Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
“LA NUOVA MAFIA NON HA PIU’ QUELLA SENSIBILITA’ E QUEL CORAGGIO CHE AVEVA PRIMA”: LA EX SENATRICE DELLA LEGA PARLA COME I VECCHI BOSS DI COSA NOSTRA
L’ex senatrice leghista di Lampedusa accusa il governo di essere “complice” dei trafficanti di uomini. E poi parla della “nostra mafia che non ha più quella sensibilità e quel coraggio che aveva prima”
Sta facendo il giro dei social, con tanti commenti indignati, l’intervento sul palco di “Io con Salvini” dell’ex parlamentare leghista di Lampedusa Angela Maraventano.
Dopo avere accusato il “governo abusivo” di non impedire “l’invasione del Paese”, di essere “complice di chi traffica carne umana”, ha inneggiato alla “nostra mafia che ormai non ha più quella sensibilità e quel coraggio che aveva prima. Dove sono? – dice Angela Maraventano – non esiste più. Perchè noi la stiamo completamente eliminando… Perchè nessuno ha più il coraggio di difendere il proprio territorio”.
La vecchia mafia che difende il territorio? La mafia buona? Non è mai esistita.
La “mafia buona” è la narrazione che generazione dopo generazione fanno sempre i mafiosi della loro organizzazione. Da due secoli, ormai. La mafia che non uccide i bambini e le donne, la mafia che non trafficava in droga. Un falso storico, che però qualcuno continua a ripetere.
Per queste parole, il popolo dei social si scaglia contro l’ex senatrice leghista che si è presentata sul palco della kermesse di Catania con un manifesto: “Salvini, Lampedusa combatte al tuo fianco”.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
CAMERA DI CONSIGLIO LUNGA E MEDITATA: UN PRE-PROCESSO PER STABILIRE SE CELEBRARNE UNO VERO O NO … SALVINI SPERAVA NELLA IMMEDIATA ARCHIVIAZIONE, CON LE TESTIMONIANZE DI CONTE E DEI MINISTRI, LA STRADA PER LUI SI COMPLICA: I MINORI A BORDO LI FECE SCENDERE IL TRIBUNALE DEI MINORI, NON LUI
È un’istruttoria approfondita, quella fissata dal giudice Nunzio Sarpietro prima di decidere se rinviare a giudizio Matteo Salvini per sequestro di persona, o proscioglierlo perchè il fatto non sussiste, come chiesto sia dalla Procura che dal difesa dell’ex ministro, rappresentata dall’avvocata e senatrice leghista Giulia Bongiorno. Sarpietro ha deciso di ascoltare come testimoni il premier Giuseppe Conte, la ministra dellInterno Luciana Lamorgese, l’ex vicepremier (e attuale ministro degli Esteri) Luigi Di Maio, e gli ex ministri Toninelli e Trenta, oltre all’ambasciatore italiano presso l’Unione Europa Massari.
Quasi un pre-processo, per poi stabilire se celebrarne uno vero e proprio oppure no.
Due ulteriori udienze sono state già convocate per il 20 novembre è il 5 dicembre. «Siamo soddisfatti perchè sono state accolte le nostre richieste», commenta l’avvocato Massimo Ferrante che assiste due profughi nigeriani.
Ma soddisfatti possono dirsi un po’ tutti.
È stata una camera di consiglio lunga e meditata, quella in cui Sarpietro ha stabilito le pessime tappe
Durante l’udienza sia il pm Andrea Bonomo che l’avvocata Bongiorno avevano chiesto al giudice di pronunciare sentenza di “non luogo a procedere” per insussistenza del reato ma il giudice ha preso un’altra strada, scegliendo di approfondire i fatti attraverso una “integrazione probatoria”.
Dopodichè prenderà la sua decisione sul destino giudiziario di Matteo Salvini. «L’accusa in questo processo è stata rappresentata solo dalle parti civili», ha spiegato l’avvocato Daniela Ciancimino, del foro di Agrigento, in rappresentanza di Legambiente che ha chiesto di essere ammessa come parte civile.
