Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“CALENDA E GIORGETTI? PERCHE’ NO”
Dopo giorni di trambusto, nella serata di ieri, martedì 21 giugno, il ministro
degli Esteri Luigi Di Maio ha ufficializzato la scissione dal Movimento 5 Stelle e lanciato il gruppo politico “Insieme per il futuro”, contando sul sostegno di 50 deputati. Tra questi c’è anche Francesco D’Uva, attuale Questore della Camera, che a TPI ha spiegato i motivi della separazione e la scelta di seguire il ministro Di Maio.
Cosa si è spezzato all’interno del Movimento?
Negli ultimi mesi si è visto più che mai quanto ci siano state due sensibilità fortemente diverse nel M5S: una più moderata, responsabile, e una che vuole guardare indietro a quando si era un po’ più “barricaderi“. Si è cercato di convivere ma non poteva più funzionare perché per noi – persone moderate, responsabili, atlantiste – era intollerabile stare in una forza politica che ammicca anche a mondi che a noi non interessano. Penso ai filo-putiniani, ai no-vax, noi non vogliamo accostarci a tutto questo. Penso all’endorsement dell’ambasciatore russo Sergey Razov su questo continuo distinguo da parte di alcune forze della maggioranza rispetto alla linea governativa. Quello che vogliamo fare è dare stabilità al governo per fare il bene del Paese.
Come valuta la leadership di Conte?
Personalmente da lui mi aspettavo un passaggio verso linee più moderate, se penso che è diventato popolare proprio come presidente del Consiglio che è riuscito a tenere unito il Paese in maniera anche egregia, mi dispiace che alla guida del Movimento abbia preferito guardare a posizioni più radicali e non moderate che poi sono quelle che hanno fatto la sua fortuna e la fortuna di tutta l’Italia in un momento difficile.
Crede che il Movimento abbia pagato al voto (v. amministrative) già queste linee meno moderate?
Credo che nel momento in cui persone che hanno creato il M5S, e lo hanno fatto diventare grande, consegnano le chiavi del proprio partito a una persona che si iscrive in quel momento, lo fanno anche per avere risultati migliori. Probabilmente questo nuovo corso non era la risposta giusta per l’Italia.
Di Maio ieri ha parlato di dirigenti che stavano rischiando di indebolire il Paese, a chi si riferiva?
Questo va chiesto a lui. Sicuramente queste continue dichiarazioni di prese di distanza dalla linea atlantista non fanno bene al Paese. Tutte le persone, a prescindere dalla forza politica di appartenenza, che continuano a prendere le distanze fanno male al Paese. Il governo in questo momento sta portando avanti battaglie importanti come quella del tetto al prezzo del gas. Indebolire i nostri rappresentanti sui tavoli internazionali fa male a tutti.
Roberto Fico ieri ci ha tenuto a rimarcare che non avevano mai avuto posizioni non atlantiste.
Sono certo che il presidente della Camera abbia voluto dare un messaggio distensivo, ma va detto che alcuni 5 stelle hanno fatto continui distinguo rispetto alla linea governativa anche in merito all’invio delle armi, che chiaramente non piace a nessuno, ma nel momento in cui viene richiesto è una cosa che va fatta, perché lo fanno tutti i paesi atlantici. Sperando che presto a livello occidentale si possa non avere più questa necessità.
Come risponde a chi vi accusa di cambi di casacca e scelte opportunistiche per mantenere la poltrona?
Questa qui è una scissione, cambio di casacca è se io – per dire – me ne vado in Fratelli d’Italia, dove magari ci sono sondaggi alti. Noi abbiamo creato un gruppo parlamentare che non ha consensi. Questa cosa della poltrona è ridicola. Soprattutto se consideriamo che 40 persone su 62 sono al primo mandato. Se mai qualcuno che è d’accordo con noi ma che resta nel Movimento lo fa per motivi opportunistici.
Nel futuro vede un avvicinamento ai centristi, Calenda, Giorgetti per le politiche?
Noi dialoghiamo con tutte le realtà che vogliono dare forza al governo e al Paese, lasciando da parte gli estremisti. Il Paese ha bisogno di stabilità.
Nel futuro però c’è un progetto politico?
In questo momento c’è un gruppo parlamentare e l’impegno è dare sostegno al governo.
Alessandro Di Battista ha definito la decisione “ignobile tradimento”.
