Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
PROTESTA ORGANIZZATA, VOLTI COPERTI: “TU CI CHIUDI, TU CI PAGHI”… ALLA CAMORRA NON PIACE CHIUDERE GLI AFFARI ALLE 23
Monta la protesta a Napoli contro il “coprifuoco” e contro il lockdown annunciato dal presidente della Regione Vincenzo De Luca. A tarda sera scontri davanti alla Regione, tensione tra manifestanti e forze dell’ordine, petardi, cariche della polizia in assetto antiguerriglia, colonne di auto sul lungomare Caracciolo, fumogeni che rendono l’aria irrespirabile.
Urla contro la Regione di manifestanti con il volto coperto. Nei vicoli del centro storico intorno all’università Orientale centinaia di persone nell’ultima mezz’ora prima del blocco hanno fermato anche la circolazione pedonale. Il flash mob era stato rilanciato sui social e così da ogni parte del centro di Napoli gruppi di ragazzi e non solo si sono messi in marcia verso largo San Giovanni Maggiore e l’università Orientale. Assaltata un’auto dei vigili urbani da uomini con i volti mascherati.
Una diretta su Facebook incita alla ribellione civile contro l’ipotesi di lockdown avanzata dal presidente De Luca. Ci sono due striscioni in cima a un corteo: “tu ci chiudi e tu ci paghi”, e poi “contro De Luca”. Blocco stradale anche nel quartiere di Chiaiano, nei pressi della stazione della metropolitana.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
RT A 1,5… PREOCCUPANO I FOCOLAI NELLE SCUOLE , QUELLE CHE SONO STATE RIAPERTE DA SENZA CERVELLO
L’indice di contagio Rt, calcolato sui casi sintomatici, è arrivato a 1,5. Un dato “significativamente sopra 1, che indica una situazione complessivamente e diffusamente molto grave sul territorio nazionale, con rischio di criticità importanti a breve termine in numerose regioni e province autonome”.
Così si legge nel report settimanale dell’Istituto superiore della Sanità e del ministero della Salute riferito alla settimana dal 12 fino a domenica scorsa, 18 ottobre.
Per l’Istituto superiore di sanità è “fondamentale che la popolazione rimanga a casa quando possibile e riduca tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo che non siano strettamente necessarie. Si ricorda che è obbligatorio adottare comportamenti individuali rigorosi e rispettare le misure igienico-sanitarie predisposte relative a distanziamento e uso corretto delle mascherine”.
Sono “necessarie – inoltre – misure, con precedenza per le aree maggiormente colpite, che favoriscano una drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone e che possano alleggerire la pressione sui servizi sanitari, comprese restrizioni nelle attività non essenziali e restrizioni della mobilità “. Le Regioni, dal canto loro, devono “realizzare una rapida analisi del rischio e a considerare un tempestivo innalzamento delle misure di mitigazione nelle aree maggiormente affette”
Alla luce dell’attuale situazione epidemiologica, con oltre 19mila contagi, “è importante limitare le uscite da casa allo stretto necessario” spiega il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza. “Cresce notevolmente e rapidamente il numero di casi di Covid e aumentano ricoveri ospedalieri e quelli in terapia intensiva. Aumenta gradualmente – aggiunge – il numero dei focolai che si rilevano a livello scolastico e soprattutto vanno poste sotto attenzione le attività extrascolastiche”.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
DI MAIO E PATUANELLI AVEVANO FESTEGGIATO IL SALVATAGGIO DELL’AZIENDA: INFATTI CHIUDE IL 31 OTTOBRE
Bisogna partire dall’epilogo per capire perchè la vicenda Whirlpool racconta di un vizio. Quello di un Governo, ancor più dei 5 stelle, che ha iniettato nel sistema industriale italiano l’illusione che l’interventismo di Stato possa essere la panacea dei suoi mali.