«I minorenni a bordo della Gregoretti sono stati fatti scendere solo su disposizione del Tribunale dei minori e non perchè lo decise Salvini», ha aggiunto Carla Frenguelli, a capo dell’associazione Accoglierete, che si occupa di minori non accompagnati. «Lui li ha lasciati a bordo per giorni, al caldo e con un solo bagno. Merita il rinvio a giudizio».
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
I CASI TRA I BANCHI INTERESSANO GIA’ 900 SCUOLE, UN OTTAVO DEGLI ISTITUTI, MA PER ORA L’IMPATTO NON E’ RILEVANTE
I contagi tra i banchi crescono e interessano ormai oltre 900 scuole, circa un ottavo degli istituti, ma “per ora l’impatto della riapertura sulla curva epidemica non sembra essere stato rilevante”, spiega una fonte ad HuffPost.
I dati, raccolti dal Ministero dell’Istruzione che li ha chiesti direttamente ai dirigenti scolastici, saranno esaminati e valutati lunedì nel corso della riunione del Comitato tecnico scientifico e al momento sono ancora incompleti. Mancano le stime della terza settimana, attesi a Viale Trastevere proprio lunedì mattina, ma al momento, stando a quello che risulta ad HuffPost, le percentuali calcolate sulla base delle cifre trasmesse finora sono basse.
Dunque non è la scuola la fonte del contagio, che viene portato tra i banchi da fuori. Una linea condivisa anche dagli esperti del Cts e dell’Istituto Superiore di Sanita. È all’esterno degli istituti che bisogna essere più responsabili, rispettare le regole anti contagio, a partire dal distanziamento e dall’uso corretto della mascherina.
Molti focolai sono divampati dagli assembramenti in bar, locali, discoteche.
Non a caso, il direttore generale del Dipartimento prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza, oggi ha fatto riferimento “alle riaperture delle attività ricreative che – ha detto – hanno determinato i focolai di quest’estate in una regione come la Sardegna che era rimasta pressochè immune dai contagi”.
Le scuole, nelle quali a breve dovrebbero arrivare i test salivari – lunedì si partirà in Lazio – e sempre più presidi decidono di ricorrere alla didattica a distanza seppure temporaneamente, sono pronte “ad affrontare qualunque situazione”, ha spiegato il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli.
Intanto il Governo, alle prese con i contagi in crescita – oggi il bollettino ha registrato 2.844 nuovi positivi, mai così tanti da aprile – stringe l’attenzione sulle misure da inserire nel nuovo Dpcm, che lunedì sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri e il giorno dopo sarà illustrato in Parlamento dal ministro della Salute, Roberto Speranza. Tra le ipotesi in discussione, l’uso obbligatorio delle mascherine all’aperto e – se l’indice di trasmissibilità Rt dovesse aumentare – chiusure anticipate a macchia di leopardo per pub e ristoranti, solo nei territori in cui si dovesse registrare un peggioramento della situazione.
Alle Regioni sarà affidata la scelta di stringere le maglie dove lo ritengano necessario, soprattutto se il trend dei nuovi casi dovesse salire ulteriormente.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
ISOLAMENTO FIDUCIARIO, NESSUN PUO’ LASCIARE LA REGIONE
Il Napoli non partirà per Torino per la trasferta di campionato contro la Juve in programma domani. Lo si apprende da una fonte qualificata del club azzurro. A bloccare la partenza è stata l’Asl Napoli 1 dopo l’inizio di focolaio Covid
Il Napoli ha effettuato tamponi a tappeto dopo l’ondata di positività che ha falcidiato il Genoa – squadra contro cui ha giocato domenica scorsa – e dopo Piotr Zielinski anche Elif Elmas e un dirigente partenopeo sono risultati positivi al Covid 19.