Con Alessandro abbiamo visioni diverse, anzi, probabilmente mi sarei preoccupato se ci fosse stato un endorsement da parte sua, sarebbe equivalso a dire che avevamo sbagliato qualcosa.
(da TPI)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
ARRIVANO LE CONFERME: COLPITA DA DUE DRONI UCRAINI
A Novoshakhtinsk, nella regione di Rostov, a pochi chilometri dal confine ucraino, una tra le raffinerie petrolifere più grandi di Russia è stata colpita questa mattina da un drone, che ha provocato un incendio. “Secondo una versione, l’incendio è stato causato da un attacco di UAV (veicolo aereo senza pilota) contro le installazioni tecniche dell’impianto”, ha scritto su Telegram il governatore della regione, Vasily Golubev.
Le autorità locali hanno confermato che l’incendio scoppiato stamane nell’impianto è stato provocato da due droni.
Lo riporta l’agenzia di stampa Tass, citando una nota diffusa dalla raffineria situata nella regione di Rostov.
Nell’attacco, si precisa, sono state prese di mira le cisterne per la raccolta del greggio.
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
SEPARARE BAMBINI DAI GENITORI CONFIGURA GIURIDICAMENTE IL REATO INTERNAZIONALE DI “GENOCIDIO”…SECONDO LONDRA C’È UNA DONNA DIETRO AI RAPIMENTI
L’altra sera, sulla tv ufficiale del Cremlino, Rossiya1, l’anchorman più amato da
Putin, Vladimir Solovyov, ha vantato questi numeri su quelli che ha chiamato «ricollocamenti» o «evacuazioni» di cittadini ucraini in Russia: il numero totale è di 1,9 milioni, di cui 307 mila bambini.
Il dato dell’Onu è addirittura inferiore: in totale 1.230.800 ucraini, numero di bambini imprecisato. I russi, ancora una volta, sono paradossalmente sinceri. Esibiscono ormai direttamente quello che fanno, basta sostituire la parola «ricollocamenti» con un’altra: deportazioni. Anche di bambini.
Che lo dicano, però, potrebbe portarli a processo a L’Aja. Kevin Rothrock, di Meduza, spiega che «Mosca la presenta come un’impresa umanitaria, ma l’ammissione potrebbe servire come prova in un processo per genocidio, un giorno».
Secondo la Convenzione sul Genocidio, 1948, Articolo II sezione E, separare bambini dai genitori configura giuridicamente il reato internazionale di «genocidio». Naturalmente bisogna dimostrare che oltre al fatto, ci sia l’intenzione. E qui diversi tra propagandisti, ufficiali, alti dirigenti del Cremlino, stanno dando spontaneamente una mano.
Il 13 aprile, parlando al Consiglio federale, la senatrice Lilia Gumerova si è mostrata inorridita per il fatto che molti dei bambini ucraini «dei territori liberati» – la neolingua del Cremlino chiama così le regioni e città invase e rase al suolo – non parlino correntemente il russo. Gumerova ha promesso l’organizzazione di scuole estive per liberare le loro lingue. Esiste il video. Deportazione e intenzione.
Interfax, l’agenzia di Stato russa, ha fornito altri futuri documenti processuali utili, raccontando così il ritmo con cui procede la deportazione dei bambini: le «evacuazioni» sono cominciate «dalla fine di febbraio da regioni pericolose (testuale) dell’Ucraina, le Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk.
Nonostante tutte le difficoltà create dalle autorità di Kiev, nelle ultime 24 ore, senza la partecipazione della parte ucraina, 29.733 persone, di cui 3.502 bambini, sono state evacuate nel territorio della Federazione Russa dalle regioni pericolose dell’Ucraina e del Donbass.
Un totale di 1.936.911 persone dall’inizio dell’operazione militare speciale, di cui 307.423 sono bambini», ha detto Mikhail Mizintsev, capo del Centro di controllo della difesa nazionale della Federazione Russa.
Mizintsev ha anche parlato dell’esistenza di un database russo – orrore – che conterrebbe oltre 2,7 milioni di domande di coloro che desiderano trasferirsi in Russia da oltre duemila insediamenti in Ucraina e nei territori della Dpr e della Lpr controllati da Kiev.
Immaginiamo quanto spontaneamente lo desiderino. Non è l’unico ufficiale russo che si sta consegnando alla futura Corte Penale Internazionale.
