Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
STRAVOLTA LA SUA CAMPAGNA, ORA NON SI PARLERA’ CHE DELLA PANDEMIA, SUO TALLONE D’ACHILLE
Il presidente “è di buon umore ed è molto energico”, sta svolgendo “pienamente le proprie funzioni”. Senza scomodare l’Unione Sovietica di Cernenko, è chiaro che la Casa Bianca ha l’esigenza primaria di sottolineare che Donald Trump è sì stato colpito dal Covid-19, ma non è minimamente intaccata la sua leadership.
E le prime indicazioni sullo stato di salute del 74enne presidente e della First Lady Melania appaiono rassicuranti, solo “sintomi lievi”, dice il capo di Gabinetto Mark Meadows senza fornire ulteriori dettagli anche sulle terapie in corso.
Cancellati tutti gli appuntamenti di oggi compresa, ironia della sorte, una telefonata a un evento sui sostegni Covid agli anziani vulnerabili. Tutti gli eventi elettorali verranno posticipati o tenuti virtualmente – fa sapere il suo staff elettorale – e ogni notizia sulla salute del presidente arriverà direttamente dalla Casa Bianca.
“Il presidente Trump e la First Lady stanno entrambi bene al momento”, rassicura il vice Mike Pence, in allerta se la situazione dovesse precipitare. “Il presidente è al lavoro ed è stato tutto il giorno al telefono dalla sua residenza parlando con il capo dello staff, il senatore McConnell, il senatore Graham e altri”, afferma un funzionario della Casa Bianca alla Cnn.
A un mese esatto dal voto, il virus è penetrato nel centro nevralgico d’America, prendendosi la scena delle elezioni americane.
Finora Trump ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per provare a spostare l’asse del dibattito politico dal Covid — che negli Usa registra più di 7 milioni di casi e oltre 200 mila vittime — su altri temi, dalla ripartenza dell’economia alla sicurezza nazionale, dalla minaccia cinese alla giustizia.
Il dibattito tv ha mostrato chiaramente che la gestione della pandemia è uno dei punti su cui lo sfidante dem Joe Biden mostra una maggiore incisività nelle argomentazioni. Perchè il presidente ha obiettivamente reagito tardi all’epidemia, ha platealmente rifiutato per mesi di mostrarsi con la mascherina — indossata per la prima volta in pubblico il 12 luglio – e ha costantemente sfidato le regole sul distanziamento sociale anche nei suoi appuntamenti elettorali più recenti.
“La gente vuole ascoltare cosa ho da dire, 25-30 mila persone vengono ad ascoltarmi, facciamo eventi all’esterno e non c’è stato mai nessun problema” ha detto Trump nel corso del confronto televisivo.
Una clamorosa sottovalutazione del Covid che trova ulteriore conferma nel fatto che la Casa Bianca sapeva della positività della consigliera Hope Hicks giovedì prima che partisse l’elicottero che ha trasportato il presidente Trump a una raccolta fondi nel New Jersey.
“Posso dirvi — ha detto Meadows – che abbiamo scoperto della positività di Hicks proprio mentre il Marine One stava decollando ieri, abbiamo richiamato alcune delle persone che avevano viaggiato e in stretto contatto con lei”. Non Donald Trump, che è spesso in stretto contatto con la consigliera, ma è partito lo stesso. Sono stati condotti test a tappeto sullo staff della Casa Bianca; diversi funzionari che hanno lavorato gomito a gomito con Trump negli ultimi giorni stanno lavorando da casa. Sono risultati negativi al test il vicepresidente Mike Pence, i figli Barron e Ivanka e il genero Jared Kushner. Ma con il passare delle ore il contagio si allarga nel Trumpworld, con la lista dei positivi che si estende a consiglieri e alleati politici.
L’impatto del contagio del presidente è tutto da osservare, se in altre parole sarà questa l’October surprise che influenzerà in maniera determinante le elezioni. Certamente viene stravolta la campagna elettorale del presidente. Quasi persa, secondo tutti i sondaggi, la battaglia del voto popolare a livello nazionale — con Joe Biden visto con un vantaggio di due cifre — le ultime settimane sono fondamentali per andare alla conquista di quei 5-6 Swing States che consegneranno le chiavi della Casa Bianca. Settimane solitamente frenetiche, costantemente in viaggio, che tra l’altro vedono in agenda altri due dibattiti televisivi, ora in dubbio.
E poichè competition is competition, c’è da aspettarsi un’accelerazione da Joe Biden, sottoposto immediatamente a tampone (anche se era quasi a 4 metri di distanza nella sfida tv) e risultato negativo. Un assaggio della svolta dem è già qui, anticipata dal Washington Post: la campagna di Sleepy Joe inizierà a “bussare alle porte” dei potenziali elettori questo fine settimana, concentrandosi negli Stati chiave, dopo aver affermato per mesi che questa modalità non era sicura nè necessaria durante una pandemia.
Lo staff di Biden ha criticato il presidente per il ricorso al porta a porta, affermando che i repubblicani stavano mettendo a rischio la salute e la sicurezza degli americani. Finora, il team di Biden si è concentrato sui collegamenti virtuali, promuovendo la metrica delle “conversazioni significative” — dicono di averne avute con 5,9 milioni di elettori a settembre – piuttosto che sul numero di porte aperte. Ma a cinque settimane dal giorno delle elezioni, con le schede già espresse in molti Stati, lo staff di Biden ha annunciato il cambio di rotta, proprio mentre il commander in chief è costretto a casa dal Covid.
Che effetto avrà quindi il contagio di Trump, se lo avrà , è la domanda che si pongono tutti. “Ci sono alcuni elementi che potrebbero aiutarlo” spiega all’Huffpost Lorenzo Pregliasco, co-fondatore di Quorum e Youtrend, secondo cui “la malattia potrebbe generare un’ondata di empatia e di rally ‘round the flag, ovvero l’elettorato che si compatta intorno al suo leader, come in parte è accaduto anche per il contagio di Boris Johnson nel Regno Unito”.
Potrebbe inoltre tradursi in “un’opportunità in termini comunicativi e di consenso. Quello che non gli è riuscito con il dibattito — resettare la campagna — potrebbe paradossalmente riuscirgli ora”.
