Destra di Popolo.net

SUOR LUISA DELL’ORTO, LA MISSIONARIA ITALIANA UCCISA AD HAITI IN UNA TENTATA RAPINA

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

UNA VITA DEDICATA AI BAMBINI POVERI, UN ESEMPIO PER IL MONDO CIVILE

Uccisa con tre colpi di pistola, probabilmente una rapina finita male, suor Luisa Dell’Orto, originaria di Lomagna ma residente ad Haiti, nella capitale Port au Prince, dove si trovava in missione dal 2002.
Avrebbe compiuto 65 anni tra due giorni. Prestava il suo impegno nel centro “Kay Chal”, che accoglie giovani dalle città più disagiate del Paese. Apparteneva all’ordine delle Piccole Sorelle del Vangelo, si trovava in auto mentre passava per Delmas 19, una delle strade principali della città: secondo le prime frammentarie informazioni che arrivano dalla sua famiglia, sarebbe stata avvicinata da un gruppo di sconosciuti, che ha esploso tre colpi verso la sua auto. Portata d’urgenza all’ospedale Bernard Mevs, è morta poco dopo il suo arrivo.
Nella capitale haitiana era diventata una sorta di punto di riferimento: Kay Chal, costruita grazie ai fondi raccolti da Caritas italiana nel 2010 e promossa dalla Cei, costituiva un vero e proprio faro per la comunità, soprattutto per i bambini.
“Vengono dopo la scuola, a fare i compiti – raccontava suor Luisa a un’inviata di Avvenire nel gennaio 2020 – sanno che fino alle 17 si studia. Poi facciamo altre attività: dal ballo al basket. E ad organizzare i gruppi sono i nostri ex alunni cresciuti che vogliono restituire quanto hanno ricevuto”.
Chi era Suor Luisa
Lo scorso aprile, in occasione della Pasqua, aveva scritto una lettera nella quale esprimeva preoccupazione per la situazione di violenza generale nel paese. Nata a Lomagna nel 1957, suor Luisa si è laureata in Teologia nel ’94 per poi partire in missiona in Madagascar. Nel 2002 il trasferimento ad Haiti. Nel 2011, aveva ottenuto il premio alla memoria di Graziella Fumagalli e Madre Erminia Cazzaniga indetto dal comune di Casatenovo, con questa motivazione: “Con il suo impegno continuo ha promosso la cultura e il progresso sociale in particolare tra i giovani e le donne ancor di più nell’emergenza seguita al terremoto di Haiti”.
(da agenzie)

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IL CAPO DELL’INTELLIGENCE MILITARE UCRAINA, IL GENERALE KYRYLO BUDANOV, SI È DETTO CERTO CHE L’UCRAINA SCONFIGGERÀ LA RUSSIA E TORNERÀ AI SUOI CONFINI DEL 1991

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

“A PARTIRE DA AGOSTO CI SARANNO ALCUNI EVENTI, E DIMOSTRERANNO AL MONDO INTERO CHE STA INIZIANDO LA SVOLTA. PRIMA DELLA FINE DELL’ANNO, I COMBATTIMENTI ATTIVI SI RIDURRANNO A PRATICAMENTE NULLA. NE SIAMO CERTI. RIPRENDEREMO IL CONTROLLO DEI NOSTRI TERRITORI NEL PROSSIMO FUTURO”