Dove per interventismo non si intende la forma pubblica o semipubblica da conferire a un’azienda in crisi, ma i post trionfalistici dei ministri su Facebook, i selfie di festeggiamento, i sottotitoli dei capitalisti brutti e cattivi piegati all’obbedienza, l’occhio strizzato ai lavoratori, gli accordi autocelebrati come definitivi. Tutto questo è successo anche con lo stabilimento Whirpool di Napoli. Ed eccolo l’epilogo: l’amministratore delegato si presenta al tavolo del Governo e dice che tra sette giorni la produzione si ferma. L’angoscia e la rabbia dei 350 operai e delle loro famiglie, uno sciopero proclamato con un Paese nel pieno della pandemia, le invettive dei ministri contro l’azienda per parare i colpi dell’incapacità di fermare la fuga.
E ora la storia bisogna riprenderla dall’inizio, meglio dall’aggiornamento più recente perchè le sorti di questo stabilimento hanno una genesi lunghissima.
Il 25 ottobre 2018 il Governo, l’azienda e i sindacati firmano un accordo. In fondo al documento c’è la firma di Luigi Di Maio, allora ministro dello Sviluppo economico. Alle spalle c’è il piano industriale 2015-2018 che è stato disatteso.
Colpa – come riporta la premessa dell’intesa successiva – “della grande aggressività dei competitors”. E poi anche della Brexit, della svalutazione della sterlina e della crescita del prezzo delle materie prime. Insomma tutto va male e allora l’azienda, il 17 maggio 2018, presenta l’andamento del piano e scrive che “nonostante la realizzazione di tutti gli impegni previsti non è stato possibile raggiungere gli obiettivi di crescita previsti dal piano stesso”.
L’azienda fa di più: prepara un piano 2019-2021 per portare a compimento quello precedente. Ecco allora che interviene il Governo, che accompagna il tentativo con riunioni e tavoli al Mise. Fino appunto all’accordo sul nuovo piano.
Dentro c’è scritto che la produzione in tutti gli stabilimenti italiani, quindi anche a Napoli, va avanti con grandi rassicurazioni, soldi e un orizzonte temporale fissato al 2021, da intendere non come termine ultimo dell’esperienza industriale, ma solo come termine del piano triennale. Insomma nessun riferimento a un possibile addio, tutto il contrario.
C’è addirittura una sottolineatura su quanto il piano “rafforza ulteriormente la specificità di ogni sito produttivo e la sua sostenibilità ”. Si mettono nero su bianco 250 milioni di investimenti per il triennio.
E su Napoli si scrive che continuerà a produrre lavatrici di alta gamma, con “significativi investimenti sul prodotto e in particolare sulle estetiche” nella prima metà del 2020. E per farlo potrà contare su 17 milioni di investimenti. E – dato particolarmente rassicurante – nessun licenziamento, al massimo ammortizzatori.
Firmano tutti e partono i festeggiamenti.
Post di Di Maio: “Ce l’abbiamo fatta”. Segue una raffica di titoli, tra cui spicca “nessuno perderà il posto di lavoro”. E il commento, accompagnato dall’immagine del tricolore: “Sono quindi orgoglioso di dire che ce l’abbiamo fatta: stiamo riportando lavoro in Italia”.
Quello che accade dopo è un precipitare repentino della situazione. In meno di sei mesi dall’accordo festeggiato. Il Governo ritiene che è stato fatto tutto e al Mise non si tengono più riunioni su Whirlpool.
Ma ad aprile Di Maio si ritrova una lettera sulla scrivania. Scrive Whirpool: caro ministro, noi vogliamo vendere lo stabilimento di Napoli. La lettera finisce al centro di uno scambio di accuse con l’ex titolare del Mise Carlo Calenda perchè la notizia di quella lettera viene comunicata da Di Maio a maggio. Dopo le elezioni europee. E invece Calenda sostiene che quella missiva è arrivata ad aprile.
Per fermare la fuga, il Governo mette 16,9 milioni a disposizione di Whirpool con il decreto salva-imprese approvato dal Consiglio dei ministri il 6 agosto, ma anche questo tentativo fallisce. È il 17 settembre del 2019 quando l’amministratore delegato di Whirlpool Italia, Luigi La Morgia, si presenta al ministero dello Sviluppo economico per annunciare che all’indomani sarebbe scattato il procedimento di cessione del ramo d’azienda per la sede di Napoli. Però – rassicura – il nuovo partner Prs riconvertirà la produzione e tutti i lavoratori non perderanno il posto. Il piano di Di Maio è già saltato. Partono le proteste degli operai, i sindacati indicono scioperi e manifestazioni.