Ci sono d’altro canto, prosegue il sondaggista, “possibili effetti negativi. Il primo e più evidente è che ora, con un presidente infetto, nei prossimi giorni si parlerà enormemente di Covid e contagi, ovvero di questioni che lo vedono soccombente in termini di popolarità : secondo un sondaggio Abc/Ipsos di settembre, solo il 35% degli americani approvava la sua gestione della pandemia.
È chiaro che più si parla di Covid, più Trump è costretto a giocare su un terreno che lo vede sfavorito, quando avrebbe voluto battere il chiodo solo sull’economia. L’altra conseguenza potenzialmente negativa è che la positività del presidente limita la sua capacità di campaining nelle settimane decisive.
Inoltre Trump ha quasi preso in giro Biden nel confronto tv perchè porta troppo spesso la mascherina, il che rende tutta la sua linea di minimizzazione del Covid veramente poco credibile”.
Secondo Pregliasco, comunque, “il contagio del presidente è la ciliegina sulla torta su un processo già infetto. I veri indecisi sono soltanto il 2%. Questo è coerente con il fatto che ormai negli Stati Uniti l’opinione pubblica è molto polarizzata, quindi più che fare la corsa agli indecisi si fa la corsa a mobilitare i propri elettori”.
Non crede in un grande impatto Cailin Birch dell’Economist Intelligence Unit, che alla Cnbc fa notare la capacità di Covid-19 di sfondare “la straordinaria immunità ” del presidente ai cambiamenti nello spettro politico-economico.
“Se guardiamo indietro all’indice di popolarità di Trump per tutto il suo primo mandato, passato attraverso scandali personali, impeachment, robusta crescita e poi grave crisi, il suo punteggio è rimasto quasi inchiodato tra il 40% e il 43% degli intervistati. Non credo che questo caso sarà poi molto diverso”.
Di diverso avviso l’analisi di Politico.com, secondo cui l’infezione ha materializzato “il peggior incubo per la campagna elettorale del presidente”. Di fatto, spiega Andrew Feldman, esperto di strategia politica per i democratici a Washington, “la campagna come la conoscevamo è finita”.
L’impossibilità per Trump di tenere manifestazioni, anche per un breve periodo, ostacolerà una campagna che si è definita per i suoi grandi raduni di persona, anche durante la pandemia. Rob Stutzman, stratega politico repubblicano, ma in passato spesso critico nei confronti di Trump, lo ha descritto come un “colpo devastante” alla campagna di Trump, “l’ultima strigliata alla sua insensibile malagestione del Covid”.
L’ingresso del virus nella Casa Bianca — uno dei luoghi in teoria più sorvegliati e protetti al mondo — ha oltretutto una carica simbolica altissima.
Che potesse succedere, anche considerando l’atteggiamento del presidente, era chiaro a tutti, ma il fatto che sia accaduto al più inavvicinabile degli uomini non rende superflua una riflessione su come il presidente non sia stato — e non si sia — protetto. Il contagio, d’altronde, aveva già colpito i Servizi segreti incaricati di proteggere il presidente: ad agosto — secondo quanto rivelato dal New York Times — è scoppiato un cluster di contagio in una struttura di addestramento nel Maryland. Almeno 11 dipendenti erano risultati positivi al virus; il contagio sarebbe avvenuto durante gli esercizi di addestramento e nel corso di una festa all’interno di un hotel dove non è stato rispettato il distanziamento sociale.
Le ultime settimane di campagna avevano consegnato l’immagine di un presidente pronto a barricarsi alla Casa Bianca anche davanti a un risultato elettorale negativo. Trump martella sulla “frode” che si sta costruendo attraverso il voto per posta ed è arrivato a mettere in discussione l’eventuale “transazione pacifica” verso la nuova presidenza. Ora è il Covid a costringerlo alla quarantena alla Casa Bianca. Se perderà , sarà sempre il Covid, ancor prima di Joe Biden, a metterlo alla porta.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
DI BATTISTA FA SOGNARE I GRILLINI: “SE PREVALE UN’ALTRA LINEA, VADO VIA”… E CASALEGGIO FORNISCE I SERVIZI SOLO A PAGAMENTO
Niente festa di compleanno per il Movimento 5 Stelle. Perchè probabilmente non c’è nulla da festeggiare e non c’è quell’armonia necessaria in certi casi. Anzi, alla vigilia del 4 ottobre Davide Casaleggio compie la mossa.
La mossa per provare a riprendersi insieme ad Alessandro Di Battista la base dei 5Stelle e compiere la scalata verso la leadership. I due giocano la stessa partita, si sentono, si vedono, ed è una coppia che ha quasi tutti i parlamentari contro.
Tanto che l’ex deputato mette in chiaro che, “se dagli Stati Generali del M5S dovesse uscire una linea maggioritaria” diversa, “e che rispetterei, evidentemente prenderei delle altre strade”.
Ed ecco che sul Blog delle Stelle compare un post di fuoco, destinato a cambiare radicalmente la natura pentastellata. Viene messo nero su bianco che il 4 ottobre non ci sarà il Villaggio Rousseau, l’evento che lo stesso Casaleggio aveva annunciato a luglio. E poi l’associazione Rousseau ha tagliato i servizi, non però quelli che le consentono il ‘controllo’ politico della macchina del Movimento, come il voto online e la certificazione degli iscritti.
Qual è la ragione? Molti parlamentari non hanno versato i 300 euro mensili.
“Con enorme dispiacere — si legge sul blog – siamo costretti a comunicare che, alla luce dell’attuale situazione economico-finanziaria aggiornata a seguito dell’ultima tranche di versamenti in scadenza nella giornata del 30 settembre, siamo costretti a procedere alla sospensione di alcuni servizi e all’annullamento di attività e/o iniziative programmate per il trimestre ottobre – dicembre 2020”.
Resta la tutela legale per il capo politico e il Garante, ma non quella per i consiglieri comunali per esempio.
In pratica l’associazione Rousseau copriva le spese legali in caso di processi a carico dei consiglieri pentastellati, ma dal momento che i parlamentari non hanno versato i soli, la copertura economica non c’è più. Come è noto i consiglieri comunali e regionali rappresentano la base del Movimento e la mossa di Casaleggio è volta a mettere la base grillina contro i parlamentari.
