Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
IL MONDO DEGLI IM-PRENDITORI ITALIANI, CHE L’HA SEMPRE SNOBBATA ORA CHE FRATELLI D’ITALIA VOLA NEI SONDAGGI SI INGINOCCHIA AI SUOI PIEDI CON IL CAPPELLO IN MANO …E GIORGIA SI RIVELA PER QUELLO CHE E’, LEADER CONTIGUA AI POTERI FORTI
Sta quasi mezz’ ora chiusa in una saletta riservata a parlare faccia a faccia con il
presidente di Confindustria Carlo Bonomi. E la chiacchierata va così tanto per le lunghe che alla fine devono venire a chiamarla con la scusa di portare via le tazzine di caffè, perché manca pochissimo al suo intervento e i tecnici devono ancora microfonarla.
È una Giorgia Meloni che sempre di più studia da premier quella che ieri mattina ha partecipato al convegno nazionale dei Giovani Industriali all’hotel Excelsior Palace di Rapallo.
Infatti, nonostante quello confindustriale non sia il suo pubblico naturale (molti avevano notato la scarsa presenza di imprenditori alla convention milanese di Fratelli d’Italia di fine aprile), la presidente del «primo partito del centrodestra» si mostra sicura di sé già nel look: camicia e pantaloni scuri, bracciale di metallo appariscente e orecchini oversize.
Del resto il fatto che Meloni sia la prima leader politica in scaletta, dopo il presidente degli imprenditori under 40 Riccardo Di Stefano e dopo il ministro “tecnico” Enrico Giovannini, è un chiaro segnale che il mondo delle imprese la sta osservando sempre più da vicino e con sempre maggiore interesse.
Il padrone di casa Di Stefano ha appena messo in chiaro quello che si aspettano gli industriali dalla politica: «Siamo pronti a dare fiducia a chi è disposto a risolvere i problemi. Ovvero a fare politica. Nel senso nobile e autentico del termine. E non altro. Perché, lo ripetiamo, siamo stufi tanto dei populismi quanto delle burocrazie».
Quindi è ancora più esplicito: «A coloro che si propongono di guidare il nostro Paese chiediamo di farlo pensando a quel compito come ad una missione in cui coinvolgere i cittadini e far recuperare loro entusiasmo e coscienza civile. E non come ad un piano di comunicazione».
La leader di Fratelli d’Italia, intervistata dal giornalista David Parenzo, dissemina le sue risposte di concetti e riflessioni care alla platea degli industriali: taglio delle tasse, importanza strategica del Made in Italy, bisogno di puntare sulla qualità, rilancio dell’occupazione giovanile e femminile, necessità di bilanciare la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale, disponibilità a dare una mano al governo per mettere un tetto al prezzo del gas.
Ma soprattutto cerca di dimostrare che anche lei può incarnare quella «politica dei fatti» e non «dei balletti» che interessa a chi tutti i giorni si confronta con i mercati internazionali.
Meloni cita due volte il presidente Bonomi, prima per ribadire di essere d’accordo con lui sul taglio del cuneo fiscale, poi per dire che condivide la sua proposta di investire sull’economia blu, ovvero le attività legate alla posizione privilegiata dell’Italia in mezzo al Mediterraneo.
Ma al di là dei temi è anche sul linguaggio che Meloni prova a far leva. Definisce «idiozia» il reddito di cittadinanza e lo ribattezza «paghetta di Stato» ottenendo più di un applauso. Mentre il dibattito sul salario minimo «è uno specchietto per le allodole, uno scenario anni luce distanze dalla realtà». Altri applausi.
Il paradosso è che i giovani di Confindustria sembrano seguirla di più quando parla di economia che non quando parla di politica. Cala una certa freddezza, infatti, sia quando la presidente di Fratelli d’Italia si avventura in un’affermazione tranchant sul sistema parlamentare – «Io credo che la Repubblica parlamentare non vada più bene, serve una riforma in senso presidenziale che garantisca la stabilità dei governi» – sia quando boccia l’idea di un’Europa più forte e con un processo decisionale più snello. Il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani, che prende il microfono qualche minuto dopo di lei, sembra pensarla come il pubblico. Sposa i ragionamenti di Meloni finché si parla di provvedimenti economici – «Il reddito di cittadinanza è una vergogna e il salario minimo una colossale stupidaggine» -, va in tutt’ altra direzione quando si affronta il tema Europa: «Noi siamo per gli Stati Uniti d’Europa e vogliamo un nuovo Recovery plan per rispondere alle emergenze causate dalla guerra in Ucraina». Discorso simile sulle regionali in Sicilia. Meloni tiene il punto: «Un passo indietro di Musumeci? Non mi pare di averlo mai detto».
Tajani ribadisce il no di Forza Italia: «Noi ci affidiamo sempre a quello che dice il partito locale e i nostri in Sicilia sono convinti che con Musumeci non si possa vincere». Ma questi sono solo botta e risposta fra alleati, inseguiti dai giornalisti fra i corridoi e il cortile dell’hotel dove è ancora parcheggiata la Cadillac di Gheddafi Junior. Botta e risposta che ai giovani di Confindustria sicuramente interessano meno.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
IN ITALIA GLI UNDER 35 DISOCCUPATI O INATTIVI SONO OLTRE 6 MILIONI E 800 MILA,,, MOLTI FANNO TIROCINI CON RIMBORSI DA 400-500 EURO AL MESE, MENTRE ALTRI SONO LAVORATORI A CHIAMATA
Un lavoro precario, spesso a chiamata, oppure mascherato da tirocinio. Contratti di facciata, che spesso non raccontano tutto delle condizioni e dell’orario di lavoro.
