Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
TROPPI COMPROMESSI E MEDIAZIONI, TROPPI INTERESSI DI LOBBY DA TUTELARE, MANCA IL CORAGGIO DI VARARE MISURE DRASTICHE
Ricomincia la stagione delle strette, dei dpcm, delle conferenze stampa del presidente Giuseppe Conte. Obiettivo a breve termine, non scontentare nessuno.
A medio, perchè in mezzo c’è la maledetta pandemia, chiudere progressivamente il Paese.
A partire dal cosiddetto coprifuoco – chiamato “stretta della movida” – che domani il premier dovrebbe annunciare insieme al dpcm e a misure come il 75% dello smart working e la Dad, ossia la didattica a distanza, oggetto del contendere degli ultimi giorni tra governo e regioni.
Didattica a distanza, prevista per un tempo circoscritto, solo per gli studenti del triennio delle scuole superiori e da alternare alle lezioni in presenza.
La richiesta è arrivata dai presidenti delle Regioni che, a meno di cambi di programma notturni, domattina incontreranno di nuovo il Governo per definire le misure da inserire nel nuovo Dpcm, che dovrebbe essere firmato e poi presentato in conferenza stampa dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, domani.
E all’incontro dovrà essere presente la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina.
Lo hanno chiesto sempre i presidenti delle Regioni, consapevoli della contrarietà della ministra, ribadita più volte, a reintrodurre la Dad, misura che, per loro servirebbe anche a svuotare autobus e metropolitane dagli affollamenti negli orari di punta.
Allentando il nodo che resta stretto sulla riorganizzazione del trasporto pubblico locale, su cui negli ultimi giorni si è tanto discusso senza arrivare ad alcuna decisione.
A decongestionare bus e treni servirebbe anche la programmazione, generalizzata, di orari scaglionati di ingresso nelle scuole e di inizio delle lezioni, altra ipotesi che i presidenti delle Regioni hanno chiesto al Governo di prendere in considerazione per la nuova stretta.
“No” – arriva dalle Regioni – invece a chiusure o limitazioni di orario (attualmente fissate alle 24) per la chiusura di negozi e attività commerciali, sì ai controlli contro gli assembramenti e al ristoro economico per le attività che dovessero essere chiuse. Indicazioni chiare, quelle emerse nel vertice che si è tenuto nel pomeriggio, sulle quali si cercherà la quadra domattina.
Il clima è di ritrovata collaborazione istituzionale – “non c’è nessun braccio di ferro, però le Regioni sono preoccupate per i numeri del contagio”, spiegano fonti qualificate ad HuffPost – ma le posizioni restano comunque distanti.
Per tutta la giornata si è cercato di decidere se anticipare la chiusura dei locali alle 22 e alle 23 e se far scattare il divieto di circolazione dei cittadini alla stessa ora, mentre sembra ormai assodato che col nuovo testo arriverà lo stop a palestre e sport di contatto dilettantistici, comprese le scuole calcio. Potranno restare aperti, invece, parrucchieri e centri estetici.
Sono queste le misure su cui dovrebbe essere incardinata la nuova stretta del Governo per fermare l’avanzata del coronavirus e cercare di allontanare il lockdown generale, contenuta nel Dpcm che sarà varato e illustrato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, domani.
Misure su cui è andato avanti per tutta la giornata un confronto serrato in una girandola di incontri iniziata stamattina con la riunione tra il Ministro Boccia, il commissario Domenico Arcuri, il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli e il Ministro Speranza con alcuni presidenti di Regione sul caos tamponi e i ritardi che si stanno registrando sul fronte dei tracciamenti dei contagi, proseguita nel pomeriggio con il vertice tra le Regioni, mentre poco dopo il Cts si riuniva col Ministro Speranza. Più tardi il premier Conte ha incontrato i capi delegazione dei partiti a Palazzo Chigi.
Obiettivo: chiudere sui nuovi provvedimenti, in accordo con le Regioni, per arrivare il prima possibile alla nuova stretta, dopo che il Dpcm approvato qualche giorno fa si è rivelato poco incisivo alla prova dei fatti e soprattutto dei numeri dei contagiati e dei ricoverati nei reparti di terapia intensiva.
