Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
DALLA POLITICA ESTERA AI DIRITTI CIVILI FINO ALLE PENSIONI, NEL CENTRODESTRA HANNO IDEE DIVERSE… IL DELIRIO DI BERLUSCONI: “HO APPENA REGISTRATO 20 VIDEO, POSSIAMO ARRIVARE OLTRE IL 20%”
Il centrodestra si dà una settimana di tempo per il programma comune. Ieri è stato inaugurato il primo tavolo, i delegati dei partiti hanno cominciato dalle questioni preliminari, prima tra tutte, appunto i tempi e poi il metodo. I temi per il momento sono stati solo accennati, «il clima è buono», ripetono tutti, «l’80% è fatto», esulta Antonio Saccone dell’Udc, esibendo un’unità di intenti ancora più evidente vista la divisione dell’altro campo, ma alcuni passaggi non sono così scontati.
Si parlerà di tasse, pensioni, politica estera (per esplicita richiesta di Giorgia Meloni). Fratelli d’Italia cercherà di imporre uno dei suoi cavalli di battaglia: il presidenzialismo. La Lega chiede di mettere nero su bianco un impegno per realizzare l’autonomia differenziata.
Il comunicato finale è un abile esercizio di equilibrismo che tende a sminare ogni possibile polemica interna: «Nel corso della riunione, è emersa totale condivisione nel ribadire il pieno rispetto degli impegni internazionali dell’Italia anche relativamente alla guerra in Ucraina, riforma presidenziale, autonomia». Ovvero i tre temi sui quali i partiti hanno posizioni diverse.
A mettere pressione ci aveva pensato in mattinata Matteo Salvini che si è rivolto agli alleati: «Porterò personalmente la proposta di autonomia in mano a Berlusconi e alla Meloni di cui sono sicuro arriveranno le firme, perché autonomia significa efficienza, responsabilità, modernità, sviluppo e territori. Si può fare flat tax e pace fiscale e con l’autonomia è garantito avere meno burocrazia».
Salvini è sicuro delle firme, ma in Fratelli d’Italia sul tema è decisamente più prudente, per motivi storici, la destra italiana ha una tradizione centralista, e anche per un fatto di equilibri di potere.
Una risposta era arrivata su La Stampa di domenica da Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI: «Per noi l’autonomia funziona solo in presenza di una riforma in senso presidenzialista dello Stato».
«La Costituzione va riformata in senso organico e non con “toppe a colori” come ha fatto la sinistra, spesso peggiorandone il testo e l’impianto», ha spiegato ieri il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida. Salvini, che pure non è contrario all’elezione diretta delle cariche dello Repubblica, ieri ha replicato: «Non c’è nessuno scambio tra autonomia e presidenzialismo, non siamo al mercato».
Il leader della Lega ha un gran bisogno di recuperare i consensi al Nord persi alle ultime amministrative, dove FdI ha superato il Carroccio specie nei centri medio grandi. Ieri Salvini era in Veneto, dove il tema dell’autonomia è molto sentito, tanto che il «programma alla virgola», che il leader sottoporrà agli alleati, è stato elaborato dai governatori Attilio Fontana e Luca Zaia.
Agli imprenditori e alle partite Iva incontrate nel suo tour veneto, che oggi prosegue a Venezia, Salvini ha promesso flat tax al 15%, taglio dell’Iva sui beni di prima necessità e lotta all’immigrazione clandestina. Su questo ultimo punto si concentrerà l’agenda del senatore milanese nei prossimi giorni, in particolare giovedì con il viaggio a Lampedusa, dove l’obiettivo di un ritorno al Viminale diventerà esplicito. Gli alleati invitano alla cautela, ma dentro FdI c’è la convinzione che sarà difficile impedire a Salvini di ottenere il Ministero dell’Interno. Silvio Berlusconi intanto, vuole giocare in prima persona, anche con un inedito, per lui, sbarco sui social.