C’è una donna che sta presiedendo all’operazione-bambini. E ormai fa parte della lista di oligarchi o alti burocrati statuali russi sanzionati in Occidente: è stata appena colpita dalle sanzioni britanniche per «trattamento barbaro dei bambini in Ucraina».
Si chiama Maria Lvova-Belova, e secondo il Regno Unito è la «mente» dietro un oscuro programma di rapimenti. Lvova-Belova è accusata dall’Ucraina di aver organizzato la cattura di oltre duemila bambini vulnerabili prelevati violentemente dalle regioni di Luhansk e Donetsk e di aver orchestrato una nuova politica per facilitare le loro adozioni forzate in Russia.
Secondo gli ucraini, Lvova-Belova supervisiona personalmente il lavoro del centro di raccolta «Romashka» per bambini a Rostov, in Russia, utilizzato come hub temporaneo per alcuni dei bambini ucraini deportati, e geolocalizzato da diverse fonti open source.
Se sia possibile definirlo campo di concentramento saranno i tribunali a deciderlo. Secondo il consigliere del sindaco di Mariupol, i bambini deportati da quella città massacrata sono detenuti lì, nel villaggio di Zolota Kosa.
Anastasjia Lapatina, del Kyiv Independent, riporta che «gli occupanti di Kherson hanno detto che tutti i bambini nati lì dopo il 24 febbraio, così come gli orfani, riceveranno automaticamente la cittadinanza russa».
Deportazioni e rapimenti si inquadrano in un processo che, secondo il Kyiv Independent, ha portato quasi due terzi dei bambini ucraini a esser stati sfollati internamente o a esser fuggiti dal Paese. Afshan Khan, direttore dell’Unicef per l’Europa e l’Asia centrale, ha dichiarato che «i numeri sono sbalorditivi».
La sfida logistica, come in ogni genocidio, è enorme. Il crimine richiede la sua macchina industriale. Il 25 maggio Putin stesso ha firmato un decreto che consente il conferimento semplificato della cittadinanza russa per chi risiede a Kherson e Zaporizhia.
A Kiev, per i diritti dei bambini, arrivano attori americani, Sean Penn, Angelina Jolie, ultimo Ben Stiller. Ma la macchina della morte e della deportazione lavora incessante. Si parla tanto delle frasi di Dmitry Medvedev, ma un suo collega dello Stato russo, il capo dell’agenzia spaziale Roscosmos, Dmitry Rogozin, ha teorizzato su Twitter: «Se non mettiamo la parola fine, perché purtroppo i nostri nonni non li hanno eliminati, dovremo morire».
Il tweet è stato cancellato solo dopo sei giorni da Twitter. Nel frattempo Valentina Matvienko, ultra putiniana presidente del Senato russo, con villa milionaria sequestrata a Pesaro, annuncia che spedirà ai bambini nelle repubbliche filorusse poesie per ragazzi di Agniya Barto, favole del poeta Ivan Krylov e libri russi di storia. Non li stanno deportando, li stanno evacuando e rieducando.
(da La Stampa)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“NOI SIAMO PER LA PIZZA POPOLARE, CHE ACCONTENTA TUTTI, DAI BAMBINI AI PROFESSIONISTI AI DISOCCUPATI”… “USIAMO I PRODOTTI MIGLIORI, MA RESTA ACCESSIBILE”… EMILIO BORRELLI: “NON ACCETTIAMO LEZIONI. NON SI ADDICE AI CAFONI ARRICCHITI”
La disfida della pizza infiamma Napoli. Sul banco degli imputati Flavio Briatore: qui le icone, anche culinarie, sono intoccabili. Colorata e orgogliosa la risposta partenopea alla provocazione dell’imprenditore, che si è chiesto su Instagram come si possa vendere una pizza a 4-5 euro, giustificando così il listino della sua catena Crazy Pizza, dove la “tonda” va dai 13 ai 60 euro.
La reazione parte dal centro storico: suona la carica Gino Sorbillo, che in via dei Tribunali distribuisce pizze gratis e s’inventa un tutorial per i passanti. C’è folla come sempre, ma stavolta i morsi alla celebre pizza a portafoglio sono sberleffi a Briatore.