Ed è per questo che dietro la mossa di Casaleggio c’è un duplice messaggio: da un lato alla base per lamentare le carenze degli eletti (e coinvolgere indirettamente gli iscritti nei problemi in seno al M5S), dall’altro ai vertici M5S, quindi a Vito Crimi, refrattario a utilizzare la linea dura. “Continuiamo ad augurarci che nel rispetto di tutti gli eletti che onorano gli impegni e anche degli iscritti, chi ha la responsabilità di far rispettare le regole la eserciti con giustizia ed equità ”, si legge sul blog non a caso, proprio nel giorno in cui si apprende che il capo politico reggente ha stoppato le espulsioni perchè “la situazione è delicata”. Leggasi, i numeri in Senato possono rivelarsi risicati.
I gruppi parlamentari sono una polveriera. Nelle chat c’è chi propone una raccolta firme per invitare il capo politico Crimi a sedersi al tavolo con Casaleggio affinchè quest’ultimo diventi un mero fornitore di servizi, in modo che la piattaforma web torni definitivamente al Movimento. La battaglia potrebbe riguardare anche il simbolo se si dovesse arrivare a una scissione, se davvero Di Battista con Casaleggio dovessero compiere questo passo.
Il rapporto tra i gruppi M5s e il figlio di Gianroberto diventa ogni giorno che passa più conflittuale. E i parlamentari, a parte Barbara Lezzi, si sono schierati apertamente contro Di Battista, per il quale il Movimento sta diventando con l’Udeur, il partito di Mastella, “attendo solo alle poltrone”.
Insieme a Lezzi c’è l’europarlamentare Ignazio Corrao: “Azzeriamo tutto, serve un congresso”. In Parlamento sotto traccia si sta lavorandad un’area con ‘Dibba’ punto di riferimento e sullo sfondo c’è sempre lo ‘spettro’ di una spaccatura. Nelle chat c’è chi lo difende sostenendo che “non ha detto nulla di male”. Ma sono pochissimi.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
OPERAZIONI GONFIATE, I SOLDI POI FINIVANO IN POLIZZE VITA E REINVESTITI IN SOCIETA’ ESTERE… DI RUBBA ERA IL REGISTA DI QUESTE OPERAZIONI SOSPETTE
Le indagini sui fondi della Lega spariti prosegue e spuntano nuove manovre finanziarie con enormi scambi di denaro, di cui non si conosce la reale provenienza.
La Gdf ha messo nel mirino alcune operazioni dal valore di 29 milioni di euro. Uno schema – si legge su Repubblica – simile a quello sulla compravendita della sede della Lombardia Film Commission di Cormano, che ha portato agli arresti dei tre commercialisti della Lega, perchè viene movimentata in pochissimo tempo una enorme mole di denaro, poi finito in fondi anonimi, società estere e polizze vita.
Al centro dell’indagine, – prosegue Repubblica – l’acquisto e la successiva vendita da parte dell’imprenditore bergamasco Marzio Carrara (non indagato) delle aziende di stampa Nuovo istituto di arti grafiche (Niiag) ed Eurogravure, possedute dal gruppo tedesco Bavaria Industries. Ad acquistare, nel gennaio 2018, è Arti Group Holding, partecipata da Carrara e da Di Rubba, che versa ai tedeschi 5 milioni, la stessa società viene poi rivenduta per 29 milioni qualche mese dopo.
Dei 29 milioni, – spiega Repubblica – in pochi giorni 15milioni e 386mila euro finiscono di nuovo a soggetti legati ad AGH: a Di Rubba 1.129.410, alla Boost di Carrara 6 milioni, all’ex amministratore Alessandro Bulfon (non indagato) 8 milioni e 257mila euro. Il tesoro di Bulfon finisce nella seconda Sos, perchè dirottato (per 4 milioni e 600mila euro) in tre polizze vita. «Non possiamo escludere — scrive Banca d’Italia — che i fondi ricevuti come corrispettivo della Arti Group Holding siano collegati ad attività di finanziamento illecito dei partiti (Lega Nord)».
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
CHIAMATI IN CAUSA I VERTICI MILITARI E QUELLI GOVERNATIVI…IL CASO DELLA NAVE CAPRERA E’ UNA VERGOGNA PER L’ITALIA
A cosa servono le navi della Marina Militare in Libia? Ad intercettare gli scafisti? Ovvio che no. A rispedire i migranti in Libia ma soprattutto a trafficare armi e finanche…sigarette.
A rivelarlo è il New York Times in una inchiesta a firma di Patrick Kinsley e Sara Creta, inviati a Brindisi, con il contributo da Roma di Jason Horowitz che chiama pesantemente in causa sia i vertici militari che quelli governativi italiani.
Questa è la storia svelata dal NYT
“Quando la Caprera, una piccola nave da guerra italiana grigia, nel luglio 2018, è tornata alla sua base nel sud Italia, ha aiutato a intercettare più di 80 imbarcazioni di contrabbando di migranti al largo della Libia e ha impedito a più di 7.000 persone di raggiungere l’Europa. Per questo lavoro, la Caprera si è guadagnata gli elogi dell’allora ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, nazionalista anti-migranti, che ha lodato la nave per “difendere la nostra sicurezza”, come ha scritto sui social media. “Onore!
Il caso Caprera
C’era solo un problema: la Caprera stessa contrabbandava prodotti verso l’Europa.
Durante un’ispezione della nave il giorno del suo ritorno a casa, la Guardia di finanza italiana ha trovato circa 700.000 sigarette di contrabbando e diverse scatole di Cialis, un farmaco per la disfunzione erettile. Tutto il contrabbando è stato acquistato quando la Caprera è stata ormeggiata a Tripoli da marzo a luglio 2018 nell’ambito di una missione anti-contrabbando della Marina Militare italiana.
“Mi sentivo come Dante che scendeva nell’inferno”, ha detto il tenente colonnello Gabriele Gargano, il poliziotto che ha guidato il raid e una successiva indagine. “Ho visto molti casi di contrabbando – ma 70 sacchi di sigarette su una nave militare? Non l’ho mai visto in tutta la mia vita”.
Il caso ha offuscato quello che i leader europei hanno dipinto come uno sforzo duro, ma di principio, per frenare la migrazione verso il continente. Al momento dell’incidente, gli Stati europei – in particolare l’Italia – stavano chiudendo i loro porti ai migranti, criminalizzando gli equipaggi delle Ong che li hanno salvati nel Mediterraneo e affidando la responsabilità delle operazioni di ricerca e salvataggio alla Guardia costiera libica.
