Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
HA AMMESSO DI ESSERE SCAPPATO, PROBABILMENTE ERA VICINA LA SUA IDENTIFICAZIONE… UN’ALTRA PAGINA AMARA PER L’ARMA
Si è presentato di sua spontanea volontà alle caserma di Calcio l’uomo che lo scorso 10
dicembre ha travolto e ucciso un ciclista di 38 anni intento a raggiungere il luogo di lavoro a Fontanella, in provincia di Bergamo.
Stando a quanto riportato da Corsera sembra che si tratti di un carabiniere residente in zona ma in servizio fuori provincia: il militare avrebbe raccontato ai colleghi di Calcio di essere stato lui a investire con la propria auto Basant Singh, giovane papà di nazionalità indiana che in sella alla sua bici stava percorrendo la strada Provinciale 105.
L’investimento è avvenuto intorno alle 6.30 del mattino dello scorso 10 dicembre: dopo aver travolto il 38enne l’auto aveva fatto perdere le proprie tracce lasciando così il corpo inerme del ciclista ai lati della strada.
Poco dopo sono stati alcuni automobilisti a trovare il cadavere di Basant Singh lungo la provinciale 105, una piccola strada che attraversa la campagna e porta da Fontanella a Casaletto di Sopra, nel Cremasco. Gli inquirenti si sono messi immediatamente sulle tracce del pirata della strada analizzando tutti i filmati delle telecamere di sorveglianza che hanno restituito il modello e il colore dell’auto: una Citroen rossa.
Padre di un bambino di sei anni, Basant Singh era in sella alla sua mountain bike intento a raggiungere l’azienda agricola Andreini dove lavorava come mungitore: il suo corpo era stato trovato poco dopo, oramai senza vita, da alcuni passanti. A occuparsi delle indagini sono stati da subito i militari della compagnia di Treviglio, poi la svolta con il pirata della strada che si è costituito alla caserma di Calcio.
(da Fanpage)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
I NUOVI CASI NON SCENDONO E IL NUOVO VIRUS PREOCCUPA
Le regole annunciate dal premier Giuseppe Conte sulla zona rossa per le festività valgono
fino all’Epifania, ma con l’esplosione della nuova variante del Sars-Cov2 nel Regno Unito gli scenari per il 7 gennaio sono incerti e si pensa addirittura a nuove chiusure.
A fare il punto sulla situazione è Walter Ricciardi, consigliere del ministero della Salute, a “Un Giorno da Pecora” su Radio2: “Che la variante inglese arrivasse era prevedibile. Purtroppo il governo inglese ha avvertito tardi e questo non è bello”. Inoltre, Ricciardi per Natale avrebbe preso altri provvedimenti: “Avrei fatto misure di più lunga durata sul modello di Germania e Austria perchè quelle prese — ha sottolineato — non sono sufficienti“.
Alla trasmissione radiofonica il consigliere del ministro Speranza ha rivelato il suo completo allineamento con le posizioni del titolare del dicastero, capofila della corrente più rigorista del governo Conte: “Io farei un lockdown da subito fino a metà gennaio”. Questi i conti fatti da Ricciardi: “Ragioniamo per analogia: se prima avevamo un numero di casi inferiori per farli scendere ci abbiamo messo due mesi, ora con un numero maggiore dobbiamo impiegare un periodo analogo”.-
Per Walter Ricciardi è “arduo” tornare tra i banchi in queste condizioni, anche se il piano di rientro della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina sarebbe invece quasi pronto.
“Difficile e pericoloso rientrare a scuola il 7 gennaio” anche per Giorgio Palù, virologo dell’università di Padova e presidente dell’Aifa, l’Agenzia del farmaco italiana.
“Mi preoccupa l’idea di riaprire tutto dopo l’Epifania, a cominciare dalle scuole”, ha affermato alla Stampa. Palù ha messo in evidenza il risultato di uno studio con cui si “dimostra che il rialzo esponenziale dei contagi in autunno si è generato dopo il 14 settembre”. “Per le scuole superiori e per l’università è perciò meglio evitare la ripresa il 7 gennaio. I più grandi sono un pericolo, per genitori e nonni”. Inoltre, il virologo Pregliasco ha sottolineato anche come con la riapertura delle scuole “il pericolo è anche sul sovraffollamento dei mezzi pubblici“.
