Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
LA MANOVRA CONGIUNTA DI SPERANZA E REGIONI PER COSTRINGERE CONTE A UNA NUOVA STRETTA NEL WEEKEND, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI… TENSIONI NEL GOVERNO TRA CHI PENSA ALLA SALUTE DEGLI ITALIANI E CHI AL PIL
Anche il Pigneto, quartiere della movida romana, viene transennato. Mentre De Luca chiude le porte anche ai fantasmi di Halloween. E poi il coprifuoco del Lazio, la Sardegna, le zone arancioni a Genova.
E questo è ciò che si vede, un “federalismo virale di fatto”, grande innovazione della costituzione materiale del paese, nell’era dell’indecisione da Covid, o meglio della decisione di non decidere, per timore che le ragioni del Pil siano più fragorose di quelle salute
Ciò che si vede meno però è l’uso politico di questo “federalismo”, diventato un tassello di una tensione non “del” governo rispetto alle regioni, ma “nel” governo. Perchè, in fondo, al ministro della Salute non solo non dispiace questa serrata soft a macchia di leopardo, ma lo considera anche un modo per superare le incertezze di palazzo Chigi.
E se è eccessivo parlare di una “sollecitazione” a chiudere, non è sbagliato parlare di una “rassicurazione” che queste misure hanno il pieno sostegno e la piena condivisione del ministero della Salute.
Perchè lo scenario che si sta disegnando rende, giorno dopo giorno, logicamente coerente e politicamente opportuno un nuovo dpcm che stabilisca un coordinamento nazionale. E una nuova stretta. Per dirla con autorevoli fonti di governo: “Conte sarà costretto a fare ciò che adesso non vuol fare, per paura di misure impopolari. Può atterrare su un compromesso, ma non ignorare quel che sta accadendo”.
Le date cerchiate in rosso sono i giorni del prossimo fine settimana per un nuovo dpcm, in base a un calcolo realistico sulle terapie intensive.
Perchè è vero che i contagi sono più di marzo, ma l’aumento dei ricoverati in terapia intensiva sono tra i cinquanta e i sessantasei di oggi, e questi numeri hanno un timer incorporato.
Le stesse fonti spiegano che questi ricoveri non possono superare il trenta per cento del totale dei posti disponibili per evitare che il sistema entri sotto stress e arrivi alla saturazione, il che significa che le prossime due settimane sono cruciali.
E non a caso, per tutto il giorno si susseguono spifferi su un “annuncio” di Conte già nella giornata di sabato. C’è tutta un’ala del governo, da Speranza a Franceschini, che condivide la tesi che il commissario Arcuri ha suggerito già qualche settimana fa: un lockdown per due settimane, in modo da produrre un “reset” nei contagi che, a questo punto sono fuori controllo, e non solo per inefficienze del sistema, ma per numeri ormai troppo elevati.
E se è impensabile che Conte possa essere costretto a questa misura, un’ulteriore stretta è all’odine del giorno, e non solo su palestre e piscine.
Quel che emerge anche da questa storia, e non è un dettaglio, è la nuova morfologia dei rapporti di forza nel governo. Che è la vera novità che spiega anche la tensione tra Nazareno e Tesoro e tra Nazareno e palazzo Chigi.
La storia dello “strapotere” del Tesoro evoca tenzoni antiche, come ai tempi del famoso dualismo Berlusconi e Tremonti, tra palazzo Chigi e Via XX settembre. Stavolta il dualismo invece è tra il ministro dell’Economia e il partito che lo ha espresso e, invece, l’assoluta sintonia con Conte.
È questa la vera forza del premier al momento, che spiega la sua rigidità rispetto alla tutela delle ragioni del Pil sul tema della “stretta” così come rispetto al Mes.
E ne spiega una certa intransigenza anche a fronte della perdita di quel tocco magico nei rapporti col paese: conferenze stampa meno brillanti e più sbrigative di una volta, calo di popolarità , primi scricchiolii nei sondaggi.
La misura di questo sta nella controprova: “Che cosa sarebbe successo — si domanda chi questo asse lo subisce — se Gualtieri avesse detto una parola in più in sintonia con Zingaretti?”.
La tesi del Mes che produce più debito (in un paese che finora lo ha fatto su tutto) espressa da Conte in conferenza stampa è apparsa a molti come farina di un sacco non suo, ed è lontana dall’approccio ideologico dei Cinque Stelle.