Sempre più alti: oggi il bollettino del Ministero della Salute ha registrato 10.925 nuovi casi di covid-19 e un ulteriore aumento dei morti e dei ricoverati in terapia intensiva. Di qui la necessità di un intervento generale più stringente e uniforme, con misure univoche sul territorio nazionale, anche se non è da escludere la previsione di varare provvedimenti più stringenti nelle Regioni con indice di contagio più alto.
L’obiettivo del nuovo testo è “mantenere quanto più possibile prima di tutto “scuola e lavoro” e “limitare al massimo le attività non essenziali per evitare di ritrovarsi in condizioni di dover chiudere quelle essenziali tra tre settimane al massimo.
Questo il senso del ragionamento svolto nel vertice di stamattina in Protezione civile dal ministro Speranza, che ha anche detto: “Lavoriamo insieme sui trasporti. Serve una mossa netta sullo smart-working, direi di arrivare anche al 70-75%”. Assicurando supporto ai settori più colpiti dalle misure contenute nel nuovo Dpcm. “Se decidiamo come Governo di chiedere a qualche comparto di cessare o limitare le proprie attività ci facciamo carico del ristoro”, ha precisato infatti il ministro.
Altro punto su cui si è discusso, oggi ma anche nelle ultime settimane, è la necessità di riorganizzare il trasporto pubblico locale, evitando gli affollamenti su autobus e metropolitane negli orari di punta.
Obiettivo che potrebbe essere centrato coinvolgendo i privati per aumentare le corse a disposizione di alcune fasce di popolazione come gli studenti e i lavoratori, così come ha suggerito sin da aprile – ribadendolo a fine agosto – il Cts ma anche portando al 75% la soglia dello smart working specie nella pubblica amministrazione, come annunciato stamattina da Speranza e differenziando gli orari di ingresso a scuola e di inizio delle lezioni per gli studenti. Come chiedono le Regioni, insieme alla reintroduzione della didattica a distanza.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
300 SINDACI CHIEDONO IL MES AL GOVERNO: “QUEI SOLDI SERVONO E SUBITO”
“Ci servono quei soldi, subito. Dateci il Mes. Con la situazione emergenziale non possiamo più permetterci di perdere tempo”.
Oggi più di 300 sindaci di centrosinistra e di liste civiche hanno inviato una lettera direttamente al premier Conte e al ministro Speranza per chiedere con urgenza di sbloccare la situazione del meccanismo di stabilità e recepire così al più presto i soldi per la sanità . Il promotore dell’appello è Matteo Ricci, sindaco dem di Pesaro e presidente di Ali (l’associazione delle Autonomie locali): l’abbiamo intervistato per capire cosa chiedono esattamente i territori.
Chi ha firmato questo appello?
“A firmare la lettera ci sono i sindaci delle grandi città e di quelle che sono state piagate maggiormente dal Covid: da Giorgio Gori di Bergamo e Emilio Del Bono di Brescia a Beppe Sala di Milano, Leoluca Orlando di Palermo, Dario Nardella di Firenze, Virginio Merola di Bologna, Federico Pizzarotti di Parma, Valeria Mancinelli di Ancona, Giuseppe Falcomatà di Reggio Calabria, Carlo Salvemini di Lecce, Rinaldo Melucci di Taranto, ma anche di medi e piccoli Comuni come Ciro Bonajiuto di Ercolano o Franco Alfieri di Capaccio-Paestum. In poche ore siamo arrivati a più di 300 primi cittadini”.
Parteciperanno anche dei sindaci di centro destra?
“Ancora no, ma io credo che arriveranno presto perchè tutti i sindaci la pensano allo stesso modo sulla gestione della pandemia. A prescindere dal partito politico”.
A chi fa riferimento? Qualche nome?
“Sicuramente i sindaci di Forza Italia, ma anche quelli della Lega si uniranno. Conosco il modo di agire dei sindaci: quando ci sono delle risorse disponibili, bisogna prenderle”.
Nell’appello lei dice “il Mes è una priorità assoluta”, ma per cosa soprattutto?
