Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
RIDUZIONE DA 14 A 10 GIORNI DELL’ISOLAMENTO DOMICILIARE
La decisione è presa: non sarà più necessario il doppio tampone negativo per confermare la fine della quarantena e l’avvenuta guarigione di un paziente Covid.
Ne servirà invece uno soltanto, negativo, per “liberare” chi si è ammalato di coronavirus.
La novità , significativa e destinata ad avere importanti effetti nella gestione della pandemia, è arrivata al termine della lunga riunione del Comitato tecnico scientifico che si è tenuta questo pomeriggio, a cui ha partecipato nella prima parte anche il ministro della Salute Roberto Speranza. Il quale si è molto speso per questa soluzione.
La ragione della posizione del ministro sta anche nel fatto che l’intervento ridurrà fin da subito la forte pressione sul sistema nazione dei tamponi.
E contestualmente “libererà ” molti guariti in tempi ragionevoli, evitando che restino incagliati in una estenuante girandola di tamponi con risultati diversi l’uno dall’altro (tanti sono i casi del primo test negativo, seguito da uno positivo e poi da altri due negativi).
Confermata anche la decisione – anticipata da Repubblica – di ridurre a dieci giorni l’isolamento fiduciario per chi è entrato in contatto con un positivo.
Altra ipotesi esaminata è quella di autorizzare tamponi molecolari ed antigenici per i ‘contatti’. Potrebbero essere fatti anche dai medici di famiglia e dai pediatri.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
UN MEME DIFFUSO PER SCATENARE LA RABBIA DEI LEGHISTI (CHE CI CASCANO)
Vi ricordate del sequestro del gruppo Facebook StopEuropa da parte del gruppo Tan? Sono tornati e hanno trollato i fan leghisti e di Matteo Salvini con un meme che ha tratto in inganno parecchi, anche nell’area QAnon.
Ecco il post dell’utente «Marco Gaudetti», pubblicato la mattina del 10 ottobre 2020 nel gruppo sotto controllo dei troll
Nel meme viene mostrata la foto di un ragazzo, presentato con il nome di «Luis Badela» e come famoso cantante spagnolo, con il seguente virgolettato: «”Salvini è un razzista cafone e ignorante. È il peggior politico al mondo, se non smette di fare il politico, non farò più concerti in Italia”».
Non esiste alcun cantante di nome «Luis Badela» che abbia fatto tale dichiarazione e il ragazzo nella foto è il porno attore spagnolo Jordi Polla, usato in passato come protagonista di altre bufale
Il meme è stato condiviso anche al di fuori di Facebook arrivando anche su Twitter.
La sera del 10 ottobre 2020 lo condivide anche l’utente Maurizio Gustinicchi, già noto a Open per alcuni casi di disinformazione vicini anche all’area QAnon.
C’è chi si è impegnato nel rispondere al fantomatico cantante spagnolo
“E chi lo vuole un deficiente cosi? LuisBadela nn venga in Ita,ne facciamo a meno. Certo che attori e cantanti contro matteosalvinimi e i suoi elettori, fanno pensare ad una sorta di guerra voluta dal pdnetwork ”
(da Open)
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Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
UN PO’ NERD, UN PO’ AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO: NON E’ SEMPLICE ESSERE L’EREDE DI GIANROBERTO E REPLICARNE IL CARISMA
Davide Casaleggio, depositario, per successione, dell’aura sacerdotale di uno che in total black e cappellino sulla chioma scarmigliata – manco fosse il chitarrista dei Queen – arrivò a permettersi di far vibrare una posseduta piazza San Giovanni al grido di “Ber-lin-guer Ber-lin-guer”, di tanta carica mistica e simbolica è riuscito a fare brandelli, particelle elementari in forma di post sul suo blog (delle Stelle) o di richieste di morosità in mailing list.
L’ultima mail, per dire, ha piglio condominiale.
“Caro iscritto, ti scrivo per comunicarti che, a causa delle protratte e gravi morosità di diversi portavoce del MoVimento 5 Stelle che da troppi mesi hanno deciso di venir meno agli impegni presi, saremo costretti a ridurre progressivamente diversi servizi e strumenti le cui spese di funzionamento, in assenza delle entrate previste, non risultano ovviamente più sostenibili”.
Poche righe inviate da un account del “movimento5stelle.it”, firmate con nome e cognome, con cui Davide Casaleggio minaccia di tagliare i servizi di Rousseau, piattaforma di gestione degli eletti in Parlamento e strumento di partecipazione dei circa 170 mila iscritti, il cui elenco è gelosamente custodito.
Rousseau, creatura della palingenesi. Rousseau, mito rifondativo. Rousseau, che la leggenda vuole sia stato lanciato sul web poche ore dopo l’apertura della camera ardente di Gianroberto: “Il modo migliore per onorare il padre”.