Mai si era visto, e questo spiega l’insofferenza profonda anche del segretario del Pd, che una parte di un partito di governo si iscrivesse all’intergruppo “pro Mes” col professor Brunetta e un pezzo dell’opposizione. Diventa cioè complicato mutare gli equilibri di governo senza il ministro dell’Economia. Si sarebbe detto una volta: “Compagni, parlatevi tra di voi, riunitevi”.
E qui siamo al cuore della questione. Perchè, al netto delle chiacchiere fumose sul “patto di legislatura” che verrà , c’è già un robusto patto di fatto, soprattutto perchè la cosiddetta ala rigorista del governo è anche quella più lealista, la più “responsabile”, la più pronta a sacrificare ogni turbativa sull’altare dell’equilibrio di governo.
Torniamo così al tema delle chiusure, che ha un elemento paradossale e un elemento di coerenza, al di là di questo gioco di “aggiustamenti” e sollecitazioni “embedded”. Il paradosso è che “si sta facendo ora, consentendo lockdown mirati, quel che si doveva fare a marzo, e a marzo quel che si dovrebbe fare ora, cioè una stretta nazionale”.
La coerenza è una certa subalternità di palazzo Chigi al partito del Pil che allora considerava ingiustificabile la chiusura della sola Lombardia costringendo a chiudere tutto e adesso considera ingiustificabili le chiusure nazionali.
Si arriverà a un nuovo compromesso, dopo Lombardia, Liguria, Lazio, Piemonte e Campania, adesso che si avvicina pericolosamente “quota 20mila” al giorno. Ma è sempre una rincorsa rispetto a un virus che corre più veloce.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
PAOLO SPADA DELL’HUMANITAS AVVERTE: “E’ QUESTIONE DI ORE, NON PIU’ DI GIORNI”
“La velocità del virus è cambiata e bisogna fare presto. Soprattutto è necessario fare di tutto per non saturare gli ospedali”, dice Paolo Spada.
Scorrendo i dati pubblicati poco fa il chirurgo vascolare all’Istituto Humanitas di Milano commenta: “Oggi l’aumento dei numeri è meno vistoso, ma rimaniamo al raddoppio dei casi in sette giorni. E la situazione resta comunque sorvegliata speciale, in particolare in Lombardia e nel milanese”.
E rilancia l’allarme che già ieri sera aveva sollevato in un post pubblicato su “Pillole di ottimismo, la pagina Facebook da milioni di contatti che da mesi cura insieme ad altri studiosi. “Le nostre analisi sono neutre e il più possibile lontane dalle agende politiche”, puntualizza Spada, che già ieri sera, invocando “un cambio di passo deciso” ha precisato: “È questione di ore non più di giorni”.
Un’osservazione non troppo ottimista, dottor Spada. Le vostre valutazioni hanno cambiato segno?
L’ottimismo cui ci riferiamo non è quello di chi dice “andrà tutto bene”, ma quello di chi ha fiducia nel metodo e nella comunità scientifica. Il nostro è un approccio scientifico e multidisciplinare. Abbiamo sempre sostenuto che in autunno-inverno la situazione si sarebbe complicata.
In che senso?
Era plausibile che qualche zona si sarebbe trovata in condizioni tali da dover essere trattata diversamente, che sarebbero stati necessari provvedimenti d’urgenza.
A quali provvedimenti pensa?
Un lockdown generalizzato come quello che abbiamo avuto, così prolungato, è troppo lesivo rispetto agli effetti benefici. Da sempre sosteniamo la necessità di misure di contenimento localizzate e definite nel tempo.
Quali, per esempio? Alcune, come limitare la movida, sono state già adottate.
Le misure devono essere modulate a seconda delle necessità . Abbiamo la sensazione che la chiusura dalle 23 alle 6 non inciderà in modo sufficiente sulla circolazione del virus che è ripresa in modo potente e veloce.
Perchè secondo lei?
C’entra sicuramente la stagionalità del virus – col freddo le persone trascorrono più tempo in luoghi chiusi – ma anche il fatto che è ripartita gran parte delle attività , compresa la scuola.
Ecco, a rimettere in moto il virus è stata anche la riapertura delle scuole? Più che i focolai dentro gli istituti ha contribuito a suo avviso lo spostamento delle persone per raggiungerli?
Sì, la mia sensazione è questa. All’interno delle scuole la situazione è protetta e sotto controllo. Ma sono aumentate le persone che si spostano per arrivarci e i trasporti sono quelli che erano prima. Questo ha aumentato la trasmissione del virus. Quando si dice che quest’ultima avviene in famiglia mi sembra si rischi di spostare l’attenzione.
“È questione di ore, non più di giorni”, ha scritto. Che significa, dottor Spada?