Passano tredici giorni e il 30 settembre Stefano Patuanelli, che intanto ha raccolto il testimone di Di Maio al Mise, si presenta con un video su Facebook per festeggiare il dietrofront dell’azienda. Ma l’azienda, in un comunicato stampa diramato qualche ora dopo, mette le mani avanti: “Va cercata una soluzione condivisa, a fronte di una situazione di mercato che rende insostenibile il sito e che necessita di una soluzione a lungo termine”. Una frase che mette ben in luce la precarietà dell’impegno a proseguire in un impegno strutturale, ma tant’è perchè per il Governo una soluzione tampone è sempre meglio di una non soluzione. Intanto Prs si tira indietro. Dopo due mesi Whirpool annuncia che andrà via da Napoli il 31 ottobre. L’amministratore delegato riversa sul tavolo di Patuanelli l’assenza di una “sostenibilità economica della produzione di lavatrici” e la data dello stop dell’impianto.
È da quella data, dal 30 gennaio, che il Governo sa del bye bye dell’azienda. Ma da quella data ad oggi, con otto mesi di preavviso, cosa è stato fatto? Invitalia è stata messa a caccia di un cavaliere bianco, ma intanto si è andati avanti anche con la convinzione che quell’addio potesse essere evitato.
E invece giovedì l’amministratore delegato di Whirlpool si è presentato al Mise e ha confermato lo stop della produzione tra una settimana. La sottosegretaria al Mise Alessandra Todde ha pensato di risolvere il tutto con un tavolo permanente, e al ministero, secondo quanto riferiscono fonti di Governo, c’è un piano B per garantire la piena occupazione dei 350 lavoratori, ma i sindacati non ci credono più.
Dice Gianluca Ficco, segretario nazionale della Uilm, a Huffpost: “La nostra protesta non è solo contro l’azienda che non ha rispettato gli accordi, ma anche contro il Governo che gli accordi non è riuscito a farli rispettare”.
Partono le proteste e i presidi fuori dai cancelli di tutti gli stabilimenti, il 5 novembre sarà sciopero. Tra i sindacati e tra i lavoratori nessuno crede al piano B. Dice sempre Ficco: “Sono mesi che ci parlano di piani B, ma fino ad ora hanno proposto solo alcune assunzioni a spezzatino per fare le batterie all’idrogeno, che non sono neppure brevettate, o componenti per il settore aereo che è uno dei settori più colpiti dal Covid e che non ha certo bisogno di nuova produzione. Tutte cose folli, campate per aria”. Il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano ritiene che bisogna insistere sul piano A, cioè impedire la cessazione delle attività . I sindacati tirano in ballo Conte. Con gli operai davanti ai cancelli non c’è nessuno del Governo, nè qualcuno, con eccezione di Provenzano, si sbraccia per dire che il disimpegno dell’azienda è inaccettabile. Semplicemente se ne prende atto. In fondo è andata così anche per l’ex Ilva o per Autostrade: accordi firmati e festeggiati. E poi ancora da chiudere dopo rispettivamente otto e tre mesi. Per il Governo avevamo già l’Ilva green e la nuova Autostrade senza i Benetton e in mano agli italiani.
A Taranto si produce come prima, con la differenza che si produce ai minimi storici e si tira a campare con la cassa integrazione. I Benetton sono lì, con il vento poppa perchè la vendita dell′88% di Autostrade significa fare profitto. Eccolo il prezzo politico della spregiudicatezza dell’interventismo di Stato autocelebrato sui social.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
“UOMO POLITICO DI RIFERIMENTO DI MAFIA CAPITALE”
Gianni Alemanno è stato confermato colpevole in appello per corruzione per quei soldi ricevuti tra il 2012 e il 2014 per compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio e dovrà scontare una pena di sei anni di reclusione. L’ex sindaco di Roma — da maggio 2008 a giugno 2013 — e ministro per le politiche agricole e forestali dal 2001 al 2006 per il Governo Berlusconi II e III era «l’uomo politico di riferimento dell’organizzazione Mafia Capitale all’interno dell’amministrazione comunale» per Massimo Carminati e Salvatore Buzzi.