Non solo. Il gruppo squadra della Juventus è in isolamento fiduciario: sono stati riscontrati, infatti, due casi di positività nello staff.
“Non si tratta nè di calciatori nè di membri dello staff tecnico o medico – precisa la società – tuttavia in ossequio alla normativa e al protocollo tutto il gruppo squadra allargato entra da questo momento in isolamento fiduciario. Questa procedura permetterà a tutti i soggetti negativi ai controlli di svolgere la regolare attività di allenamento e di partita, ma non consentirà contatti con l’esterno del gruppo” si legge nella nota ufficiale diramata dal club bianconero.
Tra le squadre di Serie A c’è un positivo anche nell’Atalanta. Il nome non è stato comunicato, indiscrezioni e deduzioni dicono che si tratterebbe di Rafael Toloi.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
L’AZIENDA FIORENTINA NATA NEL 1958 E’ STATA DICHIARATA FALLITA DAL TRIBUNALE
Il marchio Rifle, storica azienda fiorentina di jeans, è giunto al capolinea. L’azienda, con sede a Barberino del Mugello, fondata nel 1958 dalla famiglia Fratini, è stata dichiarata fallita dal tribunale di Firenze.
Un brutto colpo per l’immagine della moda italiana nel mondo e per l’economia, non soltanto locale: Rifle, griffe conosciutissima che ha vestito negli anni d’oro intere generazioni, conta complessivamente 96 dipendenti, impiegati nella sede centrale di Barberino e nei negozi sparsi nella penisola.
La crisi del marchio si era fatta sentire ormai da anni. Nel 2017 avevano fatto ingresso nella società fondi esteri, nella speranza di portare nuova linfa al brand, accompagnato anche dai più giovani della famiglia Fratini.
Ma la risalita non è riuscita, e la pandemia che ha bloccato i mercati ha dato il colpo di grazia a una situazione già compromessa.
E adesso? “Il tribunale ha disposto l’esercizio provvisorio per 45 giorni – dicono Alessandro Lippi della Filctem-Cgil e Gianluca Valacchi della Femca-Cisl, sindacalisti che seguono la vicenda – e appena avremo l’ufficialità della nomina del curatore fallimentare, chiederemo un incontro per esaminare la situazione e cercare di dare un ulteriore sostegno economico ai dipendenti; la Rifle & co. è già in cassa integrazione Covid-19, tramite gli ammortizzatori sociali straordinari previsti in questi casi”.
“Ovviamente sono allertate le istituzioni sulla vicenda, sempre coinvolte nella gestione della crisi aziendale, che sarebbe riduttivo – proseguono i sindacalisti – addebitare solo alla pandemia e cercheremo anche di verificare tutte le possibilità di salvaguardia occupazionale qualora ci fossero manifestazioni di interesse per il marchio e quindi per l’attività aziendale”.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
FAKEPOLI: IL MERCATO DI TROLL, BOT, ACCOUNT … IMPROVVISAMENTE I FANS DI SALVINI AUMENTANO PER VEICOLARE IL PROCESSO A CATANIA DEL “MARTIRE”
Sul processo di Catania gli utenti social appoggiano in massa Matteo Salvini. Come mai? Chiedetelo a Cvetanka, anziana signora abitante di Ocrida, nella Macedonia del Nord. Oppure al timido Hellal, ragazzo indiano con solo 11 amici su Facebook ma un grande interesse per la difesa dei confini italiani.
E perchè non chiedere a Lankoande cosa ne pensi dell’immigrazione dall’Africa, proprio lui che viene dalla Costa d’Avorio?
Durante i giorni che hanno preceduto il countdown terminato il 3 ottobre con la manifestazione di Catania — lanciata proprio dalla pagina di Matteo Salvini, il cui gruppo di comunicazione ad oggi viene ritenuto il dream team della politica 2.0 — è stato evidente l’aumento delle interazioni a sostegno del leader della Lega, tanto da registrare un sospettoso +9% sull’engagement medio della pagina (fonte CrowdTangle) nella settimana del 20-29 settembre rispetto alle tre settimane precedenti.