A Brindisi è in corso un processo in cui cinque marinai sono accusati di essere coinvolti nell’operazione di contrabbando. Ma l’indagine si è estesa oltre la Caprera.
Le fatture viste dal New York Times mostrano che i marinai della Caprera hanno acquistato le sigarette in Libia con un metodo apparentemente sviluppato dai membri dell’equipaggio di una seconda nave italiana, la Capri, ormeggiata a Tripoli nel gennaio 2018. Una terza nave da guerra coinvolta nella missione è stata oggetto di un’incursione a Napoli nel mese di maggio per sospetto di contrabbando, secondo altri documenti giudiziari ottenuti dal Times.
“Questa cosa potrebbe essere molto più grande e potrebbe coinvolgere più navi”, ha affermato Gargano, che sta indagando sui membri dell’equipaggio a bordo di almeno un’altra nave. “Ci aspettiamo di vedere alcuni sviluppi”.
I documenti visti dal Times e le interviste con gli investigatori e i funzionari italiani rivelano dettagli cruciali su come i membri dell’equipaggio di una nave così centrale per gli sforzi europei per frenare il traffico di esseri umani dalla Libia hanno condotto un’impresa criminale sottocoperta.
Nel 2019 un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha stabilito che la missione navale italiana ha violato l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite fornendo riparazioni a una nave da guerra libica. Ma i documenti rivelano che la Caprera potrebbe aver violato l’embargo in almeno altre tre occasioni.
Dimostrano anche che la missione ha ritardato ad avvertire la Guardia costiera italiana della presenza di migranti nel Mediterraneo meridionale, in modo che i funzionari libici potessero intercettarli e riportarli nella Libia devastata dalla guerra.
Il Times ha confermato il coinvolgimento della Caprera nell’operazione di contrabbando intervistando gli investigatori della polizia, i marinai in servizio nella missione, la guardia costiera italiana e libica e gli avvocati degli imputati – e ha corroborato queste prove con sms, fotografie e trascrizioni di intercettazioni telefoniche contenute all’interno di un’indagine giudiziaria e di un’indagine militare ottenuta dal Times.
“Sono un po’ nella merda”, ha detto un marinaio della Caprera, Antonio Mosca, in un sms inviato dopo il sequestro della nave. “Le autorità portuali sono a bordo della Caprera. Stavamo scaricando quei sacchi con le sigarette”.
Gli eventi che hanno portato la Caprera a Tripoli sono iniziati nel 2011, quando le rivolte in tutto il Medio Oriente hanno lasciato un vuoto di potere in gran parte della regione, anche in Libia. I disordini hanno spinto centinaia di migliaia di migranti a fuggire verso la sicurezza in Europa, molti dei quali dalla Libia.
Per bloccare questo esodo, il governo italiano ha concluso un accordo nel 2017 con il governo di Tripoli, sostenuto dalle Nazioni Unite.
L’Italia ha promesso un sostegno logistico e finanziario – finanziato in parte dall’Unione Europea – per la ricostruzione della Guardia costiera libica. In base all’accordo, l’Italia ha donato alla Libia diverse vecchie navi della Guardia Costiera. Ha anche dispiegato le proprie navi navali a rotazione a Tripoli per coordinare le loro attività anti-migrazione.
Poichè la Guardia costiera libica non disponeva delle radio necessarie per comunicare con le sue imbarcazioni in mare, le sue operazioni erano dirette segretamente da navi da guerra italiane, nonostante l’impegno assunto da Tripoli dopo l’accordo di gestire direttamente tali attività , secondo due marinai coinvolti nella missione, un comandante della Guardia costiera libica, prove contenute in un’indagine giudiziaria, e il signor Salvini.
L’obiettivo dell’Italia era quello di permettere alla Guardia Costiera libica di impedire ai migranti di raggiungere le acque internazionali – rendendo più difficile per loro essere salvati da una flotta di imbarcazioni di salvataggio private e da navi della Guardia costiera italiana che portavano i rifugiati in un porto sicuro in Europa.
A tal fine, i marinai a bordo delle navi da guerra italiane a Tripoli a volte ritardavano la trasmissione delle informazioni al comando della Guardia costiera Italiana a Roma, secondo i giornali di bordo della Guardia costiera consultati dal Times e un’intervista con un comandante della Guardia costiera Italiana.
Nel corso di un’intercettazione fallita coordinata dai marinai italiani nel novembre 2017, in cui sono annegati diversi migranti, i giornali di bordo mostrano l’ambasciatore italiano a Tripoli e il suo addetto navale ha persino chiesto alla Guardia costiera italiana di ritirare le sue imbarcazioni dalla zona, per dare alla Guardia costiera libica più spazio per operare.
Anche prima che i suoi marinai iniziassero il contrabbando, secondo i documenti, la Caprera aveva apparentemente violato i termini di un embargo sulle armi delle Nazioni Unite in almeno tre occasioni. L’embargo vieta agli attori stranieri di fornire armi a qualsiasi fazione coinvolta nella guerra civile libica e di riparare attrezzature militari. Una prova fondamentale per gli investigatori sono le foto di una festa di addio a maggio per Marco Corbisiero, l’ingegnere capo della nave, che ha terminato il suo dispiegamento a bordo della Caprera prima del resto dell’equipaggio. Le foto condivise sul gruppo WhatsApp della nave hanno mostrato un sorriso del signor Corbisiero seduto davanti a una grande torta al cioccolato cotta in suo onore.
Dietro di lui c’erano diversi sacchi di sigarette di contrabbando. Gli inquirenti ritengono che i marinai abbiano acquistato le sigarette con banconote da un fondo di contingenza di diverse centinaia di migliaia di euro, fornito dallo Stato italiano, che era tenuto a bordo della Caprera. Per coprire l’appropriazione indebita, hanno pagato il denaro a un intermediario, un funzionario della Guardia costiera libica di nome Hamza Bin Abulad.
Il signor Bin Abulad, oggi trentanovenne, era stato addestrato in Italia dalla polizia finanziaria italiana. Ora lavorava come collegamento tra gli italiani e i loro omologhi libici.
Bin Abulad ha fornito a marinai italiani come Corbisiero le fatture per articoli legittimi come i pezzi di ricambio delle navi, timbrate con le insegne di una falsa società chiamata Tikka – “trust” in arabo.