Sconterà sei anni di carcere, Gianni Alemanno, come confermato dalla sentenza in appello. Il pm Luca Tescaroli ha parlato di lui come di un punto di riferimento fondamentale all’interno dell’organizzazione Mafia Capitale in virtù del suo «ruolo apicale da sindaco». L’ex ministro nei governi Berlusconi è stato addirittura «inserito al vertice del meccanismo corruttivo» e, abusando del proprio ruolo, «ha esercitato i propri poteri e funzioni illecitamente e curato la raccolta delle correlate indebite utilità , prevalentemente tramite terzi propri fiduciari per schermare la propria persona»
Gli uomini che hanno schermato Alemanno
Nell’ambito dell’organizzazione criminosa Gianni Alemanno aveva una serie di «uomini di fiducia», tutti «indagati e alcuni anche condannati in Mafia Capitale» che hanno esercitato una vera e propria funzione di «proiezione della persona di Alemanno, che ha impiegato per la gestione del proprio potere».
Sono loro che, secondo la sentenza che giustifica la condanna dell’ex primo cittadini, «si sono interfacciati con gli esponenti apicali di Mafia Capitale, suoi corruttori» in riferimento a Carminati e Buzzi. (Buzzi e Carminati). La condanna in primo grado di Alemanno a sei anni era stata emessa a febbraio 2020.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
DOVRA’ ISTITUIRE UN SERVIZIO AMBULATORIALE E MODIFICARE LE LINEE GUIDA
Anno 2020, il Veneto condannato per discriminazione a causa del suo sistema sanitario. È la sentenza con cui il tribunale di Venezia si è espresso relativamente alla situazione che riguarda la Ussl 3 Serenissima della città lagunare: da tempo questo presidio sanitario non garantisce prestazioni pediatriche ai minori figli di cittadini non comunitari e privi di cittadinanza.
Per questo motivo, prestazioni di questo genere possono essere praticate soltanto attraverso l’accesso al pronto soccorso.
Una situazione che va avanti da tempo e che è stata sottolineata più volte da Emergency a Porto Marghera, che proprio a Venezia ha un suo presidio fisso che, per anni, ha fatto in modo di sopperire all’assenza di cure pediatriche proprio per i minori stranieri. Tuttavia, questa situazione non poteva andare avanti a lungo ed è intervenuta correttamente l’Asgi — l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione — che ha presentato ricorso contro la Ussl e contro la regione Veneto per discriminazione.
Nella memoria difensiva, la stessa regione Veneto ha ammesso l’assenza di un servizio di questo tipo per i minori stranieri, offrendo di fatto il fianco alla sentenza emessa dal giudice del tribunale di Venezia. In seguito a questa decisione, ora, i due enti dovranno sanare la situazione preesistente, istituendo un servizio ambulatoriale dedicato e modificando le linee guida d’accesso ai servizi sanitari, anche per evitare in futuro che situazioni del genere possano ripetersi.
È stata accertata, dunque, la violazione della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre del 1989 e che tutela i minori a cui vengono assicurate le prestazioni sanitarie di qualsiasi tipo. Soddisfatta l’Asgi che ha evidenziato come in questo modo si sana contraddizione palese in uno dei sistemi sanitari italiani che si è sempre definito d’eccellenza. E che invece dimenticava questi elementi che non possono di certo essere definiti dettagli.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
CONTESTATO IL FALSO IN ATTO PUBBLICO A DIRETTORE GENERALE E DIRETTORE SANITARIO PER AVER DICHIARATO IL FALSO
C’erano state molte domande sulla chiusura e la riapertura dopo poche del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo (Bergamo) quando fu scoperto il primo paziente Covid il 23 febbraio.
Ora secondo la procura di Bergamo, che indaga per epidemia colposa, la sanificazione fu fatta completamente.
Per gli inquirenti Francesco Locati e Roberto Cosentina, il primo ex dg e il secondo ex direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est avrebbero dichiarato “in atti pubblici” il falso quando scrissero che erano state adottate “tutte le misure previste”, “circostanza rivelatasi falsa, stante la incompleta sanificazione del pronto soccorso e dei reparti del presidio”.