«Ho appena registrato 20 video, possiamo arrivare oltre il 20%», ha raccontato. I filmati verranno pubblicati su Instagram e Facebook per tutto il mese di agosto. Il centrodestra tornerà a riunirsi oggi, ci sono da definire i collegi. Se da un punto di vista numerico l’accordo è stato raggiunto, ora viene la parte più complessa la collocazione geografica delle circoscrizioni, dove ci si candida.
Il cosiddetto metodo Verdini, ovvero la suddivisione dei collegi in 6 fasce di rischio (dal collegio blindato a quello impossibile), è stato messo in crisi con l’allargamento delle circoscrizioni. Un elemento che complica la chiusura di una partita, che nessuno però dà per persa.
(da La Stampa)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
DOPO TRE MESI DI CIG IL DIPENDENTE ESCE DALLA CASELLA “OCCUPATI” E ENTRA IN QUELLA INATTIVI. SE LA CIG CESSA, FA IL PERCORSO INVERSO. A GIUGNO SI POTREBBE QUINDI ESSERE VERIFICATA UNA RIDUZIONE DELLA CASSA
Centosedici mila posti di lavori permanenti in più in un solo mese. I dati resi noti ieri
dall’Istat su occupati e disoccupati presentano un lato straordinario.
Dopo i risultati del Pil (+1,0% nel periodo aprile-giugno) ora anche l’indagine mensile sul lavoro ci racconta come il secondo trimestre del 2022 sia stato ancora un periodo di attività sostenuta, l’alta inflazione non ha depresso la domanda e quindi industria e servizi hanno continuato a tirare. Ed anche a produrre nuove occasioni di lavoro. Ma quantitativamente così rilevanti da generare un gradino di +116 mila posti fissi in soli 30 giorni?
A questa domanda sulla base dei dati che abbiamo non possiamo rispondere con sicurezza (nemmeno l’Istat è in grado) e la spiegazione di quest’incertezza sta nelle novità introdotte lo scorso anno da Eurostat nel computo dei lavoratori in cassa integrazione. La statistica europea ha infatti deciso che dopo tre mesi di Cig il dipendente esce dalla casella “occupati” ed entra in quella “inattivi”.
Se la Cig cessa fa il percorso inverso.
Per farla a breve a giugno si potrebbe essere verificata una notevole riduzione della cassa integrazione, un ritorno di occupati e una conseguente diminuzione degli inattivi.
E’ comunque una buona notizia perché certifica, almeno per giugno, uno stato di salute delle imprese che forse non avevamo preventivato. Il dubbio è se oltre all’inversione a «U» della Cig sono stati anche prodotti nuovi posti fissi, in questo caso le buone notizie sarebbero due. A dimostrazione che l’analisi dei dati mensili sugli occupati non è materia così semplice e, soprattutto, che non dovrebbe mai prestarsi ad essere politicizzata, c’è un altro dato su cui riflettere.
I contratti a termine — i cosiddetti precari – sono diminuiti di 3 mila unità. E’ un dato positivo? Non è sicuro perché essendo di fatto quello a termine diventato una sorta di “contratto di ingresso” il meno tremila potrebbe voler dire che il rubinetto delle assunzioni, anche se temporanee, si è chiuso. Insomma a giugno sono ritornati i cassaintegrati ma si sarebbe interrotta la pipeline dei nuovi ingressi.
Passando dai dati micro alle riflessioni macro si può dire che fin quanto i consumi tirano (autostrade piene, intrattenimento e ristorazione sold out, flussi turistici anticipati a giugno per il caldo) l’occupazione comunque finisce per seguire un percorso positivo.
Ovviamente non è detto che dopo le ferie estive tutto continui così e il calo dell’indice di fiducia di famiglie e imprese registrato a luglio lo lascia purtroppo presagire. Un’altra riflessione che, pur festeggiando i dati di oggi e il record del tasso di occupazione (60,1%), è doveroso riportare riguarda la relazione tra quantità e qualità del lavoro.