«Noi siamo per la pizza popolare, che accontenta tutti, dai bambini ai professionisti ai disoccupati», dice Sorbillo, che s’ispira alla Livella di Totò e intanto dispensa tranci a iosa. I turisti in fila apprezzano, e si accodano al j’accuse: «Viva la pizza, abbasso Briatore». «Usiamo i prodotti migliori – aggiunge il maestro – e la pizza resta accessibile».
Rincara la dose Francesco Emilio Borrelli, presidente della commissione Agricoltura della Regione: «Sulla pizza non accettiamo lezioni: è un piatto popolare, non si addice ai cafoni arricchiti né può essere insolentita da un parvenu. Briatore venga a studiare qui».
E insomma l’atmosfera è rovente, nella città che ha inventato – era il 1889 – la pietanza ispirata alla regina Margherita e ne ha fatto un vessillo, difendendola dalla globalizzazione grazie all’inserimento nella lista Unesco dell’arte del pizzaiuolo napoletano.
«Briatore si è fatto pubblicità: la pizza tira – spiega Massimo Di Porzio, titolare del ristorante “Umberto” – Ma il food cost non va oltre i 2,5 euro: ricarichi troppo alti sono operazioni d’immagine».
«Avrebbe potuto spiegare che la pizza ha regole precise: ingredienti, tempi, dimensioni e procedimento – ammonisce Antonio Pace, presidente dell’Associazione Verace pizza napoletana – Pur nella consapevolezza che elementi a latere, dall’accoglienza alla location al servizio, possano determinare differenze di prezzo rilevanti».
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL GOVERNO RESTA IN PIEDI, SUPERERÀ L’ESTATE E DOVRÀ AFFRONTARE LE INTEMPERIE D’AUTUNNO SULLA FINANZIARIA, FORSE ALLORA CONTE PROVERÀ A SCARTARE, MA SARÀ TARDI”… “LA MOSSA DI DI MAIO APRIRÀ I GIOCHI AL CENTRO”
Da giorni si era steso lo scudo protettivo del Colle: non sulla tenuta del
governo, che non è mai stata in dubbio, ma sulla sua composizione. Come confermava un autorevole ministro, l’addio di Di Maio al Movimento non avrebbe dato vita a un rimpasto «perché nel pieno di un conflitto sarebbe improponibile per il capo dello Stato un cambio in corsa alla Farnesina. È certo, non cambierà nulla». Ma non è che ieri non sia successo nulla.
Da un anno e mezzo Draghi ritiene di essere atterrato su Marte. Pensava di aver visto tutto e invece ha dovuto vivere un altro evento senza precedenti. Nel senso che né Palazzo Chigi né il Quirinale sono riusciti a trovare un precedente simile nella storia dei governi repubblicani: a parte la scissione dal Pd di Renzi (che però non era ministro), non si era mai vista una forza di maggioranza che vota allo stesso modo in Parlamento, si divide in due gruppi ma resta insieme in Consiglio.
Con il risultato che ad andare in crisi è un partito senza che entri in crisi l’esecutivo. «Il motivo – spiega Casini – è che sia Conte sia Di Maio hanno una fifa matta del voto anticipato».
Certo, il leader dei grillini avrebbe di fatto ancora due strade: presentare una mozione di sfiducia contro il ministro degli Esteri o chiedere una verifica di governo. Nel primo caso dovrebbe sfidare lo scudo protettivo del Colle, nel secondo dovrebbe vedersela sui numeri con il premier. Perché con la scissione il Movimento non è più il partito di maggioranza relativa e Draghi gli spiegherebbe che comunque dispone ancora di quattro ministri: alla formazione del governo, infatti, Cingolani venne formalmente attribuito in «quota M5S».
Resterebbe l’ipotesi di chiedere un passaggio alle Camere dell’esecutivo per certificare la modifica degli assetti, «ma vista la situazione – spiega un ministro – nemmeno l’opposizione ha chiesto finora a Draghi di riferire». E poi la maggioranza è rimasta la stessa: non si è né allargata né ristretta.
Semmai sono cambiati gli equilibri: ora il Carroccio è il partito di maggioranza relativa e il cambiamento avrà un peso quando si discuterà di temi economici e sociali. Ma in questo passaggio di politica estera Salvini è rimasto al fianco del premier. Raccontano da Palazzo Chigi che «durante le trattative sulla risoluzione, mentre il Pd era in chiaro imbarazzo, i capigruppo della Lega sono stati i più netti». E ancor di più lo è stato Di Maio, che ad ogni proposta di riformulazione del documento dei suoi compagni di partito, rispondeva: «Non va bene, bisogna essere più chiari».