Senza correttivi, una progressione numerica come quella che registriamo produce danni rilevanti sui carichi ospedalieri molto velocemente. Le decisioni vanno anticipate, non si possono più assumere sulla base delle valutazioni fatte sui numeri pubblicati ogni sera.
Perchè?
Gli effetti di ogni decisione si cominciano a vedere quindici giorni dopo. Quindi se non si anticipano le scelte si corre il rischio che nel tempo che passa tra la decisione e i suoi effetti si verifichino situazioni non più gestibili. Soprattutto negli ospedali.
Che può succedere negli ospedali?
La percentuale di persone che rischia il ricovero in terapia intensiva a causa di questo virus è pari allo 0,5% del totale degli infetti e la letalità è molto bassa. Ma qualora si dovesse verificare una saturazione dei posti letto, la situazione diventa moltiplicativa e non la gestisci più. Come è accaduto nei mesi di marzo e aprile
Siamo tornati indietro, siamo come a marzo aprile?
No, allora i casi erano sottostimati di circa 10 volte. Registravamo 5000 nuovi positivi al giorno, ma in realtà erano verosimilmente 50.000. Oggi i dati sono sottostimati, ma in misura modesta. Adesso è cambiata la velocità del virus e questo ci equipara ad altri Paesi d’Europa. E abbiamo problemi sul sistema di tracciamento.
Per la Fondazione Gimbe l’argine del tracciamento è saltato.
Non lo dice solo Gimbe, lo dicono i numeri. Noi stessi abbiamo cominciato a sollevare qualche dubbio quando abbiamo visto aumentare il rapporto tra positivi e persone testate, un segnale di incompletezza dell’opera di tracciamento. Il sistema è in affanno e i ritardi rendono complicato ricostruire la catena del contagio.
Si può fare?
Si deve fare. Non gettiamo la spugna.
Come farlo?
Servono innanzitutto persone. Per queste attività non è necessaria, come nelle terapie intensive, una professionalità elevata. In Germania vengono utilizzati i volontari. Perchè non coinvolgiamo gli studenti di medicina? Dobbiamo fare di tutto per salvaguardare gli ospedali, saturarli determinerebbe un crollo del sistema sanitario. A tal proposito vorrei dire una cosa a chi paragona questo virus a quello dell’influenza.
Dica pure.
L’influenza non ha mai causato la saturazione degli ospedali.
Anche negli ospedali si è arrivati impreparati a questa seconda fase? Tanti i ritardi accumulati. Cosa è mancato?
Ho la sensazione che gli ospedali siano i più pronti di tutti, ma benchè possa essere ampliata in emergenza, la loro capacità non è illimitata. Il punto di discontinuità con la primavera era la prevenzione sui territori. Su questo i numeri ci dicono che la risposta è stata insufficiente.
Che fare adesso?
Bisogna potenziare la capacità di gestire i casi prima che arrivino in ospedale e insistere su restrizioni – come quella del coprifuoco e della didattica a distanza, ma non solo – purchè territoriali e limitate nel tempo e nello spazio. Il fenomeno è in rapida evoluzione, bisogna fare presto.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
QUANDO A STARE ZITTI SI FAREBBE MIGLIOR FIGURA: SALVINI AUSPICA USO DELLA IDROSSICLOROCHINA CHE E’ STATA BOCCIATA DAGLI SCIENZIATI E CHE NEMMENO TRUMP HA VOLUTO
Con la seconda ondata di coronavirus ormai presente in Italia a tutti gli effetti (oggi i contagi sono saliti sopra quota 16mila in 24 ore), tornano in voga dei vecchi slogan che, in teoria, vorrebbero rassicurarci ma che in realtà rischiano di creare ancora più confusione.
Matteo Salvini, ad esempio, intervistato a Radio Radio, afferma: «Le cose vanno fatte con buon senso — dice Salvini — In questo momento ci sono migliaia di contagiati, ma non vuol dire che siano migliaia di ammalati. Basta con il terrorismo: abbiamo molti posti in terapia intensiva».
Il mantra è stato utilizzato a suo tempo anche dal primario del San Matteo di Genova Bassetti, con riferimento alla bassa carica virale dei positivi tracciati in Italia nei mesi estivi. Tuttavia, se è vero che buona parte dei nuovi contagi è rappresentata dagli asintomatici, questo non significa che la situazione dei contagi in Italia sia meno grave. Lo dimostra la crescita costante dei posti occupati in terapia intensiva, anche questa in qualche modo allontanata dall’ex ministro dell’Interno.
