Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
IL DECRETO E’ GIA’ SUPERATO DAI DATI DEL CONTAGIO, INEVITABILE UNA NUOVA STRETTA… IL LOCKDOWN E’ ALL’ORIZZONTE E QUALCUNO, COME ARCURI, LO AVREBBE GIA’ FATTO
Perchè “sta venendo giù l’Europa”. E ora: “Dobbiamo tenerci pronti”.
Fosse stato per il ministro della Salute Roberto Speranza la “stretta” sarebbe stata già molto più severa.
Non c’entra la polizia, ma la filosofia di fondo: “Più freniamo ora — il senso del suo ragionamento esposto nei conclavi di governo — meno saremmo costretti a frenare nelle prossime settimane”.
È il cuore della questione, il drammatico rapporto tra salute e Pil: “Chi dice meno lacci e lacciuoli per correre di più sbaglia, perchè con meno lacci e lacciuoli si rischia di doverci fermare di nuovo. La tutela della Salute è il presupposto del Pil. E dobbiamo essere pronti”.
Ecco, de te fabula narratur, come in una storia già scritta, un avvenire già avvenuto, un clima già respirato. Solo con qualche sequenza rovesciata, perchè allora, a marzo, la “stretta” partì dall’Italia, gradualmente, per propagarsi Oltralpe.
Adesso è il “coprifuoco” francese a mutare radicalmente il clima, prefigurandosi come anticipazione di ciò che già il nuovo picco dei contagi sembra anticipare. I numeri crudi, con oltre settemila contagi, l’impennata in Lombardia, il balzo dei ricoveri nelle terapie intensive impone un racconto crudo.
Diciamo le cose come stanno. Il dpcm varato, le chiusure alle 21 per alcuni, alle 24 per altri, le “raccomandazioni” alla prudenza in casa, il rinvio del tema trasporti è vissuto come un atto più mediatico che sostanziale, teso a rompere l’illusione che siamo ripartiti.
Preparatorio di una nuovo step, più duro, di cui c’è già la consapevolezza della necessità , sia pur da gestire in modo graduale.
Il fronte con le Regioni, non solo con quelle di destra, il delirio sui social, le opposizioni pronte a cavalcare la rabbia delle categorie colpite dai provvedimenti restrittivi: ciò che si farà non si può dire finchè l’emergenza non sarà oggettiva, con i contagi che superano la soglia anche psicologica di diecimila, ma è chiaro che si farà . Interpellando fonti ufficiali, come accadeva a ogni step dell’escalation di allora (a marzo), la risposta è: “Dobbiamo aspettare una settimana per valutare gli effetti delle misure prese, di mezzo c’è il week end che comporta meno contatti tra le persone, al momento non sono previste riunioni a palazzo Chigi”.
All’ordine del giorno non c’è un nuovo lockdown, come provvedimento da varare nel breve periodo, ma — e non è un gioco di parole — il lockdown è tornato all’ordine del giorno come orizzonte entro cui è ripiombata la crisi e, con essa, la politica.
Evocato sia pur per escluderlo, anche se mai “cento al cento” perchè “non si possono fare previsioni”, come ha detto Conte interpellato sulle parole di Crisanti, e dunque confermato come ipotesi ed eventualità , è tornato al centro del dibattito pubblico, anche in una sorta di riflesso condizionato nei comportamenti e nei messaggi: il premier che torna a dichiarare sui contagi davanti a palazzo Chigi, dopo mesi taciturni sui temi economici più divisivi per il governo, l’attesa per i dati nel pomeriggio, i consigli dei ministri notturni sui dpcm restrittivi.
Si ripropone cioè come misura estrema e identitaria di un governo che ha trovato la sua ragion d’essere nell’emergenza attraverso lo strumento delle chiusure. E vive nella palude su tutto il testo, tra l’ultimatum di Atlantia scaduto due giorni fa, il rinvio dell’Ilva annunciato a Taranto, Alitalia affrontata moltiplicando le poltrone del cda, il consiglio comunale Mazzara del Vallo occupato perchè i pescatori sono ancora sequestrati in Libia, le stime del Fondo Monetario internazionale peggiorative delle previsioni di Pil rispetto al Nadef.
Il ragionamento, sul “se”, sul “come”, sul “quando” si farà nel governo c’è.