Stipendi a volte umilianti, tra i più bassi a livello europeo, non sufficienti a raggiungere una vera autonomia economica.
A questo può andare incontro un ragazzo italiano che cerca lavoro nel 2022. Soprattutto se non è laureato o, magari, nemmeno diplomato. Spesso ci si concentra sul tasso di disoccupazione giovanile, che nell’ultimo anno è calato, ma nella fascia 15-34 anni resta sopra il 15%, più alto della media europea.
Nel primo trimestre 2022, dati del ministero del Lavoro, gli under 35 disoccupati o inattivi sono oltre 6 milioni e 800 mila. Oppure si guarda alla platea dei cosiddetti Neet, i ventenni e trentenni che non lavorano, non studiano, non sono inseriti in nessun percorso di formazione: sono più di 2 milioni, il 24% dei ragazzi in quella fascia d’età. Percentuale aumentata durante la pandemia, stabilmente la più elevata dell’Unione europea.
Loro stanno a casa, senza una prospettiva. Ma gli altri, quelli che lavorano, non sempre se la passano meglio. Non deve ingannare il fatto che nel 2021 oltre il 40% dei lavoratori che hanno visto trasformare il proprio contratto di lavoro in un tempo indeterminato aveva un’età compresa tra i 15 e i 34 anni.
Per tutto lo scorso anno, e ancora nel primo trimestre 2022, è stata registrata anche una forte crescita dei lavoratori in somministrazione (reclutati attraverso un’agenzia esterna) e di quelli intermittenti o a chiamata: in entrambe queste categorie più della metà dei contratti riguardano under 35.
Secondo i dati Inps, i lavoratori a chiamata hanno svolto in media 10,1 giornate retribuite al mese. «In realtà spesso sono di più, ma non dichiarate – spiega l’economista Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt – Tanti ragazzi si trovano di fronte a contratti irregolari, con paghe orarie bassissime: accordi ufficialmente da 10 ore a settimana con una retribuzione congrua, più altre 30 o 40 ore pagate in nero, con una quota oraria molto più ridotta».
Non è l’unica modalità di sfruttamento, c’è un’altra eccezione molto italiana rappresentata dai tirocini, che «vengono usati massicciamente, anche grazie ai fondi europei, ma con indennità minime molto basse, da 400-500 euro al mese – sottolinea Seghezzi – sono una forma alternativa di lavoro, dove l’attenzione alla formazione scompare e i giovani vengono inseriti nei turni, trattati come dipendenti a tutti gli effetti». Stipendi da fame Quelli che sono, invece, inquadrati correttamente, spesso hanno una busta paga troppo leggera.
Secondo i dati Eurostat, in Italia lo stipendio medio per la fascia tra i 18 e i 24 anni è di 15.858 euro. In apparenza vicino alla media europea di 16.825, ma la prospettiva cambia se lo confrontiamo con quello di Paesi che hanno un costo della vita simile al nostro. Tra i 18 e i 24 anni si guadagnano in media 23.858 euro in Germania, 19.482 in Francia, 23.778 nei Paesi Bassi e 25.617 in Belgio. Solo in Spagna i giovani hanno un reddito medio inferiore al nostro: 14.085 euro.
La differenza salariale, però, anche dentro i nostri confini, è strettamente legata al livello di istruzione. I laureati trovano più facilmente lavoro e con stipendi più dignitosi. Secondo l’ultimo rapporto Almalaurea, riferito al 2021, la retribuzione mensile netta, a un anno dal titolo di studio è, in media, di 1.340 euro per i laureati di primo livello e di 1.407 euro per i laureati di secondo livello. Con un aumento, rispettivamente, del 9% e del 7% in confronto all’indagine del 2019.
Molto dipende, ovviamente, anche dal tipo di posto lavoro che si riesce a raggiungere. Seguendo una rielaborazione Inapp su dati Istat, tra i mestieri più “giovani” ci sono il tecnico del web, il bagnino, il cameriere e, in generale, tutte le attività legate a servizi ricreativi e culturali. Poi, in ordine di preferenza, barista, steward o hostess, commesso/a nei negozi di vendita al dettaglio, addetto dei call center, operaio per l’installazione di ponteggi, venditore a domicilio. Più in giù, tra i mestieri ricercati, ci sono i cuochi, i cassieri del supermercato, le baby sitter e i corrieri per le consegne.
Molti sono lavori stagionali, quelli di cui ora c’è gran bisogno e per cui spesso non si trovano candidati. Perché sono anche quelli per cui a volte vengono proposti contratti pirata e paghe misere. «In una realtà come la nostra, con tante piccole imprese sparse sul territorio, i controlli da parte dello Stato sono carenti, soprattutto in estate, quando invece dovrebbero essere più incisivi. – conferma Seghezzi – E la riforma dell’Ispettorato del lavoro, invece di rafforzarne le funzioni, le ha indebolite».