La ministra Azzolina tira però dritto per il 7 gennaio. “Ora, l’impegno comune dovrà essere quello di riportare in classe tutti gli studenti e le studentesse, che hanno bisogno di riappropriarsi dei loro spazi, di riprendere il cammino di crescita”, scrive nella lettera di auguri di Buon Natale rivolta a tutto il personale scolastico.
Il governo è in allerta soprattutto perchè la variante inglese del Coronavirus, più veloce del 70 per cento rispetto al normale e già riscontrata in almeno due casi in Italia (qui cosa sappiamo finora), minaccia di mettere in ginocchio un sistema sanitario che si trova sotto pressione a causa di una curva del contagio che frena troppo lentamente. Il punto chiave è quello della trasmissibilità , la rapidità con cui questo ceppo salta di persona in persona.
“Il fatto che il Regno Unito, in pieno lockdown, dopo le restrizioni di dicembre e l’ultimo blocco quasi totale di novembre, abbia oggi 36 mila casi in 24 ore, è la prova che questa nuova variante ha una capacità di trasmissione molto maggiore della precedente”, ha spiegato il ministro della Salute Roberto Speranza.
“Quello che preoccupa — continua Speranza — è che la variante sembra avere un impatto sull’indice Rt, l’indice di trasmissibilità , molto più forte. Ha la stessa forza sulle persone, non è più violenta, ma aumenta i numeri. Potrebbe aumentare l’Rt fino a 0,5 punti“.
E i numeri sono alla base dell’allarme scattato nel governo: al momento, l’Italia ha il 32 per cento di posti letti occupati di terapia intensiva e il 39 per cento di area medica. Al ritmo di diffusione della variante inglese del virus, gli ospedali rischiano di non reggere.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELL’UNIVERSITA’ DI PAVIA
“Il 6,5 per cento degli italiani è disposto a fare il vaccino solo se potrà scegliere quale farsi
somministrare”. A spiegare ad HuffPost quella che sembra la logica della “marca preferita”, mentre il Paese si prepara al V-Day, è Stefano Denicolai, componente della task force italiana per l’utilizzo dei dati contro l’emergenza Covid-19 istituita dal Ministero dell’Innovazione in accordo con il Ministero della Salute.
Il dato viene fuori da un’indagine dell’Università di Pavia — ateneo dove Denicolai è docente di Innovation management — sulla propensione degli italiani a fare il vaccino. Aspetti bizzarri a parte, dallo studio emerge una buona notizia: circa 8 italiani su 10 intendono farsi vaccinare contro il Covid-19 (79,1%), tuttavia una parte rilevante di questi preferisce attendere un po’ di tempo prima di farlo (18,1%).
Quanto a coloro che non si fidano di questo specifico vaccino, essi rappresentano oltre il doppio (6,5%) dei No-vax in genere, che secondo la rilevazione sono il 2,8%.
Sulla disponibilità a farsi somministrare la preparazione pesa anche la cultura: i laureati hanno una maggiore predisposizione (83,2%), contro i non-laureati (76,3%). Colpisce, andando avanti nell’osservazione dei grafici del sondaggio, il ruolo dei media e dell’informazione sulla scelta delle persone: “Se la presentazione del piano vaccini il 7 dicembre ha sortito un effetto positivo e apprezzabile, l’avvio di una discussione pubblica sul possibile obbligo a vaccinarsi, il 15 dicembre, ha invece scosso gli italiani in senso negativo”.
Nel complesso, però, dal 30 novembre al 20 dicembre si nota il trend secondo cui il numero di contrari a vaccinarsi starebbe calando nel tempo. Infine balza all’occhio che “chi ha scaricato l’app Immuni vuole vaccinarsi in maniera superiore (89,5%) rispetto a chi non l’ha sul proprio smartphone”.