Qualche settimana fa è stato il commissario Domenico Arcuri a suggerire un’ipotesi drastica: chiudere tutto, per un paio di settimane, per smaltire gli effetti del Billionaire e dell’estate allegra, favorendo lo smaltimento dei contagi e poi riaprire in modo ordinato.
L’ipotesi è stata scartata dal premier perchè politicamente non era sostenibile essere l’unico paese in Europa a chiudere, pur avendo il numero più basso di contagi.
Però, appunto, dell’idea di un “reset” che Crisanti considera inevitabile per Natale se ne è parlato e oggi nessuno è in grado di prevedere se a Natale saremo già chiusi in casa o meno, così come la settimana scorsa nessuno era in grado di prevedere che i contagi sarebbero raddoppiati.
Totale, parziale, con i ristoranti e senza le scuole, soft o hard, c’è già un alone di inevitabilità attorno al tema del lockdown, anche nell’ossessione della domanda attorno a cui ruota tutta la discussione “si fa o non si fa”, che ha già cancellato tutto il resto.
È cioè già la dimensione politica della nuova fase segnata dalla ripresa dell’emergenza, fondata sul fallimento della fase della convivenza col virus, immortalato dalle file chilometriche sui tamponi, il default della app immuni, i ritardi sui vaccini anti-influenzali.
Difficile sfuggire alla sensazione di un deja vu.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
LA MISURA VARRA’ PER UN MESE, PROROGABILE… OGGI IL VIRUS IN FRANCIA HA CAUSATO 22.591 CONTAGI E 104 VITTIME
Nella lotta al coronavirus il presidente Emmanuel Macron si gioca un’ultima carta prima del lockdown generale e annuncia il coprifuoco per Parigi e le altre città più colpite dalla crisi sanitaria.
L’annuncio è arrivato dopo l’attesa intervista rilasciata ai microfoni di France 2 e TF1, anche se la notizia era stata ampiamente anticipata dai media durante la giornata.
La stretta, che entrerà in vigore questo sabato a mezzanotte, riguarderà la capitale, la regione dell’Ile-de-France e altre otto città : Lione, Rouen, Saint Etienne, Marsiglia, Aix-En Provence, Tolosa, Grenoble e Montpellier.
Dalle 21:00 alle 6:00 del mattino bar, ristoranti e teatri dovranno rimanere chiusi per le prossime quattro settimane, al termine dei quali verrà valutata la situazione e eventualmente sarà deciso un prolungamento di due settimane. Per chi non rispetterà il coprifuoco è stata prevista una multa di 135 euro, ma il governo ha già deciso deroghe per chi lavora la notte.
“Non ci sarà un divieto di circolare dalle nove alle sei del mattino. Ci sarà una rigida limitazione per le buone ragioni”, ha affermato il presidente.
Un dispositivo estremo, che riporta alla memoria dei francesi alcuni dei momenti più difficili della sua storia recente, come la guerra d’Algeria scoppiata nel 1955, le rivolte nelle banlieue del 2005 e gli attentati del novembre 2015.
Ma mai prima d’ora un simile provvedimento era stato preso per ragioni sanitarie. La situazione è “preoccupante”, ha riconosciuto il presidente, che ha confermato l’arrivo di una “seconda ondata” in tutto il paese.
Adesso Macron deve convincere, soprattutto all’interno del governo, dove non tutti sono d’accordo con la linea adottata. Secondo “BfmTv” la scelta di applicare un coprifuoco è appoggiata da alcuni ministri, come quello della Salute Olivier Veran, mentre altri si sarebbero opposti durante le concertazioni di queste ultime ore. Nella fronda dei contrari figurano il ministro dell’Interno, Gerald Darmanin e quello dell’Istruzione, Jean Michel Blanquer.
Per il momento l’ipotesi di un lockdown generale come quello adottato la scorsa primavera è fuori discussione. Pur di non bloccare l’economia nazionale, la Francia preferisce agire a livello locale, mentre il coronavirus continua ad accelerare in quasi tutto il paese. Proprio mentre il presidente stava parlando, le autorità sanitarie hanno annunciato il bilancio quotidiano: 22.591 contagi in 24 ore con 104 decessi, per un totale di 33.037 morti dall’inizio della crisi.
Numeri che sembrano ormai fuori controllo, mentre nelle città di Marsiglia e Aix-en-Provence si registra una nuova impennata nonostante lo stato di massima allerta decretato il 23 settembre, con un tasso di incidenza di 271 casi ogni 100mila abitanti nella settimana tra il 5 e l′11 ottobre, contro i 218 della settimana precedente.