In questi giorni l’esercito ucraino è messo in difficoltà a causa dell’enorme volume di fuoco d’artiglieria espresso da Mosca, che ha permesso alle truppe russe di guadagnare terreno nel Donbass.
Ma malgrado le giornate sanguinosissime e complesse, il capo dell’intelligence militare ucraina, generale Kyrylo Budanov, si è detto certo che l’Ucraina sconfiggerà la Russia e tornerà ai suoi confini del 1991.
Intervistato da Itv, Budanov ha previsto per il mese di agosto il momento della svolta, e per la fine dell’anno quello della fine dei combattimenti.
Il ritiro da Severodonetsk è una decisione «tattica», «per ottenere una vittoria strategica, il nostro comando ha deciso di raggrupparsi su nuove posizioni. Personalmente ritengo sia una decisione giusta», ha affermato. «L’Ucraina tornerà ai suoi confini del 1991, non ci sono altri scenari», ha proseguito, riferendosi dunque anche alla Crimea e le due repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk.
«A partire da agosto ci saranno alcuni eventi, e dimostreranno al mondo intero che sta iniziando la svolta. Prima della fine dell’anno, i combattimenti attivi si ridurranno a praticamente nulla. Ne siamo certi. Riprenderemo il controllo dei nostri territori nel prossimo futuro. Putin non vincerà. Questa è una tragedia in cui ha trascinato la Russia e l’Ucraina. Finirà con una catastrofe per la Russia. Nient’altro».
(da agenzie)

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AUMENTO DELLE PENSIONI NEL 2023 IN BASE A UN TASSO DI INFLAZIONE ATTUALE DEL 6,8%

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

IN TRE ANNI LO STATO SPENDERA’ 30 MILIARDI DI EURO IN PIU’, COPERTO DAI MAGGIORI INTROITI DELL’IVA

Gli assegni pensionistici, salvo cambi dell’ultimo minuto, potrebbero aumentare considerevolmente a partire dal 2023.
Il motivo? L’inflazione.
L’adeguamento delle pensioni segue infatti il tasso di inflazione, indice che nel 2022 si attesta, per ora, al 6,8%.
Restando così le cose, un assegno di 1000 euro nel 2022, nel 2023 sarà di 1068 euro mensili.
Buone notizie per i pensionati, ma meno per le casse dello Stato, che, come riporta Money.it, dovranno sborsare circa 32 miliardi di euro per l’adeguamento.
Le fasce di adeguamento
È quanto emerge dai calcoli dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio: 5,7 miliardi in più nel 2023, 11,2 miliardi in più nel 2024, e 15,2 miliardi nel 2025. La cifra cresce perché gli aumenti degli anni precedenti vengono mantenuti anche per gli anni successivi.
Non tutti gli assegni, però, vengono adeguati allo stesso modo, quelli fino a quattro volte il trattamento minimo (524 euro al mese) riceveranno il 100 per cento dell’aumento, quelli tra 4 e 5 volte il 90 per cento, e quelli superiori al quintuplo del trattamento, il 75 per cento.
Il governo però, come già fatto in passato, potrebbe decidere di rivedere il sistema a tre fasce attuale, in favore di un altro sistema che grazie a un numero di scaglioni maggiore consenta di risparmiare sull’adeguamento.
I fondi dell’Iva
Al momento però pare che una misura del genere non sarà necessaria. «L’incremento delle pensioni del primo anno è permanente e si trasferisce sugli altri anni: la pensione da rivalutare è sempre più alta. Ma teniamo conto che lo Stato sta incassando anche molta Iva, per via dell’inflazione. Il saldo per i conti pubblici alla fine potrebbe non peggiorare» ha spiegato Maria Rosario Marino a la Repubblica.
(da agenzie)