Qualche giorno prima, aprile del 2016, proprio con il padre ricoverato sotto falso nome, Davide si ritrova all’istituto auxologico di via Mosè Bianchi, a Milano, e davanti a un notaio versa la quota di 150 euro e fissa per l’eternità lo Statuto dell’Associazione, che — scriveva il Foglio – “ha lo scopo di promuovere lo sviluppo della democrazia digitale nonchè di coadiuvare il MoVimento”. Blindando il suo potere. Con atto notarile.
Ecco, se si vuole rintracciare l’origine dello scarto tra il guru e l’erede, tra il sacerdote e il depositario del sacerdozio – per eredità diretta, pratica eccezionale, che nessuna ecclesia sogna di praticare -, oltre alle evidenti differenze fisiche e antropologiche, alla differente attitudine alla leadership, alle diverse esperienze di formazione, persino alle divergenti modalità di lavorare nell’ombra, dietro le quinte, senza parlare molto se non per delineare futuri più o meno originali e realizzabili, da un freddo atto notarile si deve partire.
E da una fresca serata di maggio di qualche anno dopo, quando, nelle ore di gestazione del governo Conte 1, di Davide Casaleggio si poteva intravedere la sagoma al Bar del Fico, locale della movida romana, a pochi passi da piazza Navona e da un crocevia storico della politica italiana, il Raphael delle monetine a Craxi, momento embrionale di tutti i movimenti anticasta successivi.
Probabilmente inconsapevoli di tutto questo, Casaleggio jr e tre suoi colleghi, alternavano momenti di quiete sprofondati nei pouf a frenetiche uscite in strada telefonino in mano. Per informarsi ed essere informati su nomi e nomine, forse. I trolley, e l’abbigliamento anonimo da quadro aziendale, a completare la scena. Il tutto, nell’indifferenza generale. Non riconoscibili e non riconosciuti. Fedeli al copione vergato da Jason Horowitz, corrispondente del New York Times: “Potrebbe essere l’uomo più potente d’Italia, eppure in pochi sanno chi è”.
Ebbene, dell’uomo più potente d’Italia, del “solitario, sospettoso e abitudinario” che “a pranzo consuma solo brioche e succo di pera” – notava Aldo Grasso sul Corriere della Sera — del dodicenne scacchista prodigio (qui le cronache un po’ divergono), del bocconiano laureato sull’”Impatto strategico di Internet nel settore dei corrieri espresso”, della creatura forgiata dal padre Gianroberto, che si trovò a crescerlo da solo dopo la separazione dalla linguista inglese Elizabeth, di colui che seguì il MoVimento sin dall’inizio, eminenza grigia di Beppe Grillo e alter ego — fino a un certo punto — dell’altro enfant prodige Luigi Di Maio, oggi si narrano gesta tutt’altro che epiche e assai lontane da ogni parvenza di grandezza.
Intendiamoci, il compito non era dei più facili. Non era semplice emulare le gesta di chi progettava software alla gloriosa scuola Olivetti, di chi “si formava” frequentando davvero i capitani d’impresa della San Francisco visionaria del ventennio di silicio che tutto immaginava e tutto scardinava.
Di chi voleva incontrare Assange e, cavalcando l’utopia della Rete in espansione, preconizzava senza apparire il marziano di Flaiano la “democrazia diretta”, un nuovo contratto tra cittadini ed eletti, la nascita di un nuovo ordine mondiale annunciato da un video cult del 2009 chiamato “Gaia”, e soprattutto realizzava, attraverso le mattane di un comico, la presa del potere vero con una banda di sconosciuti selezionati sul web.
E qui andiamo diritti al febbraio del 2013, primo exploit del MoVimento. Alle Politiche che porteranno in Parlamento centinaia di potenziali scardinatori della ormai abusata “scatoletta di tonno”. Quando proprio Gianroberto emanava silenziosi ukase bloccando ogni possibile esito governista ai suoi. “Nessuna fiducia ad alcun governo”, era il suo niet rilasciato al giornalista del Guardian John Hooper (con quelli italiani non parlava proprio).
Piuttosto, fedele alla linea della democrazia a geometria variabile, sarebbero stati possibili voti a favore di provvedimenti “per tutto ciò che è parte integrante del suo programma”. Il resto, e non da poco, era un obiettivo a lungo termine: “Portare il MoVimento al potere da solo”. Fino ad allora, nessun accordo con qualsiasi altro gruppo politico. Insomma, una dose cospicua di pura intransigenza.
Quella stessa intransigenza che è alla base di qualsiasi leadership carismatica e che oltre all’incapacità di rendere materia sognante l’afonia congenita, è l’altra grande distanza con il mancato erede. Che poi il buon Davide ci aveva anche provato a esserlo, coerente fino alla noia.
“Io non mi candiderò, nè intendo fare politica in prima persona. Continuerò a lavorare per la democrazia diretta nel nome di mio padre”, dichiarò — tanto per essere apolitici – giusto il giorno dopo la vittoria dei pentastellati ai ballottaggi di Roma e Torino. Peccato che da allora tutto il resto fu un alimentare dubbi e malintesi ineluttabilmente politici: chi c’è dietro Di Maio e co.? Dietro al MoVimento? Chi decide cosa?
