Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
LA MANIFESTAZIONE INFILTRATA DAI SOLITI DELINQUENTI NON ERA AUTORIZZATA… MA LE MANIFESTAZIONI NON AUTORIZZATE VANNO BLOCCATE SUBITO, BASTA TOLLERANZA CON I VIOLENTI
Scontri tra i manifestanti e la polizia in centro a Firenze. Lanci di bottiglie, tensione e cariche. Manganelli che si alzano. Erano cominciati ad arrivare in un centinaio in via Calzaioli prima delle 21, ora di inizio della manifestazione non autorizzata e che già alla vigilia aveva allarmato la prefettura.
Il sindaco Dario Nardella aveva parlato della possibilità che “formazioni neofasciste fossero dietro l’organizzazione del raduno”. Il volantino che girava in rete e chiamava a raccolta per la manifestazione era simile nella grafica e nello slogan a quello di Torino finito con gli scontri pochi giorni fa.
“Non siamo estremisti, nè fascisti” urlano i primi in piazza. Stano per immettersi in piazza della Signoria a Firenze dove era fissato il raduno non autorizzato contro il Dpcm anticovid.
Una protesta contro i provvedimenti del governo. La polizia e i carabinieri hanno subito schierato i reparti antisommossa per sbarrare la strada e impedire ai manifestanti di arrivare nella piazza. Caschi e scudi.
“Buffoni”, “Vergona” i cori. Sono arrivati altri, allertati dal tam tam in Rete. Alle 21,15 erano già trecento. Mezz’ora dopo il doppio. Ma il numero è aumentato ancora. Ultrà del calcio, antagonisti, gruppi di estrema destra, lavoratori precari, alcuni ristoratori, fattorini con addosso ancora la divisa da lavoro.
Slogan contro col governo, contro il presidente del consiglio Conte per le chiusure anti-covid. Vorrebbero andare a manifestare davanti a Palazzo Vecchio. Sono quasi tutti giovani. “L’Italia è l’unico paese a chiudere senza risarcire”.
Hanno dei cartelli del tipo: “Il governo chiude, il governo paga”, “Hugs no mask”. Cresce la tensione. Urlano contro i giornalisti. La polizia carica, la gente scappa. Nell’aria i fumogeni. Si sentono delle sirene. e si vede qualcuno a terra.
Nel pomeriggio i negozi hanno chiuso presto in centro a Firenze e i falegnami si sono messi al lavoro per proteggere le vetrine con assi di legno e compensato. E’ stato così per Gucci, Prada, per altre griffe e grandi magazzini. La manifestazione non autorizzata e convocata misteriosamente diffondendo un volantino in rete contro il dpcm ha preoccupato le forze dell’ordine che molto prima dell’ora della convocazione (le 21) ha cominciato a presidiare le strade e le piazze del centro con i blindati.
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
TRE OPZIONI SUL TAVOLO (SARA’ SEMPRE TROPPO TARDI)
Il problema non è il se, ma il come e il quando. Il governo è pienamente avviato verso un nuovo giro di restrizioni per arginare la marea dei contagi.
Oggi 31.084, in cinque giorni, da lunedì, quasi 122 mila, per un trend in continua ascesa e che non vede segnali di inversione, con la prospettiva di arrivare venerdì prossimo a sfiorare una cifra doppia.
E’ per questo che al governo si ragiona non più sull’opportunità o meno di procedere a un ulteriore giro di vite, ma come farlo.
Le strade aperte davanti a Giuseppe Conte sono tre.
La prima prevede il lockdown, probabilmente non tetragono come quello della scorsa primavera, ma poco ci manca. Le misure sono quelle previste dal quarto scenario dello studio dell’Istituto superiore di sanità : chiusura delle scuole, ulteriori limitazioni se non chiusura di bar e ristoranti, chiusura di altre categorie di attività commerciali, possibili limiti alla mobilità regionale, limitazione di contatti sociali.
La seconda un massiccio intervento per determinare zone rosse locali, a livello comunale, provinciale e in extrema ratio regionale. Zone limitate a cui applicare un dispositivo di norme da lockdown, dalle quali non si potrebbe uscire se non per comprovate esigenze di necessità .
La terza prevede un mix delle prime due: un’ulteriore stretta, ma più morbida, nell’intero Paese unita alla creazione di zone rosse territoriali.
Nel governo la situazione è accesa. Conte è stato costretto a convocare un vertice con i capidelegazione e Lucia Azzolina dedicato alle scuole.
Mentre la ministra dell’Istruzione, supportata dal Movimento 5 stelle e da Italia viva, impugnerebbe senza esitare le ordinanze regionali ulteriormente restrittive sulle classi poste in didattica a distanza e non vuol sentir parlare di uno stop a livello nazionale, per il Partito democratico e per Roberto Speranza l’asticella è stata ormai superata, e andrebbero al contrario incentivati i governatori delle Regioni più a rischio a procedere in tal senso.
E’ solo uno dei tasselli che compone il puzzle di una situazione intricatissima, nella quale si innestano i problemi di una maggioranza litigiosa e sfilacciata.
Conte prende tempo, si fa forte di una serie di ragioni. La prima è quella che gli effetti dell’ultimo dpcm non hanno avuto ancora impatto sulla curva dei contagi. “Servono minimo dieci giorni”, spiega una fonte che lavora al dossier, e dunque prime di mercoledì o giovedì prossimi un rallentamento della crescita non si vedrà .