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MISSILE RUSSO INVERTE LA ROTTA E COLPISCE LA POSTAZIONE DI LANCIO

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

ECCO COSA E’ SUCCESSO

In un paio di video diffusi sui social network si vede un missile terra-aria russo che, dopo un repentino cambio di rotta a bassa quota, effettua una vera e propria inversione e si scaglia con violenza nella zona da cui era stato lanciato pochi istanti prima.
L’esplosione risultante è stata estremamente drammatica e spettacolare, amplificata dal propellente ancora presente nei serbatoi, che ha innescato una nuvola di fuoco e una pioggia di scintille su un’area piuttosto vasta. L’incidente, le cui immagini sono state condivise inizialmente sul canale Face of War dell’applicazione di messaggistica Telegram, si sarebbe verificato venerdì notte nella città ucraina di Alchevsk, un importante insediamento industriale dell’oblast di Lugansk, sito a una cinquantina di chilometri dalla capitale della regione.
In questo momento l’area è occupata dai separatisti filo-russi ed è centro nevralgico dei combattimenti; si ritiene che siano stati proprio loro a lanciare il missile “suicida”, probabilmente per abbattere un aereo dell’aeronautica militare ucraina, come indicato dal Sun.
Ma cosa è successo esattamente? Com’è possibile che un missile si comporti in questo modo trasformandosi in una potenziale trappola mortale per chi lo lancia?
Innanzitutto si ipotizza che il missile sia stato lanciato da una batteria anti-balistica a lungo raggio S-300 o S-400, sistemi d’arma che fanno parte anche dello stratificato scudo antimissile della Russia.
I missili vengono lanciati da grandi camion dotati di tubi lanciatori. Gli S-300 e gli S-400 (evoluzione più moderna dei primi) sono progettati per abbatterei aerei, droni, missili da crociera e balistici.
Come indicato, probabilmente le truppe filo-russe hanno provato ad abbattere un velivolo d’attacco ucraino. Nel video si vedono partire alcuni missili verso il cielo, ma uno di essi compie un’inversione di marcia e si abbatte al suolo provocando un potente boato, schiantandosi nell’area da cui era partito.
Le ipotesi principali sul tavolo sono due. La prima è che il missile possa aver subito una sorta di attacco hacker o un disturbo del sistema di comunicazione / navigazione (tecnicamente jamming), che lo avrebbe fatto “impazzire” rispedendolo al mittente.
Questa operazione potrebbe essere stata operata da un drone per la guerra elettronica dell’esercito ucraino dispiegato in zona, anche se si ritiene un’eventualità poco probabile.
Perché, del resto, avrebbe funzionato su un solo missile? Alcuni esperti, come indicato dal SUN, suggeriscono invece che il missile possa essere stato disturbato e deviato direttamente dai sistemi antimissile e di contraerea russi presenti nel Donbass, dove attualmente sono in corso gli scontri più feroci del conflitto in Ucraina.
Naturalmente non si può escludere un semplice malfunzionamento hardware o software, che avrebbe “suggerito” al missile di tornare indietro e non inseguire il bersaglio designato.
Del resto incidenti come questo non sono una novità sul campo di battaglia. Nel 2018, come raccontato dal DailyMail, si è verificato un evento analogo in Arabia Saudita. In quel caso il missile coinvolto era un Patriot di fabbricazione statunitense, lanciato dal sistema di difesa per intercettare missili balistici scagliati dai guerriglieri Houthi dello Yemen. Anche in quel caso il missile fece inversione e si abbatté con violenza su una zona residenziale di Riad.
Al momento non sono state diffuse informazioni su eventuali vittime causate dalla deflagrazione verificatasi ad Alchevsk, ma sono ritenute molto probabili a causa della grande esplosione e per il fatto che il missile ha colpito l’area da cui era stato lanciato.
(da agenzie)