Secondo l’indagine dell’università di Pavia — fatta su un campione pesato per area geografica ed età di 3.945 questionari compilati da altrettanti italiani, con dati raccolti fra il 30 novembre e il 18 dicembre, con elaborazioni di Digita4good Lab e supporto di Google — la diffusione attesa in base alle intenzioni degli italiani al 20 dicembre potrebbe essere un po’ più bassa al Sud (77,1%), contro il 79,2% al Nord e l’80% al Centro. Questa evidenza, come spiega Denicolai, “è accentuata dal fatto che al Sud si registra pure la quota più elevata di indecisi, l’8,6%”. Al Sud, tirando le somme, prevale una certa diffidenza verso i vaccini in generale, mentre “al nord il tema è più sentito, perchè ci sono state più difficoltà e più morti in questa pandemia”.
Fra le ragioni del “sì”, nel Settentrione prevale la speranza di poter raggiunge l’immunità di gregge; al Centro prevale il timore verso la malattia, mentre al Sud è significativa la quota di chi preferisce attendere un po’ di tempo di prima di vaccinarsi. Complessivamente, dicono i rilevi, la diffusione della predisposizione verso il vaccino Covid19 può dirsi abbastanza omogenea in tutto lo Stivale.
Come prevedibile, il 91,1% di ultrasessantacinquenni presenta una più elevata intenzione di vaccinarsi appena sarà possibile. La ragione prevalente è, chiaramente, il timore di ammalarsi. Ad ogni modo, la distribuzione dei risultati per fasce d’età presenta qualche sorpresa: i più giovani (meno di 25 anni) che si dichiarano non disponibili a vaccinarsi sono solo il 12.7%, ovverosia una quota più bassa rispetto a quanto avviene fra 26 e 65 anni (Fra 15.1% e 15.9%).
I giovani italiani, quindi, dimostrano un senso di responsabilità verso la collettività , ma tra loro c’è pure la più elevata quota di indecisi.
Come sottolineato da Denicolai, “chi ha un certo livello di istruzione è molto più favorevole”. Esso è senza dubbio un fattore rilevante nel prevedere la propensione positiva verso il vaccino del Covid. Difatti, non stupisce che l’intenzione a farselo salga all’83.2% nel caso dei laureati, mentre è ferma al 76.3% fra chi non ha questo titolo di studio.
Fra i laureati, poi, è più elevata anche la predisposizione a vaccinarsi subito, appena possibile. Per quanto riguarda i no-vax, sono significativamente più diffusi fra i non laureati, così come la quota degli indecisi è più elevata fra i non-laureati.
In molti sanno che tendenzialmente i No-vax mostrano uno scetticismo pregiudiziale nei confronti di innovazione e scienza in generale e, sulla scorta di questo, lo studio dell’Università di Pavia conferma che l’intenzione di vaccinarsi subito contro il Covid-19 sembra sia alimentata da una naturale predisposizione verso tutto ciò che è nuovo, quindi legato all’innovazione, alla tecnologia e alla scienza.
L’indagine ha inoltre provato a mettere in relazione la predisposizione al vaccino con quella verso Immuni, e i risultati sono molto interessanti: fra chi ha scaricato l’app, l’intenzione di vaccinarsi contro il Covid-19 sale addirittura all’89,5%, contro il 71,3% fra chi è contrario a Immuni. “In generale- dice Denicolai — chi scarica Immuni è una persona che usa il distanziamento sociale e la mascherina in modo più attento e puntale e che ha un alto senso civico”.
Denicolai, commentando l’indagine dell’Università di Pavia, fa notare, infine, che il timore degli italiani verso le conseguenze della Covid-19, oggi va più verso l’impatto economico della pandemia, piuttosto che sui rischi sociosanitari. “Questo dato è cambiato nel tempo, all’inizio la paura era più sanitaria, adesso è più legata al portafoglio”.
Rispetto agli scettici del vaccino, che sono il 20%, “c’è in essi un livello di guardia verso il rischio di contagio un bel po’ più basso rispetto a chi è orientato al vaccino”, cioè abbiamo una correlazione tra chi ha qualche timore in più rispetto al contagio, che quindi vuole vaccinarsi, e chi invece è più rilassato e non intende vaccinarsi.