Il fatto che ci siano posti sufficienti di terapia intensiva negli ospedali italiani viene dichiarato da Salvini come uno scudo contro tutte quelle istituzioni ed esponenti politici che, al contrario, agitano lo spettro della congestione delle strutture sanitarie.
Infine, Matteo Salvini chiede che i protocolli sospesi dall’Aifa a maggio, ovvero i trattamenti con l’idrossiclorochina, possano in qualche modo riprendere per curare — tramite assistenza domiciliare — i pazienti: «Si tratta — dice Salvini — di farmaci che possono agire efficacemente contro il Covid, evitando il ricovero nella stragrande maggioranza dei casi. Il governo non può perdere più tempo».
In realtà , al di fuori degli studi clinici, l’idrossiclorochina — farmaco che tanto piaceva anche a Donald Trump che, tuttavia, non è stato curato in ospedale in questo modo quando ha contratto il coronavirus — non ha una efficacia comprovata sui pazienti Covid. Ma per il leader leghista questo, forse, non basta.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
AL MOMENTO CI SONO SOLO QUESTIONARI COMPILATI DAI PRESIDI SENZA ALCUN VALORE SCIENTIFICO
Il 14 settembre, con celebrazioni, visite di tutte le più alte cariche dello Stato e, soprattutto, tanto entusiasmo dei ragazzi, le scuole riaprivano i cancelli dopo la serrata, improvvisa, dello scorso 5 marzo.
Era il segnale definitivo della ripartenza dell’Italia, dopo i mesi più bui della pandemia e il rilassamento, per certi versi catastrofico, delle vacanze estive. Non è durato che trenta giorni il rito della campanella, corredato, quest’anno, dalla misurazione della temperatura e dalle altre misure di igiene.
Proprio quando la disinfezione delle mani all’ingresso delle scuole e la consegna della mascherina monouso stavano diventando abitudine, la diffusione del Coronavirus ha subito un’accelerata che ha bruciato sul tempo la capacità di monitoraggio del sistema sanitario e la preparazione degli ospedali nel reggere l’urto di ricoveri e terapie intensive. I primi a farne le spese, ancora una volta, sono gli studenti, costretti a rispolverare i tablet e ad ascoltare i professori rinchiusi nella propria cameretta.
I più sfortunati sono gli alunni delle scuole primarie, medie e superiori della Campania: tutti a casa dal 16 ottobre. Il 26, invece, partirà la didattica a distanza per gli studenti delle scuole superiori lombarde. Stessa misura per Piemonte e Liguria, fatte salve le classi prime. Il Lazio, invece, introduce l’obbligo della didattica a distanza per il 50% delle classe superiori.
Il bailamme politico ingeneratosi dopo le decisioni delle singole giunte regionali non ha fatto altro che silenziare uno dei problemi principali che hanno portato a questa situazione di caos.
Bocciati in statistica
Tralasciando le tensioni tra esecutivo e opposizioni, tra governatori e sindaci, la questione fondamentale è semplice: su quale base scientifica vengono prese certe decisioni? à
Come si può pretendere di incidere sulla vita di oltre 8 milioni di persone che gravitano ogni giorno nelle scuole senza avere un supporto statistiche che giustifichi la scelta di chiudere un asset del Paese piuttosto che un altro? La verità è che, a più di un mese dall’inizio dell’anno scolastico, il ministero dell’Istruzione non è stato in grado di raccogliere ed elaborare dati affidabili sul contagio nelle scuole.
Ci avevano provato Lorenzo Ruffino, studente di Economia a Torino, insieme al dottorando Vittorio Nicoletta: i due, prima dei resoconti imprecisi e incompleti che il ministero è riuscito a produrre non prima del 5 ottobre, avevano creato una piattaforma per il monitoraggio dei focolai nelle scuole italiane.
«Quando i contagi, verso metà ottobre, sono schizzati, abbiamo preso una decisione — racconta Ruffino a Open -. Era impossibile starci dietro in sole due persone. Piuttosto che fornire dati confusi e inesatti, abbiamo fatto un passo indietro, sperando che iniziasse a occuparsene il ministero competente».
Il monitoraggio del ministero dell’Istruzione, però, non è che un paragrafo scarno e privo di fondamento statistico: non si evince il numero totale di scuole monitorate e non c’è nessuna distribuzione geografica dei cluster scolastici.
Manca persino la ripartizione dei contagi nei diversi ordini scolastici. «Questo non vuol dire condividere dare e informazioni. Anzi, è un grossolano tentativo di sembrare trasparenti, con il risultato opposto di palesare le proprie inefficienze — aggiunge Ruffino -. I dati, messi in questo modo, sono inutilizzabili».