“Ma a quel punto sarà troppo tardi, saremo totalmente fuori controllo”, obiettano dal ministero della Salute, da sempre guida dell’ala rigorista dell’esecutivo, che spinge per una serie di misure ancora più dure già dalla settimana prossima.
Il secondo dato che conforta l’attesa del premier è quello sulla natura dei contagi: attualmente le terapie intensive occupate sono 1740 su potenziali 10.300, circa l′80% dei casi è asintomatico, il 94% è gestito da casa. Certo, alcune zone del paese (Lombardia, Piemonte, Campania, Lazio) sono più in sofferenza di altre, ma un margine per vedere i potenziali effetti dell’ultimo dpcm, è parere di una parte dell’esecutivo, c’è.
Il governo si sta nei fatti preparando a mesi difficili. Conte ha incontrato oggi i leader sindacali, assicurando la proroga del blocco dei licenziamenti fino a marzo. Dall’altra ha promesso alle aziende che verranno stanziati ulteriori quattro miliardi affinchè sia lo stato, e non le aziende, a pagare la cassa integrazione.
Il quadro è in rapidissima evoluzione. Solo il 12 ottobre scorso il commissario Domenico Arcuri rassicurava: “La situazione non è drammatica”. Dodici giorni dopo il mondo si era capovolto: “Siamo in un momento per certi versi drammatico”, a spiegare le ulteriori misure.
E, probabilmente, le prossime: la settimana che verrà porterà una nuova stretta, cambierà ancora il modo in cui viviamo.
Resta solo da capire come, e quando.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
LE PREVISIONI SU NUMERO DI CASI, DECESSI E TERAPIE INTENSIVE
Che sia light alla francese o soft alla tedesca, un nuovo lockdown, vista la situazione epidemiologica in Italia, sembrerebbe inevitabile. Se in Francia le chiusure partono il 30 ottobre e in Germania il 2 novembre, la serrata in Italia, al momento, è solo un’ipotesi e molte fonti indicano il 9 novembre come possibile data di inizio.
Ogni giorno che passa senza ridurre drasticamente la mobilità delle persone, però, è un giorno in più dato al Coronavirus per diffondersi seguendo un trend esponenziale.
Immaginare quali saranno i dati dell’epidemia in Italia dopo la prima settimana di novembre è possibile se ci si avvale della matematica, non dell’opinione. I tassi di crescita del contagio seguono una curva indiscutibilmente esponenziale.
Il tempo di raddoppio dei nuovi casi, in tutto il mese di ottobre, è stato di circa sette giorni. Ovvero? Ogni settimana, il numero di nuove infezioni individuate in Italia è stato il doppio delle infezioni registrate la settimana precedente.
I tempi di raddoppio dei nuovi casi
«Se guardiamo il totale dei casi positivi individuati da lunedì a giovedì di questa settimana, il dato raggiunge la cifra di quasi 91 mila infezioni totali». Parte da questo calcolo Giorgio Sestili, fisico e divulgatore scientifico, per dimostrare, andando a ritroso, la velocità con cui si sta diffondendo il virus nel Paese. «Negli stessi quattro giorni della settimana precedente, il totale dei contagi era stato di circa 51 mila». Due settimane fa, la somma indicava il valore approssimativo di 26 mila, tre settimane fa i casi riscontrati da lunedì a giovedì erano circa 13 mila, quattro settimane fa quasi 7 mila.
«Da quattro settimane a oggi, i casi sono pressochè raddoppiati ogni sette giorni». Solo nella settimana corrente si registra un lieve rallentamento del tempo di raddoppio, poichè si è passati da 51 mila a 91 mila contagi. «Il tempo di raddoppio si sta dilatando, lievemente — spiega Sestili -. Potrebbe essere dovuto ai Dpcm del 13 e del 18 ottobre e, in generale, a una maggiore attenzione nei comportamenti dei cittadini generata dall’allarme per la seconda ondata».
I tempi di raddoppio delle terapie intensive e dei decessi
Tuttavia, il tasso di crescita del contagio è ancora troppo elevato, visto che il tempo di raddoppio attuale potrebbe essere stimato intorno ai nove giorni. Prevedere cosa comporterà aspettare ancora 10 giorni prima di introdurre un lockdown non può prescindere dall’analisi della situazione delle terapie intensive. Stando ai dati del 29 ottobre, ci sono 1.651 posti letto occupati nei reparti di terapia intensiva. «Questo dato raddoppia in media ogni 10 giorni — sottolinea Sestili -. Infatti, il 20 ottobre, i posti letto occupati erano 870».
Guardando indietro, il tempo di raddoppio trova conferma: l’11 ottobre erano 420 le terapie intensive occupate. «Le terapie intensive sono raddoppiate con un lasso di tempo di circa 9-10 giorni. E continueranno — segnala il fisico — visto che gli effetti delle restrizioni su questo dato si vedono in ritardo rispetto agli effetti sui contagi». Si torna alla “regola” dei sette giorni per il tempo di raddoppio dei decessi. Al 29 ottobre, le vittime totali in Italia sono 38.122. «Una settimana prima il dato indicava la cifra di 36.968». Tradotto? In una settimana sono morte 1.154 persone.