Nel fronte dem, autorevoli rappresentanti al governo puntano l’indice contro «un disegno assecondato dal premier, che aveva l’obiettivo di spingere Conte a votare contro la risoluzione. Così da dare a Di Maio la possibilità di rompere sulla guerra e non sul vincolo dei tre mandati».
In effetti ieri sera Di Maio, annunciando l’addio al Movimento, ha potuto accusare solo di «ambiguità» il capo dei grillini.
A prescindere se sia vera o no questa ricostruzione, resta il fatto che ad accendere la miccia sia stato Conte. Due mesi fa, quando iniziò a criticare l’invio di armi all’Ucraina, Guerini avvisò il Pd: «Guardate che è solo l’inizio». Ma nel suo partito non gli diedero ascolto. Oggi persino esponenti della segreteria dem dicono che «Conte farà la fine di Bertinotti».
Per l’ex premier è una disfatta. Sebbene la scissione rischi di segnare anche chi ha lasciato il Movimento: perché in politica la separazione non prelude mai alla spartizione dei voti ma all’evaporazione dei consensi. Il governo resta in piedi, supererà l’estate e dovrà affrontare le intemperie d’autunno sulla Finanziaria, che Draghi immagina di presentare il 20 di ottobre.
Sarà una navigazione difficile per la crisi economica e le pressioni dei partiti in vista delle urne. Forse allora Conte proverà a scartare, ma nel Pd sostengono che «sarà tardi per trasformarsi nel Mélenchon italiano, perché quel fronte sarà stato intanto conquistato dai vari Di Battista». Semmai la mossa di Di Maio aprirà i giochi al centro. E per impedire che quell’area si consolidi, gli avversari cercheranno di andare al voto prima di maggio. In ogni caso ieri è stata la fine di un’epoca.
Francesco Verderami
(da il “Corriere della Sera”)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“ALLA FINE SI RITROVA SCHIACCIATO SU UNA LINEA SOSPETTATA DI ESSERE FILO-RUSSA E LA PROSPETTIVA DEL VOTO PROMETTA DI TRASFORMARSI PER CONTE IN UN INCUBO. NESSUNO SEMBRA IN GRADO DI FERMARE UN DECLINO”
Il bilancio, per Giuseppe Conte, è da brividi; ma in negativo. Il leader del M5S ha voluto e alla fine subìto la frattura interna: il nemico Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, si porta via circa un quarto dei parlamentari, rivendicando una linea atlantista.
E i grillini hanno accettato una risoluzione della maggioranza che permette al governo di Mario Draghi di andare avanti sugli aiuti anche militari all’Ucraina. Probabilmente siamo solo all’inizio dell’implosione. Ma per la leadership contiana è una sconfitta.
Forse mal consigliato, di certo incapace di cogliere le dinamiche in moto nel M5S, alla fine si ritrova schiacciato su una linea sospettata di essere filo-russa; e con un tasso di estremismo che potrebbe portare per reazione a tentazioni di disimpegno dal governo.
Il dettaglio visivo e politico di Di Maio seduto accanto a Mario Draghi, ieri al Senato, dice che rimarrà al suo posto. Non bastasse, per la prima volta dal 2018 il M5S non può vantarsi di essere alla guida della componente parlamentare più forte: ora è la Lega ad avere i numeri più alti.
Per Palazzo Chigi, quanto è avvenuto ieri rappresenta un esito previsto ma controverso. Da una parte, i Cinque Stelle rischiano di compromettere l’immagine di compattezza offerta dall’Italia dopo l’aggressione russa contro l’Ucraina. Ma la spaccatura che si è prodotta permette al premier di avere un quadro più chiaro di alleati e avversari; e di sapere che la politica estera di Di Maio non sarà contraddetta dal suo ormai ex leader Conte, che ha dovuto accettare la risoluzione della maggioranza.
Di fatto, lo psicodramma grillino si è consumato tutto dentro il Movimento; almeno finora, senza toccare l’esecutivo. Troppo grande, la posta in gioco. E troppo personali e strumentali le ragioni della resa dei conti tra grillini.