Allora, dietro le scelte dei singoli presidenti di Regione di chiudere o meno le scuole, non può che esserci un’altra filiera di raccolta dati: le Asl, ad esempio, durante la procedura di compilazione delle schede dei positivi individuati nel territorio di competenza, può evidenziare situazioni particolari che si verificano nelle scuole.
Un lavoro che rientra nella cruciale fase del tracciamento e che, come ravvisato da più epidemiologi, sta rischiando di saltare. Le Regioni, poi, agglomerando i dati delle Asl, potrebbero aver assunto provvedimenti che vanno nella direzione della chiusura delle scuole. Ma a oggi non è dato sapere se sia questo l’iter accertato.
L’aumento dei cluster scolastici
La ministra Lucia Azzolina, nel tentativo di rassicurare la popolazione annunciando i dati, parziali, in suo possesso, ha in realtà commesso un autogol comunicativo. «Prendendo in esame l’ultima settimana disponibile, quella che va dal 3 al 10 ottobre, l’incidenza dei contagi avvenuti tra gli studenti è maggiore dell’incidenza delle altre categorie di persone — spiega Ruffino -. Il mondo scolastico, sulla popolazione totale, pesa per il 13,6%. I casi positivi nelle scuole, invece, sono state il 15,7% dei casi totali».
Stando a queste percentuali, la situazione non è affatto tranquilla. Anche l’Istituto superiore di sanità rileva un aumento costante dei focolai nelle scuole. Nella settimana tra il 21 e il 27 settembre erano 14 i focolai attivi nelle scuole, in quella successiva, tra il 28 settembre e il 4 ottobre, i cluster erano 30 e nell’ultima rilevazione, tra il 5 e l’11 ottobre, i focolai scolastici erano 66.
Il questionario
Impossibile, invece, elaborare stime precise sui dati forniti dal ministero. Alla loro incompletezza si aggiunge il metodo di raccolta: i dati, incredibilmente, sarebbero frutto di un semplice questionario inviato settimanalmente dai presidi al ministero. Non si sa quante scuole vi partecipino e se la rilevazione comprende gli istituti paritari.
«Per rendere dignitoso questo monitoraggio — conclude Ruffino -, serverebbe conoscere il numero di tamponi fatti sulla popolazione studentesca. Sappiamo che il tasso di positività dei tamponi è importante ai fini epidemiologici, ma con questa raccolta dati è impossibile conoscere quello degli studenti. Quali sono le scuole più a rischio? Non lo sappiamo, perchè non c’è una distinzione degli ordini scolastici: eppure ci aiuterebbe a capire se i contagi avvengono maggiormente nelle primarie o nelle superiori, nelle aule o sui mezzi di trasporto. Con questi dati, è impossibile fare qualsiasi tipo di valutazione sensata».
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
CHIAMATO IN CAUSA DA SALVINI, LA RISPOSTA CHE GELA IL LEGHISTA: “TU NON LA VOLEVI INDOSSARE NEANCHE IN SENATO”
Ah no, non posso? Io la mascherina non ce l’ho e non la metto. Poi baci, abbracci, selfie e bagni di folla. Questo è solo un piccolo elenco del motivo per cui Giuseppe Conte non abbia potuto chiedere a Matteo Salvini di rendersi protagonista di una campagna di sensibilizzazione sull’uso della mascherina.
E, infatti, il Presidente del Consiglio ha dovuto rivolgersi a due personaggi molto in voga sui social. E dopo esser stato tirato in ballo dallo stesso leader della Lega, Fedez risponde a Salvini spiegando perchè sia stato contattato lui e non il senatore per invitare i followers al corretto uso del dispositivo di protezione.
«Il Presidente del Consiglio faccia una telefonata a Fedez: oltre che sulla mascherina, chieda ‘aiuto’ sulla cassa integrazione», si legge in un tweet pubblicato da Matteo Salvini riportando una sua dichiarazione di giovedì sera a Stasera Italia. Il tutto taggando il profilo ufficiale del rapper milanese (con cui aveva già avuto alcune discussioni social in passato). Un assist tramutato in gol da parte di Fedez che non ha perso l’occasione per ricordare un evento del recente passato.
«Salvini senza mascherina al convegno sul Covid in Senato: ‘Non ce l’ho e non me la metto’ 27 Luglio 2020. Purtroppo sulla cassa integrazione non ho modalità d’intervento. Bacioni».