Andando indietro di altri sette giorni, al 16 ottobre, i decessi totali erano pari a 36.427, ovvero 541 vittime in una settimana, circa la metà . Ancora, tornando al 9 ottobre, i deceduti totali erano 36.111, 316 morti in una settimana. «Il tempo di raddoppio si è addirittura abbreviato», rimarca Sestili. Sintetizzando l’analisi, i casi positivi sono iniziati a crescere esponenzialmente con un tempo di raddoppio a sette giorni dai primi di ottobre. Decessi e terapie intensive hanno seguito il trend con una settimana di ritardo: le terapie intensive aumentano esponenzialmente con un tempo di raddoppio di 10 giorni, mentre i decessi ogni 7 giorni.
Cosa implica aspettare 10 giorni prima di introdurre un lockdown?
Con gli attuali tempi di raddoppio possiamo ipotizzare che tra 10 giorni avremo il doppio delle terapie intensive occupate attualmente, «tra i 3.200 e i 3.300 posti letto impegnati», stima Sestili. Ovvero, il 50% delle terapie intensive di cui dispone il sistema sanitario italiano. «Allo stesso modo, potremmo dire che se negli ultimi sette giorni i morti sono stati 1.154, durante la prossima settimana potrebbero perdere la vita tra i 2.200 e i 2.300 pazienti Covid», spiega il fondatore della pagina Coronavirus — Dati e analisi scientifiche.
Per quanto riguarda i casi positivi, se oggi se ne registrano circa 27 mila ogni 24 ore, «tra una decina di giorni potremo essere intorno ai 45 mila contagi giornalieri», tarando il numero con il lieve rallentamento osservato dopo i primi due dpcm di ottobre. È troppo presto, invece, per valutare quali siano stati gli effetti del Dpcm del 24 ottobre sulla curva epidemica. «Tutto ciò, però, non dimostra che se avessimo anticipato il lockdown i numeri del contagio sarebbero scesi subito a zero», chiosa Sestili.
Un confronto con la Germania
Un lockdown, infatti, serve a frenare la curva e «prima si implementa, prima si raggiunge il picco». È significativo il paragone con quanto sta succedendo in Germania. «Lì ci sono solo il 5% delle terapie intensive occupate, mentre in Italia siamo al 22% del totale».
Ancora, la Germania, ieri, ha registrato circa 18.700 casi, mentre l’Italia, lo stesso giorno è a quota 31.000 mila. La situazione della Germania è migliore non solo in termini assoluti, ma ancor di più se rapportata alla popolazione: i cittadini italiani sono circa 20 milioni in meno rispetto ai tedeschi.
Eppure in Germania il lockdown entrerà in vigore già dal 2 novembre, «per far fronte a una situazione epidemiologica più tranquilla rispetto all’Italia, avendo meno terapie intensive occupate e meno casi positivi giornalieri — rimarca Sestili -. L’Italia, invece, sembra muoversi con lo stesso ritardo dei francesi, che hanno fatto partire il lockdown solo dopo aver sfondato la soglia dei 50 mila casi».
Il tempismo della Germania, che oggi ha un tempo di raddoppio dei contagi pari a dieci giorni, serve ad appiattire la curva esponenziale prima che arrivi ad assomigliare a quella italiana e francese. La stessa Merkel, annunciando le misure restrittive, ha dichiarato che «con questo tasso di crescita, il sistema sanitario tedesco potrebbe collassare». L’ha detto con soltanto il 5% delle terapie intensive occupate.
Lo scenario delle terapie intensive italiane nei prossimi 10 giorni
Secondo i dati del ministero della Salute, ad oggi sono sei le regioni che hanno superato la soglia di allarme del 30% dei posti letto occupati in terapia intensiva. L’Umbria ha raggiunto il 54% dei posti occupati, il Piemonte il 40%, la Campania il 38%, la Lombardia il 35%, la Valle d’Aosta il 35% e le Marche il 31%. «Con l’attuale tasso di crescita delle terapie intensive — segnala Sestili — con un tempo di raddoppio a 10 giorni, raggiungeremo la saturazione in meno di un mese». Se non si interviene subito, tutti posti in terapia intensiva potrebbero essere occupati prima di dicembre.
Al momento in Italia sono circa 6.500 le terapie intensive disponibili nelle strutture ospedaliere. Oggi sono 1.651 le terapie intensive occupate: «Con questi tempi di raddoppio, tra 10 giorni arriveremo a una cifra di 3.200—3.300, tra 20 giorni il sistema sanitario non avrà più letti disponibili», calcola il fisico. «Queste analisi matematiche ci portano a dire che, forse, è già troppo tardi per un lockdown: qualunque misure adotteremo oggi, mostrerà i suoi effetti non prima di 7—10 giorni, entrando a regime dopo due settimane, il periodo massimo di incubazione del virus».
Certo, bisogna ancora valutare l’esito che il Dpcm del 24 ottobre avrà sulla diffusione del virus, «ma se aspettiamo il 9 novembre per introdurre un lockdown alla tedesca, bisogna avere il coraggio di considerare che, quel giorno, avremo già il 50% delle terapie intensive occupate, perchè il dpcm del 24 ottobre incomincerà solo allora a mostrare i suoi effetti sui ricoveri». Preoccupa ancora di più considerare che, se il lockdown in Italia partirà il 9 novembre, i suoi effetti non saranno visibili prima del 16-20 novembre, «esattamente il giorno in cui si stima la saturazione completa delle terapie intensive».