Ma per contenere la minaccia sanitaria Macron conta anche sulla responsabilità dei francesi chiedendo loro uno “sforzo” per “frenare insieme il virus”.
Per questo la “regola del sei” diventa essenziale. “Al ristorante abbiamo detto non più di sei a tavola. Allora per le nostre vite personali proviamo (…) quando invitiamo degli amici a non essere più di sei”, ha chiesto il capo dello Stato parlando delle riunioni private.
Con l’intervista di questa sera Macron è tornato in prima linea ripetendo quell’esercizio pedagogico a cui aveva abituato i francesi durante la prima ondata, interrotto a luglio con un ultimo discorso.
Una scelta obbligata, in un momento in cui il governo fatica a convincere soprattutto a causa di un primo ministro che non riesce a prendere in mano il timone di una nave ormai in balìa di una tempesta che non accenna a calmarsi.
Nominato a luglio al posto di Edouard Philippe, il premier Jean Castex continua a perdere terreno nell’opinione pubblica. Secondo un sondaggio condotto dall’istituto Ipsos e pubblicato oggi dal settimanale “Le Point”, solamente il 35 per cento dei francesi approva il capo del governo, contro il 27 per cento del mese scorso.
Macron, invece, resta stabile al 40 per cento.
Ma oltre a voler riprendere i legami con l’elettorato, l’inquilino dell’Eliseo vuole mandare un segnale anche al comitato di valutazione della gestione dell’emergenza sanitaria.
Composto da cinque esperti guidati dall’infettivologo svizzero Didier Pittet, il gruppo è stato incaricato a giugno dallo stesso Macron di preparare un rapporto entro dicembre contenente un bilancio dell’operato del governo.
In una nota provvisoria pubblicata ieri, il comitato ha puntato il dito contro gli “evidenti sbagli di anticipazione, preparazione e gestione” dei vari aspetti sanitari, come la disponibilità di mascherina e di tamponi, o il mancato coordinamento tra i differenti attori.
Una bastonata per il governo, già sotto pressione per le criticità registrate nei reparti di rianimazione, per i quali a fine agosto erano stati promessi 12mila posti in tutto il paese, contro i 5mila della prima ondata. Un impegno che non è stato mantenuto vista la situazione in cui versano molti ospedali, soprattutto nell’Ile-de-France.
Per difendersi dalle critiche, il presidente è tornato sulla scelta di rendere gratuiti i tamponi, anche se ha riconosciuto che i tempi di attesa per i risultati sono stati “troppo lunghi”. Per questo è stata prevista una nuova “strategia” per velocizzare “drasticamente” le procedure
Adesso però Macron passa la palla a Castex, che domani dovrà illustrare nel dettaglio le misure decise con una conferenza stampa. Intanto, il presidente spera di riuscire ad arginare la nuova ondata di coronavirus mettendo una toppa che forse è troppo piccola per la falla che si è creata.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
OGGI DIFFONDE LA BUFALA DEL GOVERNO CHE MANDA LA POLIZIA A CONTROLLARE NELLE CASE, MA LA PROPOSTA DI LEGGE DELLA LEGA ERA MOLTO PEGGIO
Chissà se chi ha consigliato a Salvini di suonare la grancassa alimentando la bufala del governo che manda la polizia a controllare nelle case quanti invitati ci sono si ricordava di una proposta di legge della Lega di qualche tempo fa che proponeva «controlli informali» tra vicini di casa
La proposta di legge risale a ottobre, quando l’emergenza Coronavirus non era neanche nella mente di qualche scenggiatore di Hollywood. I leghisti più semplicemente pensavano che i vicini si potessero fare gli affari degli altri per questioni di “sicurezza”.
Spiega il Sole: “Controlli informali tra vicini di casa, per individuare «situazioni anomale che possano generare apprensione, informando gli abitanti della zona». «Non si tratta di effettuare ronde», chiarisce fin dalle prime righe la proposta di legge sottoscritta da un’ottantina di deputati della Lega (primo firmatario Alex Bazzaro). Piuttosto, la soluzione a cui i rappresentanti del Carroccio hanno pensato è un «controllo di vicinato»”.