“La scoperta dell’acqua calda?”, si domanda lui. “Voglio dire che chi è più rilassato usa meno mascherine, meno distanziamento sociale e cercherà di non vaccinarsi, quindi sarà il responsabile del perdurare della circolazione del virus”.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
DATI SULLA CIRCOLAZIONE COME PRIMA DEL DCPM
Per valutare le conseguenze della “voglia di Natale” degli italiani bisognerà aspettare, come sempre quando si tratta di verificare l’impatto del virus, almeno quindici giorni. Quanto hanno pesato sulla curva dei contagi le strade e le stazioni affollate, le vie intasate dalle macchine degli italiani in coda per gli spostamenti o lo shopping prenatalizio, come testimoniano centinaia di foto scattare da Nord a Sud, si saprà nei primi dieci giorni di gennaio. Quel che è certo è che, specie nelle ultime due settimane, la mobilità ha subito un incremento notevole.
“È tornata ai livelli di metà ottobre, al periodo precedente l’entrata in vigore dei Dpcm che introdussero le prime misure restrittive”, spiega Sergio Iavicoli. Componente del Comitato tecnico scientifico e direttore del dipartimento di medicina, epidemiologia e igiene del lavoro e ambientale dell’Inail, con altri ricercatori dell’Istituto ha analizzato i dati messi a disposizione da Apple, Google e Intel e anche da Roma Mobilità – in automobile, pedonale e sui mezzi pubblici – dal periodo immediatamente precedente l’inizio della pandemia fino alla settimana passata e – in automobile e a piedi – dal 1 settembre al 19 dicembre tradotti in due grafici che HuffPost pubblica in esclusiva.
Dai quali emerge “il rischio è che tutto quello che abbiamo visto negli ultimi dieci quindici giorni possa tradursi una spinta alla circolazione del virus. Sarà importante – fa notare Iavicoli – monitorare il possibile impatto sugli indicatori epidemiologi”.
La prudenza, e il condizionale, sono d’obbligo “perchè non è stata ancora provata una correlazione diretta tra incremento della mobilità e aumento del rischio”, puntualizza l’esperto. E però, una circolazione più sostenuta si traduce in una maggiore possibilità di entrare a contatto col virus “e in passato abbiamo visto che a un aumento della mobilità ha corrisposto un incremento degli indicatori del contagio”, dice Iavicoli
Un passato non troppo lontano: è successo – dai grafici dei ricercatori dell’Inail si vede chiaramente – a settembre, poco dopo la ripartenza di gran parte delle attività in presenza e la riapertura delle scuole. Una situazione delicata, peggiorata nel giro di poco tempo, che ha fatto saltare il sistema di tracciamento dei contatti sui territori. Richiedendo l’adozione di misure di contenimento, introdotte dal Governo a partire dalla metà di ottobre – secondo alcuni esperti, tardi – e via via incrementate, che hanno portato a un graduale abbassamento dell’Rt (l’indice di trasmissione), in base all’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità attestato su 0,86 .
Ebbene, dalle analisi dei ricercatori dell’Inail, che approfondiranno la questione con gli studiosi dell’Iss, risulta che nelle ultime due settimane il livello di mobilità nel nostro Paese è tornato ai livelli dei primi giorni di ottobre.
Rispetto ad allora, però, lo scenario è cambiato. In peggio.
Natale e Capodanno sono imminenti, stanno per arrivare i mesi più rigidi dell’inverno e la stagione influenzale non è ancora entrata nel vivo, “per cui – scandisce Iavicoli – non ne conosciamo l’impatto reale”.
Il 27 dicembre partirà la campagna vaccinale anti Covid col siero della Pfizer BioNtech messo a punto e approvato dagli enti regolatori a tempo di record e intanto è arrivata la “variante inglese”, che per l’esperto “va seguita con molta attenzione, cercando di capire prima di tutto quanto il virus così modificato sia circolato”. In questo contesto, aggravato dall’ipotesi della terza ondata, quale impatto può avere l’aumento della mobilità rilevato? “Il rischio che possa registrarsi un innalzamento della curva potenzialmente resta – risponde Iavicoli – ma vanno considerate anche le rigorose misure assunte per contenere il contagio durante queste festività ”.
Misure da rispettare “assolutamente” – ripete il dirigente Inail, tenendo presente che l’ultimo report dell’Iss presentato venerdì scorso ha confermato che il tasso di circolazione del virus è alto in tutta Italia e registrato un principio di peggioramento della situazione rispetto alle settimane precedenti.
Nelle feste il rischio non deriverà dalla mobilità , che dovrebbe ridursi anche per effetto dei provvedimenti assunti dal Governo nell’ultimo decreto, ma dall’aggregazione in contesti domestici.