Una barra: poche parole per una sintesi perfetta. E Fedez che risponde a Salvini è la sintesi di come la politica sui social offra la peggior faccia possibile. Per l’ennesima volta.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
AUMENTA LO SMARTWORKING E CALA DEL 20% IL NUMERO DEI PASSEGGERI SUI BUS
“State a casa più che potete. La situazione è seria”, ha detto ieri il ministro della Salute, Speranza. Un appello rilanciato dal premier Conte che ha invitato gli italiani a “evitare spostamenti inutili”.
Appelli, raccomandazioni, nulla di più. Da parte della politica non arrivano regole certe di comportamento (se non l’invito all’uso della mascherina e al distanziamento) e per questo le persone sembrano prendere sempre più sul serio il tema della “responsabilità individuale” e dell’“autogoverno”, autoproclamandosi in lockdown. In altre parole: in mancanza di un dpcm che lo renda legge, moltissimi italiani hanno deciso per l’autoisolamento: smart working, uscite ridotte al necessario, rapporti sociali solo con i conviventi.
Con la sfiducia nella politica ad altissimi livelli, (secondo un sondaggio Ghisleri su La Stampa, per “il 53.6% degli italiani intervistati, il nostro Paese si è fatto cogliere impreparato soprattutto dal punto di vista sanitario a questa seconda ondata di Coronovaris), un sistema di contact tracing al collasso, un aumento vertiginoso dei contagi che, nel momento in cui scriviamo, viaggiano a un ritmo di 15mila casi al giorno e incertezze sull’arrivo del vaccino, in Italia cresce la paura dei cittadini che sembrano trovare l’unica soluzione, contro l’ansia del contagio, in un lockdown autoimposto.
A supporto di questa tesi, due dati molto interessanti. Il primo riguarda lo smart working. Secondo una ricerca Aidp (Associazione italiana dei direttori del personale) oltre il 68% del campione intervistato ha dichiarato di aver prolungato le attività di smart working anche nella fase di ritorno ad una “nuova normalità ”. La conferma arriva dallo studio dell’Osservatorio “The World After Lockdown” curato da Nomisma e CRIF che stima che nel 2021 almeno 4 milioni di lavoratori lavoreranno prevalentemente in smart working. Nel 2019 erano solo 570mila, oggi circa 1,8 milioni. Basterebbe già questo.
Ma a corredo della ridotta circolazione delle persone, c’è un altro dato, fornito dalle aziende del trasporto pubblico al Governo, che racconta di una fuga dei cittadini da metropolitana, bus e tram: su tutte le principali reti urbane, sostanzialmente quelle delle città , si è passati in media dal 65% al 45% in termini di numero di passeggeri a bordo. A “costringere” le persone a ridurre il movimento e a stare a casa, non sono solo gli appelli alla responsabilità che arrivano dalle istituzioni e dai medici di famiglia, ma soprattutto la paura e la mancanza di altri “strumenti di protezione”.
Secondo una ricerca di Senior Italia FederAnziani, condotta su un campione di 645 over 65, ad esempio, il 57% ha finito col vivere questi mesi in un lockdown permanente perchè più dell’80% del campione è terrorizzato dal Covid.
Ma non sono solo gli anziani ad aver paura del contagio e non è solo la paura a muovere in direzione di una autoregolamentazione. “Non sono certo che ci possa essere un procedimento mentale uguale per tutti, penso che ci siano due meccanismi: uno più virtuoso e uno meno”, ci spiega il Dottor Maurizio Brasini, Psicologo e Psicoterapeuta.
“Noi abbiamo avuto una prima fase di misure restrittive imposte quando ancora si conosceva poco di tutta la situazione e c’è stato qualcuno che ha scelto per noi in maniera chiara. In questa seconda fase quello che abbiamo iniziato a sperimentare è che avremmo avuto una situazione meno chiara. Per questo è scattato un meccanismo virtuoso di responsabilità ”.
Di fronte alla confusione normative la gente si è resa conto di dover iniziare a valutare autonomamente quali sono i rischi. “Si informa, fa delle valutazioni, si dà delle regole scegliendo per sè quello che è meglio. Tanto più che ci sono molte variabili in gioco: ad esempio non sempre colui che decide per noi sceglie il meglio per la nostra salute. E questo a volte comporta che non ci si senta nemmeno tutelati”.
Un esempio potrebbe essere proprio quello relativo allo svuotamento dei mezzi di trasporto. “Io, per dire, ho deciso di non prendere più il treno”, dice Brasini. “perchè per mio senso di responsabilità trovo che il fatto che adesso si possa occupare fino a una capienza dell′80% (nella prima fase la regola era un posto ogni due), è una decisione che a mio avviso non coincide con la tutela della mia salute e quindi mi autoregolamento e non lo prendo”.