Locati e Cosentina, infatti, rispondono anche di falso, oltre che di epidemia colposa. Locati, in più, avrebbe attestato il falso scrivendo anche in una relazione di “tamponi” effettuati a pazienti e operatori già dal 23 febbraio. La procura di Bergamo ha iscritto nel registro degli indagati anche l’ex direttore generale della sanità della Lombardia, Luigi Cajazzo, l’allora suo vice Marco Salmoiraghi, e una dirigente dell’assessorato, Aida Andreassi.
In particolare, come si legge nel decreto firmato dal procuratore Antonio Chiappani, dall’aggiunto Rota e dai pm del pool che indagano anche sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro e sulle morti nelle rsa, Cosentina e Locati rispondono anche di falso ideologico.
Il primo in una nota del 28 febbraio “indirizzata ad Ats Bergamo” aveva attestato che sin dal 23 febbraio “non appena avuto il sospetto e la successiva certezza della positività al tampone” di alcuni malati “sono state immediatamente adottate le misure previste” nell’ospedale, “circostanza rilevatasi falsa” in relazione “agli esiti — scrivono i pm — delle indagini sinora condotte”.
Locati, poi, nelle “relazioni” dell’8 e 10 aprile — “redatte su richiesta verbale e scritta del Direttore generale Welfare di Regione Lombardia”, Luigi Cajazzo, e trasmesse a quest’ultimo e all’assessore Giulio Gallera — dichiarò il falso scrivendo che nelle poche ore nelle quali il pronto soccorso era rimasto chiuso “si è provveduto alla sanificazione degli ambienti con l’adozione di tutte le misure previste dal protocollo vigente specifico per pulizia e sanificazione Covid-19”.
Locati avrebbe attestato il falso, si legge ancora, anche quando scrisse che già dopo le “prime due segnalazioni” di positivi nel pronto soccorso, ossia dal 23 febbraio, “sono stati fatti i tamponi ‘a tutti i pazienti con sintomatologia respiratoria e anche a tutti i pazienti ricoverati indipendentemente dalla sintomatologia (…) agli operatori sono stati fatti tamponi partendo dai contatti stretti sintomatici, poi a tutti i contratti stretti anche asintomatici e infine a tutto il personale presente”. Falsa, per i pm, fu anche la sua attestazione sul fatto che dal 23 febbraio “il pronto soccorso prevede un percorso d’accesso separato per i pazienti sospetti Covid”.
L’inchiesta punta a stabilire eventuali responsabilità anche sul trattamento dei primi pazienti positivi ricoverati da più giorni vicino ad altri degenti, e la decisione, presa appunto il 23 febbraio, di chiudere e poi riaprire dopo poche ore il pronto soccorso. Mentre a Codogno (Lodi), uno degli undici comuni cinturati nella zona rossa dal governo, l’ospedale veniva sigillato e sanificato.
Una decisione che era apparsa incomprensibile. Tra i documenti che erano stati sequestrati subito dopo l’avvio dell’inchiesta le cartelle cliniche di Ernesto Ravelli, 84 anni, il primo paziente deceduto in provincia di Bergamo: arrivato al pronto soccorso il 21 febbraio e il 23, poco dopo il trasporto al Papa Giovanni XXIII, quella di Franco Orlandi, 83 anni, di Nembro, in ospedale fin dal 15 ma con tampone positivo ricevuto solo domenica 23, due giorni prima di morire. A Bergamo il 26 febbraio c’erano infatti “solo” 20 casi che però diventano 72 il giorno dopo, quasi quattro volte in più. Si passa a 103 il 28 febbraio, il 1 marzo raddoppiano a 209, poi 243 e in pochi giorni il focolaio si espande inarrestabile. Così inarrestabile che per poter cremare i deceduti il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, ha dovuto chiedere aiuto ad altre città e regioni.
Cajazzo era stato ascoltato dai pm di Bergamo e aveva messo a verbale, tra l’altro, che la decisione di riaprire il pronto soccorso di Alzano il 23 febbraio, dopo l’accertamento dei primi due casi di Coronavirus, era stata “presa in accordo con la direzione generale della Asst di Bergamo Est“, in quanto era stato assicurato che era “tutto a posto”: i locali sanificati e predisposti “percorsi separati Covid e no Covid”.