La regola principale, allora, “è stare in casa con i conviventi e limitare al massimo il contatto con altre persone estranee al nucleo familiare più stretto. Più ampliamo il numero dei conviventi più aumenta il rischio di contagio”, avverte Iavicoli.
Non dimenticando che un incremento della circolazione del virus andrà ad impattare, direttamente e negativamente, sulla campagna vaccinale. Allontanando la possibilità di ripristinare – per farlo bisogna riportare il numero dei nuovi positivi a 5-6000 al giorno – il tracciamento dei contatti sui territori, indispensabile per il contenimento del virus.
In definitiva, per annullare gli effetti che potrebbero rivelarsi molto negativi degli affollamenti prenatalizi nelle strade, bisogna attenersi alla lettera alle misure fissate dal Governo per le festività . Con la consapevolezza che “non rispettare queste regole pregiudicherà il resto della strada per uscire dall’emergenza, allungando i tempi e il percorso per battere il virus”.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
NEL TESTO VENGONO POI FORNITI I NUMERI DEGLI ACQUISTI DEI VARI VACCINI… PUR DI ACCHIAPPARE LETTORI SI CREA UN ALLARMISMO IGNOBILE
Un cittadino italiano oggi — martedì 22 dicembre — va in edicola e scandagliando tra le
prima pagine si trova un titolo allarmistico che attira la sua attenzione e, magari, lo spinge a comprare Libero quotidiano.
«L’UE non ha comprato vaccini» si legge in apertura, a nove colonne, sul quotidiano diretto da Pietro Senaldi. Un fatto molto grave che smentirebbe le narrazioni, anche sull’inizio della campagna di immunizzazione prevista per il 27 dicembre in tutta Europa dopo l’approvazione del vaccino Pfizer-BioNTech da parte dell’Agenzia Europea del farmaco (EMA).
Poi, andando a leggere l’articolo che parte dalla prima pagina per concludersi a pagina tre, si leggono cose ben differenti da quell’allarmismo provocato dal titolo civetta (non acchiappa-click, ma acchiappa-vendite). Il tutto, inoltre, viene smentito dai contratti pubblicati anche sul sito della Commissione Europea.
Già leggendo il sommario, però, la situazione è ben diversa dal titolo «L’UE non ha comprato i vaccini».
Poi, andando a leggere l’articolo a firma Fausto Carioti si mostra come si prenda per buona (anche se con moltissimi condizionali) un’accusa pubblicata sul quotidiano tedesco Der Spiegel sulla scelta da parte della Commissione Europea di acquistare dosi di prodotti immunizzanti anti-Covid da diverse aziende. E tra di loro ci sono anche Pfizer-BioNTech (che sarà inoculato a partire dal 27 dicembre) e Moderna.
Nell’articolo si fa riferimento alle dosi acquistate. Contratti che hanno coinvolto diverse case farmaceutiche che negli ultimi mesi hanno lavorato e sperimentato il vaccino contro il Covid. E si parla, secondo l’accusa del Der Spiegel ripresa da Libero, di Sanofi che ha avuto difficoltà nella sperimentazione e ha rimandato il tutto all’ultimo trimestre del 2021. Questo intoppo è reale, ma tutto ciò non vuol dire che l’UE non ha comprato vaccini. Perchè basta andare sul sito (anche in versione italiana) della Commissione Europea per leggere i contratti firmati nel novembre scorso con i vari produttori: da AstraZeneca a CureVac, passando Janssen (Johsnon&Johnson) per Pfizer-BioNTech e Moderna. E anche con la francese Sanofi-GSK.
I contratti sono stati tutti depositati diverse settimane fa e ufficializzati (anche come quantitativo) sul sito istituzionale e ufficiale della Commissione Europa.
Si parla di sei aziende coinvolte in questa lotta contro la pandemia e di sei prodotti che, ovviamente, non sono univoci: come obiettivo c’è quello di sconfiggere il Covid, ma con approcci e tecnologie mediche differenti.
Per questo motivo, visto lo stato di emergenza globale, è stato deciso di non affidarsi a un fornitore unico, aprendo lo spettro decisionale a un numero maggiore di prodotti. Il tutto certificato (come ammesso anche nell’articolo a firma Carioti).