Sospettoso sì, perchè a guardar bene (e a pensar male) tra i numerosi fan di Matteo sono tanti coloro che riportano un nome e cognome straniero.
Sia chiaro, è legittimo sostenere che un leader affermato come Salvini abbia dei follower anche fuori dal Bel Paese anche se l’ex vicepremier in questi anni ha fatto del “Prima gli italiani” un vero e proprio cavallo di battaglia.
C’è anche da dire che un nome e un cognome straniero non significano per forza un passaporto estero, eppure ciò che non convince per nulla è la percentuale di questi nomi e cognomi esotici, che risulta essere in questi giorni circa del 20%. Uno su cinque. Troppo per non destare qualche sospetto.
Difficile dire perchè la tailandese Dorny o la signora Светлана (quest’ultima iscrittasi a Facebook il 24 settembre di quest’anno, una foto di un orso con un solo like e nessun post visibile) si stiano preoccupando tanto per Matteo Salvini e per il suo processo. A meno che non si cominci a pensar male, appunto.
Comprare follower non è mai stato così facile. Se per Gesù di Nazareth è stata un’impresa trovarne dodici, 2020 anni dopo la sua nascita si possono comprare con meno di trenta euro un migliaia di “like” o di “mi piace”. Chiunque sappia fare una ricerca su Google può farlo facilmente.
Sono numerose nel mondo le troll farm specializzate nel creare account finti e numerose inchieste giornalistiche internazionali hanno dimostrato come le grandi potenze, Cina e Russia in prima linea, in passato abbiano schierato migliaia di account non riconducibili a persone esistenti per condizionare il dibattito (ed eventualmente il voto) nelle nazioni avversarie.
Non solo la geopolitica è interessata al fenomeno: a comprare follower sono star, politici nazionali e sportivi.
All’inizio si comprava al buio ma oggi si possono selezionare i propri follower fake per sesso, età e anche nazionalità . Gli strumenti online per snidare gli account finti ci sono ma non sempre riescono ad individuare i cosiddetti fake, anche perchè gli account falsi sono solo la punta di un’iceberg fatto di mercati di pagine e profili “usati” che rendono molto difficile, persino ai complessi algoritmi dei social network, la loro individuazione ed eliminazione.
Cento sfumature linguistiche di “Processate anche me”
Ed è proprio l’esistenza di Fakepoli che fa sollevare qualche dubbio. Il sospetto che qualcuno legato a Salvini aiuti i post con una spintarella c’è da un po’, tanto che la rivista Rolling Stones a giugno di quest’anno ha provato a contattare i follower sospetti, non ricevendo alcuna risposta. Mettono like e sono fan, ma non parlano. Nè in italiano nè nella loro lingua d’origine.
Partendo da qualche indizio preliminare, ho provato a raccogliere i dati di tre post su Facebook relativi all’ormai celeberrimo Countodown del processo a Catania e ho analizzato un campione della lista dei “Fan più Attivi” del Capitano (un badge assegnato dallo stesso social network che premia i più fedeli).
Con un campione statisticamente significativo di oltre 3mila follower (raccolto nei primi sessanta minuti di pubblicazione dei post) e un’analisi fatta contatto per contatto è emerso che al 28 settembre i Fan più attivi con nome e cognome stranieri erano il 20,38% mentre i tre post in newsfeed presi in analisi collezionavano un impressionante 23,68%, 20,01% e 18,1% di utenti apparentemente non italiani. Uno su cinque in media.
Che gli utenti con nome e cognome straniero siano forse troppi, questo chiunque può verificarlo guardando i like.
La Lega è accusata dai suoi avversari di fomentare le tensioni interculturali promuovendo una narrativa che pone l’Italia prima di tutto, con tutta la buona volontà del mondo è davvero difficile pensare che sia così amato sul serio.