Altro che non fare politica “nel nome del padre” se si pensa ai balletti, solo una legislatura dopo, tra governi gialloverdi e governi giallorossi. E poi aria di rimpasti, di Stati generali, di direttivi. Guerra sul limite al doppio mandato. Pure fumisterie al cospetto di chi sempre nell’ombra stava, ma che non risulta abbia proferito Verbo, o se lo abbia fatto, è stato puro sussurro. Di quelli presi in giro dallo stesso Grillo che racconta di riconoscere le chiamate di Davide per l’intenso silenzio che le caratterizza. Lo stesso Davide che ora, realizzata alle Regionali l’evaporazione nelle urne di mezzo Paese, chiede al MoVimento di non farsi partito.
Abbracciato al novello Alessandro Skywalker Di Battista che vede “la Morte Nera” nell’abbraccio con l’ex Pd-meno-L e che tra lezioni di giornalismo in cui non si definisce Ernest Hemingway, dovrebbe incarnare — lui sì — lo spirito originario di chi lo accolse in un memorabile incontro chiedendogli: “Parlami delle tue idee”.
Ma si sa, i veri guru fanno così, si interessano irrealmente a te. Ti portano laddove tu credevi di poter andare da solo. E soprattutto non minacciano di portare le scartoffie in tribunale nè tanto meno rischiano di essere minacciati in un conclave in auto blu a base di frittata di cipolle e orecchiette di melanzane.
“Casaleggio non deve più scegliere i candidati”, Vito Crimi e un drappello di ministri e sottosegretari, al Casaleggio vero non si sarebbero mai azzardati di dirlo. Come non avrebbero nemmeno provato a ipotizzare eventuali piani B, scissioni, piattaforme nuove e/o concessioni del simbolo da Grillo, che peraltro — poichè un briciolo di carisma ancora lo investe — dopo aver definito “biodegradabile” il MoVimento ha provato a derubricare a “liti da asilo infantile” quelle tra i suoi ragazzi, e si troverebbe anche, senza Rousseau, nella spiacevole circostanza di non avere la copertura legale per le sue intemerate.
Già perchè comunque – e qui si torna all’aura condominiale ben temperata da una discreta vena da nerd tecnologico — Davide Casaleggio, tra una scalata al Kilimangiaro e un triathlon, pur pendolare tra Milano e Ivrea dove vive nella ottocentesca Villa Garda della compagna “atleta, speaker motivazionale e scrittrice” Paola Gianotti, il MoVimento legalmente e tecnicamente in pugno ce l’ha.
Ma più che un santone, della rete 5S è un vero e proprio nodo. Gordiano, di quelli da tagliare brutalmente, per liberarsene. Come ha fatto, qualche mese fa, la coppia in chief Conte-Casalino, che non lo hanno manco invitato agli Stati Generali di Villa Pamphili, unica vera kermesse strategica in cui poter applicare quel che resta della decantata visione direttista, ambientalista e pentastellata. Come ha fatto, secoli fa, uno come Alessandro… Magno, però.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
“NON SO COSA VOGLIO DALLA VITA, MA SO CHE VOGLIO LA VITA”
Con la pandemia, ha scoperto che esiste un desiderio puro: “Il semplice desiderio di restare vivi, il desiderio che restino vivi i propri cari, il desiderio che restino vivi gli altri, gli sconosciuti. ‘Non so cosa voglio dalla vita, ma so che voglio la vita’.
Un desiderio chiaro, che proviamo tutti in questo momento: non ammalarsi, non far ammalare nessuno, star svegli e passare la nottata”.
È l’unico desiderio dritto che ci sia, mi dice Edoardo Albinati: tutti gli altri sono per costituzione Desideri deviati, come li definisce il titolo del suo ultimo romanzo, edito da Rizzoli, e sottotitolato Amore e ragione.
La protagonista è Milano, la città dell’editoria e della moda, della concretezza e dell’allucinazione, della praticità e dello spreco.
Albinati lo incontro a Roma, a casa sua. Anche lui oscilla tra poli diversi: nella vita, fa la spola tra il carcere, dove insegna ai detenuti ormai da 26 anni, e il suo mondo borghese; nella scrittura, passa in continuazione dalla narrazione alle digressioni saggistiche, dall’azione alla meditazione. Sembra oscilli anche nell’aspetto: indossa una camicia bianca a righe azzurre e un gilet a rombi coloratissimi, dal riverbero orientale: insieme sobrio e sgargiante. Quando gli chiedo a che categoria di scrittore crede di appartenere, mi risponde con un’espressione inglese: “go-between”. Cerca sull’i-Phone una traduzione migliore della prima che gli viene in mente, ma non la trova.
“Come dire: credo di essere uno che fa avanti e indietro, un esploratore di universi umani, privo di una posizione fissa. Mi sento allo stesso tempo dentro il mondo della letteratura e fuori dal mondo della letteratura. Sconfino in continuazione tra una disciplina e l’altra, e attraverso gli strati sociali più diversi”.