Quale sarebbe il problema?
Secondo quanto riportato da Libero quotidiano, facendo sponda sul Der Spiegel, l’Unione Europea avrebbe acquistato poche dosi del vaccino Pfizer-BioNTech (300 milioni, in due tranche: 200+100) per mantenere un equilibrio tra l’azienda tedesca che ha lavorato con il colosso americano e la francese Sanofi. Quest’ultima, però, è in ritardo.
E questa sarebbe la chiave per pubblicare un titolo come «L’Ue non ha comprato vaccini»? Evidentemente il titolo è errato e non riassume la notizia. Ed è smentito anche dall’articolo stesso.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
UN SOLO CANDIDATO COMUNE PER OGNI CIRCOSCRIZIONE ELETTORALE…I SONDAGGI DANNO IL “FRONTE COMUNE” AL 41% CONTRO IL 39% DEL PARTITO DI ORBAN
L’Ungheria è a un bivio e sta rischiando grosso. L’opposizione democratica ungherese, per la prima volta, fa fronte comune contro il premier nazionalista Viktor Orban: sei partiti che vanno dai nazionalisti (Jobbik) ai socialisti, passando per liberali, i verdi e i democratici, hanno infatti annunciato un accordo.
L’intesa prevede la nascita di una lista nazionale comune e la presentazione di un solo candidato comune in ogni circoscrizione uninominale.
La lista sarà capeggiata da un candidato premier comune da trovare in una serie di elezioni preliminari, procedimento inedito in Ungheria.
Le prossime elezioni si svolgeranno nell’ aprile del 2022. Un accordo simile funzionava già nel 2019, quando l’opposizione ha conquistato Budapest e dieci altre grandi città alle amministrative, ma mai in elezioni politiche.
I sondaggi fanno vedere un aumento dei consensi per l’opposizione: la lista comune ha 41% contro i 39% del Fidesz di Orban, mentre è in discesa il numero degli astensionisti, finora più di un terzo dell’elettorato
Secondo l’istituto Median, Fidesz ha perso mezzo milioni di voti negli ultimi tempi come effetto del veto di Orban all’Ue e l’affare dell’ex eurodeputato Jozsef Szajer, arrestato a Bruxelles, mentre stava fuggendo da un festino di sesso.
Il fronte comune dei sei partiti intende lottare contro la corruzione del regime di Orban, contro il dirottamento dei fondi pubblici ed europei, ristabilire lo stato di diritto e la libertà della stampa, l’indipendenza della giustizia, riscrivere la Costituzione e la legge elettorale ingiusta in senso proporzionale, sostituendo il sistema misto, in vigore attualmente che assicura al Fidesz una maggioranza di due terzi con 40% dei voti.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
BELLANOVA: “UN PASSO AVANTI”
Italia Viva esce da Palazzo Chigi con un primo risultato. “Finalmente Conte ha preso atto
che le nostre proposte sono assolutamente positive e la task force nel testo” del Recovery che “ci è stato mandato ieri sera non c’è più. È un passo avanti” dice la capodelegazione di Iv Teresa Bellanova dopo il vertice con il premier a Palazzo Chigi.
Al Cdm in cui è stata presentata la prima bozza del recovery Plan “Conte ha impiegato un’ora e 27 minuti per illustrarci la task force. Dopodichè il ministro Amendola ha parlato mezz’ora dei contenuti” del piano, ricorda la titolare dell’Agricoltura.
“Ora la questione della governance è scomparsa e finalmente si comincia a discutere di numeri e contenuti”, aggiunge.
A chi gli chiede se siano finiti “i pretesti” per far cadere il Governo Bellanova risponde: “E’ un pretesto dire che secondo l’Inps in questo Paese le assunzioni sono calate del 34%? E’ un pretesto dire che servono poderose politiche attive perchè se non ci rendiamo conto che, continuando con i bonus e la Cig, quando finirà il blocco di licenziamenti ci ritroveremo assieme a milioni di disoccupati?”.
Secondo Bellanova, il Governo “può stare sereno se risolve i problemi”. Ad esempio sui soldi alla sanità “se continuano ad esserci 9 miliardi sulla sanità , perchè non si riflette sulla possibilità di mettere in campo i 36 miliardi del Mes che hanno anche meno condizionalità del Recovery?”.