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
LA LEGA E’ COSTRETTA A CONFERMARE FONTANA, GELO ANCHE DA FORZA ITALIA: “PARLA A TITOLO PERSONALE”
Due frasi al microfono e, nel tardo pomeriggio di un afoso venerdì milanese,
Letizia Moratti manda il centrodestra in fibrillazione come un formicaio scoperchiato. E non soltanto in Lombardia.
«Da tempo ho dato la mia disponibilità alla coalizione e sono sollecitata a candidarmi quotidianamente da più parti. Aspetto un segnale concreto da parte del centrodestra per poter proseguire nel cammino intrapreso fino a qui», dice la vicepresidente della Regione Lombardia, nonché assessora al Welfare, parlando a Radio Lombardia di una sua possibile candidatura alle Regionali del 2023.
«Molti ritengono che dopo un lavoro generoso e positivo di un anno e mezzo io possa essere una risorsa per il centrodestra – aggiunge subito dopo. Penso davvero di poter essere un valore aggiunto per la coalizione. La mia storia personale lo testimonia».
Non è una frase di circostanza: il messaggio è chiaro e forte. E arriva dritto nel ventre della coalizione che, soprattutto in Lombardia, ha vissuto finora della trazione leghista, a partire dal simbolo che accompagna il nome del presidente della Regione da due legislature. E infatti le parole dell’ex sindaca di Milano, ex ministra, ex presidente della Rai e candidata (per un giorno) al Quirinale non scivolano via senza scuotere l’intero centrodestra, tra il Pirellone e le segreterie romane.
Non è un fulmine a ciel sereno. Tutt’ altro. Da tempo a Palazzo Lombardia si respira aria politicamente pesante, sebbene nelle ultime settimane il leader della Lega Matteo Salvini abbia rilanciato apertamente la conferma del presidente Attilio Fontana. I due, il governatore e la sua vice – cooptata alla causa della Lombardia nel gennaio 2021 proprio da Salvini quando la gestione della sanità si stava rivelando un vulnus pericoloso per il governo regionale – intrattengono rapporti molto freddi e formali.
E non è mistero nel centrodestra da Milano a Varese e da Brescia a Pavia, che l’assessore alla Sanità ambisse all’investitura per la guida della Regione più importante d’Italia.
E qualcuno ci ha fatto più di un pensiero, considerando il logoramento dell’immagine di Fontana durante la pandemia e sottolineando i costi di una campagna elettorale, che l’attuale numero due di Palazzo Lombardia potrebbe sostenere in proprio.
Ma per la Lega la guida della Lombardia è troppo importante. Per questo, anche di fronte ai pugni sul tavolo del sempre più ingombrante alleato Fratelli d’Italia, Salvini ha individuato in Attilio Fontana un «bene rifugio». Nessuno, nella coalizione che lo ha difeso in questi anni difficili, potrebbe mettersi contro il governatore in carica.
«Sarebbe stravagante che una vicepresidente si candidasse contro il suo presidente», è il messaggio circolato ieri tra i collaboratori del leader leghista. «Squadra che vince non si cambia – ribadisce il coordinatore regionale lombardo della Lega, Fabrizio Cecchetti – il candidato della Lega è Attilio Fontana».
Ma la coordinatrice regionale di Fratelli d’Italia, Daniela Santanché, nei giorni scorsi ha fatto più volte notare che «se davvero Salvini fosse convinto di questa investitura allora basterebbe convocare un vertice e una conferenza stampa per annunciarla».
Tuttavia l’uscita allo scoperto di Letizia Moratti non sembra scaldare i cuori del centrodestra. «Il dossier non è ancora sul tavolo – dice il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani – valuteremo le candidature al momento opportuno». Intanto dal mondo berlusconiano arrivano voci che sottolineano che sebbene molto vicina a Forza Italia, la vicepresidente della Lombardia non agisca e non parli a nome del partito.
Anche perché in ballo ci sono gli equilibri della coalizione: davvero Berlusconi – che pure ha buoni rapporti con la Moratti – vuole aprire un fronte con la Lega in questo momento? Sullo sfondo ci sono i sommovimenti dello scenario politico. Le scissioni, le alleanze in divenire.
All’indomani del primo turno delle Amministrative, Carlo Calenda ha definito Letizia Moratti «un’ottima candidata», innescando voci sulla nascita di un terzo polo. Ma all’interno della Lega, ogni volta che si parla di una candidatura Moratti, c’è chi si sofferma a ricordare che «quando è stata candidata la Quirinale non ha preso neanche un voto».
(da il Corriere della Sera)
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Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
“CONTE È OSTAGGIO DEI SUOI VICEPRESIDENTI. PRESTO IL MOVIMENTO CAMBIERÀ NOME”… “IO SONO UNA PERSONA LEALE, MA QUI NON SI VUOLE LA LEALTÀ, SI PRETENDE LA DEVOZIONE E LA FEDE CIECA”
“Vivo da tanti mesi un enorme disagio. È come un fidanzato che speri possa cambiare, ma non cambia. Anzi peggiora». Lucia Azzolina se ne va. L’ex ministra dell’Istruzione dice addio al Movimento 5 stelle e abbraccia il progetto di Luigi Di Maio. «Scelta libera e consapevole», commenta lui.