“Per due questioni in particolare: la prima è la sanità territoriale, la seconda è la sanità del mezzogiorno. E’ proprio la sanità territoriale che è stata l’anello debole durante i mesi peggiori, l’abbiamo visto con la Lombardia. Ovvero la prevenzione, i tamponi, le visite a domicilio. Ecco non dobbiamo più sbagliare su queste cose e servono quindi le risorse adeguate”.
E il Sud?
“Gli ospedali del Mezzogiorno, lo sappiamo, hanno problemi specifici. E vanno rafforzati”.
Lei ha paura dei 10mila contagi di oggi?
“Sì, non sono tranquillo. Io penso questo: l’andamento di crescita costante dei contagi dimostra che non possiamo improvvisare ogni due giorni. Quindi è chiaro ormai che abbiamo una seconda ondata d’inverno molto molto complicata. Dobbiamo fare di tutto per scongiurare il lockdown totale e generalizzato, perchè non possiamo permetterci di chiudere la scuola e di chiudere il paese dal punto di vista socio-economico, ma dobbiamo mettere in campo tutte le strategie contro il virus. tra cui il Mes”.
Quindi quei soldi sono essenziali?
“Quelle risorse sono disponibili subito. Non si capisce perchè il governo dopo mesi continua a cincischiare e perdere tempo su un’opportunità fondamentale adesso.
Molte obiezioni, poste per esempio dai 5S, riguardano il fatto che c’è e potrebbe già bastare il Recovery Fund…”
“I soldi del Recovery non li vedremo prima di giugno 2021, mentre la sanità va potenziata ora. Non si capisce come si fa a traccheggiare sui dei soldi utilizzabili subito e per la sanità . Quando c’è un’emergenza non bisogna essere ideologici, ma molto pragmatici. E poi il Recovery sono soldi che vanno sugli investimenti, infatti ci stiamo organizzando come Comuni”.
Per esempio?
“Abbiamo per esempio chiesto 20 miliardi del Recovery Fund per le città ”.
Come pensate di muovervi ora?
“Beh, Zingaretti ha rilanciato l’appello, altri presidenti di Regione ne hanno parlato. Ho visto molte agenzie. Insomma, c’è interesse. Credo che Conte debba prendere una decisione adesso”
Ecco, per il Mes siete voi sindaci che avete dovuto alzare un po’ la voce. Ma cosa pensa delle decisioni che i vari governatori prendono indipendentemente dal governo?
“Alcuni governatori vogliono davvero essere protagonisti. Non ascoltano nè il governo, nè i sindaci. Vedi De Luca e Fontana. Credo che questo appello che noi facciamo per il Mes è diretto anche e soprattutto alle Regioni, che hanno una competenza specifica per la sanità . Il protagonismo delle Regioni non ha aiutato in questi mesi….Ma ora non stiamo più giocando”.
(da TPI)
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Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
SIAMO BEN LONTANI DAL RAPPORTO DI 1 A 4
Mario Riccio, consigliere dell’Associazione Coscioni, lavora come primario di rianimazione a Casalmaggiore, in provincia di Cremona.
In passato è stato anestesista di Piergiorgio Welby — per il cui caso è stato recentemente presentato appello da parte del pm contro l’assoluzione di Cappato e Welby -.
Nella sua attività di tutela del diritto alla Salute ha voluto lanciare un allarme riportando quanto dichiarato dal Presidente nazionale degli anestesisti in queste giornate in cui gli occhi sono tutti puntati sulle terapie intensive.
Mario Riccio ha detto senza tanti mezzi termini: «L’allarme dei posti letto è reale ma nasconde un’altra emergenza che ritengo maggiore, relativa alla crisi di personale».
La riflessione che invita a fare è quella sulla mancanza di persona poichè «se letti e respiratori si possono acquistare il personale non si può creare».
Si tratta di una mancanza che ha già avuto il suo gran peso nella difficile gestione della prima ondata del Covid che abbiamo dovuto affrontare lo scorso marzo.
Riccio ha spiegato che esiste un rapporto ottimale tra personale sanitario e numero di pazienti. Per gli infermieri si tratta di 1 a 2 mentre per gli anestesisti si scende a 1 a 4. Senza dover scomodare l’attuale emergenza sanitaria — quindi nell’Italia al di fuori della pandemia — mancano 4.00 anestesisti secondo i dati Siaarti.