Una versione che però era stata smentita da un’inchiesta giornalistica del Tg1 che il 10 aprile aveva mandato in onda un servizio in cui un medico presente alla riunione del 23 febbraio raccontava che a decidere fu lui: “Il 23 febbraio è arrivata la chiamata del direttore generale dell’assessorato al Welfare Cajazzo, che ha detto: non si può fare, perchè c’è almeno un malato di Covid in ogni provincia, non possiamo chiudere oggi Alzano, tra due ore Cremona…Quindi riaprite tutto“.
“Siamo contenti che la Procura abbia preso sul serio la nostra richiesta di verità e giustizia, che è la richiesta di tutti i familiari delle vittime. Abbiamo sempre avuto fiducia nel lavoro della Procura, ora ne abbiamo di più. Chi ha sbagliato, se ha sbagliato, deve pagare” afferma l’avvocato Consuelo Locati che coordina l’attività del Comitato Comitato Noi denunceremo, che ha presentato centinaia di denunce ai pm di Bergamo di parenti di morti per coronavirus.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
CINQUE ORE DI ATTESA E POI SI VIENE VISITATI ALL’INTERNO DELLA STESSA AMBULANZA… ACCERTAMENTI SULL’AZIENDA SANITARIA REGIONALE: EVVIVA IL MODELLO LIGURIA
La procura di Genova ha aperto un fascicolo senza al momento ipotesi di reato nè tantomeno indagati (tecnicamente un fascicolo per atti relativi) per compiere accertamenti sui motivi che stanno portando al sovraffollamento di pazienti nei pronto soccorso genovesi.
La decisione è stata presa dopo una serie di segnalazioni di disagi raccolte e dopo le immagini delle ambulanze in coda di fronte alle strutture.
L’obiettivo è quello di capire se l’organizzazione della fase 2 del piano sanitario da parte di Alisa potesse essere attivata prima, creando strutture e riorganizzando reparti per evitare questa situazione.
Nel mirino degli investigatori genovesi ci sarebbe in particolare Alisa, l’Agenzia ligure della sanità . Il procuratore aggiunto Francesco Pinto, che coordina l’indagine, ha acquisito anche l’intervista rilasciata ieri dal responsabile dei dipartimenti di emergenza urgenza per Alisa, Angelo Gratarola, al Secolo XIX.
Da giorni, ma in particolare ieri, si è raggiunto il picco, e decine di ambulanze aspettano in coda davanti ai pronto soccorso di Genova. I pazienti aspettano anche cinque ore prima di essere visitati dentro la stessa ambulanza.
Come sottolineato dal primario del Galliera Paolo Cremonesi in una intervista al Tg1, servirebbero le strutture esterne dove mandare i malati di Covid con bassa carica virale e quelli che non hanno bisogno delle terapie intensive per alleggerire i reparti.
Per i magistrati già a settembre si stava registrando un aumento di malati e si sapeva che in autunno sarebbe arrivata la seconda ondata. Queste circostanze avrebbero dovuto fare attivare prima la macchina per allestire le strutture adatte, e previste dai piano, in modo tale da non creare il caos di questi giorni.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
AVEVA CONTRATTO IL VIRUS NELLA RSA
Maria Giuseppa Palma, una donna di 80 anni ospite della Rsa Don Orione di Avezzano, è morta in ambulanza di fronte all’ospedale della città abruzzese perchè i posti letto riservati ai malati di Covid-19 erano esauriti.
La donna aveva contratto il coronavirus nella residenza sanitaria assistenziale in cui è stato individuato un focolaio con decine di contagiati.
Stando a quanto riferiscono le cronache dei quotidiani abruzzesi la signora Maria Giuseppa si è aggravata ieri mattina e intorno alle 10 e 30 un’ambulanza l’ha prelevata per portarla in ospedale ad Avezzano: qui però gli operatori sanitari avrebbero ricevuto la comunicazione che i pochi posti letto riservati ai malati di Covid-19, appena 4, erano già occupati. La donna, già in precarie condizioni, è deceduta dopo una lunga attesa.