Nel 2016, ha vinto il premio Strega con La scuola cattolica, un romanzo di più di mille pagine che partiva da un delitto tremendo, a Roma. Qui, comincia con un ingresso di operai in fabbrica, nei primi anni del Novecento, e finisce raccontando una sfilata in una fabbrica dismessa, nella Milano di inizio anni Ottanta.
La fabbrica oggi è scomparsa o si è estesa ovunque?
Frank Zappa, dopo aver tenuto un concerto all’ex Mattatoio di Roma, disse, non so quanto ironicamente, che mentre suonava non aveva potuto fare a meno di sentire i muggiti delle vacche che erano state uccise in quel posto. Credo che qualcosa di analogo succeda con le fabbriche dismesse. Per un paio di secoli, sono state il luogo in cui si faticava e si sputava sangue per produrre oggetti materiali, la concretezza, poichè nulla è più concreto di un bullone o di un parafango, e del lavoro che serve a fabbricarlo. Oggi, invece, dopo la loro riconversione, vi si producono merci spirituali: mostre, concerti, dibattiti, fiere di libri, convegni. Così continuano a sopravvivere, non solo come luoghi architettonici. Al loro interno ancora risuona l’eco della fatica e dello sfruttamento, cioè le ragioni per cui erano state originariamente costruite.
Le parole, le immagini, i suoni sono i nuovi bulloni?
Su questo bisogna essere chiari: sono merci anche i libri, i dischi, i quadri, le statue. Appartengono a una categoria merceologica diversa da quella di un divano, d’accordo, ma per quanto il loro statuto sia ambiguo, sempre di prodotti si tratta. Hanno un prezzo, sono sul mercato. La merce si può spiritualizzare ma anche lo spirito può essere messo in vendita. In questo senso mi interessa molto l’editoria, e ho voluto raccontarla nel mio romanzo: è il vero anello di congiunzione tra la cultura e l’industria nella nostra società . E trovo giusto che gli editori non pretendano di essere gli agenti del bene nel mondo, ma producano libri per guadagnare. Anche per guadagnare. Chiariscono un equivoco: cioè, che la cultura in sè non è qualcosa di elevato, distaccato dall’uso che ne fa il mondo; e che gli uomini di cultura non sono naturalmente votati al bene: anzi, a volte fanno, e hanno fatto, il male.
Non c’è differenza neanche tra una merce e un’opera d’arte?
Usiamo certe categorie per semplificarci la vita: distinguiamo il corpo dall’anima, il cuore dalla ragione; ma è impossibile individuare il confine preciso in cui finisce uno e inizia l’altra. Così è per un quadro o per una statua: sono oggetti prima di essere opere d’arte. Non c’è niente che possa riscattarli dalla loro corporeità . E di più: ciò che ammiriamo, è proprio la loro materialità . Per gli ortodossi nelle icone il divino non è una raffigurazione, un rimando simbolico, non è fuori dall’oggetto, bensì è nell’oggetto stesso: divina è la materia di cui sono fatte.
Anche i desideri sono così ambigui?
Il desiderio è per sua natura deviato o deviante. È un moto dell’anima forte quanto impreciso. Questo non significa che sia perverso o morboso in sè. Piuttosto, il desiderio è una freccia scoccata verso un bersaglio immaginario che finisce per colpirne uno reale, immancabilmente diverso. Desidero un certo ideale femminile, ma poi mi innamoro effettivamente di una donna che non vi corrisponde affatto, magari inseguivo il successo individuale nel lavoro e invece mi realizzo mettendo su una famiglia, o viceversa.
Si fallisce sempre?
Non si tratta di un fallimento, è la legge propria del desiderio. Racconta frottole chi dice di aver realizzato i propri desideri. Nessuno può riuscirci davvero. Il desiderio è ciò che ci spinge, ci muove, ma quello che troviamo nel cammino è sempre altro rispetto a ciò che cercavamo. È come per i cavalieri che inseguono il sacro Graal. Tutti vogliono impadronirsene, anche se non si sa che aspetto abbia, nè se esista davvero. Cercandolo, vivono avventure e conoscono chi l’amore, chi la morte, il coraggio o la viltà ; erano destinati a quello. Potrebbe essere anche più giusto che trovare il Graal.
Non sembra difficile da accettare, per lei.
Ma cos’altro si può fare? Il proprio destino si può solo accettare. È l’amor fati: quel che ti succede è fatto apposta per te.
La passione, invece, può andare a segno?
È passione ciò che sfugge alla misura, ciò che va oltre l’utile e il conveniente, lo smisurato. La passione può produrre opere meravigliose. Ma — attenzione! — può produrre anche disastri enormi. C’è un verso di Yeats che dice: ‘I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di appassionata intensità ‘. I nazisti erano gente ubriaca di passione, per esempio. Chissà perchè, noi siamo convinti a priori che la passione riscatti comunque chi la prova. Diciamo di qualcuno: “Eh, ma lui ci mette tanta passione!”. Ma cosa importa, se poi è un cane a fare quello che fa? O se le idee che professa con tanta passione sono sbagliate?