Insomma lo stesso Salvini che da due giorni strilla inventandosi “un Paese basato sulla delazione e sul “cittadino spione” e criticando “Le parole hanno un peso e qualcuno dovrebbe fare molta attenzione a prevedere scenari da Psico-Polizia orwelliana, con i valori della democrazia e della libertà non si scherza”, è il leader del partito che della “delazione” ha fatto una proposta di legge: «Uno strumento di prevenzione — si legge nel documento — basato sulla partecipazione attiva dei cittadini attraverso un controllo informale della zona di residenza e la cooperazione tra cittadini e istituzioni».
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA NON E’ MESSO MEGLIO SE L’ALTERNATIVA SONO GILETTI O IL DIRETTORE SOVRANISTA DEL TG2 SANGIULIANO
Se i gazebo del centrosinistra dovessero chiudere oggi, il candidato sindaco del centrosinistra sarebbe Carlo Calenda. Sempre ammesso che le primarie si facciano e che il leader di Azione, finora contrario alla consultazione, vi partecipi.
In quel caso avrebbe buone chance di arrivare primo, almeno a osservare i risultati della rilevazione portata avanti per 4 giorni sul sito di Repubblica: il 50% delle preferenze dei 26.000 partecipanti vanno all’ex ministro che vince per distacco.
Ecco le percentuali:
Carlo Calenda 50% 13.100 voti
Monica Cirinnà 9% 2.393 voti
Stefano Fassina 4% 1154 voti
Tobia Zevi 4% 1.119 voti
Paolo Ciani 4% 1099 voti
Giovanni Caudo 4% 1062 voti
Senza un altro “big” non sembra esserci un contendente in grado di insidiare il leader di Azione nella competizione interna alla coalizione traghettata dai dem. Anzi, al secondo posto, il 18% dei votanti fa sapere di non essere convinto da nessuno dei potenziali candidati emersi finora.
Seguono la senatrice Monica Cirinnà al 9%, mentre al 4% ci sono il minisindaco del III Municipio, Giovanni Caudo, Stefano Fassina di Sinistra per Roma, l’attivista Tobia Zevi e Paolo Ciani, consigliere regional di Demos. Al 2% ecco i presidenti del I e VIII Municipio, Sabrina Alfonsi e Amedeo Ciaccheri. Con loro anche il deputato radicale Riccardo Magi. Chiude con l’1% delle preferenze la consigliera regionale Michela Di Biase, che ha fatto sapere di non essere interessata alla corsa.
Queste cifre potrebbero essere argomento di discussione già oggi, quando si aprirà il tavolo per costruire la coalizione di centrosinistra verso le prossime comunali e dove alcune forze politiche (Italia viva in primis) avanzeranno proprio il nome di Calenda in attesa che la nave del leader di Azione tolga gli ormeggi e prenda il largo.
Se in solitaria o seguita anche dall’intera flotta del centrosinistra si vedrà presto: nei prossimi giorni sul tavolo dell’ex ministro dovrebbero arrivare i due sondaggi commissionati (gradimento come candidato sindaco col Pd o senza il suo supporto). Poi deciderà che fare. Intanto ieri il leader di Azione ha incassato il gradimento del ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano («ma deve decidere il Pd di Roma») ma anche l’altolà dell’ex segretario dem Maurizio Martina («Non si vince a colpi di tweet»).
Per ora la posizione del Pd, emersa ieri durante la direzione del partito romano, ribadisce la necessità delle primarie ma con una via d’uscita: «Se ci sarà una candidatura condivisa da tutti non sono un obbligo». Ma il percorso è in salita e le candidature “unitarie” scarseggiano. Di certo, l’obiettivo dei dem è di non disperdere le forze e arrivare ai gazebo, se ci saranno, con un unico nome. Molto più difficile pensare a un’intesa tra Pd e 5 Stelle al primo turno che prevederebbe un passo indietro di Virginia Raggi.
A questa (complicata) possibilità starebbe lavorando AreaDem, la corrente che fa capo al ministro della Cultura, Dario Franceschini. Ma il tentativo non piace a tutti dentro al Pd, con tanti che preferirebbero ragionare solo di un possibile travaso di preferenze al ballottaggio. «Ma in questo caso – ragionano ancora i dem romani – Calenda non sarebbe il candidato più adatto perchè difficilmente verrebbe votato dall’elettorato M5S».
E il centrodestra? Antonio Tajani dal pulpito di Forza Italia accantona l’ipotesi del conduttore Massimo Giletti. Resta la disponibilità assicurata alla Lega dal direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano
(da agenzie)
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Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
UN POST VOMITEVOLE E RAZZISTA DA CHI DOVREBBE ESSERE “ASSESSORE ALLE PARI OPPORTUNITA’ E ALLA FAMIGLIA”
A volte è meglio tacere: è il caso di Silvia Piani, assessora alle Politiche per la famiglia, genitorialità e pari opportunità in Lombardia.
