressochè continuo con prodotti sul web e in particolare sui social network.
E questa iper-esposizione alla rèclame — i cui confini identificativi, in qualità di pubblicità , sono divenuti sempre più labili e presentati in modo più o meno esplicito — ha ulteriormente alimentato i dubbi sull’effettiva efficacia dell’iper-sessualizzazione nei messaggi pubblicitari, in particolare modo quelli contenenti come modelli sia donne sia uomini in atteggiamenti e pose iper-sessualizzate.
Ed è proprio su quest’ultima ipotesi che si basa un recente studio scientifico condotto da un team di ricercatrici e ricercatori dell’Università di Padova e Trieste (Sarah Gramazio, Mara Cadinu, Francesca Guizzo e Andrea Carnaghi) e che — in sintesi — hanno messo in dubbio la regola secondo cui, ancora oggi, il «sesso vende» e hanno ipotizzato, al contrario, un “effetto paradosso“.
La metodologia dello studio
Coinvolgendo centinaia di donne e uomini di nazionalità italiana, lo studio si è svolto in quattro fasi in cui sono state mostrate delle pubblicità di svariati prodotti (dalla carta igienica, agli alcolici, passando per profumi e occhiali da sole) in due “formule”: una neutra (ossia solo con il prodotto) e un’altra con la presenza di modelle e modelli ad affiancare i prodotti in pose e atteggiamenti ammiccanti ed esplicitamente sessualizzati.
Sia le modelle sia i modelli presenti nell’esperimento erano tutti di carnagione bianca e rispecchiavano canoni di bellezza standardizzati e tradizionalmente associati al concetto di “bello” (inteso nell’ottica pubblicitaria), ossia magrezza nel caso delle donne e muscolatura accentuata per i modelli maschili.
Dopo aver visionato prima gli annunci neutri e successivamente la versione sessualizzata, le donne hanno mostrato minore intenzione di acquistare il prodotto, sia nel caso di pubblicità con modelle femminili, sia con modelli maschili. Inoltre, si è ottenuta la medesima reazione nel momento in cui gli uomini sono stati esposti a pubblicità con aitanti modelli.
I risultati della ricerca
In ambedue i casi, seppur con maggiore incidenza sul fronte femminile, gli annunci iper-sessualizzati hanno evocato un ampio ventaglio di emozioni negative, che andavano dalla rabbia alla tristezza, così come innescavano stati di agitazione e di rigetto nei confronti del prodotto. Secondo gli autori dello studio, infatti, le rappresentazioni sessuali presentate alimentano «la disuguaglianza di genere, la tolleranza verso le molestie sessuali e l’accettazione del mito dello stupro».
Ma dallo studio è emerso anche un cambiamento di paradigma da parte degli uomini nei confronti delle pubblicità con modelle femminili sessualizzate. Secondo quanto emerso dalla ricerca, anche gli uomini «in gran parte non risultavano influenzati dal livello di sessualizzazione delle donne presenti negli annunci».
Questo — a detta degli studiosi — metterebbe in luce che col passare degli anni (facendo riferimento a studi sull’efficacia pubblicitaria di alcuni costrutti iconografici, svolti in particolare modo dagli anni Settanta in poi, ndr) «le persone potrebbero aver sviluppato un apprezzamento per una varietà di annunci di modelli femminili e maschili che va oltre la sessualizzazione».
Gli ignoti scenari futuri della pubblicità
Una sintesi di ricerca che in futuro potrà essere certamente ripetuta e implementata, sottoponendo al campione di tester pubblicità con modelle e modelli scelti con un approccio più inclusivo, nonchè prodotti più polarizzanti (di lusso e ordinari, ndr) — così come apertamente dichiarato dal team dell’Università di Padova e Trieste -, che ribadisce la necessità di rimettere in discussione le proprie “regole auree” per il panorama pubblicitario.