Trasmettere passione non è già un bene?
Ma la passione, specie quando è troppa, può ostacolare la trasmissione. Io ho avuto insegnanti talmente presi dalla foga che non capivo niente di quel che dicevano. La loro esaltazione era un muro tra il sapere che dovevano trasmettere e noi studenti che dovevamo riceverlo. Succede spesso agli attori quando leggono un testo. Il loro ruolo — apparentemente modesto, in realtà difficilissimo — sarebbe semplicemente quello di consegnare il testo al pubblico. Ma se si mettono a delibare la parola, deformandola e caricandola, impediscono alle parole di giungere ai propri destinatari.
Perchè chiama l’Italia lo Stivale?
Perchè Italia è un nome abusato
Abusato?
Accidenti se lo è: vengono prima gli italiani, lo chiedono gli italiani, noi italiani siamo stanchi!, e poi Italia Viva, Forza Italia, Fratelli d’Italia; e le pubblicità con il tricolore ovunque, i palazzi illuminati di bianco rosso e verde. Tutti si riempiono la bocca con la nobile parola Italia. Anche persone che non dovrebbero osare pronunciarla. Io meno la uso e meglio è. In questo momento, preferisco ripiegare sull’affettuoso termine Stivale.
Sembra voglia evocare quella frase velenosa di Metternich: “L’Italia è un’espressione geografica”.
Però Metternich non chiamava l’Italia “lo Stivale’, suppongo perchè avesse un gran rispetto per gli stivali! L’Italia è davvero un sogno letterario, una creazione dei poeti, che sono i nostri veri Padri Fondatori. Oggi, l’abuso della parola Italia è un tentativo di rinnovare uno spirito identitario posticcio: il principio più pericoloso che ci sia oggi sulla faccia della Terra, sia quando è declinato dal punto di vista nazionale, sia quando è inteso in senso etnico, religioso o sessuale.
Perchè ha scelto Milano per la sua storia?
Perchè la conosco, ma non la conosco come le mie tasche. Mi è familiare, ma non poi tanto familiare. Era il luogo perfetto perchè ne sapevo abbastanza, ma conservando un buon margine d’invenzione di cui avevo bisogno. Potrei dire, usando il criterio con cui si sceglieva il luogo dove officiare un sacrificio agli dei, che Milano è per me “il più vicino dei luoghi lontani e il più lontano dei luoghi vicini”.
Qual è la differenza con Roma, la sua città , di cui ha scritto nel precedente “Cuori fanatici”?
Che a Milano, essendo ogni cosa regolata, la vitalità tende subito a essere sregolata. È, allo stesso tempo, la città del lavoro e del sogno. Il panorama anonimo è perfetto per le passioni strazianti. A pensarci bene, è il luogo ideale per le canzoni struggenti e l’innamoramento. Chi vive a Napoli, sente già l’amore sprigionarsi dall’intera metropoli. Chi vive a Milano, deve amare follemente per scaldarsi. Lo sguardo fantastico, visionario, allucinatorio, a Milano nasce dalla necessità di non precipitare nella depressione. Il mondo alternativo del glamour e della moda non poteva che crearsi lì. A Roma sembra invece consentito tutto: e perciò, non succede mai nulla. Roma è già così colorata, che non c’è bisogno di accendere un bel niente. La fantasia dorme.
E politicamente?
In tutto il Novecento, Milano si è costruita un’immagine speculare a Roma, di opposizione alle pastoie parlamentari romane, proponendo un modello di anti-politica, basato sul decisionismo, sull’azione pura, il mito dell’efficacia, anche violenta. ‘Noi qui si lavora, si agisce, voi a Roma chiacchierate: insomma, chi deve governare questo Paese?’ Ciclicamente, questa sollevazione scuote la politica italiana: non a caso è a Milano che Mussolini ha fondato i Fasci di combattimento, Berlusconi ha creato la figura prima impensabile dell’imprenditore-politico, della gestione aziendale del potere; e poi naturalmente c’è la Lega nelle sue varie incarnazioni, prima separatista, ora nazionalista. Al di là di come si giudichino le singole esperienze, è un fatto che, con i manganelli o con i quattrini o con l’aspirazione secessionista, a Milano sono nati modelli alternativi che volevano spezzare i lacci e lacciuoli della democrazia rappresentativa romana. Sventolando la promessa di liberarci dai vincoli e dai cavilli e dalle ipocrisie, Milano con i suoi vari leader è stata e rimane la culla della pulsione illiberale italiana, dell’aspirazione all’Uomo forte, deciso, quello che pretende di parlare in nome del popolo intero, di “sessanta milioni di italiani”. Che poi — ma solo poi — marcia su Roma.
Ma, una volta a Roma, anche l’Uomo forte rimane spesso impigliato nella romanità .