La porta che sbatte l’ex ministra dell’Istruzione fa rumore: «Io sono una persona leale, ma qui non si vuole la lealtà, si pretende la devozione e la fede cieca. Conte è ostaggio dei suoi vicepresidenti. Presto il Movimento cambierà nome». Nelle stesse ore Giancarlo Cancelleri, sottosegretario alle Infrastrutture, assicura che «io resto nel Movimento, è la mia casa». Ma, anche lui, chiede a Conte uno scatto d’orgoglio: «Dica chiaramente se la decisione sul doppio mandato è una priorità o no».
Si allunga il rosario che Giuseppe Conte sgrana nel suo studio in via di Campo Marzio, dove è rimasto chiuso per quasi tutta la giornata di ieri. La battaglia sul termovalorizzatore di Roma; il voto sul doppio mandato; un nuovo decreto per l’invio di armi in Ucraina; il blocco del superbonus; l’addio di Azzolina. A strappare un sorriso all’ex premier ci sono i quasi 1000 nuovi iscritti al Movimento in quest’ultima settimana, 300 in più rispetto a maggio.
«Le adesioni dei cittadini di questi ultimi giorni ci danno ancora più forza e determinazione per non guardare indietro – dice il capo del M5S- guardiamo avanti con i nostri valori e una linea politica sempre più decisa e compatta. Chi ha cambiato idee e approccio fa legittimamente le sue scelte. Noi pensiamo ai cittadini, che si aspettano molto dal Movimento».
Le spine di Conte restano tante, a cominciare da quella di giovedì 30 giugno. Quel giorno arriva nell’aula della Camera il decreto Aiuti, che contiene il famoso articolo che conferisce poteri speciali al sindaco di Roma per la realizzazione del termovalorizzatore. Il governo ha necessità di fare in fretta, perché il decreto scade il 16 luglio e deve essere discusso anche dal Senato.
A inizio maggio, quando il provvedimento ha ottenuto il via libera dal Consiglio dei ministri, i grillini si sono astenuti in aperto dissenso. Per i pentastellati è una battaglia identitaria. Se il governo non cambierà l’articolo sul termovalorizzatore, difficilmente il M5S garantirà l’appoggio. Sarà il primo banco di prova per capire quanto forte sia la volontà di Conte di tenere il Movimento 5 stelle all’interno della maggioranza.
C’è poi la questione del doppio mandato. Conte aveva assicurato un voto online «entro giugno», ma la netta contrarietà di Beppe Grillo lo farà slittare a chissà quando. La questione riguarda da vicino Cancelleri, possibile candidato alle primarie siciliane del centrosinistra del 23 luglio. Stando alle attuali regole non potrebbe candidarsi, visto che ha già svolto due mandati come deputato regionale all’Ars.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
VITA MARTINCIGLIO RIENTRA NEI RANGHI DEL M5S
Ha fatto parte delle fronda degli scissionisti per circa tre giorni. Neanche il
tempo della luna di miele con quella nuova creatura parlamentare nata dopo l’addio di Luigi Di Maio al MoVimento 5 Stelle.
Perché sono state 72 ore di tormenti e continui ripensamenti per Vita Martinciglio, che oggi ha deciso di tornare alle origini: addio al neonato gruppo “Insieme per il Futuro” e ritorno a quel MoVimento 5 Stelle che aveva abbandonato per seguire il destino politico del Ministro degli Affari Esteri.
“Di Maio ha grandi capacità, a lui va la mia stima. Rispetto la sua figura e il suo progetto politico. Insieme per il Futuro sarà grande ma io ho deciso di tornare nell’unico posto dove, nonostante tutto, mi sento ancora a casa”, ha detto la stessa deputata siciliana ad AdnKronos.
Insomma, una relazione politica durata un batter di ciglia. Prima la visione di un futuro nel gruppo guidato dal numero uno del Viminale, poi il ripensamento. Anzi, il ritorno in quella casa con cui venne eletta nel 2018 nel Collegio uninominale della sua Mazara del Vallo.
La deputata, di nuovo pentastellata, fa anche parte della VI Commissione Finanze alla Camera, in quanto esperta di diritto bancario e internazionale (con tanto di Laurea in Giurisprudenza a Palermo e uno studio legale in quel di Trapani). Insomma, alla fine per lei i conti non sono tornati. Anzi, Conte è tornato. Perché la decisione di abbandonare (il suo nome era stato già ufficializzato anche sul sito istituzionale della Camera dei deputati) Luigi Di Maio e tornare al M5S è arrivata proprio dopo un’interlocuzione con il Presidente del MoVimento 5 Stelle: “Ho visto Giuseppe e ho avuto anche altre interlocuzioni. A Conte ho detto quello che ho affermato poc’anzi. Auguro ai colleghi di Insieme per il futuro il meglio: nutro ancora la speranza che un giorno le nostre strade si possano incontrare di nuovo”.
Augura, dunque, il meglio ai suoi ex colleghi. Gli stessi con cui ha condiviso per oltre quattro anni gli scranni di Montecitorio, ma che ora hanno deciso di aderire a un gruppo diverso, figlio di quella dolorosissima scissione all’interno del MoVimento 5 Stelle.