A pensar male a volte ci si azzecca, ma oltre al sospetto purtroppo per oggi non si può andare. La crescita dei fan sui social, inversamente proporzionale a quella nei sondaggi, è inarrestabile e la Bestia, la macchina organizzativa della presenza online di Salvini, è elogiata persino dai suoi avversari per la sua efficienza.
Eppure qualcosa, dietro a quei numeri, continua a non tornare. I casi sono due: o la difesa dei confini italiani è un argomento di portata internazionale (e ci vuole molta fantasia per pensarlo) o forse qualcuno, forse in passato, ha comprato follower a basso prezzo. Basta andare a scavare su un qualsiasi post di Salvini per convincersi in merito.
Per fugare ogni dubbio ho infine provato a chiederlo direttamente alla signora Cvetanka e alla signora Светлана (anche se onestamente non ho idea di come si pronunci) e neanche io questa volta sono riuscito ad avere risposta. Chi lo sa, magari invierò loro una mia foto con il rosario e un caffè in mano. Pare funzioni bene, non solo con gli italiani evidentemente.
(da “TPI”)
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Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
“NON DISCUTO LA LEADERSHIP DI SALVINI MA LA LINEA”
La sconfitta alle Regionali, la nomina di Giorgia Meloni come leader dei conservatori e riformisti europei e l’udienza preliminare di oggi di Matteo Salvini sul caso Gregoretti. La Lega prova a rimboccarsi le maniche mentre sta attraversando un momento difficile da cui si esce solo con un cambio di rotta netto. «È giunto il momento di aprire un dialogo con il Ppe».
È questa la presa visione di Giancarlo Giorgetti, il vicesegretario del Carroccio che dalla kermesse leghista di Catania ha provato a indicare la direzione e lanciare a Salvini un’ancora di salvataggio.
«Non dobbiamo fare matrimoni con nessuno — dice Giorgetti come riporta Repubblica — Ma dobbiamo prendere atto che l’Europa esiste, piaccia o no. E io ritengo che il partito che governa in 15 regioni ed è primo in tutti i sondaggi, una Lega di governo, debba confrontarsi con chi comanda in Europa. E chi è determinante nel Ppe? La Cdu tedesca».
Insomma per Giorgetti il segretario della Lega deve aprire un dialogo con Angela Merkel. Una scelta inevitabile per il Carroccio dopo che Giorgia Meloni è diventata il volto dei conservatori europei, mentre la Lega rimane con Marine Le Pen.
Dal dietro le quinte della kermesse catanese Giorgetti non chiede un cambio di identità . La Lega — dice — rimarrà sovranista: «Nel senso che la sovranità appartiene al popolo». E non ci sarà neanche un cambio alla guida, che nessuno mette in discussione
A preoccupare però il vicesegretario è la nuova legge elettorale e il ritorno al proporzionale: Se dovesse passare — avverte — la Lega dovrà avviare un movimento verso il centro, oppure correrà il rischio di essere annientata».
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
LA DIRETTRICE DI KOZA PRESS IL GIORNO PRIMA ERA STATA OGGETTO DI UNA PERQUISIZIONE DA PARTE DEL REGIME
“Per piacere, date la colpa della mia morte alla Federazione Russa”. Quindi allo Stato. Quindi a Vladimir Putin.
Perchè quando si arriva a ‘l’ètat, c’est moì, poi dove si cade si cade.
È l’ultimo messaggio postato su Facebook da Irina Slavina, direttrice della testata locale Koza.Press, prima di darsi fuoco fuori dalla sede della polizia di Nizhny Novgorod.
C’è chi ha provato, pare, a spegnere le fiamme ma Irina si è opposta. Ed è spirata così, tra le fiamme, sul marciapiede. Un gesto estremo. Ma che sa di ‘j’accusè spietato, visto che solo ieri la sua casa era stata perquisita dalla polizia ed era stata accusata di essere in combutta con l’ex oligarca Mikhail Khodorkovsky, ora oppositore incallito con base a Londra.