Roma riesce almeno in parte a relativizzare e insabbiare la sostanza eversiva di questi movimenti (a esclusione, è ovvio, del fascismo), finendo per integrarli nel proprio sistema. È successo persino coi 5 Stelle!
Lei suona?
Da ragazzo suonavo.
Il pianoforte?
No, quello lì è di mia figlia: io suonavo il sax, in un gruppo che aveva come modelli i Soft Machine e i Nucleus. Poi ho mollato.
Perchè ha titolato il capitolo sulla musica ‘Il senso della vita’?
Confesso che il titolo è un deliberato omaggio al film dei Monty Python, la cui allusione al senso della vita è così arrogante da svelare il suo carattere di iperbole, ironica e romantica.
Leggendola, non mi è sembrato solo un gioco.
Se c’è un’esperienza in cui ti sembra di poter toccare — non afferrare, ma toccare sì — il senso intero della vita, è quella che si prova assistendo a un grande concerto. Non c’è altra esperienza umana che illumini di colpo tutto quello che hai vissuto, che stai vivendo, che vivrai. Durante un concerto, è come se improvvisamente lampeggiasse almeno per qualche un istante il significato del tutto. È un’immagine non traducibile in parole. Che solo la musica può far apparire, luminosa, davanti a te.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
E SU ALCUNI COLLEGHI: “APPOGGIANO INTERESSI EVIDENTI”
“Nicola Porro mi ha dato del ‘poveraccio’? Credo che la madre dei poveri di spirito sia sempre molto fertile. Ma poi poveraccio de che? Quello che fa impazzire determinate persone è che il sottoscritto non abbia nè da presentarsi in politica, nè da promuovere libri, nè da trovare la maniera di fare maggiori consulenze a questa o quell’altra casa farmaceutica“.
Così, ai microfoni de “La Zanzara” (Radio24), Massimo Galli, primario del reparto Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, risponde a distanza al giornalista Nicola Porro, che sul suo sito ufficiale ha attaccato più volte l’infettivologo dopo una rovente polemica avvenuta nella trasmissione “Stasera Italia”, su Rete4.
“Io per principio — puntualizza Galli — non ho preso, non prendo e non prenderò mai nessun tipo di cachet dalla televisione. Se mi affidassero un programma culturale in un palinsesto, sarebbe diverso, perchè quello è un’opera di ingegno. Non ritengo corretto farsi pagare per un’ospitata televisiva, dopodichè tutto il mondo si fa pagare per la qualsiasi. Ma io non intendo adeguarmi a questa abitudine di prendere soldi per andare a parlare in televisione. Tuttavia, non critico in modo eccessivo chi lo fa”.
Riguardo alla manifestazione odierna dei negazionisti del covid, Galli osserva: “Eventi di questo genere non li proibirei, perchè credo che in democrazia non sia opportuno vietare niente, altrimenti cose che magari non avrebbero grande riscontro sarebbero costellate di vittimismo. Lasciamo perdere. Purtroppo, però, in tv “the show must go on” e quindi vedi persone che portano avanti ipotesi screditate hanno comunque molta audience. E più si litiga, meglio è. Una cosa però ho imparato — spiega — quando so che in una trasmissione televisiva avrò di fronte qualcuno che porta avanti tesi assolutamente inaccettabili dal punto di vista scientifico, cerco di non essere presente e di non essere parte del dibattito, perchè c’è il rischio che un’affermazione basata su fatti scientifici venga considerata di pari dignità con quello sostenuto da quelle persone. E, visto che non è di pari dignità , noi dovremmo fare in modo di evitare questi dibattiti. Confrontarmi con Enrico Montesano in tv sul covid? Credo proprio di no, con tutto il rispetto“.
Il medico si pronuncia sulla situazione preoccupante dei contagi e fa un nuovo riferimento sarcastico a Nicola Porro: “Chiudere i ristoranti dopo le 22? Oggi no, anche perchè quello è un passo in più verso delle chiusure veramente pesanti e dolorose. Ma è necessario che ci limitiamo in qualcosa. Vogliamo mantenere aperte le scuole, le fabbriche e le attività economiche di importanza fondamentale e strategica? Credo proprio di sì. Non chiuderei affatto i bar. No, no e no — continua — Per me in questo momento bisogna usare la mascherina e cercare di capire che cosa vuol dire questo segnale dell’aumento di contagi. Dopodichè, in determinate realtà c’è qualcuno (Vincenzo De Luca, ndr) che sta pensando di arrivare anche a chiudere i bar, perchè comunque c’è un elemento di pericolosità riscontrata. Ma non dite che l’ho detto io, altrimenti vengo definito ‘poveraccio’ da certi energumeni“.
Staffilata dell’infettivologo ad alcuni colleghi: “Qualcuno si ostina ad appoggiare interessi che poi mi sembrano ormai ben delineati. Ma come si fa a dire che non abbiamo un problema serio in questo momento?”.