Luoghi comuni non più specchio dei tempi, ormai divenuti obsoleti e dinanzi ai quali si rischia di innescare mera indifferenza. È difficile immaginare quale sarebbe la reazione odierna dinanzi all’iconica campagna pubblicitaria dei Jesus jeans realizzata da Emanuele Pirella e da Michael Goettsche che coniarono lo slogan «Chi mi ama mi segua». Un claim che campeggiava sulla foto del tondo fondoschiena della modella Donna Jordan, scattata dal fotografo Oliviero Toscani.
Probabilmente — oggi — la medesima campagna avrebbe innescato una polemica, destinata però a durare pochi giorni, salvo poi essere archiviata in fretta e furia da una nuova polemica. Invece che diventare — come è stata — un’icona senza tempo, a prescindere dall’opinione, dai valori e dal gusto personale.
Ma l’immagine immortalata da Toscani resta un fotogramma di quell’epoca, non della contemporaneità . E, sulla scia dei risultati dello studio dell’Università di Padova e Trieste, quell’iconografia sessualizzata e di mercificazione del corpo — oggi — potrebbe creare rigetto nella potenziale acquirente, innescando l’effetto paradosso.
Insomma, nel campo pubblicitario sembra esserci sempre più l’urgenza di abbandonare codici del passato, aprendo invece le porte ai cambiamenti del mondo, così come ai nuovi assetti socio-culturali, e di conseguenza ai nuovi valori (e alle emozioni) dei consumatori e delle consumatrici. L’alta posta in gioco resta la stessa: non più il «purchè se ne parli», ma il vendere o non vendere. Per davvero.
(da Open)
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
“METTIAMO AL MONDO DEGLI ATLETI DELLA VITA, POI LI SOSTENIAMO ANCHE QUANDO NON C’E’ BISOGNO CON IL RISULTATO DI CREARE ADULTI-BAMBINI, CONDANNATI AD UN’ETERNA INFANZIA”
“La famiglia ammala, se non libera i suoi figli, se non li prepara al mondo”: ad affermarlo è la psicanalista Laura Pigozzi, autrice del libro “Troppa famiglia fa male”, nel quale spiega come la dipendenza materna crei adulti-bambini (e pessimi cittadini). Dai casi di cronaca che raccontano di giovani che uccidono loro coetanei si evince un vuoto etico, di sentimenti, a cui la dottoressa attribuisce una spiegazione.
“La famiglia, all’origine della civiltà , oggi ne sta decretando la fine – afferma ad HuffPost – Ed è una crisi che investe l’intera società perchè ciò che accade all’interno della famiglia si ripercuote sul sociale”.
“Gabriele Bianchi, uno degli assassini di Willy Monteiro Duarte, il 21enne ammazzato di botte a Colleferro, aveva un tatuaggio sull’addome con la scritta: ‘Proteggi la famiglia’ – prosegue la psicanalista -. Il ragazzo che ha ucciso i due fidanzati a Lecce si dice avesse un attaccamento morboso ai suoi genitori, un giovane che non viveva la sua età . Infatti si ritiene che uno dei moventi dell’omicidio possa essere stata l’invidia, perchè i due fidanzati – al contrario suo – vivevano al di fuori della famiglia, stavano per costituire un nucleo. Lui invece era intrappolato, ancorato alla sua realtà d’origine. Che cosa ci insegnano questi due fatti? Che la famiglia, quando è troppo presente, quando non ha preparato l’individuo all’indipendenza, quando non fa altro che proteggere i suoi figli crea cittadini-bambini, disabituati alle regole del vivere civile, disabituati all’altro. Il ‘troppo amore’ non lascia spazio, riempie tutto e fuori dal bozzolo il mondo viene visto come una seccatura, come un posto che fa paura, come un regno in cui sfogare la propria violenza”.
La Pigozzi parla di “pedagogia della stampella”: “Mettiamo al mondo degli atleti della vita, poi cominciamo a sostenerli anche quando non c’è bisogno. Siamo onnipresenti, iniziamo a non fidarci della maestra, a dire che la nonna sbaglia, che la baby-sitter non è in grado di fare le cose come le vogliamo noi. Vedo mamme alle medie che accompagnano ancora i figli a scuola e portano loro lo zaino, mamme che fanno i compiti privandosi di altre occupazioni, genitori che si presentano ai colloqui di lavoro dei figli. Ecco che si crea un cortocircuito: all’atleta – che ha tutte le carte in regola per correre benissimo – è come se venisse detto: ‘Ma dai, metti le stampelle, vedrai che farai meno fatica’. Diventerà mai un vero atleta? No”.