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I VACCINI NEGATI AI PAESI POVERI SONO COSTATI 600.000 MORTI

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

AD OGGI I PAESI DEL G7 HANNO DONATO SOLO IL 49% DEI 2,1 MILIARDI DI VACCINI COVID ANNUNCIATI

Ad oggi i Paesi del G7 hanno donato ai Paesi più poveri solo il 49% dei 2,1 miliardi di vaccini Covid annunciati. Una promessa che se l’anno scorso fosse stata mantenuta, avrebbe consentito di salvare quasi 600 mila vittime del virus nei paesi a basso e medio reddito, circa 1 al minuto.
È la denuncia lanciata da Oxfam ed Emergency, membri della People’s Vaccine Alliance (Pva), in occasione del vertice G7 che si apre oggi in Germania.
Eloquenti i dati: alcuni Paesi sono molto lontani dal mantenere quanto promesso, come il Canada che ha consegnato solo il 30% dei 50,7 milioni di dosi annunciate, o il Regno Unito con il 39% su 100 milioni, gli Stati Uniti con il 46% su 1,2 miliardi. L’Italia ha fatto un po’ meglio con il 56% su 100,7 milioni di dosi promesse insieme alla Francia arrivata al 57% su 120 milioni, mentre Giappone e Germania raggiungono rispettivamente il 64% su 60 milioni e il 66% dei 175 milioni di dosi.
“Complessivamente i Paesi europei hanno consegnato appena il 56% dei 700 milioni di dosi promesse – hanno detto Sara Albiani, policy advisor sulla salute globale di Oxfam Italia e Rossella Miccio, presidente di Emergency- Nel frattempo hanno già iniziato ad accaparrarsi scorte della nuova generazione di vaccini per la variante Omicron sviluppati da Pfizer e Moderna. Si ripropone, in altre parole, il circolo vizioso e pericoloso che ha portato all’attuale apartheid vaccinale, con i Paesi poveri che dovranno fronteggiare i nuovi contagi con vaccini sempre meno efficaci”.
Gli ultimi dati di Airfinity suggeriscono inoltre che i paesi ad alto reddito potrebbero essersi assicurati oltre la metà (il 55%) dei nuovi vaccini a mRNA per la variante Omicron sviluppati da Moderna e Pfizer/BioNTech, prima ancora che siano stati approvati per l’uso.
Cosa che lascia ancora una volta i Paesi più poveri in fondo alla coda. Nel dettaglio si stima che i Paesi ricchi si siano già assicurati il 61% dei 409 milioni di nuovi vaccini prodotti da Pfizer/BioNTech e il 36% dei 113 milioni prodotti da Moderna.
“I Paesi ricchi hanno tradito in modo palese le promesse e continuano a farlo. Dopo aver accumulato la stragrande maggioranza delle scorte mondiali per sé stessi, avevano dichiarato di poter donare ai Paesi poveri gli avanzi, ma nemmeno questo hanno fatto – continuano Albiani e Miccio – Hanno lasciato scadere centinaia di milioni di dosi nei magazzini, anche se si trattava di vaccini che avevano deciso di non utilizzare come Johnson, inviando vaccini come Astrazeneca – sconsigliato per gli under 60 – in Paesi con una età media molto giovane. Questi numeri mostrano il totale fallimento del sistema delle donazioni di vaccini, confermando la necessità di quanto chiediamo da 2 anni: consentire la libera produzione di vaccini e terapie direttamente nei paesi a basso e medio reddito, sospendendo i diritti di proprietà intellettuale.”Nuovi dati pubblicati nei giorni scorsi dall’Imperial College London hanno rivelato inoltre che 599.300 decessi avrebbero potuto essere evitati nel 2021, se il 40% della popolazione in tutti i paesi del mondo fosse stato completamente vaccinato e che i miliardi di dosi non pervenuti dai Paesi del G7 sarebbero stati sufficienti per raggiungere quest’obiettivo.
Nonostante una copertura vaccinale così bassa, la ricerca dell’Imperial College dimostra che i vaccini Covid hanno salvato 446.400 vite in Africa e 180.300 nei Paesi a basso reddito.
Ad oggi solo il 14% delle persone nei Paesi a basso reddito e il 18% delle persone nel continente africano sono completamente vaccinati, ben lungi dall’obiettivo di avere una copertura del 70% in tutte le nazioni entro la metà del 2022.
Nel frattempo, le nazioni ricche guidate dall’Unione europea e dal Regno Unito hanno imposto nell’ultimo incontro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, un accordo che non prevede la sospensione alla proprietà intellettuale su vaccini, trattamenti e tecnologie che avrebbero consentito ai paesi in via di sviluppo di produrre i propri vaccini generici. Al contrario aggiunge nuovi ostacoli burocratici, proteggendo gli interessi monopolistici e molto redditizi di aziende come Pfizer/BioNTech e Moderna.
Da qui l’appello della Pva a tutti i Paesi che devono far fronte alla carenza di vaccini, test e terapie, di mettere in atto tutte le iniziative legali e politiche possibili per salvare vite e mettere fine alla pandemia, utilizzando le clausole di flessibilità delle regole del commercio internazionale e aggirando, se necessario, le disposizioni imposte dall’Omc. Al tempo stesso chiediamo con forza che i paesi del G7 non li ostacolino nell’adozione di queste misure.
“Centinaia di migliaia di vite sono state salvate in Africa grazie ai vaccini, ma altrettante se ne sono perse – concludono Albiani e Miccio – Molti Paesi hanno aspettato un anno per ricevere le prime dosi, poi le hanno ricevute tutte in una volta, spesso così vicine alla scadenza da non poter esser utilizzate, soprattutto in paesi con sistemi sanitari molto fragili. Come successo nel caso dell’1,5 milioni di dosi donate dall’Italia alla Tunisia, lo scorso agosto, a 2 mesi dalla scadenza; o come successo in Nigeria, dove il Governo è stato costretto a gettare 1 milione di dosi appena ricevute. I Paesi in via sviluppo non vogliono dover aspettare l’elemosina, vogliono produrre le proprie dosi e ne hanno diritto; ma di fatto i Paesi ricchi continuano a difendere gli interessi delle società farmaceutiche, un sistema monopolistico che sta rendendo 5 volte più costoso vaccinare la popolazione mondiale e consente a chi detiene I brevetti dei vaccini di realizzare profitti per 1.000 dollari al secondo, come dimostrato dalle ultime ricerche della Pva”.
Mentre i monopoli detenuti da Pfizer, BioNTech e Moderna hanno permesso di realizzare utili per 1.000 dollari al secondo e creare 5 nuovi miliardari, meno dell’1% dei loro vaccini ha raggiunto le persone nei Paesi a basso reddito.
La percentuale di persone con Covid-19 che muore a causa del virus nei Paesi in via di sviluppo è circa il doppio di quella dei Paesi ricchi, mentre ad oggi nei Paesi a basso reddito è stata vaccinata appena il 4,81% della popolazione.
(da Globalist)