Era un’ironia oscura, ha detto il signor Gargano: le fatture di Tikka servivano infatti ad oscurare che i marinai usavano i soldi dello Stato italiano per comprare grandi quantità di sigarette libiche – e le scatole di Cialis.
E ci sono segni che le fatture di Tikka non riguardavano solo le sigarette. Le 18 fatture registrano pagamenti per un valore di oltre 145.000 dollari. Ma gli investigatori ritengono che solo circa 26.000 dollari siano stati spesi per le sigarette – il che significa che la maggior parte degli articoli o servizi acquistati attraverso Tikka rimangono sconosciuti.
Attraverso un intermediario, il signor Bin Abulad si è rifiutato di commentare.
La Caprera è tornata in Italia a metà luglio con quello che secondo la polizia finanziaria italiana è stato il più grande bottino di contrabbando mai trovato su una nave da guerra italiana.
Lo stratagemma è stato svelato quando un marinaio ha visto i colleghi scaricare diversi sacchi di sigarette sulla banchina di Brindisi e ne ha inviato una fotografia al capitano della nave, Oscar Altiero.
“Comandante, mi dispiace disturbarla”, scrisse il marinaio in un messaggio. “In queste borse ci sono i famosi pacchetti di sigarette”. La nave è stata poi sequestrata dalla Guardia di Finanza, scatenando un’indagine durata 22 mesi.
In Libia, Hamza Bin Abulad è sfuggito a qualsiasi sanzione. Recentemente è stato promosso a capo ingegnere della Guardia costiera libica.
I messaggi di testo e le trascrizioni delle telefonate intercettate dalla polizia nel corso dello stesso anno indicano che il signor Corbisiero, ora 44enne, era una figura chiave nel piano di contrabbando, dicono i procuratori. Il signor Corbisiero è uno dei cinque marinai sotto processo a Brindisi; il suo avvocato, Fabrizio Lamanna, ha detto che il suo cliente è stato fatto capro espiatorio del caso.
Dalla fine del 2017, i registri bancari mostrano che ha ricevuto decine di migliaia di dollari da privati, tra cui marinai italiani, pagamenti che gli investigatori ritengono essere anticipi per sigarette di contrabbando. Il signor Corbisiero avrebbe potuto guadagnare quasi 120.000 dollari dalla vendita delle sigarette – circa 90.000 dollari in più di quanto costano per l’acquisto in Libia.
La maggior parte delle sigarette sono state caricate sulla Caprera dopo che il signor Corbisiero aveva lasciato la barca. Prima della sua partenza, i membri dell’equipaggio potevano facilmente spostarsi nell’officina dove le sigarette erano nascoste. Quando la Caprera arrivò a Brindisi, la stanza era così piena di sacchi di sigarette che i poliziotti che sequestrarono la nave riuscirono a malapena ad entrare….”.
Questa è l’inchiesta. Puntigliosa, dettagliata, con virgolettati non anonimi.
Una inchiesta che non può essere sfuggita ai vertici della Marina militare, al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, al titolare degli Esteri, Luigi Di Maio, e al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Urgono risposte. E risposte esaurienti. Contrabbando di sigarette e di Cialis…
Una vergogna per l’Italia. E uno sputtanamento planetario.
(da Globalist)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
IN DIVERSE CITTA’ ITALIANE PRESIDI PER CHIEDERE UN CONFRONTO CON IL GOVERNO
Nel Mediterraneo centrale si continua a morire. Secondo l’ultimo rapporto di Alarm Phone, solo tra il 14 e il 25 settembre avrebbero perso la vita in mare circa duecento persone.
Nello stesso periodo, sono emerse le proposte del nuovo Decreto sull’Immigrazione in Italia “che non ha fatto alcun passo avanti verso gli obblighi del soccorso in mare, sottoscrivendo invece la strategia italiana del blocco delle navi della societa’ civile”, si legge in una nota congiunta delle ong che operano in mare. Sea-Watch, Open Arms, Medici Senza Frontiere e Mediterranea scenderanno in piazza in occasione del 3 ottobre, per “chiedere un confronto serio con il Governo italiano”.
I partecipanti saranno a Roma in Piazza dei Santi Apostoli, a Milano in Piazza dei Mercanti, nella mattina a Padova, Brescia e Palermo e nel pomeriggio a Trento, Catania, Modena, Pescara e Cesena.
“Sette anni dopo la strage di Lampedusa – si legge nel comunicato -il Mediterraneo resta uno dei piu’ grandi cimiteri al mondo, a nulla vale la presenza, fino nella rada del porto di Tripoli, di mezzi militari italiani ed europei ad evitarlo. A nulla vale il fatto che i voli di ricognizione aerea dell’Agenzia Frontex e di Eunavformed siano in grado di controllare ogni movimento che avviene dalle coste della Libia, di fatto facilitando il respingimento illegale delle persone per procura
A nulla valgono gli imbarazzanti tentativi, nonostante i pareri contrari delle Nazioni Unite, di far passare la Guardia costiera libica come una legittima autorita’ in grado di soccorrere nel rispetto della vita e della dignita’ umana. Sappiamo tutti che non soccorre ma cattura e riporta forzatamente nei centri di detenzione in Libia tutti coloro che si mettono in mare per fuggire a schiavitu’, torture, violenza e sfruttamento”.
Nello specifico, le organizzazioni umanitarie chiedono: il riconoscimento istituzionale della necessita’ del soccorso in mare; la fine del blocco delle navi e degli aerei delle organizzazioni della societa’ civile europea; l’immediata assistenza e assegnazione di un porto sicuro entro le 24 ore per tutti i mezzi navali che si trovassero a operare soccorsi in mare, al di la’ della loro classificazione, e la riattivazione di un meccanismo europeo per la salvaguardia della vita in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale
(da Globalist)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
LO FANNO SAPERE FONTI LIBICHE
Una liberazione “ a costo zero” è da escludere. L’unica “certezza è che il generale Khalifa Haftar non libererà nessuno fin quando non verranno consegnati i quattro” giovani libici partiti cinque anni fa da Bengasi e condannati in Italia come assassini e trafficanti di migranti. Lo fanno sapere fonti libiche sul caso degli equipaggi dei due pescherecci italiani sequestrati in Libia lo scorso primo settembre.