Il prodotto di questo tipo di educazione è il “cittadino-bambino”, uno che, secondo la psicanalista, “si aspetta sempre che gli altri facciano qualcosa per lui, che lo Stato faccia qualcosa per lui, che non debba dare nulla alla società ”.
E questo perchè fin dalla nascita è stato iper protetto, perchè non è stato avviato all’indipendenza: “Oggi le mamme e i papà si insinuano per ogni dove. Due bambini litigano? Scoppia la faida tra le famiglie. L’insegnante dà troppi compiti o riprende l’alunno? Subito le/gli si fa la guerra. Le madri intervengono a gamba tesa per difendere i figli di fronte a chiunque e in qualunque situazione. E i figli si adagiano, non escono dal loro guscio perchè rimanere lì è troppo comodo”. Il cittadino-bambino è anche colui che non ha interrotto il rapporto di dipendenza dalla madre e che quindi sperimenta altri tipi di dipendenze: dalla droga al lavoro, dal cibo ad un amore malato.
Secondo la Pigozzi, siamo sul bordo di un grande pericolo, senza neanche rendercene conto. Il rischio di sfornare continuamente individui non indipendenti è quello di avere persone propense alla sottomissione. Sottomissione non alle regole della società , che servono alla convivenza, ma ad un leader che affascina e ipnotizza.
Ripensare il ruolo della famiglia, scardinare il mito della madre: è questo che andrebbe fatto per creare una società democratica, libera. “Nasciamo tutti dipendenti da nostra madre, ma ad un certo punto questa dipendenza deve cessare. La mamma è colei che consegna il figlio al mondo, colei che deve insegnargli a diventare un individuo. Oggi, invece, le mamme hanno bisogno dei figli per sentirsi legittimate: la società le celebra e fa passare un messaggio di adorazione verso di loro, quando – dal punto di vista politico, culturale, economico – non vengono prese in considerazione. Loro abboccano a questa illusione narcisistica e investono ancora di più sul loro essere madri: lo gridano sui social, ad esempio, dove si improvvisano blogger, influencer, perfette pedagoghe. Trattengono i figli perchè gli servono, perchè diventano per loro uno strumento indispensabile per essere viste”.
Ma quanto a lungo li “trattengono”? Secondo un sondaggio, gli italiani escono mediamente di casa a 30 anni e impiegano ben 12 anni in più di uno svedese per lasciare il nido. La giustificazione a questo ritardo è sempre la stessa: “Non c’è lavoro”. “Ma il lavoro c’è – afferma Laura Pigozzi – semplicemente bisogna accettare che il primo lavoro della vita non sempre sia il lavoro dei sogni. I giovani dovrebbero iniziare a ‘sporcarsi le mani’ il più presto possibile, senza aspettare la fine dell’università . Anche l’università diventa una sorta di ‘mamma’, che protegge e non espone a rischi. Una volta fuori il giovane si fa prendere dal panico perchè non ha alcuna idea della realtà lavorativa, perchè non ha mai lavorato ad un progetto, con un’altra persona o con un gruppo”.