A Giuseppe Cruciani che lo incalza sui nomi dei colleghi e che menziona Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, Galli risponde: “Non voglio entrare per la millesima volta in polemica con la persona che avete citato. Lei la pensa diversamente da me. Il problema è che un conto è pensarla diversamente, altro conto è avere elementi per fare determinate affermazioni. Le affermazioni di tipo scientifico si basano su dati scientifici. E comunque non pensavo in particolare a lei“.
Il conduttore rilancia col nome di Matteo Bassetti, direttore del dipartimento Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova. Il medico replica: “Beh, l’avete detto voi. Ma se la mettiamo su questo piano, cambiamo discorso e non vado avanti a parlare”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
MALGRADO AVESSE I SINTOMI HA INVITATO 60 PERSONE CHE ORA SONO IN AUTOISOLAMENTO
Con i sintomi acclarati del Covid 19 ha pensato comunque di organizzare non una, ma addirittura due feste di compleanno per il figlio 8 anni.
Protagonista della malsana idea una donna di Ladispoli il cui atteggiamento irresponsabile è stato ieri stigmatizzato dal sindaco della cittadina del litorale nord di Roma. “Come Amministrazione comunale intensificheremo i controlli, in particolare sul rispetto dell’obbligo di indossare la mascherina – ha dichiarato Alessandro Grando – ma, come già detto in passato, per superare questo momento c’è bisogno di collaborazione da parte di tutta la città “.
Ora la donna rischia una denuncia penale. «Avevo febbre e tosse ma ho comunque invitato amici e parenti per il compleanno del mio bambino» ha rivelato ai sanitari la donna.
Entrambe le feste avevano 30 partecipanti: sia la prima con i parenti che la seconda con gli amici. Il risultato è stato che quando la donna – che al momento del compleanno aveva febbre alta e tosse – è risultata positiva al coronavirus, 60 persone sono state costrette all’autoisolamento e a sottoporsi a loro volta ai test.
Un procedimento, quello dall’avvio della quarantena, che alcuni invitati non hanno affatto gradito. Finendo con l’attaccare con insulti e offese gli operatori della Asl Rm 4 che si erano subito attivati con il contact tracing per evitare una ulteriore diffusione del contagio.
Altri partecipanti si sono invece scagliati contro l’incauta padrona di casa che ha messo a repentaglio la salute di decine di persone per non voler rinunciare a festeggiare il compleanno del figlio.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
SULLA STRATEGIA PER AFFRONTARE LA PANDEMIA QUELLA PROMESSA DA BIDEN IN VANTAGGIO DI 17 PUNTI RISPETTO A QUELLA ATTUATA DA TRUMP
A poco più di tre settimane dal voto Joe Biden mantiene un vantaggio a due cifre su Donald Trump. Secondo un sondaggio di Washington Post-Abc, il candidato democratico ha il 54% dei consensi a fronte del 42% dell’attuale presidente degli Stati Uniti. La rilevazione riflette il voto popolare e non quello per la conquista dei 270 elettori necessari per la Casa Bianca.
Si tratta della prima rilevazione dopo il ricovero di Trump a causa del contagio da coronavirus. E proprio sulla gestione della pandemia, il divario è ancora più ampio: la strategia promessa da Biden risulta in vantaggio di 17 punti su quella messa in campo dal repubblicano
Trump sabato ha condotto il suo primo evento di persona da quando è risultato positivo al coronavirus, affermando di “sentirsi benissimo”. L’impegno pubblico di Trump arriva dopo che giovedì Conley ha dato al presidente il via libera per uscire dall’isolamento del coronavirus questo fine settimana.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
IL MILITARE E’ STATO ARRESTATO
Una fitta rete di persone dedite alla pedopornografia che, tramite chat di messaggistica crittografate si scambiavano foto e video di natura pedopornografica: è questa la scoperta effettuata nel corso di una vasta operazione coordinata dalla Procura di Catania ed eseguita dalla Polizia Postale di Catania e dal Centro Nazionale di contrasto alla pedofilia online, che ha portato all’arresto di tre persone, di cui due a Napoli: tra gli arrestati nel capoluogo campano c’è anche un carabiniere di stanza in città e impiegato presso la Forestale, che stando a quanto risultato dalle indagini, utilizzava il computer della caserma per connettersi online e scaricare o condividere materiale pedopornografico.
Oltre ai tre arrestati, ci sono anche 17 persone denunciate: gli inquirenti, nel corso dell’operazione, hanno effettuato perquisizioni e sequestri a Bolzano, Brescia, Catania, Chieti, Como, Lecco, Milano, Napoli, Parma, Pisa, Roma, Savona, Sassari, Torino, Treviso e Varese, ma anche all’estero.
Le indagini hanno svelato che la fitta rete utilizzava servizi Tor e Vpn, nonchè servizi di messaggistica crittografata per impedire che le loro conversazioni e il materiale pedopornografico che condividevano: nelle chat foto e video, catalogati in base a età , etnia e sesso, che ritraevano abusi su minori, anche neonati, con diffuse pratiche di sadismo.