L’indagine mensile dell’Istat sugli occupati calcola le “teste” e non le ore e di conseguenza non sappiamo se la forte tendenza ad aumentare il cosiddetto part time involontario (occupati sì ma per poche ore al giorno) si stia consolidando o meno. Una certa debolezza del settore terziario unita alla difficoltà di trovare addetti per alcune mansioni lo lascerebbe presumere. Anche in questo caso il consiglio degli esperti è di ragionare sui numeri ed evitare politicizzazioni indebite dell’uno o dell’altro trend. Visto però l’inizio di questa campagna elettorale è facile che questi suggerimenti verranno rubricati alla voce «prediche inutili».
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
LA DEPUTATA: “IN SINTONIA CON CARFAGNA E GELMINI, PER RIBADIRE LIBERALISMO ED EUROPEISMO ABBANDONATI DA FORZA ITALIA”
Dentro un altro. In questo caso un’altra: Annalisa Baroni, dopo aver detto addio a Forza Italia, entra a far parte di Azione di Carlo Calenda.
In una nota l’ex deputata azzurra spiega di aver preso la decisione di lasciare il partito di Silvio Berlusconi per via della crisi del governo Draghi,” innescata da Conte e avallata da Salvini con il placet di Berlusconi”.
Dicendosi “idealmente e politicamente in sintonia con quanto affermato dalle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna”, ha spiegato la Baroni “aderisco ad Azione di Carlo Calenda”.
L’ex azzurra ci tiene specificare che “dalla carta dei valori di Azione emergono tutti i contenuti in cui si riconosce chi, come me, ha sempre creduto e militato per il liberalismo, l’atlantismo e un convinto europeismo”.
Secondo Annalisa Baroni “il manifesto elettorale di Azione, Patto Repubblicano, costituisce la declinazione più seria della Agenda Draghi: tutele ai ceti produttivi, alle imprese, alle partite IVA, alle professioni, importanza delle infrastrutture, dell’ambiente e rispetto delle procedure e dei tempi di attuazione del Pnrr. E ancora più risorse economiche a chi lavora, modifica del Reddito di cittadinanza, riduzione delle imposte e centralità dei territori. Concludo sottolineando la concretezza, la serietà e il realismo del programma di Azione, che propone una vera ricetta per la crescita del Paese e non strampalate promesse prive di copertura, impossibili da mantenere”.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
RIBADITA L’AGENDA DRAGHI NEL PROGRAMMA, EUROPEISMO, REALIZZAZIONE PNRR, CORREZIONI SU REDDITO CITTADINANZA E BONUS 110%, PRIORITA’ DIRITTI CIVILI E IUS SCHOLAE
Alla fine Carlo Calenda correrà a fianco di Enrico Letta per le elezioni del 25 settembre.
Dopo due ore di confronto e una ulteriore trattativa sull’assegnazione dei collegi uninominali, il leader di Azione ha stretto di nuovo la mano al segretario del Pd, dopo le incomprensioni degli ultimi giorni.
Durante la riunione, appena terminata negli uffici dem alla Camera, cui hanno partecipato anche Della Vedova e Magi per +Europa, sono state messe sul tavolo e risolte le questioni che avevano allontanato l’accordo. In particolare, i nomi e il numero dei candidati da presentare nei collegi uninominali da parte delle forze politiche che formeranno la coalizione.
«Abbiamo dimostrato un grande senso di responsabilità», dice Enrico Letta dopo l’accordo siglato con Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova. «L’Italia conta molto di più rispetto ai singoli partiti. Non è immaginabile che dopo l’esperienza del governo Draghi l’Italia passi ad un governo delle destre», ha spiegato il segretario dem in conferenza stampa.
«Siamo solidi e compatti – sottolinea Calenda.- andiamo a vincere queste elezioni, niente è già scritto, da oggi finisce ogni tipo di discussione e polemica, finisce il pre-partita e inizia la vera partita».