Occorre, per prepararsi alla seconda ondata e essere efficienti, sospendere tutte quelle attività non urgenti in determinate aree andando a coinvolgere nel settore pubblico anche il personale delle strutture convenzionate minori come ad esempio le case di cura. Queste risorse andranno spostate nei reparti Covid così da evitare il collasso del sistema cui abbiamo assistito la scorsa primavera.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
TRA LE ALTRE, 249 IN LOMBARDIA, 345 IN EMILIA-ROMAGNA, 183 IN CAMPANIA
In Italia ci sono 1.660 ventilatori di terapia intensiva pronti all’uso ma mai attivati dalle Regioni: 183 sono in Campania, 345 in Emilia-Romagna, 249 in Lombardia.
Il commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha invitato con una lettera i governatori ad attivarli al più presto per potenziare al massimo il sistema di difesa in vista della stagione invernale. A quanto si apprende, il Governo è pronto a inviare alle Regioni altri 1.500 ventilatori, ma prima vuole vedere almeno attivati quelli già distribuiti.
Prima della pandemia in Italia si contavano complessivamente 5.179 posti letto in terapia intensiva. A partire da marzo la flotta si è progressivamente allargata: lo Stato ha inviato finora sul territorio 3.109 nuovi ventilatori, che avrebbero dovuto portare quindi il totale dei posti letto a quota 8.288.
Ma ad oggi il totale dei posti letti attivi è fermo a 6.628 (dati aggiornati al 16 ottobre). All’appello mancano appunto i 1.660 ventilatori che le Regioni non hanno ancora attivato.
La situazione delle terapie intensive ad oggi è sotto controllo: i ricoverati sono 638 in tutta Italia. Ma solo tre Regioni — Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Veneto — rispettano la soglia di sicurezza definita dal Governo, pari a 14 posti letto ogni 100mila abitanti. Anche per questo Arcuri ha alzato il pressing affinchè i ventilatori inviati ma non “accesi” vengano attivati.
La risalita dei contagi registrati negli ultimi giorni ha spinto alcuni governatori a intraprendere o auspicare un giro di vite sul fronte delle restrizioni anti-contagio. Molti di quegli stessi governatori, peraltro — si fa notare dal Governo -, sul proprio territorio non si stano dimostrando efficienti nella gestione delle terapie intensive (oltrechè sui fronti del trasporto pubblico locale e dell’organizzazione dei tamponi).
Nella Campania di De Luca, ad esempio, in questi mesi sono stati inviati 281 ventilatori, ma 183 risultano ancora inattivi. Nell’Emilia-Romagna di Bonaccini su 412 apparecchi ne mancano all’appello ancora 345. In Lombardia i posti letto attivati dovrebbero essere 1.243 e invece sono 994. Il gap è poi di 130 posti in Calabria, 141 in Toscana, 149 nelle Marche, mentre le Regioni più virtuose sono Veneto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia, dove il numero dei ventilatori è addirittura superiore alla quota assegnata da Roma.
Di seguito l’elenco delle Regioni e della rispettiva differenza fra posti di terapia intensiva attivi e posti di terapia potenziali, tenuto conto dei ventilatori inviati dal commissario Arcuri.
— Abruzzo: meno 24
— Basilicata: meno 23
— Calabria: meno 130
— Campania: meno 183
— Emilia-Romagna: meno 345
— Friuli Venezia Giulia: più 8
— Lazio: meno 64
— Liguria: meno 57
— Lombardia: meno 249
— Marche: meno 149
— Molise: meno 26
— Bolzano: meno 2
— Trento: meno 13
— Piemonte: più 17
— Puglia: meno 137
— Sardegna: meno 58
— Sicilia: meno 76
— Toscana: meno 141
— Umbria: meno 51
— Valle d’Aosta: meno 5
— Veneto: più 48
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE GIMBE: “TROPPO LUNGHI I TEMPI DELLA POLITICA E DELLA BUROCRAZIA”
Il governo si prepara ad approvare, già nelle prossime ore, un nuovo Dpcm contenente misure restrittive contro la diffusione dell’infezione da Covid-19.