In qualche occasione, i partecipanti alle chat condividevano anche le loro esperienza personali di rapporti sessuali con minori. Proprio in questo senso si stanno ancora sviluppando le indagini: gli inquirenti sono riusciti fino ad ora a individuare alcuni dei luoghi teatro degli abusi e a identificare anche tre vittime.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2020 Riccardo Fucile
QUESTA SERA SU “NOVE” IL DOCUMENTARIO REALIZZATO GRAZIE A PREZIOSI FILMATI FORNITI DALLA FAMIGLIA
Ci sono uomini che grazie al loro operato riescono a diventare dei simboli, e come tali passare alla storia. Paolo Borsellino è uno di questi.
Il magistrato palermitano è diventato con Giovanni Falcone il simbolo della lotta alla mafia e di una fedeltà allo Stato assoluta, spinta fino al sacrificio della propria vita.
La sua è una storia affascinante ed esemplare, che viene ora ricostruita nel film documentario “Paolo Borsellino — Era mio padre”, nuovo episodio della serie “Nove racconta”, prodotto da Verve media company andrà in onda domenica 11 ottobre alle 21:25 sul Nove, il canale generalista di Discovery (e già disponibile su Dplay Plus).
A differenza di altre opere incentrate sul magistrato ucciso dalla mafia nell’attentato di via D’Amelio a Palermo, il 19 luglio del 1992, il racconto di questo documentario ha un surplus di emotività , essendo costruito su una lunga lettera scritta dal figlio Manfredi, attualmente funzionario di polizia in Sicilia.
Così al centro del documentario non c’è soltanto l’attività di magistrato di Borsellino ma si riesce a fare luce anche su alcuni suoi momenti privati, grazie a filmati originali provenienti dalla famiglia: integrati dalle preziose testimonianze degli amici più stretti, suoi e di sua moglie Agnese, questi filmati forniscono un ritratto per molti versi inedito di uno dei fondatori del pool antimafia di Palermo.
Il documentario ripercorre poi tutte le tappe più importanti della carriera di Borsellino, una carriera spesso costellata da difficoltà e gli ostacoli che il magistrato ha dovuto affrontare nel suo impegno quotidiano per cercare di smantellare l’organizzazione di Cosa Nostra.
Uno dei momenti più importanti riguarda ovviamente il racconto degli anni del maxiprocesso nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, a Palermo. Un processo che portò alla sbarra più di 450 imputati e che per la prima volta permise di assestare un colpo alla mafia siciliana.
Per arrivare a quel procedimento il pool lavorò per anni, spesso in condizioni difficili e sotto la minaccia continua degli uomini della mafia corleonese.
Viene così ricordato quando i magistrati del pool, Falcone e Borsellino in testa, furono trasferiti nottetempo al carcere dell’Asinara, in Sardegna, in modo da poter concludere la requisitoria del processo in condizioni di sicurezza, dopo che alla procura di Palermo erano giunte voci di attentati in preparazione.
Ma quella di Borsellino è stata sempre una vita in prima linea. Tanto che anche quando, tra il finire degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, si staccò dal pool per trasferirsi a Marsala, entrò nel mirino di Matteo Messina Denaro, l’attuale numero uno di Cosa Nostra, tuttora latitante.
E poi il ritorno a Palermo, dopo il massacro di Capaci, in cui perse la vita l’amico fraterno Giovanni Falcone, insieme alla sua compagna e agli uomini della scorta.
Borsellino è stato un uomo capace di camminare per lungo tempo con la morte al fianco, eppure, pur conscio di essere di fatto un condannato a morte, non solo non ha indietreggiato di un passo nella sua missione lavorativa, ma è anche stato capace di mantenere una serenità all’interno della famiglia fino agli ultimi momenti.
E anche in questo caso risultano preziosi i filmati privati girati in famiglia, grazie ai quali si può vedere un Borsellino con il suo indistinguibile sorriso e la battuta sempre pronta, godersi l’ultima vacanza sulla neve a Capodanno del 1991, e concedere qualche gesto di tenerezza verso i suoi affetti più cari.
Ma parlare di Borsellino significa non fermarsi alla sua biografia, per quanto ricca e importantissima. C’è un “dopo” che ancora oggi tiene banco.
E nel documentario viene quindi affrontata la complessa indagine per risalire a mandanti ed esecutori della strage di via D’Amelio.
A 28 anni di distanza da quei fatti e dopo cinque processi, rimangono ancora molte zone d’ombra su quello che qualcuno ha definito come il depistaggio più grave della storia italiana recente. Filmati e audio originali di intercettazioni, interrogatori e sopralluoghi accompagnano il racconto di Fiammetta e Salvatore Borsellino (rispettivamente figlia e fratello minore di Paolo), che sono i principali artefici di una battaglia per la verità sul movente dell’attentato e sulla sparizione dell’agenda rossa del magistrato, che conteneva probabilmente materiale per qualcuno troppo scottante.
(da Fanpage)
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