E lei stessa stava per fare parte di tutto ciò, ma la sua esperienza si è conclusa nel giro di 3 giorni. 72 ore in cui è passata dal mondo penstastellato a quello dimaiano, per poi tornare a casa Conte. In attesa delle elezioni Politiche del prossimo anno.
Perché Vita Martinciglio è, attualmente, al primo mandato e – dunque – potrà candidarsi nuovamente nel 2023. Anche con il suo MoVimento.
Questa è la seconda storia di un ripensamento nel giro di poche ore. Prima della deputata Martinciglio, infatti, anche il suo collega Emiliano Fenu aveva aderito con grande gioia al nuovo gruppo parlamentare dei fedelissimi di Luigi Di Maio.
Ma tutto si è consumato nel giro di una notte: prima il sì a “Insieme per il Futuro”, poi l’immediato ritorno nel MoVimento 5 Stelle e dal quel Giuseppe Conte che lo ha sempre stimato.
Neanche il tempo di respirare un’aria nuova e di affrontare l’ennesimo vento del cambiamento di quel che resta dei pentastellati.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
UN ARTICOLO SU NATURE CON GLI STUDI DI CENTINAIA DI ESPERTI METTEVA IN GUARDIA CONTRO I PERICOLI DELLA SCELTA
Ieri, 24 giugno, la Corte Suprema americana ha cancellato la sentenza Roe v. Wade, che nel 1973 aveva reso legale l’aborto a livello federale. La motivazione addotta è stata che «la Costituzione non conferisce il diritto all’aborto». Da adesso, pertanto, saranno i singoli Stati a decidere sul tema. E in sette stati l’interruzione volontaria di gravidanza è stata messa fuorilegge.
Dopo quasi 50 anni, in circa la metà del Paese potrebbe essere dunque negato il diritto ad abortire.
Eppure nell’ottobre scorso più di 800 scienziati e diverse organizzazioni scientifiche avevano provato a spiegare i pericoli di questa decisione. Un articolo pubblicato su Nature aveva raccolto gli studi effettuati da centinaia di esperti per dimostrare alla Corte come l’accesso all’aborto fosse una componente essenziale per l’assistenza sanitaria. Segnalando i rischi che la loro scelta avrebbe potuto comportare.
L’impatto psico-fisico del diritto negato
Ci sarebbero ben «cinque decenni di prove sull’importanza dell’accesso all’aborto» a detta di Stephanie Toti, direttrice del Lawyering Project, un gruppo con sede a New York che sostiene l’accesso all’aborto negli Stati Uniti. Eppure, nel 2007 l’ex giudice conservatore della Corte Suprema Anthony Kennedy aveva dichiarato che impedendo l’aborto stava proteggendo le donne dalla depressione e dalla perdita di autostima: «Anche se non troviamo dati affidabili per misurare il fenomeno, sembra ineccepibile concludere che alcune donne giungano a pentirsi della loro scelta», scrisse nella decisione che confermava il divieto federale di aborti tardivi.
Quello che è successo alle donne che si sono dovute sottoporre ad aborto è stato studiato e descritto in oltre 40 rapporti pubblicati su riviste scientifiche sottoposte a revisione paritaria, riassume Nature.
Il risultato generale è che, in media, l’aborto non ha danneggiato la salute mentale o fisica delle donne. Mentre la negazione di quel diritto ha comportato danni sia a livello sanitario che economico.
Uno studio del 2019, per esempio, effettuato su 874 donne, metteva in luce come i soggetti che avevano intenzione di abortire ma non avevano potuto farlo avevano riportato tassi più elevati di mal di testa cronico e dolori articolari a distanza di cinque anni, rispetto a coloro che avevano abortito.
Una questione anche economica e sociale
Secondo quanto rilevato da 550 ricercatori in materia di salute pubblica, salute riproduttiva e politica sanitaria, insieme all’American Public Health Association e due istituti di ricerca, consentire agli Stati di vietare l’aborto potrebbe persino aumentare i tassi di mortalità materna e infantile. Questo anche perché, a differenza di chi avvia una gravidanza desiderata, le donne che non possono abortire sono meno incentivate ad adottare comportamenti che proteggano il feto e loro stesse, come bere meno alcol e ricevere con il giusto anticipo cure mediche prenatali.
In gioco c’è anche una questione sociale: se è stato stimato che quasi una donna su quattro negli Stati Uniti abortirà entro i 45 anni, le donne che vivono al di sotto del livello di povertà federale negli Stati Uniti presentano un tasso di gravidanze indesiderate cinque volte superiore rispetto alle donne con redditi elevati. Questo si spiega in un ridotto accesso ai metodi contraccettivi.
Rimanendo sul piano economico, è utile menzionare la ricerca condotta da oltre 150 economisti sugli effetti delle politiche anti-abortiste. Lo studio rivela come la legalizzazione dell’aborto negli anni ’70 ha contribuito ad aumentare il livello di istruzione delle donne, la partecipazione alla forza lavoro e i guadagni. Specialmente per le donne afro-discendenti single.
L’incremento delle morosità
Un ulteriore studio risalente al 2020 ha preso in esame 560 donne, studiando la differenza tra quelle che avevano abortito e quelle che, pur avendo intenzione di farlo, non avevano potuto.