Oltre all’autonomia nelle decisioni, poi, c’è anche la paura legata al disorientamento, all’impossibilità di avere delle coordinate: “Ci si sente esposti a una minaccia”, conclude Brasini “e poichè non si hanno strumenti nè per valutarla nè per padroneggiarla, il comportamento della fuga, e quindi dell’autoisolamento, è quello animale di base che abbiamo a disposizione per metterci al riparo”.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
AGLI ATTI DELLA PROCURA DI BERGAMO ANCHE LE CHAT DI GALLERA
La procura di Bergamo ha iscritto nel registro degli indagati alcuni tecnici, tra i quali l’ex direttore generale della sanità della Lombardia, Luigi Cajazzo, l’allora suo vice Marco Salmoiraghi, e una dirigente dell’assessorato Aida Andreassi.
L’inchiesta riguarda la gestione del coronavirus e in particolare il capitolo dell’ospedale di Alzano Lombardo. Iscritti pure Francesco Locati e Roberto Cosentina, il primo ex dg della Asst di Bergamo e il secondo direttore sanitario.
La procura ha acquisito inoltre documenti nella disponibilità del direttore dell’Istituto superiore della sanità , Silvio Brusaferro, che era stato sentito come testimone nei mesi scorsi. I pm di Bergamo hanno acquisito anche le chat dell’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera relative al periodo che va da febbraio a giugno.
La guardia di finanza di Bergamo, su delega della procura, ha effettuato acquisizioni di materiale informatico negli uffici della Regione Lombardia nell’ambito dell’indagine per epidemia colposa e omicidio colposo sulla gestione del coronavirus. In primo piano la mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, l’anomala riapertura del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano dello scorso 23 febbraio e i molti decessi nelle Rsa della Bergamasca.
Da quanto si è saputo le fiamme gialle, su delega del pool di pm guidati dalla procuratrice aggiunta Cristina Rota, e coordinati dal procuratore Antonio Chiappani, hanno acquisito supporti informatici con copia di memorie telefoniche e altro materiale negli uffici di coloro che hanno avuto a che fare con la prima ondata dell’epidemia che ha colpito Bergamo e la provincia.
In una nota la procura di Bergamo afferma che “allo stato non si ritiene, per questioni di riservatezza, di diffondere informazioni in relazione a eventuali iscrizioni di persone nel registro notizie di reato”. Le operazioni di oggi sono “finalizzate all’acquisizione di materiali e supporti informatici necessari per la ricostruzione dei fatti sui quali si sta indagando in relazione ai problemi di diffusione della pandemia”. Le operazioni, sottolineano gli inquirenti, “si sono svolte in un clima di massima collaborazione senza necessità di procedere a perquisizioni”.
da “La Repubblica”)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
CASTEX: “LA SITUAZIONE PEGGIORA”… IL COPRIFUOCO SI ALLARGA A 46 MILIONI DI PERSONE
Nuovo record assoluto di contagi da Coronavirus in Francia: si contano 41.622 nuovi positivi in 24 ore. Il governo tenta di correre ai ripari inasprendo le restrizioni già in vigore ma i numeri sembrano essere a questo punto fuori controllo.
Per contrastare l’avanzata dei contagi il primo ministro Jean Castex ha annunciato nuove misure: il coprifuoco dalle 21 alle 6 del mattino verrà esteso a 38 nuovi dipartimenti e alla Polinesia per sei settimane. Saranno quindi in totale 54 i dipartimenti coinvolti per 46 milioni di persone. Le nuove misure saranno in vigore dalla mezzanotte di venerdì.
«La situazione sta peggiorando», ha detto Castex. «Il dispositivo sarà valutato nuovamente la settimana prossima e potrebbe essere rafforzato». I casi di contagio da Sars-Cov-2 sono aumentati del 40% in Francia, e si stima che ci siano 251 persone contagiate su 100 mila. Il tasso di riproduzione del virus è di circa 1,35. Nelle ultime due settimane le infezioni sono raddoppiate e coinvolgono qualunque fascia di età , ma con maggiore frequenza chi ha più di 65 anni.