A guardare bene, quando Draghi ieri ha lodato «l’unità essenziale» del Senato, ha sepolto le velleità di smarcamento incarnate per settimane da Conte; e in parallelo quelle della Lega di Matteo Salvini. Forse il governo oggi è più debole, ma gli avversari lo sono di più.
Essere reduce da una sconfitta parziale ma clamorosa alle Amministrative fa capire quanto la prospettiva del voto prometta di trasformarsi per Conte in un incubo. Nessuno sembra in grado di fermare un declino che la scissione di Di Maio sottolinea come uno spartiacque. Né l’ex premier, né il fondatore Beppe Grillo, né il presidente della Camera, Roberto Fico emergono come mediatori credibili.
Sono tutti figli di una crisi che sollecita una sola domanda: dove finirà l’anno prossimo il grosso di quel 33 per cento dei consensi raccolti nel 2018.
Massimo Franco
(da il Corriere della Sera)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
CONTATTI ANCHE CON IL SINDACO DI VENEZIA BRUGNARO, IL DEMOCRISTO BRUNO TABACCI E DIALOGO APERTO ANCHE CON GIORGETTI E L’ALA GOVERNISTA DELLA LEGA SEMPRE PIÙ INSOFFERENTE ALLE PATURNIE DI SALVINI
Il giorno di San Luigi (Gonzaga), che è anche quello più lungo dell’anno, Luigi
Di Maio sceglie di compiere l’azzardo forse più grande della sua carriera politica. Abbandona la casa madre, il partito liquido, così liquido da pescare un giovanissimo signor nessuno a digiuno di politica e portarlo nel giro di pochi anni al ministero degli Esteri, per rendere ufficiale la completa mutazione: da movimentista a stratega di palazzo che fonda un nuovo gruppo parlamentare.
Per fare cosa, per andare dove? Intanto va detto che si arriva a questo epilogo non per caso.
Tutto viene deciso in una riunione riservata avvenuta mercoledì sera scorso, dopo il disastro alle amministrative del M5S e dopo l’annuncio di Giuseppe Conte di voler mettere la parola fine sulla diatriba infinita attorno al limite dei due mandati, quando aveva fatto intendere che non c’era aria di deroghe.
Di Maio raduna i fedelissimi, gli stessi con i quali aveva anche gestito la partita del Quirinale utilizzando diplomazie parallele a quelle ufficiali del suo partito, e illustra la road map: «Entro due settimane usciamo dai 5 Stelle ».
Invece la situazione precipita prima, la botta definitiva la dà due giorni fa Roberto Fico, altro compagno della primissima ora, quando utilizza parole durissime nei suoi confronti. Forse però a questo punto poco importa: la senatrice Simona Nocerino sorride, «io comunque male che vada un lavoro ce l’ho, torno in Unicredit». La collega Antonella Campagna fa lo stesso: «È una liberazione ».
Così il salto nel buio mette quasi di buonumore e, mentre Mario Draghi parla, il ministro ha una specie di sorriso sulle labbra che dissimula con fatica.
Nella sala dell’albergo nel centro di Roma affittata al volo per la conferenza stampa a fine giornata l’aria è frizzante, non sembra una scissione ma un party, i parlamentari con il posto riservato davanti al palchetto si abbracciano tra loro. «Ma vi assicuro che la scelta è stata sofferta, si rompono amicizie e rapporti», dice Primo Di Nicola.
Quando arriva Di Maio si alzano tutti in piedi e lo applaudono per oltre un minuto. Parte la diretta social, nel video appaiono le facce dei presenti e nel giro di qualche secondo nelle chat del M5S vengono rimossi i transfughi intravisti e che erano in dubbio: le scissioni oggi si consumano anche così.
Comunque, il piano – assicurano i suoi – c’è: prima la creazione dei gruppi, comunicata dallo stesso Di Maio dopo il voto sulla risoluzione in aula prima a Maria Elisabetta Casellati e poi, guarda la vita, a Fico. Le due componenti di Senato (dove si tratta con Centro democratico, Maie e Italia al centro per avere un simbolo necessario alla formazione del gruppo) e Camera cercheranno di pescare a piene mani nel centro e non solo tra gli ormai ex 5 Stelle; e anche nelle regioni e nei consigli comunali dove c’è il M5S in queste ore si stanno registrando gli stessi addii, perché la scissione è verticale e va a cascata, la prima volta nella loro storia.