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LA DOPPIA MORALE DI SALVINI SU DI MAIO: “CHI CAMBIA PARTITO NON MI E’ SIMPATICO”

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

MA ALLORA PERCHE’ HA ACCETTATO I GRILLINI PASSATI ALLA LEGA?

La doppia morale di Matteo Salvini: quando le cose le fanno gli altri sono sbagliate, se le fa lui sono giuste.
Se arrestano un leghista ci vuole il garantismo, se arrestano uno straniero è gogna pubblica sui suoi social.
E anche adesso: «Io non so cosa stia cercando di fare Di Maio. Sono settimane che leggiamo di beghe, litigi, di chi va e di chi viene… Sui giornali leggo che ci sono di mezzo litigi sulle poltrone, sul limite del secondo mandato e che, chi è uscito dal M5s, ha cambiato partito per essere rieletto. Io sono 30 anni che sono nella Lega e penso che quando cambi partito e non molli la poltrona, simpatico non mi stai».
Lo ha detto il leader della Lega Matteo Salvini, commentando a «Mattino 5» su Canale 5 la scissione di Luigi Di Maio dal M5s e la nascita di Ipf.
Benissimo. Peccato che anche in questa legislatura nel suo gruppo ci siano eletti con M5s e poi passati armi e bagagli e in pompa magna con lui.
Per caso li ha rifiutati?
(da agenzie)