Il secondo gruppo aveva registrato un aumento del 78% dei debiti scaduti. E un aumento dell’81% degli eventi finanziari negativi registrati ufficialmente, come fallimenti e sfratti. Parametri rimasti stabili per le donne che invece erano riuscite a interrompere la gravidanza. In un Paese come gli Stati Uniti infatti, proseguono le stime, un genitore single che guadagna il salario minimo dovrebbe spendere più di due terzi del proprio reddito per l’assistenza all’infanzia. Con una cura per il bambino medio che costa circa 10.400 dollari all’anno.
Cifre da non sottovalutare, ricordano gli esperti. Soprattutto considerando che due ragioni principali che spingono le donne ad abortire sono le preoccupazioni per il denaro e la cura dei bambini esistenti. Circa il 75% delle donne che scelgono di abortire sono in una fascia di reddito basso e il 59% ha già figli, secondo quanto calcolato dagli economisti. Laurie Sobel, ricercatrice presso KFF (un’organizzazione di ricerca apartitica sulla politica sanitaria con sede a San Francisco, in California), ritiene che non ci sia dubbio su quali saranno le ripercussioni di quanto deciso dalla Corte.
Ovvero: «Potrebbe avere un impatto devastante sulle donne, che sarebbe reale e molto grave in molti Stati».
(da Open)
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Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
“OGGI FACCIO LE CONSEGNE, IL FATTORINO PER IL DELIVERY, MA NON HO IL MOTORINO E COSÌ, ANCHE SE NON È GUARITA, MI ACCOMPAGNA MAMMA CON LA MACCHINA. SONO 5 EURO A CONSEGNA, NETTI 3,90. LA MEDIA È DI 3-4 CONSEGNE A SETTIMANA, FACCIA LEI IL CALCOLO”
Francesca Sebastiani, vicino alla sua mamma in un angolo di un gigantesco bar
della periferia nord di Napoli, sembra molto più piccola dei suoi 22 anni. Dopo il video social in cui, con ironia e sarcasmo, ha denunciato lo sfruttamento dei ragazzi in cerca di lavoro, il web l’ha incoronata come una guerriera 3.0.
Ma Francesca, aria mite e occhiali da sole che mascherano la timidezza, appare quasi sopraffatta dall’ondata di reazioni indignate che ha suscitato: «Non pensavo si scatenasse tutto questo», dice con un tono che le fa sembrare quasi delle scuse, quasi come se avesse creato un fastidio, un problema.
Francesca, come ti sei sentita quando la commerciante che avevi contattato ti ha proposto 280 euro al mese per lavorare 10 ore al giorno?
«Arrabbiata e indifferente al tempo stesso».
In che senso?
«Nel senso che mi ha fatto innervosire quando mi ha scritto “Voi giovani non volete lavorare”, ma che alla fine sono rassegnata da tempo. Ero preparata all’idea che fosse un altro buco nell’acqua e senza quelle parole sarebbe finita lì. L’avevo anche già salutata. E pure con un’amarezza in più…».
Quale?
«Il fatto che a dire quella cosa non era stata una persona anziana ma una giovane poco più grande di me. Avevo visto il profilo, è una giovane pure lei, che tristezza».
Rassegnata è una parola forte.
«Quando ho dovuto lasciare la scuola, nel 2018, per la malattia di mamma, avevo trovato un negozio che rispettava i lavoratori, prendevo duecento euro a settimana, poi purtroppo ha chiuso. E dopo è andata sempre peggio».
Che scuola facevi?
«Il liceo statale “Elsa Morante” di Scampia».
Una scuola in una zona non facile. Come andava?
«Facevo il quarto anno. Andavo bene. Oddio, qualche problemino con la Filosofia c’era, ma per il resto tutto ok, mi piaceva. Poi mamma si è ammalata. Insieme con papà e mio fratello abbiamo dato la priorità alla famiglia (tocca con la mano il braccio della madre, ndr) ovviamente».
Torniamo alla ricerca del lavoro.
«Un disastro. L’unica cosa che saltò fuori era un posto da 45 euro a settimana, uno schifo. Lo lasciai subito».
E poi?
«Poi niente. Oggi faccio le consegne, il fattorino per il delivery, ma non ho il motorino e così, anche se non è guarita, mi accompagna mamma con la macchina. Sono 5 euro a consegna, netti 3,90. La media è di 3-4 consegne a settimana, faccia lei il calcolo. E poi capisce perché alla fine uno si arrende».
Da calcolare c’è poco ma per arrendersi c’è tempo. Cosa vorrebbe fare?
«Io sono pronta ad adattarmi. Ma sono le possibilità, quelle vere, a mancare. L’amarezza nasce da qui».
E se il genio della lampada le chiedesse un desiderio?
«Ah, ho capito, il sogno nel cassetto, quelle cose lì. Beh, che dire, sin da piccolina ho sempre avuto una grande passione per la fotografia, avrei voluto studiarla e magari farne un lavoro… Ho anche preso qualche lezioni di canto, poi sono finiti i soldi».
E quando sei a casa e non metti alla berlina gli sfruttatori?
«Cioè sempre… dove vuole vada? Leggo libri, quelli gratuiti sul tablet. Poi ci sono i tre amori: Lilli, Chiara e Stella, le nostre tre cagnette. E il sabato sera il pub con gli amici, tutto qui…».