Ora, «sarà un campagna elettorale che si fa con due front runner, Carlo Calenda ed Enrico Letta – aggiunge Bendetto Della Vedova (+E) -. Questo non è un centrosinistra ma un centro e sinistra. Abbiamo un obiettivo comune, che non è battere gli altri ma convincere gli italiani che l’Italia merita un destino migliore”. Lo ha detto Bendetto Della Vedova (+E), in conferenza stampa alla Camera. “E’ il lancio di una campagna elettorale che darà grandi soddisfazioni”.
La condizione dell’accordo
Nel testo dell’accordo tra Pd, Azione e +Europa si legge che la totalità dei candidati nei collegi uninominali della coalizione verrà suddivisa tra Democratici e Progressisti e Azione/+Europa nella misura del 70% (Partito Democratico) e 30% (+Europa/Azione), scomputando dal totale dei collegi quelli che verranno attribuiti alle altre liste dell’alleanza elettorale.
Questo rapporto verrà applicato alle diverse fasce di collegi che verranno identificati di comune intesa. «Le parti si impegnano a chiedere che il tempo di parola attribuito alla coalizione nelle trasmissioni televisive sia ripartito nelle stesse percentuali applicate ai collegi». Soprattutto, «si impegnano a non candidare personalità che possano risultare divisive per i rispettivi elettorati nei collegi uninominali, per aumentare le possibilità di vittoria dell’alleanza».
Di conseguenza, «nei collegi uninominali non saranno candidati i leader delle forze politiche che costituiranno l’alleanza, gli ex parlamentari del M5s (usciti nell’ultima legislatura), gli ex parlamentari di Forza Italia (usciti nell’ultima legislatura)».
Il reddito di cittadinanza
Nel “Patto elettorale” tra PD e Azione/+Europa, «le parti condividono e si riconoscono nel metodo e nell’azione del governo guidato da Mario Draghi». I partiti che hanno causato la sua caduta «si sono assunti una grave responsabilità dinanzi al Paese e all’Europa».
Per quanto riguarda le riforme da completare ed emendare dopo l’interruzione traumatica del governo, PD e Azione/+Europa concordano sulla necessità di realizzare integralmente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nel rispetto del cronoprogramma convenuto con l’Unione europea; improntare le politiche di bilancio alla responsabilità e le politiche fiscali alla progressività, promuovendo al contempo una riforma del Patto di Stabilità e Crescita dell’Unione Europea che non segni un ritorno alla stagione dell’austerità; non aumentare il carico fiscale complessivo; d) correggere lo strumento del Reddito di Cittadinanza e il «Bonus 110%” in linea con gli intendimenti tracciati dal governo Draghi; dare assoluta priorità all’approvazione delle leggi in materia di Diritti civili e Ius scholae».
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
SONO STATI CANDIDATI NEL PARTITO DI GIORGIA MELONI, DUE SONO STATI ANCHE ELETTI
Emerge un passato in Fratelli d’Italia per Massimo Hallecker e alcuni degli altri indagati dal Procuratore Aggiunto Maurizio Romanelli e dal Sostituito Paolo Storari nell’ambito dell’inchiesta per corruzione sugli appalti di Fiera Milano.
Su 12 soggetti coinvolti nell’inchiesta, infatti, sono ben 3 quelli che hanno un passato come attivisti e candidati nel partito guidato da Giorgia Meloni, compreso Massimo Hallecker.
Il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Milano, su spinta della Procura della Repubblica, ha notificato nella giornata di ieri lunedì primo agosto un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per corruzione a Massimo Hallecker, ex senior buyer dell’ufficio Acquisti di Fiera Milano.
L’uomo, già dirigente nel gruppo immobiliare Percassi, era stato assunto da Fiera Milano (controllata dalla Regione Lombardia) nel 2017, quindi sotto la giunta guida da Roberto Maroni della Lega.