Con la sensibilità tipica di altri politici leghisti che coprono cariche simili (vedi l’assessora leghista di Como che toglie e getta via la coperta di un clochard) la Piani ha fatto un paragone che può risultare calzante solo agli analfabeti funzionali.
“Dimentichi la mascherina? 1.000 euro di multa. Arrivi con il barcone? Vitto e alloggio”
Provate infatti a trovare qualcuno che preferisca salire su un barcone per venire in Italia piuttosto che prendersi una multa per non aver indossato la mascherina.
Chi non vorrebbe attraversare il Mediterraneo su una tinozza in punto di naufragare ad ogni momento dopo essere stato torturato in Libia pur di arrivare in Italia con il rischio di finire su una nave quarantena?
Vuoi mettere con il pagare una multa dopo aver volontariamente infranto una regola semplice come quella di portare la mascherina quando si è vicini a qualcuno o al chiuso?
Ma a parte il paragone insensato forse la Piani dovrebbe riflettere meglio, perchè magari anche i suoi elettori ci arrivano.
Davvero chi in Lombardia ha avuto in famiglia un malato o un morto per COVID-19 è contento di un politico che strumentalizza una norma di sicurezza fondamentale come l’uso della mascherina?
Nella regione di Fontana i decessi sono stati più di 16mila. Invece di parlare di migranti perchè in Lombardia gli assessori non pensano a far arrivare in tempo i vaccini antinfluenzali?
Un “post vergognoso” secondo il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Lombardia Gregorio Mammì. “Silvia Piani — sottolinea — non è un assessore qualunque, ma è l’assessore alle politiche per la famiglia, genitorialità e pari opportunità e questa è la becera propaganda che ha voluto fare sul suo profilo istituzionale. Il vuoto cosmico che ruota attorno alle politiche per la famiglia, genitorialità è pari opportunità è palese, e se ne capisce agevolmente la ragione”.
Per Mammì, “in questo momento in cui le famiglie devono affrontare situazioni molto particolari fra classi in quarantena, tamponi, permessi lavorativi, isolamenti e relativi disagi economici l’unico messaggio che la nostra Assessora si sente di condividere è un messaggio filo-negazionista e che puzza del più vergognoso razzismo”
(da agenzie)
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Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
I LAVORATORI IMMIGRATI VERSANO IN TASSE 26,6 MILIARDI DI EURO
La presenza di immigrati in Italia è decisamente conveniente per lo Stato. Infatti, i lavoratori stranieri che vivono nel nostro Paese producono una ricchezza pari al 9,5% del Pil, ben 147 miliardi di euro.
E versano in tasse 26,6 miliardi di euro, mentre il costo totale dei servizi a loro erogati corrisponde a 26,1 miliardi, circa il 3% della spesa pubblica.
Se si confrontano tasse, imposte e contributi pagati dagli stranieri residenti in Italia con quelli che lo Stato spende per loro, risulterà un beneficio netto per il secondo di 500 milioni di euro.
Mezzo miliardo su cui possono fare conto le casse pubbliche dovuti meramente alla presenza di immigrati che lavorano sul nostro territorio. Sono i dati del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione ad opera della Fondazione Leone Moressa, redatto con il contributo della Cgia di Mestre, il patrocinio dell’Organizzazione Internazionale per le migrazioni, dei ministeri degli Esteri e dell’Economia e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Sono 2,5 milioni i lavoratori stranieri residenti in Italia. E come abbiamo visto generano più benefici che costi. Un utile che potrebbe essere ancora più elevato, di altri 360 milioni all’anno, viste le regolarizzazioni avviate nel 2020. Rispetto a dieci anni fa sono 600 mila in più. Per la maggior parte svolgono lavori per cui non serve un’alta qualificazione, il 56,3% sono uomini e sette su dieci hanno tra i 35 e i 54 anni. La percentuale di laureati si attesta attorno al 12%, mentre oltre la metà presenta come titolo di studio la terza media.
Non si tiene conto degli irregolari. Ragion per cui si pensa che il contributo della presenza di lavoratori stranieri in Italia potrebbe essere ancora più alto: dai numeri riportati sfuggono gli stranieri che risiedono irregolarmente sul territorio e che spesso per forza di cose finiscono per fare affidamento sul lavoro nero.