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PUTIN RIMUOVE DUE GENERALI AI VERTICI DELLE FORZE ARMATE

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

SONO IL COMANDANTE DELLE FORZE AVIOTRASPORTATE E QUELLO DELL’ESERCITO PER LA ZONA MERIDIONALE

Guerra in Ucraina e caos in Russia.
Grande scossa ai piani alti di comando russo, secondo il Ministero della Difesa britannico che afferma: dall’inizio di giugno c’è stato un importante scossone al comando dell’esercito russo che ha portato alla rimozione del comandante delle forze aviotrasportate, il generale Andrei Serdyukov, e del comandante dell’esercito per la zona meridionale della Russia, il generale Alexandr Dvornikov.
La Difesa britannica afferma che quest’ultimo era probabilmente a un certo punto il comandante operativo generale delle forze d’invasione.
Secondo la Difesa britannica è possibile che il ruolo di Dvornikov venga trasferito al colonnello Sergei Surovikin, poiché il comando del sud continua a svolgere un ruolo centrale nell’offensiva russa nel Donbass. “Per oltre trent’anni, la carriera di Surovikin è stata perseguitata da accuse di corruzione e brutalità”, afferma il Ministero della Difesa.
(da agenzie)

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IL CRIMINALE TRAVESTITO DA PRETE KIRILL CADE SCIVOLANDO SULL’ACQUA SANTA DURANTE LA MESSA

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

UN SEGNALE DIVINO?

Durante una funzione religiosa nella chiesa di Novorossijsk, il patriarca russo Kirill, capo della chiesa ortodossa russa, è scivolato sull’acqua santa ed è caduto.
Un video immortala la scena e mostra il religioso scendere dal pulpito e scivolare rovinosamente a terra.
La regia che mandava in onda le immagini sul sito della chiesa si rende conto del problema e inizia a mandare in diretta scene dell’esterno del complesso.
L’agenzia Tass riporta che Kirill non ha riportato alcuna conseguenza. “Il pavimento è bellissimo, puoi specchiarti, è così lucido e liscio – ha detto durante il sermone – Ma quando l’acqua cade su di lui, anche se è acqua santa, sono le leggi della fisica a funzionare. Su questo bel pavimento sono caduto così purtroppo ma, per grazia di Dio, senza alcuna conseguenza”.
Altri sacerdoti e guardie avevano cercato di afferrarlo in tempo, ma non ci sono riusciti. Il protodiacono Andrei Kuraev si è giustificato così: “A causa delle restrizioni per il coronavirus, il patriarca non può essere toccato e sostenuto sui gradini”.
(da agenzie)

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LE FORZE UCRAINE SI RITIRANO DA SEVERODONETSK PER PUNTARE KHERSON

Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile

IL GOVERNATORE DEL LUGANSK: “DAL PUNTO DI VISTA STRATEGICO AVEVA PERSO OGNI IMPORTANZA. I RUSSI L’AVEVANO DISTRUTTA AL 90%.,, LA “RITIRATA STRATEGICA” SARÀ FUNZIONALE A RAFFORZARE LA CONTROFFENSIVA VERSO KHERSON E LA CRIMEA