E poi c’è il progetto politico vero e proprio da lanciare a settembre, ottobre. Beppe Sala e il finanziatore Gianfranco Librandi, Federico Pizzarotti, Bruno Tabacci, Luigi Brugnaro: gli interlocutori principali sono questi, ma un occhio speciale va a ciò che avviene nella Lega, all’amico Giancarlo Giorgetti e a tutto il gruppo di insofferenti alle paturnie di Matteo Salvini. «La prima forza politica in Parlamento ha messo in discussione il lavoro del governo per racimolare pochi punti di consenso », sono le parole di Di Maio.
Nel suo intervento per motivare la scissione cita David Sassoli, dice che «noi siamo dalla parte giusta della storia», tira in mezzo anche la pandemia, i no vax, i no Green pass: «Chi dà soluzioni semplici e problemi complessi non avrà la fiducia dei cittadini».
Il «percorso di maturità» del M5S si era ormai interrotto, per cui eccoci arrivati al bivio nel quale Di Maio e i suoi si sono ritrovati: «In questi giorni travagliati ho tenuto a mente di aver giurato sulla Costituzione della Repubblica, gli interessi del Paese vengono prima di quelli del tuo partito». Così Di Maio quasi si commuove quando ringrazia il suo ormai ex Movimento, ma «da oggi ci mettiamo in cammino assieme ad altri interlocutori che lavorano nei comuni». Il tutto si chiude l’abiura, una consapevolezza, un capovolgimento dell’idea che aveva fatto grande il M5S: «Ora posso dire che uno non vale l’altro».
(da la Repubblica)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LA GIORNATA DI IERI A MONTECITORIO E I COMMENTI DEI PARLAMENTARI
Istinto primordiale: tuffarsi nella tonnara grillina. Le sinapsi dei cronisti sfrigolano con un mucchio di pensieri malevoli. I 5 Stelle si dividono, si sfasciano. Quando? Adesso. Calma.
Inquadrare la scena, cronaca: il premier Mario Draghi, tra poco, chiederà al Senato di essere autorizzato a mandare altre armi in Ucraina; Giuseppe Conte pretenderebbe invece che ogni spedizione fosse preceduta da un passaggio parlamentare (l’ambasciatore russo Sergej Razov ha già ringraziato, soffiando sulfureo compiacimento); Luigi Di Maio, colpevole di essersi indignato per tanta ostilità nei confronti del governo, è stato sottoposto a brutale processo dal tribunale contiano. Provocazione, sfida, apocalisse. «Giggino sta raccogliendo firme tra i parlamentari del Movimento». Se ne va, prima di essere espulso. Dalla buvette di Palazzo Madama arrivano risate cimiteriali.
Circoletto intorno a Matteo Renzi, che ingoia (letteralmente, tipo fachiro) due pizzette sotto le occhiate adoranti di Francesco Bonifazi, l’amico tesoriere sempre abbronzato come Carlo Conti. L’intervento di Renzi in aula, poco fa, di un’altra categoria (ad alcuni può apparire presuntuoso, egocentrico, spregiudicato: però rispetto alla media dei senatori è legittimato a considerarsi un incrocio tra Churchill e De Gasperi, ma forse più Churchill). Anche oggi è il più veloce di tutti: «I grillini sono finiti. Si stanno dividendo per capire chi entrerà nel prossimo Parlamento».
Interviene Pier Ferdinando Casini (che pure si è esibito in un intervento pieno di saggezza): «Io invidio Renzi perché è giovane e bello» (sguardi maliziosi). Il socialista Riccardo Nencini: «Scusate, io vado».
Il botto dei 5 Stelle diffonde un certo, innegabile buon umore (avevano promesso di aprire questo luogo sacro come una scatoletta di tonno, un po’ di rancore ci sta). Portaborse: «Ragazzi, è fatta». Il ministro Federico D’Incà e il sottosegretario Enzo Amendola (gran mediatore) sono riusciti a limare anche l’ultima virgola di una risoluzione che mette d’accordo tutte le forze di governo e consente a Draghi di partecipare al prossimo Consiglio europeo. Il voto, però, sembra ormai un dettaglio.
Tutti guardiamo Di Maio: eccolo laggiù, in fondo al corridoio con le pareti foderate di velluto. È livido, teso, gelido. Gira voce che avrebbe arruolato oltre 30 deputati (destinati ad aumentare dopo i ballottaggi delle comunali) e una decina di senatori, ci sono i primi nomi (Castelli, Spadafora), il gruppo si dovrebbe chiamare «Insieme per il futuro», sembra abbiano già una sede.