C’è poca chiarezza sul loro caso, dicono. “Si sta pensando di far avocare le indagini alla Procura militare”, affermano le fonti dopo le notizie delle ultime ore. L’offerta è chiaramente irricevibile, ma è altrettanto chiaro che lo stallo sulla sorte degli italiani diventa un peso per il governo.
Dimostrazione di poca influenza in Libia, di scarsa capacità di far leva, legata pure all’inaffidabilità di Haftar, per troppo tempo considerato un attore con cui dialogare.
Altre fonti contattate da Aki – Adnkronos International ricordano come in passato “ci siano voluti mesi” per risolvere casi analoghi in Libia, dal momento che le autorità libiche “considerano quelle acque zone di interesse economico esclusivo libico” e non tollerano “violazioni dei propri diritti economici sulle proprie acque”.
Che l’Italia possa liberare quattro criminali condannati per la “strage di Ferragosto” è fuori discussione.
E allora? Le bocche sono cucite, a Palazzo Chigi come alla Farnesina, alla Difesa come al Viminale, tuttavia a forza di insistere qualcosa trapela. E Globalist ha raccolto queste voci.
Il presidente del Consiglio e il titolare della Farnesina hanno investito della vicenda i Paesi che più sostengono il generale Haftar: Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, chiedendo loro di premere sul loro “protetto” per arrivare alla liberazione dei nostri connazionali. Qualcosa si è mosso, dicono a Globalist fonti autorevoli, i nostri servizi sono impegnati h24, ma “qualcosa bisognerà concedere ad Haftar”.
Un riconoscimento politico, ad esempio, del ruolo importante che il generale di Bengasi ha nel processo di stabilizzazione della Libia.
Su questo, Roma non ha problemi. Ma da solo quel riconoscimento non può bastare. Ecco allora spuntare la pista dei soldi, di un riscatto da pagare per la liberazione degli ostaggi. D’altro canto, fa notare la fonte, in altre circostanze l’Italia si è comportata così per ottenere la liberazione di nostri connazionali. Ufficialmente questi pagamenti sono sempre stati negati, ma ci sono stati, questo è sicuro. E l’elenco è molto lungo e abbraccia tutte le aree più calde del pianeta: Afghanistan, Iraq, Siria, Somalia, Libia, Kenia…
Nel frattempo, un incontro che sarebbe durato una ventina di minuti, non di più, quello avvenuto ieri a Palazzo Chigi fra il premier Giuseppe Conte e la delegazione mazarese composta dagli armatori Leonardo Gancitano e Marco Marrone, e dai familiari dei diciotto pescatori che da quasi un mese si troverebbero in carcere a El Kuefia, a 15 km a sud est di Bengasi; i due motopesca sequestrati si trovano invece nel porto della stessa capitale Cirenaica.
Nel corso dell’incontro, alla presenza del Ministro Luigi Di Maio, Giuseppe Conte avrebbe rassicurato le famiglie dei pescatori, mazaresi e tunisine ammettendo però che la trattativa seppur in corso, e con il massimo impegno, presenta delle difficoltà ; Conte e Di Maio avrebbero anche rassicurato i presenti sulle buone condizioni dei marittimi. Passeremo qui le notti davanti Montecitorio e i familiari rimarranno incatenati finchè non verranno rilasciati i nostri pescatori ed i pescherecci. Il tempo delle chiacchiere, del buon senso, del profilo basso è ormai finito. Ci fermeremo solo se arrivano risultati positivi”.
Chissà che queste parole pronunciate da Leonardo Gancitano e Marco Marrone, armatori dei due motopesca “Antartide” e “Medinea” sequestrati a Bengasi dallo scorso primo settembre, e l’innalzamento dell’attenzione dei media nazionale sulla vicenda abbiano convinto Conte e Di Maio ad incontrare la delegazione mazarese che probabilmente si sarebbe aspettata qualcosa di più concreto dallo stesso incontro.
Dei pescatori da giorni non si hanno notizie, nell’ultimo contatto telefonico, avvenuto una decina di giorni fa, Pietro Marrone, comandante del “Medinea” chiese, a nome dei suoi compagni di sventura, di fare il possibile per liberarli annunciando la volontà dei libici di accusarli di traffico di droga; puntualmente dopo qualche giorno circolarono delle foto con degli involucri con della presunta davanti ai motopesca ormeggiati rimasti incustoditi dalla mattina del 2 settembre.
Dopo quella straziante telefonata, ripresa in diretta da una tv nazionale, i due armatori ed un gruppo di familiari dei pescatori, sia mazaresi che tunisini, decisero di partire a Roma. In piazza Montecitorio, davanti al Parlamento hanno esposto degli striscioni con la richiesta di far liberare i marittimi. In questi giorni hanno incontrato diversi esponenti politici, gran parte dell’opposizione, chiedendo a gran voce un incontro con il Premier Conte e con il Ministro Di Maio fino alla decisione di incatenarsi e di passare la notte all’addiaccio a piazza Montecitorio.
Haftar ricatta l’Italia, forte del sostegno militare degli Emirati Arabi Uniti. Secondo un rapporto riservato delle Nazioni Unite, nel 2020 gli Emirati Arabi Uniti avrebbero aumentato il loro rifornimento di armi al maresciallo libico Khalifa Haftar, che è a capo delle milizie legate al governo della Libia orientale. A riportare la notizia è il Wall Street Journal, che scrive che gli Emirati Arabi Uniti avrebbero rifornito di armi Haftar, violando gli embarghi internazionali, per ostacolare l’influenza della Turchia nell’area. Tra gennaio e aprile di quest’anno l’aeronautica militare degli Emirati avrebbe inviato circa 150 forniture di munizioni e di sistemi di difesa.
Decine di voli di rifornimento, tramite un aereo da trasporto militare C-17 di fabbricazione statunitense, sono continuati durante l’estate, anche dopo le sconfitte di Haftar durante l’offensiva contro Tripoli. Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero utilizzato anche navi per rifornire di carburante l’aviazione militare sotto il controllo di Haftar.
“Khalifa Haftar –spiega Francesco Bussoletti su Difesa&Sicurezza – non vuole che estranei vadano nel sud della Libia. Mentre a Bouznika è in corso il secondo round di colloqui Alto Consiglio di Stato (HCS)-Camera dei Rappresentanti (HoR), il Generale ha inviato a sorpresa assetti dell’Lna (l’autoproclamato Esercito nazionale libico, ndr) all’aeroporto di Sabha per bloccarlo. Ciò dopo che lo scalo aereo era stato riaperto solo pochi giorni fa.