La delegazione di Italia Viva ha preso qualche giorno di tempo per esaminare la documentazione illustrata nel corso dell’incontro con il presidente del Consiglio. Già lunedì faranno pervenire un loro contributo di sintesi così come le altre forze politiche. Subito dopo partiranno dei tavoli di confronto.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
“E’ COME CHIUDERE LA STALLA QUANDI I BUOI SONO SCAPPATI”
“Bloccare i voli dalla Gran Bretagna è una decisione che mi lascia perplesso. E’ come chiudere la stalla quando i buoi sono scappati”.
Lo ha detto Massimo Galli in un’intervista al Domani. Per l’infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, la variante britannica del Covid “circola già da settembre in tutta Europa”
La notizia dell’alta contagiosità del virus “non deve farci cadere nella depressione, anche perchè ci sono buone probabilità che la profilassi in arrivo proteggerà anche contro i
ceppo inglese”.
“Alcuni dati preliminari – prosegue Galli – fanno ipotizzare che la variante inglese non sia più pericolosa e letale, ma che si diffonda più rapidamente. Questo preoccupa per la tenuta dei sistemi sanitari, ma la capacità del nostro corpo di rispondere all’infezione dovrebbe invece essere la stessa rispetto a quella provocata dal ‘vecchio’ coronavirus. Non sappiamo ancora se questa trasformazione sia davvero influente ai fini della efficacia dei vaccini scoperti finora, che, probabilmente, funzioneranno anche contro la variante britannica
“E’ la prima volta che l’uomo inventa un vaccino per un coronavirus che ha fatto un salto di specie sull’uomo – dice ancora Galli -. Credo che le case farmaceutiche potranno adeguare le loro piattaforme al nuovo ceppo. Quelle già utilizzate per la ricerca e la produzione pensata per la variante che conosciamo già . Si perderebbe qualche mese. Speriamo non sia necessario”.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
I RIENTRI SENZA CONTROLLI DAL REGNO UNITO ALL’ITALIA
Fino a domenica 20 dicembre, giorno in cui sono stati bloccati i voli dal Regno Unito
all’Italia, le falle del sistema di controllo sui passeggeri erano frequenti negli aeroporti italiani.
Abbiamo raccolto le testimonianze dei viaggiatori
Si preannunciava un ritorno a casa complicato ma non impossibile. Fino al 9 dicembre per chi partiva per l’Italia dal Regno Unito era addirittura possibile fare un tampone direttamente in aeroporto una volta arrivati. Nel Regno Unito il governo di Boris Johnson aveva deciso di «salvare il Natale», allentando le restrizioni dal 3 dicembre dopo un semi-lockdown lungo un mese, e anche se l’Italia si avviava verso un suo lockdown natalizio, per quanto complicate, le regole permettevano comunque di tornare a casa.
Poi il governo britannico ha scoperto una nuova variante del Coronavirus, che potrebbe spiegare la recente impennata di casi, innescando una reazione a catena di chiusure che ha contagiato anche l’Italia, e ha introdotto il blocco di voli dal 20 dicembre fino al 6 gennaio.
Nel frattempo però — da inizio dicembre fino a ieri domenica 20 dicembre — sono continuati i ritorni in Italia senza grandi problemi (come si evince anche dai nuovi casi di positività al Coronavirus riscontrati in Italia).
Se la negatività al tampone era fra i requisiti, diverse testimonianze raccontano che l’obbligatorietà è rimasta ferma nel regno delle enunciazioni senza atterrare mai in quello dei fatti. Un passaggio reso ancora più difficile dal fatto che dal 9 dicembre in poi gli aeroporti italiani hanno smesso di fare i tamponi a chi arrivava.
«All’atterraggio a Fiumicino nessuno ha verificato l’esito del tampone», raccontano due passeggeri su un volo Alitalia atterrato a Roma Fiumicino da Londra Heathrow il 14 dicembre (a bordo del quale viaggiava anche l’ex premier italiano, nonchè mina vagante dell’opposizione al governo, Matteo Renzi).