Da una porta spunta Giorgio Mulé, sottosegretario alla Difesa: FI, potente, informato. «Una scissione così non la organizzi in una mattina. È chiaro che Di Maio l’aveva preparata, con cura, da settimane». Continui. «Conte umiliato. Ha perso la faccia e la truppa. Dopo aver inutilmente minacciato Draghi, non solo vota la risoluzione di maggioranza, ma si ritrova con mezzo partito” . Salute del governo?
«Cagionevole. Però non sarà ricoverato. Andrà avanti con le pasticche».
Cercare subito uno del Pd. Ma niente: camminano veloci, sguardi accigliati dietro le mascherine, scuse miserabili: devo tornare in aula, aspetto la telefonata di mia moglie. Si volta il comunista (non è un modo di dire) Marco Rizzo, che parlava con il suo unico senatore rosso, Emanuele Dessì, ex grillino. «Emanuele, dai: fagli vedere la fotocopia». Dessì tira fuori un foglio, è il programma del M5S, con cui fu eletto nel 2018: ripudio della guerra, disarmo, Russia partner economico, riformare la Nato. «All’epoca, il capetto dei 5 Stelle era Di Maio — dice Rizzo — Ma non stupitevi. Questi si dividono su un tema gigantesco come la guerra solo per aggirare il limite del doppio mandato. Ricordo che Bertinotti e Cossutta, un argomento così, lo affrontarono invece con un cipiglio memorabile».
Paragoni con Di Maio e Conte? «Sarebbe come paragonare la compagna di scuola con Sharon Stone» (poi, boh: s’avvicina Stefania Craxi e gli urla: «Rizzo, tu dovevi sposarmi!». E lui: «Ma tu sai che io ho fatto molto di più!»).
Compare Antonio Razzi: «Nei momenti epocali ci sono sempre». Un fine notista: «Non trovi siano indecenti tutti questi uomini che vengono nel Salone Garibaldi senza calzini?». Un tipo basso, rotondo, sudato, chiede: «S’è per caso visto Matteo Salvini?». Ma oggi Salvini potrebbe presentarsi vestito da Batman, nessuno se lo filerebbe. Piuttosto: notizie di Beppe Grillo? Allora due cronisti partono e vanno ad aspettarlo all’hotel Forum — suite con vista sui Fori, perché l’Elevato adora il lusso — anche un po’ per vedere se ricomincia con il solito rosario di insulti, «Giornalisti fantasmi/ cadaveri che camminano/ lombrichi destinati all’estinzione», o se ha capito che stavolta è il suo Movimento a rischiare brutto, e noi invece siamo ancora tutti qui, al nostro posto, a raccontare.
(da il Corriere della Sera)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
I GRILLINI RESTANO IN CINQUE
Gli effetti della scissione grillina arrivano anche a Strasburgo, dove due
eurodeputate elette con il M5s hanno deciso di seguire Luigi Di Maio nella creazione del nuovo partito Italia per il futuro.
A lasciare la delegazione Cinque stelle sono state Chiara Gemma e Daniela Rondinelli, che così riducono a cinque i membri del gruppo M5s al Parlamento europeo.
Il nuovo movimento guidato dal ministro degli Esteri già domani dovrebbe avere il primo appuntamento organizzativo, con un’assemblea convocata da Di Maio a cui dovrebbero partecipare tutti i gruppi parlamentari, a cui avrebbero aderito almeno 60 tra senatori e deputati. Ed è arrivata intanto una nota ufficiale degli europarlamentari del Movimento Tiziana Beghin, Fabio Massimo Castaldo, Laura Ferrara, Mario Furore e Sabrina Pignedoli: «Il rispetto del mandato elettorale è da sempre uno dei valori fondanti della buona politica. I cittadini – scrivono in merito alla scissione emersa dopo l’addio di Di Maio – ci hanno eletto con il simbolo del Movimento 5 Stelle e a questo noi restiamo fedeli. Rinnoviamo la fiducia al progetto e ai principi contenuti nel nuovo Statuto, agli attivisti che hanno scelto a stragrande maggioranza la guida di Giuseppe Conte e al nostro Presidente».
(da Open)
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