Questo a pochi giorni dagli ultimi provvedimenti introdotti per frenare la curva. L’impennata di nuovi casi di coronavirus ha costretto l’esecutivo a mettere in campo una stretta anti-contagio per evitare di dover ricorrere a un nuovo lockdown, che sarebbe troppo gravoso sull’economia del Paese.
Fanpage.it ha fatto il punto della situazione, cercando di capire che cosa ci aspetta nei prossimi mesi, con il presidente della fondazione Gimbe, un think tank che si occupa di ricerca sanitaria che dall’inizio dell’emergenza monitora l’andamento della situazione epidemiologica.
Gimbe ha definito le misure introdotte con il Dpcm del 13 ottobre come “insufficienti” ad arginare il contagio. Perchè?
Le misure sono troppo blande rispetto alla velocità di ascesa della curva del contagio, oltre che tardive perchè i numeri odierni riflettono comportamenti di 2-3 settimane fa. Peraltro, gli effetti di tali misure saranno difficilmente misurabili perchè neutralizzati sia dall’incremento esponenziale dei contagi, sia dall’ulteriore sovraccarico dei servizi sanitari dovuto alla stagione influenzale. Più in generale le misure restrittive — nazionali regionali o locali — non possono inseguire i numeri del giorno, ma devono essere commisurate alla proiezione della curva dei contagi a 3-4 settimane. Altrimenti, i tempi della politica e della burocrazia, mettono il turbo ad un virus già velocissimo.
Con i numeri che stiamo vivendo adesso, in quanto tempo si potrebbe arrivare a una situazione fuori controllo? E che misure servirebbero per evitare un quadro di questo tipo?
Purtroppo il trend da lineare è diventato esponenziale. La crescita dei contagi, dopo l’impennata di ferragosto, si era stabilizzata intorno a 10-12 mila casi settimanali sino a fine settembre. Ad ottobre nella prima settimana il monitoraggio GIMBE ha riportato oltre 17 mila casi e nella seconda più di 35 mila. Adesso nella terza settimana i nuovi casi sono già oltre 26 mila casi e supereranno il tetto dei 50 mila. Siamo in una fase di circolazione del virus molto sostenuta, documentata dall’impennata del rapporto tra positivi e casi testati: la media nazionale negli ultimi 7 giorni è dell’8% con punte del 22,8% in Valle d’Aosta e del 18,8% in Liguria. In ogni caso, numeri e trend documentano inequivocabilmente che nelle Regioni dove il tracciamento dei casi è fuori controllo iniziano a riempirsi gli ospedali. E anche qui la curva negli ultimi 10 giorni ha cambiato decisamente passo. Al 16 ottobre ci sono 6.178 pazienti ospedalizzati con sintomi e 638 in terapia intensiva. Al 1 ottobre i numeri corrispondenti erano 3.097 e 291.
Durante l’estate si è avvertito più volte sui rischi che si sarebbero incontrati con l’arrivo dell’autunno. C’erano dei provvedimenti che potevano essere presi per anticipare l’impennata di contagi che stiamo vivendo? Dove si è arrivati tardi?
Al di là di un’estate vissuta con eccessiva disinvoltura e del mancato potenziamento dei trasporti pubblici in occasione della ripresa del lavoro e della riapertura delle scuole, dal punto di vista sanitario il tallone di Achille è rimasto il sistema di tracciamento. Nonostante le risorse assegnate del Decreto Rilancio, i servizi sanitari territoriali responsabili del testing & tracing non sono stati adeguatamente potenziati durante i mesi “tranquilli”, quando i casi settimanali erano solo 1.400 casi. Ho più volte ribadito che la scialuppa di salvataggio della seconda ondata non sono le terapie intensive, ma i tamponi e le strategie di tracciamento e isolamento, di fatto mai potenziate in maniera adeguata. Ma ormai in alcune regioni è troppo tardi perchè questo argine è ormai crollato.
Il Cts e l’Iss suggeriscono di valutare misure selettive che possono essere irrigidite nel tempo, tra cui lockdown mirati. Questo approccio può funzionare o nel caso di un peggioramento della situazione si dovrà per forza ricorrere a un lockdown nazionale?