È chiaro che un rallentamento dei vari tempi di raddoppio, da qui al 20 novembre, ci sarà , visto che cominceranno a essere visibili sulle curve epidemiologiche gli interventi del governo, «ma il punto è quanto fletteranno le curve? I giorni che guadagneremo con queste misure attuali sembrano molto pochi. Siamo sul filo del rasoio», afferma Sestili. Se il governo intervenisse oggi, invece, anticiperemmo di dieci giorni gli effetti di un lockdown sul contagio.
«Perchè la Germania, che vive una situazione migliore della nostra, adotta un lockdown già il 2 novembre e noi dovremmo aspettare il 9?», si domanda il fisico. «È un eccesso di attenzione da parte della Germania o siamo noi a non renderci conto che, per fermare un trend in corsa, è necessario molto tempo?». Quando in Italia fu deciso il primo lockdown, a marzo, il picco epidemico si raggiunse solo un mese più tardi, ad aprile.
Situazione analoga a quella francese
È utile, per comprendere gli effetti di un lockdown sulla curva epidemica, la metafora di un treno che deve fermare la sua corsa: più il treno viaggia velocemente, più lo spazio di frenata aumenta. Ma un treno non si arresta mai immediatamente. «Un altro termine di paragone potrebbe essere la Francia — aggiunge Sestili -. Ha sfondato la soglia dei 50 mila casi giornalieri ed è assolutamente plausibile pensare che anche l’Italia, pur con qualche leggero rallentamento, in 10 giorni potrebbe arrivare a queste cifre».
Sembrerebbe che, per convincere l’opinione pubblica della necessità di un lockdown, ci sia bisogno dei morti. Questa è la drammaticità della classe politica di alcuni Paesi.
Poi, in Italia, è plausibile pensare che un nuovo lockdown rappresenterebbe un fallimento per il governo del premier Conte, il quale ha dichiarato in più occasioni «mai più un lockdown». «Che si stia facendo di tutto per evitarlo è chiaro — afferma Sestili -, il punto è che ogni giorno di ritardo si traduce nella morte di più persone».
«In alcune regioni è inevitabile chiudere tutto, in altre invece si può evitare il lockdown». Per il fisico, la strategia potrebbe essere questa. E sarebbe necessario adottarla «fin da subito, per evitare la valanga di contagi che stanno provenendo da Milano, Napoli, da Varese e da alcune regioni come la Liguria». Oggi, le cinque regioni che hanno un Rt maggiore di 1,5 sono Lombardia, Campania, Liguria, Lazio e Valle d’Aosta, «le sorvegliate speciale che potrebbero beccarsi un lockdown prima delle altre».
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
DOTTORI, PARAMEDICI, PORTANTINI, AMMINISTRATIVI: IN 7.225 SONO ANDATI VIA
Ospedali in affanno: medici e infermieri per i reparti di terapia intensiva introvabili. Oggi il Corriere spiega che, almeno in parte, quel personale potrebbe essere ancora al lavoro se non ci fosse stato l’effetto di Quota 100. Con il prepensionamento più di 7mila dipendenti del sistema sanitario non sono più attivi.
Morale: Quota 100, usata l’anno scorso complessivamente da 150 mila lavoratori (108.000 nel privato) non solo graverà a lungo sulla spesa previdenziale, ma ha anche consentito l’uscita dal lavoro a migliaia di persone che in questa fase magari avrebbero fatto comodo.
Sia chiaro, i 7.225 dipendenti usciti dal Servizio sanitario pubblico non sono tutti medici. L’Inps non aveva ieri disponibili i dati disaggregati, ma dentro ci sono molti amministrativi, operatori sociosanitari, tecnici e infermieri.
Ma in questa emergenza, dove mancano non solo dottori, ma anche paramedici, portantini e figure nuove come i «tracciatori» del contagio, Quota 100 non ha certo aiutato. Ha rappresentato invece l’ultima di una serie di scelte discutibili fatte negli anni, all’insegna di una programmazione dei fabbisogni completamente errata
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
LA CRUDA REALTA’: DALLE CONDIZIONI DEI PAZIENTI ALLE FATICHE DEGLI OPERATORI
Negazionisti della Covid19, a seguito di un’iniziativa lanciata sui social, si stanno letteralmente esaltano nel pubblicare i loro video ripresi con i cellulari presso i Pronto Soccorso degli ospedali per sostenere che non ci sia alcuna emergenza.
L’operazione viene svolta ignorando in maniera plateale come funzionano le strutture sanitarie e come queste si organizzano per far fronte all’afflusso continuo di nuovi pazienti Covid-19.
L’esempio lampante è quello del video del Sacco che ha fatto infuriare gli infermieri e i medici in prima linea che in questi giorni stanno rivivendo, all’interno della struttura milanese, un incubo che doveva rimanere un lontano ricordo.
Il Dott. Pietro Olivieri, responsabile della Direzione Medica di Presidio Luigi Sacco di Milano, nell’intervista rilasciata a Open il 29 ottobre riporta le varie criticità riscontrate presso la sua struttura. L’aumento dei casi lo aveva costretto a fare richiesta al 118 di non far pervenire ulteriori pazienti presso il suo Pronto Soccorso dove c’erano casi in cui era necessario l’utilizzo del CPAP, il famoso casco per la respirazione assistita. Se da una parte c’è un aumento dei pazienti, dall’altra c’è una carenza nel personale che per ora viene ritenuta «gestibile», ma comunque scarsa. Una situazione, quella degli operatori sanitari, che viene ulteriormente peggiorata a causa di colleghi che sono risultati positivi al virus e dunque impossibilitati a lavorare in reparto.