Ritirarsi da Severodonetsk per avanzare su Kherson: così i comandi ucraini tentano di trasformare la loro sconfitta nel Donbass in possibilità di rivincita nelle regioni meridionali.
Arrivando ieri a metà giornata nella cittadina di Bakhmut e in quelle che saranno presto le nuove prime linee ucraine dopo il ripiegamento dal Lugansk non è stato difficile cogliere l’umore depresso e doloroso della sconfitta, accompagnato però dalla convinzione per cui la «ritirata strategica» dalla città devastata di Severodonetsk sarà funzionale a organizzare la resistenza da posizioni migliori e addirittura salvare soldati che potranno rivelarsi utili per rafforzare la controffensiva verso Kherson e la Crimea.
Ma, prima di parlare di avanzate ucraine, è bene spiegare il significato della ritirata dal Lugansk. «Severodonetsk ormai dal punto di vista strategico aveva perso ogni importanza. I russi l’avevano distrutta al 90 per cento con l’artiglieria pesante e i nostri soldati erano isolati. Abbiamo fatto bene a ritirarli verso Lysychansk, sulla sponda occidentale del fiume Siversky Donets, dove potranno combattere molto meglio. Ora all’interno della fabbrica chimica Azot, dove erano asserragliate le ultime unità, restano circa 500 civili, che purtroppo diventeranno ostaggio dei russi», ci ha raccontato ieri in serata il governatore del Lugansk, Serhiy Haidai, lo stesso che in mattinata aveva annunciato il ritiro.
La spiegazione è condivisa da politici e militari ucraini, molti dei quali già da tempo consideravano un «inutile spreco di soldati e armi» continuare a tenere una città funzionale forse per facilitare gli ipotetici tentativi di controffensiva in futuro, ma senza dubbio ormai impossibile da difendere e col rischio grave di avere i propri soldati totalmente circondati e costretti alla resa come accadde a Mariupol a metà maggio. Il problema grave per i comandi di Kiev è che adesso anche la sorte di Lysychansk appare segnata.
«I collegamenti con la città sono ormai quasi impossibili. Siamo forse al momento di più grave difficoltà del nostro esercito. Nulla a che vedere con l’euforia seguita alle nostre vittorie di marzo-aprile, quando eravamo riusciti a scacciare i russi dalla regione di Kiev e persino bloccato le loro colonne fuori Kharkiv. Qui nel Donbass i russi non fanno che guadagnare terreno da due mesi, nelle ultime ore hanno occupato i villaggi di Zelote e Toshkivka, presto chiuderanno il cerchio anche su Lysychansk e noi dovremo riprendere a ripiegare se non vorremo restare intrappolati», spiega Illia, un soldato 28enne originario di Kharkiv inquadrato con la 72esima brigata, che incontriamo mentre fa la spesa in uno dei pochi negozi alimentari rimasti aperti a Bakhmut.
Sul suo giubbotto antiproiettili ha scritto in biro nera un ben visibile «memento mori». «Ho scelto di combattere in questo settore così insanguinato per le nostre truppe quando mi sono reso conto che le nostre vite non hanno senso se non servono a giustificare la nostra morte. Qui rischiamo tutti, ma combattiamo la battaglia della civiltà contro la barbarie, difendiamo la democrazia europea contro la dittatura di Putin», dice con la serietà caparbia dei vent’ anni.
Anche le armi alleate e l’arrivo sul terreno dei lanciamissili mobili Himars americani non sembrano in grado di fare la differenza. «Purtroppo giungono tardi e ancora in quantità insufficienti. I russi bombardano a tappeto tutto ciò che sta sul loro cammino, usano tattiche brutali, primitive, devastanti, però servono per farli avanzare», dice Piotr, ufficiale poliziotto di Bakhmut molto preoccupato sulle sorti della sua città.
«Presto potremmo venire ridotti in macerie anche noi», esclama. Non è però detto che la conquista russa della provincia di Lugansk apra tanto facilmente la strada per quella di Donetsk (già occupata per metà) e quindi dell’intero Donbass. Gli ucraini stanno infatti rilanciando la sfida per Kherson. Ieri iniziavano a girare i filmati delle unità d’attacco nella periferia della città che avevano perso in marzo.
Al loro fianco stanno agendo le forze speciali infiltrate nelle retrovie russe assieme alla guerriglia partigiana. Presi di mira con minacce e attentati sono anche i collaborazionisti locali, che hanno scelto di lavorare con le forze di occupazione.
Lo testimonia, tra le tante, la morte ieri di Kirill Stremousov, un funzionario saltato in aria nella sua auto ieri mattina.
(da Il Corriere della Sera)

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