L’episodio è stato denunciato, tra gli altri, anche dalla sindaca di Luco Dei Marsi Marivera De Rosa che in un post su Facebook ha scritto:
“Abbiamo purtroppo dovuto apprendere della morte di una signora originaria di Luco, Maria Giuseppa Palma, avvenuta in circostanze inaccettabili. Ricoverata nella Rsa Don Orione, è deceduta dinanzi all’ospedale, a bordo dell’ambulanza nella quale ha atteso invano il ricovero nell’area Covid di Avezzano, i cui pochi posti letto erano già occupati. Ai familiari le più sentite condoglianze. La vicenda desta tristezza ma anche allarme, perchè è evidente che il sistema è già in tilt, e i numeri dell’emergenza che di giorno in giorno si susseguono ci dicono che nel nostro territorio ci si sta avviando rapidamente a un tracollo. La prima linea dell’emergenza opera sempre più in condizioni precarie che, purtroppo, spesso pesano anche sul trattamento delle altre patologie. Ma quello che si sta profilando in questi giorni è uno scenario che era possibile, se non atteso, ed è imperdonabile che oggi ci si trovi impreparati e si lascino i cittadini inermi di fronte al rischio e, ancor peggio, come testimoniato da ultimo anche dalla vicenda che ci tocca così direttamente, nella necessità , fino alle estreme conseguenze. Mancano medici, attrezzature, posti letto.”
Anche il sindaco di Tagliacozzo Vincenzo Giovagnorio ha attaccato i vertici sanitari abruzzesi esprimendo “biasimo e deplorazione per chi, avendo la responsabilità della direzione generale sanitaria, si è fatto trovare totalmente impreparato e disorganizzato a questa emergenza ampiamente prevista fin dalla primavera scorsa. La politica regionale seguiti ad assegnare posti di responsabilità a persone assolutamente inadeguate, tanto poi a rimetterci sono i comuni cittadini”.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
STANATI 20 FURBETTI… UNO PRENDEVA 600 EURO, RISULTAVA NULLATENENTE MA HA GIOCATO SOMME PER 1,6 MILIONI DI EURO… UN’ALTRA SI E’ GIOCATA 960.000 EURO
Inchiesta della magistratura sui furbetti del reddito di cittadinanza. Gli inquirenti hanno scoperto nell’Imperiese una serie di casi di persone che ricevevano il sostegno pur dilapidando somme considerevoli al gioco d’azzardo.
Emblematici i casi di un uomo di 59 anni di Ventimiglia il quale, pur avendo dichiarato di avere una giacenza media sul proprio conto corrente nel 2018 di 242 euro, tra il 2017 e il 2020 ha giocato somme per oltre 1,6 milioni di euro, percependo, per tutto il 2019, circa 600 euro mensili come sostegno alla povertà .
E poi una donna di 44 anni di Diano Marina la quale, pur avendo dichiarato nel 2018 una giacenza media sul proprio conto corrente di 117 euro, tra il 2017 e il 2020 ha giocato somme per oltre 960 mila di euro, percependo, da maggio 2019 a settembre 2020, circa 23mila euro di Reddito di Cittadinanza.
Un’altra donna di 61 anni di Ventimiglia, oltre ad essere anch’essa assidua giocatrice on-line con vincite realizzate per oltre 170 mila euro tra il 2017 ed il 2020, ha simulato, in concorso con il marito, una variazione dello stato di famiglia in modo da poter dichiarare, al fine di percepire il reddito di cittadinanza, di vivere da sola, evitando così fraudolentemente di palesare tra le entrate familiari la pensione del marito.
Nei confronti degli indagati il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Imperia ha emesso un Decreto di Sequestro Preventivo, tuttora in corso di esecuzione, delle somme indebitamente percepite dagli indagati, che ora rischiano una pena da due a sei anni di reclusione per aver reso dichiarazioni false e per aver attestato circostanze non veritiere al fine di ottenere indebitamente il Reddito di Cittadinanza.
Tutte le posizioni illecite sono state inoltre state segnalate all’Inps per la revoca del beneficio economico in questione.
(da agenzie)
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