Lasciato l’Ospedale Sacco di Milano, mi sono poi diretto a Varese per incontrare il Dott. Dentali dell’ASST dei Sette Laghi.
Una volta istruito sulle misure di sicurezza da adottare, ho avuto accesso al nuovo reparto Covid — che si aggiunge agli altri presenti nella struttura sanitaria — aperto lunedì 26 ottobre e completamente riempito in appena due giorni.
Una quarantina di pazienti divisi in stanze poste su due corridoi del quarto piano, alcuni ancora capacitati a parlare e altri che non possono nemmeno ascoltare la mia voce o quella degli operatori senza essere costretti ad urlare, questo a causa del casco della ventilazione assistita.
La preparazione per entrare in un reparto Covid è paragonabile a un rito, dove bisogna seguire determinate regole e procedure una dietro l’altra. Le scarpe erano completamente coperte, il mio corpo completamente protetto da una tuta che a vederla sembra leggera e facile da indossare, due paia di guanti e una visiera protettiva che andava a scontrarsi contro la mascherina FPP2. Non potevo toccare niente, tassativamente, potevo tenere solo il mio cellulare in mano per filmare all’interno del reparto.
Dopo il carrello inizia il reparto Covid. Non è possibile entrare o uscire liberamente oltre quella soglia, delimitata anche da una linea per terra. Per uscire dovevo svestirmi e sanificarmi
Una volta varcata la soglia, dove il personale non poteva entrare o uscire liberamente, mi sono trovato di fronte alla prima stanza dove stavano dormendo due pazienti con indosso la maschera per l’ossigenazione. Tutti i pazienti erano sottoposti alla pratica, con tecniche diverse a seconda della gravità . Molti avevano addosso la CPAP, il casco che abbiamo imparato a conoscere durante la prima ondata, qualcuno era cosciente e comprendendo che non ero uno dei soliti infermieri accennava un sorriso con gli occhi e mi salutava.
Non è un classico reparto dove ci sono turni prefissati per le visite dei parenti, queste persone sono costrette a un isolamento dove un contatto umano, anche se a distanza come quello che abbiamo avuto, è un qualcosa di inaspettato ed evidentemente piacevole vista l’accoglienza che ho ricevuto da chi mi aveva notato.
Un momento decisamente toccante e umano era quello del farci a vicenda il pollice in su: un segno di speranza e di sostegno che si ripeteva di stanza in stanza e da parte di chi riusciva a farlo.
La CPAP non è uno scherzo. Nel caso non basti, il livello successivo è l’intubazione. Il lavoro svolto dal macchinario impedisce di sentire ciò che viene detto all’esterno del casco e non è possibile per il paziente bere o mangiare quando ne hanno la necessità . Uno di loro, proprio mentre ero dentro la sua stanza, chiedeva all’infermiere di poter bere ma non era affatto possibile e doveva resistere fino alla conclusione del ciclo di ossigenazione. Non si scherza, le condizioni che devono affrontare per sopravvivere non sono affatto piacevoli sotto tutti i punti di vista e alcuni di loro non possono nemmeno alimentarsi autonomamente.
La media età è intorno ai 70-75 anni, tutti con evidenti problemi respiratori e circolatori, tanto che vengono sottoposti a terapie anticoagulanti oltre che all’ossigenazione.
Sono genitori e nonni costretti a separarsi dai loro affetti a causa di un virus estremamente pericoloso per la loro salute. Gli operatori sanitari del reparto, che già soffrono per le tante ore di lavoro dentro quel vestiario ingombrante, non si occupano soltanto fisicamente dei pazienti: cercano di assisterli anche a livello psicologico per tenerli quantomeno in condizioni più «umane» e sociali, mettendoli in contatto con le famiglie attraverso delle videochiamate fatte con un cellulare in uso nel reparto per sopperire all’impossibilità di una visita fatta in carne ed ossa.
Molti parlano della terapia intensiva, perchè fa paura, ma stare all’interno di quei reparti senza un sostegno morale e senza alcun contatto con l’esterno è veramente deleterio per chiunque.
Una volta concluse le riprese non potevo uscire tranquillamente dal reparto. Insieme a Giò, uno degli infermieri che mi ha accompagnato e risposto alle mie domande, entriamo dentro una stanza dedicata solo alla svestizione.
Anche in questo caso è un rito, dove dovevo stare attento a qualunque cosa toccavo, evitando il contatto con i miei vestiti o parti del mio corpo. Tanto, tanto disinfettante liquido con il quale lavavo le mie mani e non solo.
Usciti dalla stanza, subito a sinistra, c’era il varco dove dovevo togliere la protezione nelle scarpe e poggiare il piede al di là di una linea tracciata per terra. Non potevo, in alcun modo, poggiare la suola nell’area Covid per evitare in tutti i modi qualsiasi possibile contaminazione. Questo valeva anche per il mio cellulare, quello usato per le riprese, che era stato debitamente posto all’interno di un sacchetto di plastica sigillato per poi essere disinfettato. Nulla viene lasciato al caso, non si scherza affatto.