Il comandante delle truppe di Bengasi ha ordinato la sospensione di tutti i voli senza fornire motivazioni. Gli analisti ritengono, però, che l’uomo forte della Cirenaica voglia tenere Fayez Sarraj e il Gna (il Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, ndr) lontano dal Fezzan, per due motivi: innanzitutto per evitare che il “nemico” fornisca aiuti e supporto alla minoranza dei Tebu, i quali potrebbero rivoltarsi nuovamente contro di lui, sfruttando rinforzi e rifornimenti. Inoltre, teme che si cominci a concentrare troppo l’attenzione sulla regione, ricca di risorse energetiche e minerali non ancora esplorate, su cui Haftar vuole mantenere il grip a ogni costo”.
(da Globalist)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
GUAI A CHI CRITICA I SUOI CAPELLI
Guai a chi parla male dei capelli del vicepresidente leghista del consiglio comunale a Spoleto. Stefano Proietti e il video della sua dura, durissima battaglia
“A titolo informativo voglio rendere edotta questa aula che negli scorsi giorni sono stato attenzionato pubblicamente per quanto riguarda la lunghezza, la forma, il volume dei miei capelli”.
Non è uno scherzo: il vicepresidente del consiglio comunale di Spoleto Stefano Proietti, della Lega durante una seduta del consiglio ha davvero preso il microfono per informare che lui non ci sta: guai a chi lo critica per i suoi capelli!
Proietti ha continuare “Vorrei rispondere a chi lo ha fatto pubblicamente e privatamente”. Mentre il presidente del consiglio Sandro Cretoni provava a riprendere in mano la situazione il leghista insisteva “Voglio finire”. E passandosi le mani nella chioma spiegava di non voler rispondere, rispondendo: “Non credo che sia accettabile da parte mia qualcuno che prenda scherno dei miei capelli: a questi due soggetti vorrei consigliare il mio parrucchiere, che non è solo da uomo ma anche da donna”.
Proietti con orgoglio ha spiegato di non essere interessato dalla caduta di capelli e per questo di potersi permettere di tenerli lunghi.
E dalla Lega anche oggi è tutto, a voi studio.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
GREGORIO DE FALCO: “NESSUN TENTATO SPERONAMENTO, REAZIONE SPROPOSITATA”
Nella seconda metà degli anni ’90 ero in servizio alla Capitaneria di porto di Mazara del Vallo e non di rado accadeva che giungesse in sala operativa notizia di un attacco da parte di unità militari tunisine o libiche a danno di pescherecci mazaresi.
In molti casi, effettivamente si contestava uno sconfinamento e l’effettuazione di attività di pesca in quella zona di mare denominata «mammellone” che, per il nostro ordinamento (due decreti ministeriali del 1979) era stata unilateralmente riservata al ripopolamento ittico. In certi periodi, questi episodi assumevano caratteristiche particolarmente cruente, quando le navi della Marina Militare destinate alla vigilanza delle attività di pesca erano lontane; in quelle circostanze non era raro che le unità militari libiche o tunisine sparassero sulle unità da pesca italiane, causando anche delle vittime.
Le immagini e i video delle operazioni che hanno portato al sequestro del motopesca tunisino “Mohamed Ahmed”, fermato ieri dalla Guardia di Finanza a largo di Lampedusa, per aver pescato in acque territoriali italiane, mi hanno riportato alla memoria quelle azioni violente, sproporzionate e irragionevoli di tunisini e libici e sembrano testimoniare una svolta aggressiva e pericolosa nella politica estera italiana.
Ieri, inizialmente, si era diffusa la voce che il motopeschereccio tunisino trasportasse droga e che avesse speronato un’unità militare e quindi che, secondo procedura, le unità di polizia italiane avrebbero esploso colpi di intimidazione, in aria, secondo le procedure.
Tuttavia, la Guardia di Finanza presenta una diversa versione dei fatti affermando che il motopesca tunisino avrebbe solo «attuato manovre elusive», ovvero stesse tentando la fuga, con modalità che potevano mettere a rischio la incolumità dei militari italiani che stavano salendo a bordo del peschereccio.
I due video reperiti non confermano alcun tentativo di speronamento da parte del M/P “Mohamed Ahmed”. Anzi, le immagini girate dal bordo della M/V CP 319 evidenziano che una unità della Guardia di Finanza ha aperto il fuoco sembra contravvenendo alle regole di ingaggio per l’intimidazione di fuggitivi, sparando in mare e non in aria.
La complessiva operazione ha coinvolto un notevole dispositivo aeronavale che ad alcuni è apparso eccessivo, anche per l’ipotesi che i pescherecci che praticavano pesca di frodo in acque territoriali italiane fossero stati tre e non solo uno. Come riferito dalla GdF, sono stati impiegati oltre alle motovedette alcuni “velivoli del Comando Operativo Aeronavale e dell’Agenzia Europea Frontex”. Un dispiegamento di risorse che ci si si dovrebbe auspicare intervenga anche nei soccorsi in mare, mentre alle invocazioni di aiuto, troppo spesso corrisponde uno stolido, burocratico silenzio.
Sembra davvero di vedere specularmente il comportamento dei libici nei confronti dei pescatori italiani, quasi che sia l’Italia ad aver preso come modalità di azione l’aggressività libica e non il contrario! Ma questa scelta non appare casuale. Sono evidenti, infatti, le frizioni e le tensioni sempre più frequenti e radicali tra il governo italiano e quello tunisino anche in conseguenza di accordi tra i due Paesi, annunciati dai nostri ministri, ma mai realizzati in concreto, sia relativamente ai controlli sulle partenze dei giovani tunisini che sbarcano poi a Lampedusa, sia per quel che riguarda i rimpatri straordinari di tunisini dall’Italia.
Tunisi avrebbe dovuto impegnarsi ad accettare i rimpatri, ma al momento i prefetti di Agrigento e Trapani possono solo consegnare un inutile “foglio di via” al migrante che non trova alcuna conseguenza pratica, per assenza di riscontro da parte tunisina.