È nelle famiglie che i ragazzi dovrebbero allenarsi a trovare lo slancio verso l’esterno, diventando adulti. Fallire questa trasformazione significa condannarli a un’eterna infanzia, che apre le porte non solo ai dittatori bambini ma anche a quelli veri. “Dobbiamo far vedere ai nostri figli che abbiamo interessi al di fuori di loro, che non sono la nostra unica occupazione. Dobbiamo far capire loro che possono rischiare, prendere la loro strada, perdersi, soffrire, che non c’è solo il divano di casa dove drogarsi di cellulare. L’essere umano per sua natura tende alla passività e la famiglia è il primo luogo in cui insegnare ad opporsi a questa tendenza. Va bene guardare un film sul divano, avere dei momenti di intimità insieme, ma la famiglia deve essere anche quella che dice al ragazzo ‘vai’, quella che lo sprona a diventare autonomo, quella che non accetta che l’adolescente non apparecchi la tavola, che non sappia cucinare un uovo, non si prenda la sue responsabilità . Oggi i ragazzi vivono comodi, ma sono passivi. Gli stiamo rubando la vita. Per riempire la nostra”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
LA FEDE NON DEVE LASCIARE SPAZIO A NAZIONALISMI E XENOFOBIA
Il pontefice ha firmato ieri ad Assisi la sua terza enciclica: Fratelli Tutti. Un messaggio di fratellanza che trae ispirazioni dagli scritti di San Francesco. Nel suo libro, scritto in lingua spagnola, il Papa passa dalla pandemia alla guerra soffermandosi su un’analisi della società odierna.
Nel quinto capitolo il Pontefice critica la politica quando «degenera in insano populismo quando si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere». Un populismo che per Papa Francesco fa leva sugli egoismo della popolazione: «Ciò si aggrava — aggiunge — quando diventa, in forme grossolane o sottili, un assoggettamento delle istituzioni e della legalità ».
Secondo papa Bergoglio il populismo si manifesta nel disprezzo per i più deboli e si riscontra la difficoltà «a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sè i più deboli e rispetti le diverse culture».
Compito della politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i diritti umani fondamentali, come «l’esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il terrorismo ed il crimine organizzato.
Forte l’appello del Papa ad eliminare definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità ”, e la fame, in quanto essa è “criminale” perchè l’alimentazione è “un diritto inalienabile».
Dal populismo il Pontefice passa al nazionalismo chiuso e violento dove le persone si sentono incoraggiate o autorizzate dalla loro fede ad avere atteggiamenti «xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi».
In questo capitolo del Buon Samaritano Bergoglio invita la fede «a mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi».
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2020 Riccardo Fucile
PER IL 65% DEGLI AMERICANI TRUMP E’ POSITIVO PER AVER SOTTOVALUTATO IL COVID
Dieci punti di vantaggio. Joe Biden mantiene una distanza a doppia cifra su Donald Trump nel sondaggio Reuters/Ipsos pubblicato oggi.
Una rilevazione che arriva dopo il ricovero per Covid-19 del presidente americano al Walter Reed National Military Medical Center e le notizie contrastanti sul suo reale stato di salute.
La maggioranza degli americani ritiene che Trump poteva evitare il contagio se avesse preso con maggiore serietà il virus. La sottovalutazione del coronavirus è uno dei punti deboli della campagna elettorale del presidente, che anche nel recente dibattito televisivo ha perfino irriso Joe Biden perchè indossa sempre la mascherina, anche quando non serve.
Tra gli elettori della consultazione presidenziale del 3 novembre, il sondaggio ha registrato un 51% di sostegno per Joe Biden contro il 41% per Donald Trump.
Un altro 4% opta per un terzo candidato, mentre appena il 4% si dice indeciso.
Un margine ampio di vantaggio per lo sfidante dem nel voto popolare a livello nazionale, ma resta il fatto che, per conquistare la Casa Bianca, bisogna imporsi negli Stati chiave, dove invece i candidati sono testa a testa.
Gli americani continuano a essere molto preoccupati per la pandemia, il sondaggio mostra che il 65% – nel dettaglio 9 su 10 fra gli elettori democratici registrati, 5 su 10 invece fra i repubblicani – concordano sul fatto che “se il presidente Trump avesse preso il coronavirus più seriamente, probabilmente non si sarebbe ammalato”.
Appena il 34% crede che Trump stia dicendo la verità , contro il 55% convinto del contrario e un 11% di indecisi.
Inoltre il 57% degli americani interpellati disapprova la gestione della pandemia da parte dell’amministrazione Trump, 3 punti in più della scorsa settimana.
(da agenzie)
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