Non sono mancati, non solo dal Dott. Olivieri del Sacco, i messaggi rivolti ai negazionisti. Gli operatori sanitari dell’ospedale di Varese, così come tanti altri loro colleghi, conoscono le dicerie che vengono diffuse dai bufalari che diffondono falsità fantascientifiche sulla malattia e sul virus. Tra gli infermieri c’era chi operava con due o più mascherine una sopra l’altra durante la loro intera permanenza dentro il reparto, che può durare anche 5-6 ore consecutive andando avanti e indietro nelle stanze compiendo sforzi fisici nel prendersi cura dei pazienti, lavandoli e cambiandoli.
Chiamarli eroi non ha senso, anche se li vediamo come tali, bisogna tenere conto che sono dei professionisti che si spaccano la schiena in condizioni di contratto anche precarie con stipendi non soddisfacenti. Carenza di personale, fatiche, stipendi, e il dover pure affrontare moralmente e psicologicamente negazionisti e persone che non seguono le dovute precauzioni per impedire la diffusione del virus. Questi professionisti vanno tutelati e aiutati.
Scene come queste dovrebbero vederle tutti, non solo i negazionisti nella speranza che comprendano la reale situazione e smettano di seguire guru e malfattori che stanno approfittando dell’emergenza per racimolare seguaci e possibilità di profitto.
Anche a causa loro ci sono ancora diversi malati, anche a causa loro ci sono molte persone che hanno perso un familiare o un amico. Certo, il virus è il principale colpevole, ma loro sono complici.
(da Open)
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Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
LA DEGNA FIGURA DI MERDA DI CHI IGNORA LE PROCEDURE
Vedere, non conoscere e condividere. Questi sono i tre step del complottista medio italiano che pubblica sui propri canali social filmati non contestualizzati per portare avanti le proprie convinzioni e tentare di convincere gli altri che la sua sia la verità e i numeri quotidiani, i contagiati, gli ospedalizzati, i pazienti in terapia intensiva e le vittime siano tutte una gigantesca montatura.
Con la pandemia mondiale le teorie del complotto stanno toccando vette non raggiunte neanche dai terrapiattisti. Ed ecco che un video senza alcun senso è diventato virale, non sapendo come funziona un ospedale, quali siano le procedure per il personale medico e cosa sia la cosiddetta «zona filtro».
Non condivideremo il filmato che, nel giro di poche ore, ha ottenuto quasi mille condivisioni da una sola pagina Facebook (questo vuol dire che ha raggiunto migliaia e migliaia di utenti), adottando la politica del ‘don’t feed the troll’.
Ma ci limitiamo a contestualizzare l’assurda polemica aizzata da chi — forse (questa è la speranza) — non conosce il protocollo e le zone interne a un ospedale. E a darci una mano in questa spiegazione è Bufale.net.
Il filmato è estratto da RaiNews24 con le immagini di copertura andate in onda durante il collegamento con un esperto che spiega come la situazione all’interno degli ospedali e dei Pronto Soccorso sia molto grave e al limite della saturazione.
Nel video di sottofondo si vedono infermieri e medici nella sala di vestizione, o anche zona filtro, mentre si preparano indossando tutto il necessario: dalla mascherina alla visiera per proteggere viso e occhi, fino al resto delle protezioni su tutto il corpo prima di entrare a contatto con i pazienti.
La donna che grida mentre va in onda il filmato (registrato da casa sua, davanti la televisione) sottolinea come l’emergenza sia tutta una montatura. Il motivo? Nella zona filtro gli infermieri si vestono per lavorare e compare un infermiere senza mascherina. Ma perchè accade questo? Ce lo spiega Bufale.net:
Le zone filtro per le unità Covid servono per proteggere gli operatori , servono per evitare che gli operatori portino il virus fuori dall’unita operativa.
Non è una sala operatoria, una onco-ematologia intensiva o una terapia intensiva per i trapianti dove sei te che non devi portare i germi all’interno.
E allora in quel caso si, le aree filtro dovrebbero essere il più asettiche possibili. Ma in questo caso è il concetto opposto. Sono gli operatori che non devono portare i germi che sono dentro (in questo caso il Covid) al di fuori
Il solito ‘tanto rumore per nulla’, con i complottisti della prima ora pronti a decontestualizzare quel che accade all’interno degli ospedali senza conoscere cosa accade realmente e quali siano le loro procedure.
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
HA LA CITTADINANZA ITALIANA, E’ STATO ACCUSATO DA UNA VICINA PERCHE’ BUTTAVA LA SPAZZATURA CON LE CHIAVI DI CASA IN MANO
«Cara Italia, non sono un ladro». Questo è l’incipit della lettera che Zakaria, un ragazzo di 23 anni, ha scritto all’Italia, pubblicata sul suo profilo Instagram insieme a due foto: una lo ritrae sorridente mentre sorregge con le mani un cartello su cui ha scritto la parola «Insieme», l’altra è lo screen di una chat di Whatsapp, dove sono state condivise sue foto mentre, in pigiama, va a buttare la spazzatura fuori dal portone di casa sua, a Torino.
Qual è il nesso tra le parole che ha scritto nella lettera e le foto? Zakaria è stato vittima di un episodio di razzismo, come racconta lui stesso sui social e al Corriere. Nato e cresciuto a Serramazzoni, un piccolo paese in provincia di Modena, ora vive a Torino dove frequenta l’università , ha la cittadinanza italiana, ma la sua famiglia ha origini straniere.