Olivier Vèran, ministro della Salute, ha aggiunto che ogni giorno vengono registrati 25 mila casi: più di mille all’ora. Nel frattempo non mancano i controlli per il mancato rispetto del coprifuoco nelle aree già in vigore in Francia: sono state comminate 4.777 multe per un totale di 32.033 controlli, ha fatto sapere il primo ministro Castex.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
CONTE DELEGA LE STRETTE A SINDACI E GOVERNATORI: I PRIMI SI INFURIANO, I SECONDI LE FANNO… TUTTI SCARICANO LE RESPONSABILITA’ SU TUTTI E L’ITALIA SI SENTE ABBANDONATA
Il governo fa un dpcm cinque giorni fa, giustifica le chiusure morbide dicendo “ce la faremo”, scansa quelle più dure con le ragioni del tessuto sociale e dell’economia.
I sindaci si infuriano perchè a loro vengono demandate le scelte sulla chiusura dei luoghi della movida in collaborazione con i prefetti, come se Giuseppe Conte e il ministro dell’Interno sapessero che i giovani di Roccagorga vanno a farsi le birrette a piazza Roma invece che a corso della Repubblica e come se per mesi non avessero invocato più poteri, girando con i megafoni a cazziare i runner.
Passano 36 ore e ci si accorge che alcune Regioni non ci stanno, vogliono procedere con misure più stringenti, Vincenzo De Luca dice che Halloween gli fa schifo e quindi chiude tutto (chissà cosa pensa del Natale), a Roma si guardano in faccia e non sanno che pesci pigliare.
Alla fine nel retino finisce quello dei lockdown dal basso, i rigoristi di governo premono, vedono la possibilità di rinfilarsi dalla finestra dopo che gli è stata chiusa la porta in faccia, assecondiamo i presidenti, vanno da Conte e il premier ci sta, il prezzo di consenso delle nuove serrate almeno viene condiviso, e comunque la curva dei contagi sale oltre le previsioni e quindi ben venga.
Inizia così il gran coordinamento, Francesco Boccia e Roberto Speranza si attaccano al telefono, condividono, sollecitano. De Luca riapre asili ed elementari, la Lombardia vuole la didattica a distanza, il Lazio pure, entrambe fanno il coprifuoco da mezzanotte alle cinque, il Piemonte chiude i centri commerciali, Virginia Raggi transenna Monti e il Pigneto, tutto concordato.
Milano zona rossa, Roma e Napoli forse pure, perchè no? E Genova e Torino per lo meno arancioni, se e da quando non si sa, e qualunque cosa significhi questa scala cromatica, che chi l’ha capito alzi la mano.
Poi c’è Lucia Azzolina che scrive a Lombardia e Campania, che sulle scuole non è stato concordato un piffero, ricorda a De Luca e ad Attilio Fontana il testo del dpcm, glielo copincolla se per caso l’avessero letto distrattamente, dice a De Luca di riaprire elementari e asili, anche se questi ultimi hanno riaperto una settimana fa e le prime lo faranno lunedì, lo fa perchè, dicono dal ministero, c’è un’altra ordinanza emanata ieri che non si capisce bene.
Intanto Speranza firma con Nicola Zingaretti il provvedimento per dimezzare, a rotazione, i ragazzi in classe, che lì invece si capisce benissimo e così è tutto ok.
Il Piemonte chiude i centri commerciali, gli stessi dove in Campania vanno i ragazzi visto che la scuola è chiusa, spiegando che sono vicini alla Lombardia (?) Luca Zaia promette una limitazione della mobilità entro lunedì, dando il tempo ai fuorisede di organizzarsi (con buona pace dei governatori del Sud) e alle ultime cene di consumarsi, ma viene superato a destra da Christian Solinas, che starebbe pensando di chiudere porti e aeroporti della Sardegna, con grande allarme a Roma, perchè così non si fa, mentre Vincenzo Spadafora difende il suo orticello, e spiega che nelle palestre ci sono meno contagi che al ristorante, e quindi chiudete quelli e non questi.
Il governo intanto continua a discutere di una stretta nazionale, coprifuoco certo, lockdown ancora no, forse, aspettando i dati di venerdì, non escludendo vertici a ripetizione nel fine settimana, ma su questo ci siamo messi l’anima in pace, lo sapremo in qualche conferenza stampa in prime time, lo sapremo con mezz’ora d’anticipo, unica inossidabile certezza nell’incertezza totale.
Dieci giorni fa Conte era certo: “Escludo un nuovo lockdown generale, abbiamo lavorato per questo”, due giorni dopo alzava le mani sulle previsioni: “Dipenderà dal comportamento dei cittadini”, inglobando anche noi nella formidabile catena decisionale, se in qualità primo o ultimo anello preferirei non saperlo.
Un paese nelle mani di tutti e quindi di nessuno, cantava quello affacciato al balcone.
(da “Huffingtonpost”)
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