La notizia è apparsa come una fucilata sui social russi. A confermare le voci è stata la stessa Koza.Press, citando il marito di Slavina.
Giusto ieri la testata liberale The Insider – russissima a dispetto del nome – aveva pubblicato il suo ‘flusso di coscienza’ su quanto le era capitato. “Prima che iniziasse la perquisizione mi hanno chiesto di dargli volontariamente opuscoli e volantini di Russia Aperta (Open Russia in inglese, ovvero l’organizzazione fondata da Khodorkovsky, ndr). È chiaro che non potevo in alcun modo aiutarli dato che non ho nulla a che fare con Open Russia”, ha raccontato Irina.
“Si sostiene che Open Russia finanzi le proteste a Nizhny Novgorod contro lo sviluppo predatorio e peggiorativo di una delle aree verdi più iconiche della città , il parco Svizzero. Si afferma che Open Russia finanzia queste proteste di massa, mentre la gente scende in piazza del tutto volontariamente e ogni martedì si trova in una ‘catena umana’ vicino al parco. Come giornalista, non posso ignorare questi eventi e ne ho scritto. Inoltre, io stessa ho partecipato due volte alla catena, perchè quello che sta succedendo non può che riguardarmi, come residente di Nizhny Novgorod e come cittadina”, ha detto ancora.
La polizia, stando a Irina, ha confiscato i computer e i cellulari di tutta la famiglia (marito e figlia compresi). “Siamo stati lasciati senza mezzi di comunicazione, non ci hanno rilasciato il verbale, non ho potuto fare una foto al mandato nè chiamare l’avvocato”. E a quel punto nella mente di Irina forse qualcosa si è rotto. Sta di fatto che ora non c’è più. Non solo.
A Nizhny Novgorod evidentemente c’è una tempesta. Perchè lo stesso giorno della perquisizione ai danni di Irina, la sezione locale del partito socialdemocratico Yabloko – storica sigla nazionale – ha riferito che le forze dell’ordine hanno perquisito gli uffici di Alexey Sadomovsky, il vicepresidente della sezione locale del partito, e di tre attivisti.
Secondo Yabloko, “le perquisizioni sono state effettuate nell’ambito di un procedimento penale ai sensi dell’articolo sulle attività di un’organizzazione indesiderata, avviato contro uno dei residenti della città ”. Insomma, è caccia aperta per sedare le proteste.
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2020 Riccardo Fucile
ORA DICE “IMPEDIRE GLI ATTENTATI ERA POSSIBILE”
Infinite e misteriose sono le vie che portano al Jihad, ma una sola cosa è sicura: che in ognuna di esse, a un certo punto, saltano fuori i Servizi segreti.
In genere dietro personaggi improbabili con un passato militare e un rapporto oscuro con qualche corpo dello Stato.
Nel caso della Francia e di Charlie Hebdo, questo uomo si chiama Claude Hermant, ha un testone così sul quale sembrano avvitati gli occhiali neri e la faccia di uno con cui non è facile discutere. Le armi che in quelle tragiche 48 ore tra il 7 e il 9 gennaio 2015 hanno fatto diciassette morti a Parigi, sono arrivate ai terroristi islamisti passando dalle sue mani.
Hermant, ex militare con un passato di missioni in Congo e Croazia, militante dell’estrema destra, personaggio che si muove con agilità e – a quanto pare – con la protezione della gendarmerie attraverso quella frontiera tra Francia e Belgio che sarebbe una porta simbolica dell’Europa ed è invece un affaccio sull’abisso.
Di lì nel fatidico 2015 sono passate le armi per l’attacco a Charlie, di lì dieci mesi dopo sono passate armi e killer della tragedia del Bataclan.
Hermant è apparso l’altro giorno davanti alla Corte d’Assise di Parigi nella sorprendente veste di semplice testimone.