«Ti scrivo amareggiato, per dirti che sono stanco di tutto questo — continua Zakaria nella sua lettera affidata ai social — Qualche giorno fa stavo uscendo di casa, in pigiama, con tre sacchetti della spazzatura in una mano e un paio di chiavi nell’altra, diretto verso i bidoni dell’immondizia nel cortile interno del mio palazzo». E in quel momento si avvicina una signora, gli chiede cosa ci faccia lì, gli intima di andarsene immediatamente e si dice intenzionata a chiamare la polizia. Poi prende il telefono e inizia a fotografarlo.
Zakaria, incredulo, con le chiavi dell’appartamento in mano e le ciabatte ai piedi, le dice che abita nel palazzo e che è sceso solamente per buttare i sacchetti. Niente da fare: la signora continua a fotografarlo e lo minaccia di chiamare la polizia se prova a entrare.
Dopo un tentativo di discussione — in cui la signora lo accusa di aver rubato le chiavi, non credendo che il ragazzo potesse abitare nel palazzo — Zakaria infila le chiavi nella serratura e rientra nel cortile interno. «Non riuscivo a credere a ciò che stava succedend», scrive il ragazzo su Instagram, chiamo il mio coinquilino dal cortile, magari a lui la signora avrebbe dato ascolto e, scosso, rientro nel mio appartamento». È a quel punto che la donna, non ascoltando nemmeno il coinquilino di Zakaria, chiama l’affittuario dell’appartamento, mandandogli le foto del giovane e chiedendo spiegazioni. E arriva la conferma che sì, il ragazzo è un inquilino con regolare contratto, e la signora a quel punto prova a giustificarsi dicendo che quella mattina qualcuno aveva rubato la borsa alla figlia. Dopo una telefonata di quasi un’ora, racconta Zakaria al Corriere, le acque si sono calmate, anche se la signora non ha mai chiesto scusa.
Ed è proprio questo l’aspetto che lascia il giovane più amareggiato, tanto che rimugina diversi giorni sull’accaduto, prima di prendere coraggio e affidare ai social la sua riflessione. «Nonostante tutto questo, sono fiero di tutti/e coloro che mi hanno subito supportato, aiutato, spalleggiato, difeso. Cara Italia, questi sono tuoi figli e tue figlie — scrive su Instagram —. E saranno sempre più di chi mi vuole alieno. Sono i miei fratelli, le mie sorelle. L’Italia siamo noi. Insieme». In poche ore il post ha fatto il giro del web e ha raccolto oltre 7 mila «mi piace» e più di 200 commenti di solidarietà .
«È molto difficile riuscire a raccontare certe cose — dice Zakaria —, ma la mia idea era dare un messaggio di speranza». Il ragazzo, che si trova a Torino per frequentare la magistrale di Scienze politiche, dopo la laurea triennale nel campus di Forlì dell’Università di Bologna, dice di credere in un’Italia positiva: «Se tu vedi il positivo, riesce a trasmettersi anche a chi vede negativo».
Non è la prima volta che subisce episodi del genere, ma racconta che il suo punto di svolta è stato proprio il percorso universitario. «Ho incontrato un ambiente molto aperto, in cui ognuno impara dagli altri, c’è scambio. E ho conosciuto la vera Italia, perchè ho avuto la possibilità di relazionarmi con studenti che venivano da tutto lo Stivale». Lo sfogo su Instagram è nato proprio per lanciare un messaggio: siamo tutte persone. «È quello che vorrei arrivasse. Le differenze non sono così sostanziali da poter abbattere le similitudini che ci sono tra noi. Vogliamo tutti le stesse cose e non ha senso creare tensione e problemi. Le diversità ci possono arricchire, se solo ci aprissimo a conoscerle».
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
UN CAMERAMAN CHE HA APPENA PERSO UN AMICO LO AFFRONTA, TRATTENUTO A STENTO DALLA POLIZIA: “VERGOGNATI, NON SEI UN CAZZO”… L’ORDINE DEI MEDICI APRE UN’INCHIESTA
A calmare la sua furia, condivisibile, c’hanno pensato gli agenti della questura, che hanno dovuto rincuorarlo. “Dieci giorni fa è morto di Covid Mario, un amico fraterno, che aveva 59 anni. Certa gente non può capire cosa vuol dire perdere una persona cara con cui qualche giorno prima eri a mangiare una pizza e non poterlo più salutare, senza vederlo, senza un funerale”.
Giovanni Guarino è un cameraman e video operatore esperto e conosciuto nell’ambiente dell’informazione a Taranto. La sera di giovedì 29 ottobre lavorava alle riprese della manifestazione di imprenditori e commercianti contro il Dpcm che chiude parzialmente le attività . Ma dopo l’intervento sul palco di via Mignogna di Pasquale Mario Bacco, sedicente “medico eretico”, ha perso le staffe e gli ha rinfacciato le frasi pronunciate davanti a oltre un migliaio di persone.
“Gli ho urlato che non ha rispetto dei morti”, spiega. L’imprenditore della Meleam, personaggio più volte finito nel mirino di medici, ricercatori e testate anti bufale, aveva poco prima pronunciato frasi come “Questo virus non ha ucciso nessuno, è una grande invenzione” o “le mani che dovevano curare quelle persone le hanno invece uccise e su quei morti hanno costruito tutto questo”, e ancora “Ci fanno tenere la mascherina che non serve a un c… Se avessimo più dignità dovremmo buttarla nel cesso questa mascherina”. Alle sue parole sono seguiti applausi.