Nel report si sottolinea che gli stranieri presenti in Italia sono in aumento: dal 2010 ad oggi sono passati da 3,65 a 5,26 milioni. Ma sempre meno persone vengono nel nostro Paese per lavoro. Nonostante ciò negli ultimi 10 anni sono comunque aumentati del 32,7% gli immigrati che aprono nuove attività nel nostro Paese: sono circa 772 mila, il 10% del totale italiano.
Per la maggior parte si tratta di cittadini cinesi, ma figurano anche molti rumeni e marocchini. Una crescita degna di nota si registra però anche tra gli imprenditori del Bangladesh e del Pakistan. In totale si contano 584 mila imprese straniere che producono un valore aggiunto di 125,9 miliardi.
(da Fanpage)
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Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
E’ L’EX CAPO DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA DI ZAWYAH CHE L’ITALIA INVITO’ PURE A PARTECIPARE A UN VERTICE A ROMA QUANDO MINISTRO ERA MINNITI
È stato arrestato in Libia Abd al-Rahman al-Milad, detto Bija, un famigerato trafficante di esseri umani sotto sanzioni Onu che nel 2017 partecipò ad una riunione Oim in Italia, presentandosi come rappresentante di Tripoli. Lo riferisce un media libico.
“Arresto di Abd al-Rahman al-Milad al Bidja”, riferisce un tweet dell’emittente Libya Alhadath precisando che l’uomo è stato arrestato dalla “Forza di dissuasione”, quindi dalla milizia “Rada”, del Governo di Tripoli
‘Bija’, o più ‘Bidja’, è accusato dall’Onu e dalla Corte internazionale dell’Aja di crimini contro i diritti umani per essere uno dei maggiori organizzatori del traffico di migranti, ridotti in schiavitù in Libia, lungo le rotte migratorie del Mediterraneo.
Il trafficante nel maggio 2017 prese parte a una riunione sull’immigrazione al Cara di Mineo (Catania) tra le autorità italiane e quelle libiche come emerse da un’inchiesta di Avvenire a firma Nello Scavo.
Pochi giorni prima anche il Centro di Alti Studi del Ministero della Difesa lo indicava tra i principali boss dellla tratta e del contrabbando. Le autorità italiane, dunque, avevano sufficienti notizie su di lui. Un anno dopo, il 7 giugno 2018, il Consiglio di sicurezza dell’Onu dispose sanzioni internazionali su Bija e altri suoi complici.
L’incontro in Italia rientrava in un progetto comune del governo italiano e delle agenzie umanitarie internazionali. La serie di riunioni facevano parte di un progetto finanziato dalla Comunità europea che prevedeva “visite di studio” in Italia da parte di una delegazione libica, i cui componenti venivano proposti dagli stessi libici. Bija ottenne il visto dall’ambasciata italiana a Tripoli presentando il suo passaporto legalmente concesso da Tripoli e con il quale già in passato aveva viaggiato in Europa da giovane studente dell’accademia militare libica.
L’uomo è stato accusato dalle Nazioni Unite “di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone,ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawyah” (Zauia), come sintetizzò l’anno scorso Nello Scavo in un suo articolo.
(da Avvenire)
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Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
MIGLIAIA DI VENETI CHE L’HANNO SCARICATA SONO STATI FINORA BIDONATI DALLA REGIONE CHE NON HA ATTIVATO IL SISTEMA DI TRACCIAMENTO
Qualche giorno fa Luca Zaia spiegava: “L’app Immuni? Non l’ho scaricata, ma questa non è una indicazione, ogni cittadino fa come gli pare”. In Veneto però anche i cittadini che hanno deciso di utilizzare l’app hanno scoperto che fino ad ora le ASL non hanno inserito i codici delle persone contagiate
La notizia viene riportata dal Corriere del Veneto che racconta il caso di un cittadino di Padova e della sua curiosa interazione con l’azienda sanitaria. Per chi non lo sapesse chi risulta positivo al tampone, viene contattato dall’ufficio di igiene della Asl competente ed è chiamato fornire il codice di 16 cifre associato alla app. Quel codice viene inserito nel server, che, automaticamente, lo invia a tutti gli utenti di Immuni. Ma in Veneto invece non è possibile:
«Pronto? Vorrei comunicare il mio codice di Immuni». A parlare è un uomo del Padovano, che ha appena letto il risultato del proprio tampone: positivo a Covid-19. È in isolamento, ha già avvisato amici e colleghi di lavoro e ha deciso di chiamare l’Ulss per condividere i dati dell’app del ministero della Salute che ha tracciato via bluetooth tutti i suoi contatti nelle ultime settimane. Una miniera di informazioni, collegata a una sequenza alfanumerica di dieci caratteri, casuale e anonima, che permette di mandare un avviso istantaneo a chi ha passato del tempo con lui, agli amici con cui ha condiviso una cena prima del test, e anche a chi si è seduto vicino a lui sul bus. Non resta che inserire la sequenza nel database.