«Ho dovuto sventolare il foglio e insistere per farlo ispezionare della polizia — continua Roberta Berardi, insegnante in una scuola privata in Inghilterra -. Hanno ritirato l’autocertificazione e controllato i passaporti, ma il tampone niente».
Vada avanti
La risposta alla domanda se sul volo c’era anche chi non era dotato di tampone è quasi scontata. «Dietro di noi c’era anche una signora che si vantava di non averlo fatto. “Chi ve l’ha fatto fare a pagarlo tutti quei soldi?”, diceva. “Io mi sono messa d’accordo con mio marito che lo avrei fatto appena rientrata in Italia”». Effettivamente è costato parecchio farlo privatamente a Londra prima di partire, il modo più sicuro per effettuare il tampone entro le 48 ore prima della partenza, come era richiesto. Non che anche all’imbarco a Londra se ne siano curati più di tanto. Bastava un’autocertificazione (la prima di due) e poi si andava sulla fiducia.
Arrivati a Roma, la calca. Scesi dall’aereo e diretti sullo shuttle verso il terminal — raccontano — ecco che arriva un gruppo massiccio di passeggeri da un volo arrivato dalla Malesia totalmente sprovvisti di autocertificazione.
I due gruppi si mischiano fin quando — tra incomprensioni varie e problemi di comunicazione — si forma a fatica una fila per compilare o consegnare l’autocertificazione. Nessun controllo sui tamponi, ognuno per la sua strada. Ma non si tratta di un problema prettamente romano. Una conferma arriva da un’altra italiana, Federica Formato, docente all’Università di Brighton, rientrata a Benevento dopo essere volata dal Regno Unito a Napoli il 10 dicembre, il primo giorno in cui gli aeroporti hanno smesso di fare i tamponi.
«Quando siamo arrivati verso le 11 di mattina — racconta — stavano ancora cercando di capire come fare. Al controllo passaporti ci hanno chiesto di compilare o di consegnare l’autocertificazione. Alla partenza non ci hanno chiesto niente. Tra l’altro mi ero rivolta direttamente a Easyjet per chiedere se controllavano i tamponi e mi hanno detto che non sono autorizzati a farlo».
Chi non aveva fatto il tampone poteva comunque passare? «Chi aveva già fatto il tampone poteva andare a casa tranquillamente e a chi non l’aveva fatto consigliava di fare la quarantena per 14 giorni. In teoria era obbligatorio farlo, ma non hanno controllato se tutti avevano il tampone negativo».
Ats rispondi?
Non finisce qui. Una nuova ordinanza firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza dopo il blocco dei voli impone a chi sia giunto anche nelle scorse due settimane di sottoporsi al tampone molecolare una volta rientrato in Italia.
Così anche la signora che si era messo d’accordo con il marito per farlo in Italia dovrà comunicarlo all’Ats, sempre che riesca farlo. I due passeggeri volati a Roma, che hanno effettuato un altro tampone una volta arrivati a destinazione, hanno detto di non aver ricevuto alcuna sollecitazione da parte dell’Ats. Nel caso di Roberta B., non ha dovuto, nè potuto, fornire i contatti del medico curante visto che è residente all’estero ed è iscritta all’Aire.
Nel caso della ricercatrice di Brighton invece l’Ats non solo non si è ancora fatta viva, ma non si fa neppure trovare. «Sto avendo difficoltà a contattare l’Asl di Benevento — racconta -. A una mia collega in Emilia-Romagna, tornata qualche giorno fa, è arrivata un’email generica dall’indirizzo a cui aveva scritto quattro volte in cui viene detto che presto riceverà un sms con data e luogo per un tampone. Vedremo. Comunque io avevo fatto tre tamponi negativi, non credo di aver portato la variante».
Nonostante il tampone fatto nel Regno Unito, Federica pratica una forma di auto-isolamento volontario in attesa di riuscire ad entrare in contatto con l’Asl per un nuovo tampone. Sempre che non riesca a tornare prima nel Regno Unito. «Il ministro Di Maio ieri ha scritto i voli “con” la Gran Bretagna, quindi non si capisce se il blocco è anche “per” o soltanto “da” il Regno Unito — continua -. Sui siti si possono ancora comprare i voli per la Gran Bretagna. Ad ogni modo, io ho preso un volo per il 18 gennaio».
(da agenzie)
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