A questo punto interviene la signora Susi: «Anche se ha scatenato una mezza rivoluzione è solo una brava ragazza, pure troppo, pensi che le ripeto sempre di trovare un po’ di cazzimma. Ma le verità è che la situazione è sempre terribile: quando lei era piccola, io per arrotondare lo stipendio di mio marito andavo a caricare gli scaffali di un grande supermercato, di notte, ci davano tre euro all’ora. Quando minacciai di andarmene mi risposero che c’era la fila per pendere il mio posto. Ecco l’eredità che stiamo lasciando ai nostri figli: ingiustizie e mortificazioni». E stavolta è lei a mettere la mano sul braccio della figlia.
(da La Stampa)
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Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
MANIFESTAZIONI IN TUTTO IL PAESE
In sette stati Usa l‘aborto è già vietato. Dopo la sentenza della Corte Suprema che lo ha abolito a livello federale il divieto di aborto è entrato in vigore immediatamente in Kentucky, Louisiana e South Dakota. Arkansas, Missouri e Oklahoma hanno atteso la certificazione ufficiale da parte dei procuratori.
In Alabama, dopo la decisione dei massimi giudici, un tribunale ha dichiarato valido un divieto che era stato bloccato. Ma non finisce qui. Perché ci si attende che altri sette stati a guida repubblicana lo vietino nei prossimi trenta giorni. E sono in tutto 26 gli stati degli Usa in cui l’aborto potrebbe essere abolito per sempre.
Nel North Dakota e in Utah il divieto entrerà in vigore dopo il via libera delle autorità statali che, si prevede, arriverà nei prossimi giorni. Il Mississippi vieterà l’interruzione di gravidanza 10 giorni dopo che il procuratore generale avrà dichiarato la legge costituzionale.
In Wyoming cinque giorni dopo che il governatore avrà certificato che la sentenza Roe vs Wade è stata rovesciata.
In Idaho, Tennessee e Texas ci vorranno 30 giorni anche se in quest’ultimo stato le cliniche hanno già smesso di praticare aborti. Intanto nel paese è partita la mobilitazione.
Alexandria Ocasio Cortez è scesa oggi in piazza esortando gli americani e le americane a fare lo stesso «perché le elezioni non bastano, dobbiamo riempire le strade».
Ha replicato su Twitter la collega ultrà repubblicana Marjorie Taylor Greene : «AOC ha appena lanciato una insurrezione. Se ci saranno violenze e sommosse saranno il risultato diretto degli ordini di squadra democratici». Immediata la controreplica dell’altra: «Te lo spiego con molta calma: esercitare il diritto alla protesta non è ostruzione del Congresso o un tentativo di rovesciare la democrazia. Se poi uno è abbastanza efferato per farlo, probabilmente cercherà anche di ottenere un perdono presidenziale: ma di noi due, solo una l’ha fatto. E non sono io». Taylor Green ha chiesto a Trump un perdono preventivo per il suo ruolo nell’assalto a Capitol Hill.
Le manifestazioni
Sono centinaia le persone che manifestano fuori dal massimo tribunale americano nella capitale. Ma ci sono dimostrazioni anche a New York – due marce a Union Square e Washington Square – Boston, Miami e Los Angeles.
Migliaia di manifestanti che sono destinati ad aumentare, soprattutto sulla costa ovest, con la chiusura degli uffici. Anche a Denver, Atlanta, Chicago e Philadelphia si stanno svolgendo dimostrazioni. Così come ad Austin, in Texas, uno degli Stati in cui è già in vigore una legge iper restrittiva sull’aborto e che si avvia a vietarlo definitivamente nei prossimi giorni.
Al momento tutte le manifestazioni si stanno svolgendo in modo pacifico anche laddove – come nella capitale americana – accanto ai dimostranti pro aborto sono scesi in piazza quelli pro-life che festeggiano la sentenza.
Alcune decine di manifestanti si sono radunati anche davanti all’abitazione del giudice Clarence Thomas a Fairfax, in Virginia. Thomas è uno dei giudici conservatori della Corte suprema che hanno votato per cancellare la sentenza Roe v. Wade sul diritto di aborto.
«Non controllerete mai il mio corpo», si legge su uno dei cartelli innalzati dai manifestanti.
Intanto molte grandi aziende americane si sono dette pronte a coprire le spese di viaggio necessarie ai loro dipendenti per andare ad abortire se il diritto è loro negato nello Stato di residenza. Tra le prime a esprimersi Disney, Apple, Alphabet, JPMorgan Chase, Meta e Bank of America.
(da agenzie)
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Giugno 25th, 2022 Riccardo Fucile
“I DIRITTI NON STABILITI UNA VOLTA PER SEMPRE, NON SONO SCRITTI NEL MARMO. SE NON LI DIFENDI, NON LI CURI, NON LI PROTEGGI CONTINUAMENTE, TI SVEGLI UNA MATTINA E NON CI SONO PIÙ. ORA NEGLI STATI UNITI SI INTENSIFICHERÀ IL TURISMO SANITARIO. I RICCHI VIAGGIANO E I POVERI EMIGRANO”
Emma Bonino si fa mandare dall’America i documenti della storica sentenza
della Corte Suprema. «La notizia mi ha sconvolto, ma voglio capire bene di che cosa si tratta perché sembra davvero incredibile». Arrivano sulla sua mail i testi del pronunciamento dei giudici e a quel punto la storica leader dei Radicali – mentre guarda in tivvù le prime manifestazioni di protesta delle donne e dei movimenti abortisti – traccia il bilancio di questa «brutta storia».