Dall’altra parte della cornetta c’è l’ufficio Igiene di Padova: «Mi dispiace: non siamo in grado di inserire il suo codice nel database. L’app Immuni non è attiva al momento in Veneto
Il disservizio però, come ha scoperto il quotidiano non riguarda solo la zona di Padova, ma tutte le aziende sanitarie in Veneto.
E non si tratta di un malfunzionamento: «non c’è una procedura per utilizzare il codice dell’app Immuni, perchè al momento non è attiva in Veneto» ha spiegato un operatore al giornalista che ha chiamato in prima persona.
Insomma fino ad ora i veneti che hanno scaricato Immuni non hanno potuto dare il loro contributo al contenimento dell’epidemia di Coronavirus.
E mentre Zaia rassicurava «Tutto quello che è previsto come incombenza da parte dell’ente pubblico per la gestione di Immuni noi, nel rispetto delle competenze, lo facciamo. Diamo corso a quello che è previsto per coloro che si scaricano Immuni, non è che restano isolati in Veneto, ci mancherebbe», la dottoressa Francesca Russo della Direzione Prevenzione, Sicurezza Alimentare, Veterinaria della Regione Veneto spiega al Corriere che ancora non è attivo niente, anche se lo sarà a breve
«Domattina (oggi, ndr) spedirò una lettera alle Ulss comunicando ciò che i Sisp (gli uffici Igiene, ndr) devono fare. Dalla prossima settimana la piattaforma sarà operativa. Ci sono state mesi fa interlocuzioni con il livello centrale. Ora, anche alla luce dell’aumentata partecipazione dei cittadini, il sistema è stato perfezionato. Quando si riceve una notifica sull’app Immuni di un possibile contatto con un positivo, si contatta il Sisp comunicando il proprio codice. Da quel momento in poi, il sistema sanitario regionale comincia una valutazione nello specifico accompagnando il soggetto nel consueto percorso di contact tracing».
E La CGIL attacca: che, in Veneto, Immuni si scarichi, ma poi non si riesca a fare effettivamente il tracciamento è”molto grave”. Anche perchè l’app per il tracciamento del contagio da coronavirus “è stata scaricata da decine, anzi centinaia di migliaia di cittadini veneti, tra i più ligi a livello nazionale”. Persone “convinte di avere in questo modo una tutela in piè e di contribuire al contenimento del contagio”, mentre invece non era così, a causa “dell’inefficienza, per non dire lo scetticismo, di chi doveva provvedere a far funzionare il sistema di tracciamento”.
Lo afferma il segretario regionale della Cgil del Veneto, Christian Ferrari, che interviene dopo il caso scoppiato nel padovano, dove alcuni cittadini hanno contattato la Ulss per comunicare la loro positività al coronavirus e il loro codice Immuni, sentendosi rispondere che la comunicazione era inutile perche’ al momento in Veneto non si riesce a inserire il codice associato al singolo telefono nel database e quindi a tracciare e avvisare i contatti.
Fatto confermato dalla direttrice della direzione prevenzione della Regione, Francesca Russo, che al ‘Corriere del Veneto’ ha spiegato che le procedure di attivazione della piattaforma per la gestione di Immuni sono andate per le lunghe e che il servizio sara’ effettivamente attivo dalla prossima settimana.
Il segretario della Cgil, a questo punto, punta il dito contro il presidente della Regione Luca Zaia, ricordando che “ci ha tenuto a far sapere di non aver scaricato Immuni“. La situazione, prosegue Ferrari, “è inaccettabile e va posto immediatamente rimedio. Anche perchè con l’aumento dei positivi e la difficoltà sempre crescente a testare tutte le persone che ne avrebbero bisogno, l’app può dare un contributo fondamentale
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 14th, 2020 Riccardo Fucile
AVEVAMO 4 MESI PER PREOCCUPARCI DELLA SECONDA ONDATA E INVECE A META’ OTTOBRE SIAMO QUI AD INSEGUIRLA
Abbiamo tutti sprecato un’occasione. Abbiamo tutti perso un’estate, quattro mesi buoni, per prepararci come si deve alla seconda ondata del Covid.