Perfettamente in linea con l’appello della Fondazione GIMBE che ha invitato Presidenti di Regioni e amministratori locali, sindaci in primis, ad intervenire tempestivamente con misure restrittive locali, compresi lockdown mirati, per spegnere i focolai, arginare il contagio diffuso e prevenire il sovraccarico degli ospedali. Occorre agire tempestivamente dove il contagio corre più veloce: con l’aumentare vertiginoso dei numeri, il dato nazionale non rende conto delle marcate differenze regionali e provinciali che richiedono provvedimenti più restrittivi al fine di circoscrivere tempestivamente tutti i focolai e arginare il contagio diffuso. Altrimenti, il virus continua a correre e per rallentarlo servono decisioni su scala più ampia, regionali o nazionali
I test rapidi devono essere parte della strategia futura o sono troppo inaffidabili?
I tamponi rapidi costituiscono uno strumento fondamentale per potenziare le attività di testing, in particolare perchè possono sostituire il tampone classico per le attività di screening. Ma anche qui siamo in ritardo clamoroso: se alcune Regioni si erano già mosse in autonomia, la richiesta pubblica di offerta del Commissario Arcuri che prevede l’acquisto di 5 milioni di tamponi rapidi, è scaduta lo scorso 8 ottobre. Tuttavia ad oggi non si conoscono nè i tempi di approvvigionamento, nè le tempistiche e i criteri di redistribuzione alle Regioni. Inoltre vi sono oggettive difficoltà che ostacolano l’utilizzo immediato dei tamponi rapidi, sia negli ambulatori di medici e pediatri di famiglia spesso strutturalmente inadeguati a garantire percorsi dedicati per sospetti casi COVID, sia nelle scuole dove la figura del “medico/infermiere di plesso” non risulta ancora sistematicamente implementata, sia più in generale per la necessità di un adeguato training dei professionisti destinati ad utilizzarli (medici di famiglia, pediatri, infermieri scolastici, etc.) perchè la probabilità di risultati falsamente negativi aumenta in mani non esperte.
(da Fanpage)
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Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
GLI AVEVA CHIESTO 500 EURO PER “LA FESTA DEL QUARTIERE”
Nella piazza di Borgo Vecchio ci sono gli operai di un cantiere pubblico e quelli che si occupano di spurgare pozzi neri. E poi ci sono i clienti di una rosticceria. Alcuni si avvicinano per sentire l’intervista di Giuseppe Piraino, l’imprenditore edile palermitano che, nei giorni scorsi, per la seconda volta, ha legato il suo nome a un’operazione antimafia coordinata dalla procura di Palermo.
Prima nel 2018 e poi nel 2020, Piraino si è presentato dai carabinieri a consegnare un video: le immagini di una tentata estorsione.
“Quando ho saputo che anche nel cantiere di Borgo Vecchio erano venuti a cercarmi — racconta Piraino — sono rimasto sorpreso. La mia denuncia di due anni prima aveva avuto molta visibilità , pensavo che mi conoscessero. E invece”.
Invece loro, gli uomini accusati di fare parte della famiglia mafiosa del quartiere, non lo avevano riconosciuto. Così uno si presenta, prova a stringergli la mano e poi gli dice: “Cinquecento euro e ti fai questo cantiere tranquillo”. “Si chiama pizzo”. “No, quale pizzo”. Piraino riprendeva tutto con il cellulare. “Avevo portato con me una foto di Falcone e Borsellino e una serie di nomi e date di vittime della mafia”, prosegue l’imprenditore nel racconto a questa testata.
Le sue immagini sono finite negli incartamenti del blitz Resilienza, eseguito comando provinciale dei carabinieri.
Venti persone sono finite in manette, tra i quali l’uomo ripreso da Piraino, ventidue estorsioni (tentate o realizzate) sono state scoperte. Di queste, 14 grazie alle denunce spontanee di commercianti e imprenditori di Borgo Vecchio, lo storico rione incastrato tra il porto, il carcere e il centro del capoluogo siciliano.
Lì, secondo le indagini, tutto passava dalle mani della famiglia mafiosa: l’organizzazione della festa in onore della patrona, la scelta dei cantanti neomelodici che avrebbero dovuto esibirsi, perfino la ricomposizione delle crisi tra i gruppi di ultras del Palermo Calcio (la squadra, invece, non c’entrava niente).