Un omone, “l’incrocio tra un molosso e un gladiatore”, com’è descritto nel resoconto quotidiano dello scrittore Yannick Haenel sul sito charliehebdo.fr. T-shirt XXL impregnata di sudore, cranio rasato alla Marlon Brando di Apocalypse Now, boxeur, gerente di una friggitoria e di un terreno di paintball, militante identitario, animatore della Maison Flamande, addirittura un ex leader dell’estrema destra di Lille, secondo il quotidiano locale la Voix du Nord.
Ha raccontato con apparente naà¯vitè di aver capito che le armi degli attentati erano le sue qualche giorno dopo averle viste al telegiornale.
E quando il presidente della Corte gli ha chiesto che effetto gli faceva, ha aggiunto che a pensarci non ci poteva dormire la notte, anche perchè i Servizi erano informati: “Io vendevo armi per infiltrarmi”.
E dunque la macchina degli attentati si poteva intuire e fermare. Si è definito una “fonte”, autorizzata a rivendicare il “segreto difesa” per i suoi traffici. La polizia non ha smentito, i gendarmi convocati a testimoniare su questo punto hanno fatto scena muta. Dèja vu.
Dopo i giorni della commozione e dell’emozione al processo è arrivata l’ora dell’indignazione, dalle parole al piombo, brutalmente rievocato con la domanda fondamentale che c’è dietro a tutto: chi ha armato i fratelli Kouachi e il loro solitario emulo Amedy Coulibaly?
Due fucili d’assalto e un lanciagranate, per i massacratori dei vignettisti di Charlie; due fucili d’assalto e sei pistole automatiche, Tokarev e Nagant per l’assalitore del supermercato Kasher.
Come sempre in questi casi i percorsi sono tortuosi e l’immaginazione non tiene il passo della realtà .
Accanto a Hermant, agiva un suo doppio, tale Christophe Dubroeucq, di mestiere buttafuori a Roubaix, soprannominato a buona ragione “Il Monstro” (in italofrancese), un’altra montagna di muscoli, anche lui legato ai servizi che gli avevano anche affidato un telefonino per rimanere sempre in contatto.
Questo Dubroeucq, nei primi mesi del 2015 era stato arrestato dalla polizia ceca alla frontiera con la Slovacchia con il baule dell’auto pieno di fucili mitragliatori Uzi e Skorpion VZ61.
Interrogato, il Monstro aveva rivendicato il suo ruolo di infiltrato e fornito i contatti con i servizi francesi.
Il quotidiano online mediapart.fr ha ricostruito l’intreccio con Hermant e servizi. E si è scoperto che già nel 2014 l’informatore dava notizia di vendite da parte della slovacca Afg di armi “demiltarizzate” provenienti da vari eserciti, compreso quello svizzero e che attraverso diversi circuiti finivano “nei quartieri”, come dire nelle banlieues dove prosperano grandi banditi e gruppuscoli radicalizzati.
Il magazzino della friggitoria di Hermant era in realtà un deposito d’armi, gli scambi avvenivano nel parcheggio di un Decathlon o nel cimitero di Villeneuve d’Ascq, a Lille.
In breve dalla primavera 2014 gli informatori Hermant e il Monstro avevano partecipato e rivelato il traffico delle armi che avrebbero ucciso a Parigi in quel fatidico gennaio 2015.
Il paradosso è che i fanatici islamisti sono stati armati dai militanti di un’estrema destra identitaria e anti islamica. Ma allora tutti questi infiltrati a cosa sono serviti? Pure Hermant, che poi ha scontato una condanna per questi traffici, ha teatralmente esclamato: “Impedire gli attentati era possibile”.
Si fa presto a dire dopo, però questi sono i fatti ed il processo che finora era stato una rivisitazione drammatica ad alto impatto emotivo collettivo sulla strage di Charlie, ha preso improvvisamente un’altra piega, rivelando – come scrive nella sua ultima cronique Yannick Haenel – un “mondo infernale dove il massacro degli innocenti è coperto dal blabla degli impuniti”.
(da “Huffingtonpost”)
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