Da Giuseppe Conte fin al barista della più piccola città italiana e fino all’ultimo semplice cittadino, me compreso, nessuno può sentirsi esonerato dalla propria parte di responsabilità .
La corsa improvvisa del governo alle nuove restrizioni, la necessità di chiudere i locali alle 21, il sovraffollamento su metro e bus nelle ore di punta, la penuria di vaccini anti-influenzali, l’allarme dei medici per gli ospedali già sotto stress per ricoveri e terapie intensive, il sistema di tamponi e test rapidi inceppato, sono tutti indicatori di come l’Italia sia arrivata impreparata all’autunno.
E dire che tutto ciò che è successo in primavera, l’esplosione dei contagi, la fila di camion militari pieni di bare a Bergamo, il lockdown nazionale, avrebbe dovuto consigliare a tutti noi un po’ più di pre-occupazione, nel senso più strettamente etimologico del termine: occuparsi prima di quello che sarebbe successo dopo.
E invece siamo arrivati a metà ottobre “inseguendo il virus e non anticipandolo”, per usare una chirurgica espressione del virologo Andrea Crisanti.
Certo, siamo per ora messi meglio di tanti paesi, europei e non, a cominciare da quelli che reputiamo più strettamente vicini alla nostra cultura e modo di vivere come Spagna e Francia, dove il livello dei contagi, dei morti e della pressione sulla sanità pubblica è enormemente superiore al nostro.
Però il confronto comparato, pur utile, non può essere una consolazione autoassolutoria. Ci stiamo rendendo conto che ci sono tante criticità che pur facilmente prevedibili non sono state previste.
Perchè il sistema dei tamponi è andato in crisi nel momento in cui si è passati da una media di 50mila al giorno a una di 100mila, nonostante tanti virologi avessero predetto che quest’autunno ci sarebbe stato un boom di richieste?
Che fine ha fatto il piano da 300mila tamponi al giorno che Crisanti ha consegnato al governo?
Perchè il via libera ai test rapidi è stato dato solo un paio di giorni fa?
E quanti giorni dureranno i 5 milioni di test veloci tanto strombazzati da Arcuri? Perchè tante regioni, soprattutto al Sud, si sono “addormentate”, come denunciato dal consulente del ministro Speranza, Walter Ricciardi?
Perchè queste regioni non si sono preparate adeguatamente a un aumento di ricoveri e terapie intensive?
Come è possibile che a Milano, e in Lombardia, scarseggino i vaccini anti-influenzali? Come è possibile che nessuno, fra Stato e Regioni, abbia realizzato che autorizzare 80 persone su un bus invece che 100 non avrebbe risolto il problema del sovraffollamento nelle ore di picco?
Come è possibile che i gestori di bar e piccoli locali non abbiano attrezzato i propri esercizi per evitare assembramenti e soprattutto l’inevitabile chiusura davanti a un più che prevedibile ritorno del virus?
Come è possibile che i sindaci non abbiano intensificati i controlli nei luoghi della movida quest’estate?
Eppure è successo, siamo arrivati impreparati all’autunno. E qui, davvero la colpa è da spartire fra tutti. Responsabile è il premier Conte, i suoi ministri, le Regioni, certo. Ma siamo responsabili anche noi, che abbiamo vissuto i mesi da giugno a settembre come un enorme sospiro di sollievo collettivo, basti ricordare le immagini delle spiagge affollate, dei lungomari colmi, delle discoteche e dei vari Billionaire di nuovo a pieno regime, almeno fino a quando il governo, dopo Ferragosto e quindi a buoi già scappati, è corso ai ripari.
Insomma, un’estate in cui è andata in scena una fantastica rimozione collettiva, quasi ad esorcizzare un ritorno del virus che alla fine c’è stato ed era pressochè inevitabile. Purtroppo ora siamo di nuovo in emergenza e tocca inseguire il Covid, pure con un certo affanno. Destino ineluttabile di chi, scomodando Esopo, ha preferito il canto fugace della cicala al lavorio preventivo della formica.
(da “Huffingtonpost”)
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