“Nonostante l’evoluzione di modi e metodi — spiega a Fanpage.it il generale Arturo Guarino, comandante dei carabinieri di Palermo — i mafiosi non rinunciano alla tradizionale presenza sul territorio con l’imposizione del pizzo. È visibile e tangibile, e serve a ricordare la loro esistenza e a mostrarne la pervasività “. Le 14 denunce, però, fanno ben sperare: “Vogliamo prenderle come un segnale positivo. Le persone si passano la voce”.
(da Fanpage)
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Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
E’ OPERA DI UNA INSEGNANTE ATTIVISTA DEL M5S… AZIONE DISCIPLINARE PER LA PROF, LA CONDANNA DEL M5S
I soliti idioti che, talvolta, svolgono anche lavori che richiedono cultura, conoscenza, capacità di controllo e apertura mentale.
“Nella giornata odierna sono pervenute a questa istituzione scolastica decine di telefonate e di e-mail di sdegno e di protesta nei confronti di una docente; tale docente, titolare di insegnamento presso questo liceo, sul suo profilo Facebook personale, ha commentato in maniera a dir poco offensiva e denigratoria la scomparsa del Presidente della Giunta Regionale della Calabria, Jole Santelli.
Il Liceo statale Sandro Pertini prende le distanze da tale esternazione della docente, censurandola duramente e comunicando che ha già avviato tutte le procedure disciplinari previste dalla normativa nei confronti della docente interessata”.
E’ quanto comunica, in una nota ufficiale divulgata nella serata di ieri, l’istituto superiore, il Liceo statale Sandro Pertini, dove insegna Paola Castellaro, la professoressa e attivista M5s, che su Facebook ha scritto un post choc esultando per la morte di Jole Santelli
L’insegnante, dopo la notizia della scomparsa della presidente della Regione Calabria, aveva scritto “Evvai! Una mafiosa di meno!” in un commento poi rimosso dal suo profilo Fb ora oscurato
Dopo la nota ufficiale divulgata, il dirigente del Liceo statale Sandro Pertini di Genova, Alessandro Cavanna, ha emanato anche una circolare interna per dare notizia della presa di posizione dell’Istituto a tutto il personale della scuola, studenti e alle loro famiglie. Nel documento si spiega che “le rimostranze sono giunte sia dall’interno del Liceo sia dall’esterno”.
Poi ci tiene a sottolineare: “Nel corso di questi anni il lavoro, l’impegno e la professionalità del personale docente e ATA hanno reso questo liceo una istituzione scolastica di prim’ordine nel panorama cittadino e regionale e non si consentirà in nessun modo che l’immagine del Liceo statale Sandro Pertini possa essere inficiata da simili comportamenti”.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
I LABURISTI SUPERANO IL 50%, DISASTROSO IL RISULTATO DEI CONSERVATORI FERMI AL 25%, MAI COSI’ IN BASSO
È un trionfo annunciato quello della prima ministra neozelandese Jacinda Ardern, che si avvia a vincere in modo schiacciante le elezioni generali di sabato, dopo che il Paese ha eliminato il coronavirus.
Con lo scrutinio all’83%, il partito laburista di centrosinistra ha ottenuto il 50,5% dei voti, abbastanza per assicurarsi comodamente la maggioranza dei seggi in parlamento.
Il Partito Nazionale, di centrodestra, ha ottenuto solo il 25% dei voti: è un risultato disastroso per il principale partito di opposizione e se confermato sarebbe il suo secondo peggior risultato in 84 anni di storia.
Il partito laburista probabilmente non avrà bisogno di formare una coalizione per governare, ma potrebbe stringere un accordo con il Partito dei Verdi – per ora all’8% dei consensi – così da garantirsi la formazione di una “super maggioranza” di sinistra.
Gli elettori sembrano aver premiato Ardern per la gestione dell’epidemia di Covid 19 e dell’attentato del 15 marzo 2019, quando un terrorista australiano, Brenton Tarrant, irruppe in due moschee sparando all’impazzata e uccidendo 50 fedeli musulmani. Le foto della leader con il capo coperto per esprimere il suo cordoglio alla comunità islamica, fecero il giro del mondo.