Non è, quindi, difficile pensare che questa improvvisa durezza italiana sia legata al fallimento, l’ennesimo, della politica estera del nostro Paese ed a quella del controllo dell’immigrazione. E tuttavia, non si può non considerare che al contempo, non si spende analoga determinazione per convincere i libici a rilasciare i pescatori italiani sequestrati da più di due settimane e minacciati di processo da parte di Haftar.
Qualunque sia l’attuale problema con la Tunisia esso non può certo giustificare azioni guerresche sul modello delle aggressioni tunisine (o libiche) di qualche anno fa. L’Italia resta uno Stato di diritto dove l’uso delle armi deve essere la extrema ratio cui fare ricorso per resistere ad una minaccia altrimenti non fronteggiabile, e le forze di polizia non devono sparare contro pescherecci, anche se essi hanno pescato di frodo, nelle nostre acque territoriali. In quel caso si deve intervenire, in modo appropriato e proporzionato, sanzionando il comandante e l’armatore, secondo legge.
Se poi questa modalità inaccettabile è una ritorsione nei confronti del governo di Tunisi allora si conclama l’avventurosità e la pericolosità della politica estera e di controllo del nostro governo: i Corpi militari e di polizia di uno Stato di diritto hanno la funzione di proteggere i cittadini e tutte le persone in genere, anche qualora non fossero cittadini, e non devono essere impiegati per azioni sproporzionate e guerresche contro pescatori disarmati, sia pure colpevoli di una violazione amministrativa.
Infatti, se è vero che, come sembra, i pescherecci tunisini stavano effettivamente pescando di frodo in acque italiane, e che quindi, violavano l’ordinamento del nostro Paese che vieta a pescherecci di bandiera straniera di pescare nelle nostre acque territoriali, per tale illecito viene comminata una sanzione amministrativa pecuniaria, non certo in una pena sommaria di altra natura.
Non sono, dunque, in alcun modo giustificati nè lo spiegamento di forze nè, soprattutto, i metodi violenti con i quali l’operazione è stata condotta, metodi che ricordano sin troppo quelli che le motovedette libiche di Gheddafi e quelle tunisine utilizzavano negli anni ’80 e ’90 contro i pescatori di Mazara del Vallo, quando, come detto, non era infrequente che contro i nostri pescatori venisse aperto il fuoco e si procedesse a sequestri ed arresti.
Azioni violente che, giustamente, causavano grande indignazione in Italia. Allora le nostre unità militari erano in zona, a spese della collettività , per difendere interessi italiani, cosa che, invece, oggi raramente accade mentre sembra vi sia una inaccettabile omologazione di metodologie non democratiche estremamente pericolose.
Gregorio De Falco
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2020 Riccardo Fucile
PER DI MAIO ORMAI DI BATTISTA E’ IL PASSATO
Non lo cita ma è chiaro che il post ha un destinatario: Alessandro Di Battista. L’ex deputato che ieri a ‘Piazza Pulita’ su La7 ha picconato il Movimento 5 Stelle paventandone una fine perchè sta diventando “un partito come l’Udeur buono forse più per la gestione di poltrone e di carriere”.
Luigi Di Maio su Facebook prova a ribaltare questa narrazione che l’ex deputato fa nel tentativo di tornare al centro della scena politica e mediatica. “Volevo solo dirvi che io sono ottimista”, scrive il ministro degli Esteri: “Che il Movimento ce la farà , che con l’aiuto di tutti otterrà di nuovo grandi risultati”.
Nel mondo pentastellato c’è una battaglia in corso per la leadership. E i due fraterni amici, Di Battista e Di Maio, ora si trovano su fronti opposti.
A dividerli è il governo. Il primo parla dell’alleanza con il Pd come “la morte nera”, il secondo è diventato il primo sponsor dell’accordo con i dem che anzi deve andare fuori dal perimetro del governo e guardare ai territori perchè “è l’unico modo per tornare a vincere”.
E poi ancora, scrive l’ex capo politico: “Negli ultimi otto anni abbiamo affrontato anche momenti difficili, ma siamo sempre riusciti a rialzarci. Volevo dirvi che ce la faremo, volevo dirvi di non scoraggiarvi, di guardare sempre avanti e mai indietro”.
Guardare indietro significa guardare al passato, quindi a un Movimento che non esiste più, a un Movimento di lotta, quello a cui è rimasto ancorato Di Battista.
Ora per Di Maio c’è il Movimento di governo. Gli uffici pentastellati, come succede spesso in questi casi, danno il via alla batteria di dichiarazioni via social perchè la definizione “morte nera” non è passata inosservata.
Il riferimento è all’arma di distruzione che compare nella saga di Guerre Stellari. “Udeur? Morte nera? Non stiamo giocando agli strateghi. Il M5S, insieme a Conte – scrive su Twitter il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia – sta gestendo una pandemia mondiale. E la sta gestendo bene. Basta polemiche sterili, lasciamole a Salvini. Pensiamo a migliorare il rdc, al superbonus 110%, e al recovery fund che abbiamo ottenuto”.
La leader della corrente interna ‘Parole guerriere’ solleva un altro tema, quello relativo alla piattaforma digitale a cui fa capo il Movimento. “Tra i ‘conflitti di interesse’ su cui bisogna fare luce, forse, ci sarebbe da approfondire anche il rapporto fra l’Associazione Rousseau ed il M5S… Invece di sparare opinioni dal tavolo della giuria — scrive Dalila Nesci rivolgendosi a Di Battista – ti faccio notare che il M5S insieme al governo Conte sta affrontando il difficile corso di una pandemia e crisi economica mondiale”.
Dura anche la replica del presidente della Commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia che invita a lasciare le polemiche “a Salvini e Meloni”: “Invece di fare riferimenti a Star Wars, sarebbe importante rilanciare le tante buone misure che stiamo adottando per il Paese, come il superbonus 110% per le ristrutturazioni”.
Al coro ‘anti-Dibba’ si unisce anche Mirella Liuzzi, sottosegretaria allo Sviluppo economico: “Per fortuna c’è questo governo, per fortuna durante la crisi pandemica, c’era Conte”. Gli anti-Di Battista, i governisti per eccellenza sono venuti allo scoperto. Ora si attendono reazioni dai fan di Dibba che agli Stati generali vuole arrivare alla conta. E ricoprire un ruolo all’interno dei 5Stelle convinto di avere dalla sua parte gli attivisti grillini, o almeno quelli che sono rimasti.
(da agenzie)
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