Onorevole Bonino, si aspettava questa decisione?
«Non mi aspettavo il punteggio. Il 6 a 3, nel collegio dei giudici, è un risultato molto largo e per niente buono. Da mesi le associazioni abortiste erano molto agitate, evidentemente a ragione. Negli Stati Uniti l’aborto era un diritto federale. Questa sentenza demanda invece la questione ai vari Stati membri. Che è un po’ la situazione che c’è in Europa. Dove ogni Paese Ue decide per sé sull’aborto. Per esempio la Polonia ha fatto una legge ultra-restrittiva».
Si azzera con la sentenza americana uno dei punti, che parevano fermi, ottenuti dalle lotte delle donne?
«Siamo certamente a un passo indietro nella protezione dell’aborto. Questo dimostra che i diritti non stabiliti una volta per sempre, non sono scritti nel marmo. Se non li difendi, non li curi, non li proteggi continuamente, ti svegli una mattina e non ci sono più. C’è un reportage molto bello del New York Times che spiega a questo punto che cosa potrà fare Biden per contrastare questa sentenza».
E che cosa può fare il presidente americano?
«Dal punto di vista legale, niente. È come da noi: così come la nostra Corte Costituzionale anche la Corte Suprema di Washington è il decisore di ultima istanza. Questo reportage però suggerisce a Biden vari accorgimenti per proteggere il diritto federale all’aborto. Il presidente può promuovere politiche che possono aiutare a superare il divieto. Per esempio quelle in favore dell’aborto farmacologico, con la pillola autorizzata dalla Food and Drug Administration. Ma non so davvero che cosa potrà fare l’amministrazione Biden e temo, sostanzialmente, non molto».
Il presidente ha l’occasione di mettersi alla testa di una nuova stagione di difesa e di estensione dei diritti.
«Io mi chiedo: ne avrà la forza? Comunque ci sono alcuni Stati che seguiranno la sentenza della Corte Suprema, e già il Missouri e il Texas si sono attivati, e altri che si comporteranno diversamente. Per esempio lo Stato di New York. O il Colorado: si sta attrezzando per accogliere le donne che potranno permettersi di passare il confine per abortire. Almeno nel campo dei diritti, è una grande delusione per me questa America che io sono spesso stata abituata a considerare all’avanguardia su certe battaglie. Evidentemente non è più l’America che ho in mente io. Il diritto all’aborto negli Stati Uniti non è in Costituzione ma è stato sancito da una storica sentenza 50 anni fa».
Si riferisce alla Roe vs Wade per cui interrompere la gravidanza è diventato legale nel 1973?
«Sì. Fu quando la Corte Suprema riconobbe il diritto all’aborto alla texana Norma McCorvey. E un gruppo di avvocate, guidato da Sarah Weddington, contattò la donna, incinta del terzo figlio avuto con il marito violento e con problemi di alcolismo. Si trattò di una esemplare pagina di libertà. Ora sono preoccupata. Si intensificherà negli Stati Uniti un fenomeno che noi conosciamo benissimo. Ed è quello del turismo sanitario. Come sempre, i ricchi viaggiano e i poveri emigrano. Questo toccherà a un numero di donne sempre maggiore. Tra tutti i difetti della sentenza della Corte Suprema c’è anche quello che è classista. Anche prima in America l’aborto non era gratuito. Il bilancio federale si rifiutava di sovvenzionarlo. Ma adesso sarà tutto più complicato, penalizzante e dispendioso».
Questo è un colpo di coda o un nuovo inizio del trumpismo?
I giudici che si sono espressi contro l’aborto sono stati nominati da Trump. Questa comunque è una sentenza figlia di varie ideologie: alcune religiose, altre identitarie, altre di tipo culturale. Un mix di visioni oscurantiste e reazionarie che tolgono alle donne la libertà di scelta».
Quali conseguenze può avere la sentenza di Washington sull’Europa e in Italia?
«In Europa, penso alla Polonia ma anche all’Ungheria, questo tipo di impostazione purtroppo è già diffusa. Ma anche in Italia da tempo riscontro un rigurgito di posizioni contrarie ai diritti e alle libertà. Si pensi alla portata oscurantista della legge Pillon che, per fortuna, è stata stoppata. Il movimento per la vita, così si chiama, rappresenta un filone che, messo alla prova, per esempio nei referendum, ha sempre perso. Però è sempre esistito e continua a prosperare. E come può immaginare, non mi è piaciuto il video della Meloni al congresso di Vox in Spagna. È importante però che in Italia sia in corso la campagna, da parte dell’Associazione Coscioni e di altri movimenti, per difendere la legge 194 sull’aborto. In certe parti d’Italia questa legge fondamentale non esiste più a causa dell’obiezione di coscienza. Più o meno il 90 per cento dei medici, in alcune zone del nostro Paese, si rifiutano di applicare il diritto a interrompere la gravidanza».
(da il Messaggero)
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