“Pochi per fortuna – ci tiene a dire Guarino che solidarizza con le legittime rivendicazioni di imprenditori e commercianti ma che attacca i responsabili della manifestazione per aver dato spazio a Bacco – ma chi ha parlato dopo sul palco doveva cacciarlo e dissociarsi da quelle affermazioni gravi, che hanno totalmente delegittimato l’iniziativa”.
Eppure il sedicente medico era stato chiamato sul palco da chi un minuto prima aveva definito i partecipanti “non negazionisti” e vicini alle famiglie che hanno perso cari “malati di Covid” per poi, però, dichiararsi sostenitori delle sue teorie, descritte come “grandi verità “, quelle di “un medico rivoluzionario”. Bacco dal palco ha addirittura additato i medici e nel finale del suo intervento ha detto: “Questo virus si cura a casa, non in ospedale, abbracciatevi tutti stasera”.
“Quando ho sentito quelle parole – aggiunge Guarino – non c’ho visto più. Ho avuto un impeto, non si può autorizzare uno che afferma di essere medico dire pubblicamente con un microfono cose del genere, con una pandemia in corso e gli ospedali che vanno verso il collasso. Non andava autorizzato”.
E sull’episodio è intervenuto con una nota ufficiale l’Ordine dei medici di Taranto che ha annunciato un’indagine su Bacco: “L’Ordine – si legge nella nota firmata dal presidente Cosimo Nume – ha avviato le azioni per acquisire le generalità del sedicente “medico” che, nel corso della manifestazione di ieri sera a Taranto contro le misure previste dall’ultimo decreto anti Covid, avrebbe proferito dal palco gravissime accuse nei confronti degli operatori sanitari impegnati in questa dura battaglia contro la pandemia, e sollecitato nell’uditorio comportamenti contrari alla tutela della salute individuale e collettiva. “Qualunque sia la collocazione professionale del sedicente “medico” – scrive ancora Nume – il gravissimo episodio sarà perseguito con gli atti dovuti e nelle sedi opportune”.
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2020 Riccardo Fucile
SINDACATI SODDISFATTI: “UN PO’ DI SERENITA’ ALLA NOSTRA GENTE”
“Stiamo vivendo una situazione complessa, con tanta preoccupazione e sofferenza. Per questo il governo ritiene di dover fare uno sforzo finanziario ulteriore e dare un messaggio a tutto il mondo lavorativo di certezza e sicurezza”.
Lo ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte all’incontro con i sindacati (Cgil, Cisl e Uil) annunciando che “il blocco dei licenziamenti viene prolungato alla fine di marzo”. Mentre, ha aggiunto sempre Conte, “la cassa Covid sarà gratuita per i datori di lavoro”.
Il premier ha spiegato di aver “fatto di conto” con la Ragioneria dello Stato, per verificare le coperture finanziarie: “Di più non potevamo fare”. Sul piano politico, il governo è convinto di aver raggiunto un buon compromesso: le imprese incassano la gratuità della Cassa; i sinacati l’alt ai licenziamenti fino a marzo.
Le settimane di cassa integrazione saranno, alla fine, 18 in totale e andranno a coprire il periodo che va da gennaio a marzo del 2021. Alle attuale 6 settimane di cassa, già decise con il decreto Ristori, se ne sommano dunque altre 12.
Conte ha rassicurato i sindacati anche sul metodo: sono pronto a confrontarmi ancora – ha detto – nel caso la situazione dovesse cambiare o peggiorare. In questo clima collaborativo, la ministra Nunzia Catalfo (Lavoro) ha assicurato che lunedì partirà il tavolo per la riforma delle politiche attive e degli ammortizzatori sociali.
“La decisione assunta del governo consente di dare sicuramente un minimo di serenità alla nostra gente. Va dato atto al presidente del Consiglio che ringraziamo di avere compreso le ragioni e le preoccupazioni espresse in queste giornate dal sindacato”. Lo dice Annamaria Furlan, segretaria generale Cisl.
“La soluzione trovata – aggiunge – ci offre un respiro lungo e rasserena tante persone che noi rappresentiamo e ci consente di lavorare alacremente per cambiare gli strumenti degli ammortizzatori e delle politiche attive che sicuramente si sono dimostrate fragile e deboli per tanti lavoratori”.
“Il fatto di uscire stasera con una intesa ci consente di affrontare le giornate complicate per il Paese e nei luoghi di lavoro con uno spirito positivo. E’ un passo avanti fondamentale, ci contavamo tanto. Rimangono aperte naturalmente le questioni che abbiamo posto sulla legge di Bilancio, su cui contiamo di avere nei prossimi giorni un confronto chiaro e produttivo con il governo a cominciare dalle risorse per il rinnovo dei contratti pubblici e per la legge sulla non autosufficienza”.
“Il blocco dei licenziamenti fino al 21 marzo è un risultato importante per le lavoratrici e i lavoratori di questo Paese. Uscire dalla crisi non sarà facile ma ci impegneremo con determinazione e impegno comune. Oggi il governo ha fatto la scelta giusta”. Lo scrive su Twitter Pierpaolo Bombardieri, segretario generale Uil.
(da agenzie)
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