Un sostenitore d’eccezione ha twittato le sue congratulazioni alla premier su Twitter: il Dalai Lama.
“Mi congratulo con Jacinda Ardern per la clamorosa vittoria del suo partito alle elezioni generali neozelandesi. Ammiro il coraggio, la saggezza e la leadership, così come la calma, la compassione e il rispetto per gli altri, che ha mostrato in questi tempi difficili”, ha scritto il leader spirituale su Twitter.
Gli elettori neozelandesi sono stati chiamati a esprimersi anche su due referendum, sulla legalizzazione della marijuana e dell’eutanasia. Stando ai sondaggi pre-voto, è probabile che l’eutanasia venga approvata mentre c’è incertezza sulla marijuana. I risultati di entrambi i referendum verranno annunciati il 30 ottobre.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2020 Riccardo Fucile
LOMBARDIA 2.664 NUOVI CASI, CAMPANIA 1.410, LAZIO 994, PIEMONTE 972
Si mantengono sopra quota 10mila i nuovi contagi da coronavirus registrati nelle ultime 24 ore in Italia: il dato di oggi è di 10.925 casi e 47 i decessi.
I tamponi segnano un nuovo record: ne sono stati effettuati 165.837, ma l’incidenza tra positivi e test resta stabile al 6,6%.
Aumentano ancora i ricoveri: rispetto a ieri, sono 439 in più le persone finite in ospedale a causa dei sintomi del Covid. +67 quelle in terapia intensiva.
Tra le Regioni, il picco maggiore è ancora una volta in Lombardia, con 2.664 nuovi casi e un incidenza con i tamponi salita al 9,1% rispetto al 7,9% di ieri.
Seguono la Campania con 1.410 positivi in più, il Lazio (+994, anche se l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato chiarisce che “il dato tiene conto di oltre 200 recuperi di notifiche della Asl roma 2 e della Asl di Frosinone”) e il Piemonte (+972). Male anche l’Emilia Romagna (+641), la Puglia, dove i nuovi infetti arrivano a quota 350, e le Marche (+121). Non va meglio in Toscana, dove le persone risultate positive al Covid sono 879 nell’arco di un giorno.
Con questi numeri, il totale di persone contagiate dal virus nel nostro Paese supera quota 400mila dall’inizio della pandemia (402.536), mentre i decessi arrivano a 36.474. Per capire meglio la situazione, però, è necessario fare un confronto con l’ultimo periodo.
Un mese fa, tra lunedì e sabato i nuovi contagi si fermavano a 8.819, poi sono saliti a 9.949 tre settimane fa, a 12.884 due settimane fa e a 24.166 la scorsa settimana.
Negli ultimi sei giorni, invece, sono arrivati a quota 47.591. L’incremento di casi — riferisce lo studente di Economics a Torino Lorenzo Ruffino (ritwittato da Lorenzo Pregliasco di Youtrend) — ha superato il 340%, mentre nello stesso periodo i tamponi sono saliti del 139,5%: un dato che conferma come i nuovi contagi si moltiplichino a maggiore velocità rispetto all’incremento dei test.
Per quanto riguarda la pressione sugli ospedali, invece, risulta che sabato 10 ottobre i ricoverati erano 4.336, mentre 390 le persone in terapia intensiva.
Nel giro di una settimana si è arrivati rispettivamente a 6.617 pazienti in altri reparti e 705 in Rianimazione.
I cittadini attualmente positivi sono invece 116.935, di cui 109.613 in isolamento domiciliare. Il maggior numero di ricoveri si rileva nel Lazio (1.043), seguito dalla Lombardia (943) e dalla Campania (817).
Stessa situazione per quanto riguarda le terapie intensive, mentre sono oltre 20mila i lombardi in quarantena contro i circa 14mila della Campania e i 12mila del Lazio.
Tutti dati che arrivano dritti sul tavolo di Palazzo Chigi, dove sono in corso da stanotte le riunioni tra governo, scienziati e Regioni per valutare una nuova stretta anti-contagio.
(da agenzie)
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