Un anno fa, però, era stato licenziato, dopo che l’attuale amministratore delegato e direttore generale della società, Luca Palermo, aveva denunciato gli illeciti da lui commessi e che oggi hanno portato a quest’inchiesta.
Oltre a Hallecker, risultano indagate anche altre 11 persone, fra cui Domenico Seidita di Idea servizi srl e Silvestro Riceputi, socio nel consorzio Comipas e in Sanigea srl. Tutti e tre risultano aver avuto un recente passato in Fratelli d’Italia.
Benché Hallecker risulti il perno del sistema corruttivo e ora sia il principale indagato nell’inchiesta, il suo passato in politica e, nello specifico, in Fratelli d’Italia è in realtà quello più deludente di tutti.
L’ex dirigente di Fiera Milano, ora finito agli arresti domiciliari, aveva infatti provato a farsi eleggere fra le fila di Fdi al Consiglio comunale di Cologno Monzese. Il partito della Meloni lo aveva candidato di buon grado, ma poi questo non era riuscito a ottenere abbastanza voti per essere eletto.
Erano invece riusciti a conquistare una poltrona, sempre grazie al partito della Meloni, in quello stesso consiglio comunale Seidita e Riceputi, anche loro attualmente indagati nell’inchiesta per corruzione.
Il primo si è, però, dovuto dimettere nel 2019. Il secondo è invece stato commissariato dallo stesso partito dopo essersi schierato contro l’approvazione del bilancio del Comune di Cologno Monzese (guidato dal leghista Angelo Rocchi), facendo cadere l’intera giunta.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“CHE TIFO PER LA ROMA È NOTO E OVVIAMENTE LA MIA FEDE CALCISTICA NON MI CONSENTE DI INDOSSARE LA MAGLIA BIANCOCELESTE”
Draghetta, ma soprattutto aquilotta. La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha sempre
detto di tifare per la Roma e lo ha rimarcato negli anni ad ogni occasione utile. Tanto da definirla una «fede calcistica nota».
Eppure nelle chat di fine anni ’90 in cui si faceva chiamare “la draghetta di Undernet” della squadra giallorossa Meloni parlava come dell’unica che «può perdere qualsiasi cosa ci sia da perdere» e concordava con chi la definiva «la rometta».
Già, perché all’epoca la fede era tutt’ altra: Meloni da giovane era una laziale sfegatata e assicurava che avrebbe per sempre tifato per i biancocelesti.
Eppure qualche anno dopo, quando nel 2015 era divenuta ormai protagonista della scena politica nazionale, su un più moderno Facebook la leader di FdI dichiarava apertamente: «Che tifo per la Roma è noto e ovviamente la mia fede calcistica non mi consente di indossare la maglia biancoceleste. Vorrà dire che per solidarietà la regalerò a mia madre che, ahimè, è tifosa della Lazio».
Era una risposta alle polemiche sollevate dal quotidiano francese Le Monde sulla scelta della Lazio di avere una maglia nera con cui giocare. Già da tempo Meloni si dichiarava romanista e, quando nel 2011 era ministra dello Sport, ai giovani che vinsero la Coppa Italia nella Lazio del calcio a 5 era arrivata a dire: «Siete l’unica Lazio che posso tifare».
Ma come è possibile? Se lo chiede in rete chi a fine anni ’90 e nei primi anni 2000 chattava con Meloni (nome in codice Khy-ri) e passava le ore a discutere di calcio.
«Era ridicola come poster di usenet, figuriamoci che credito le posso dare come politica – il commento di un utente che spunta fuori cercando tra gli archivi di google groups – E lo dico a prescindere dal suo schieramento, una che da laziale si finge romanista per guadagnare in immagine non merita la mia considerazione».
Le vecchie chat in effetti mostrano la lazialità meloniana in tutto il suo vigore. «Sempre forza Lazio» scriveva a caratteri cubitali nel 2003.
Tre anni prima, un certo Maury apriva la conversazione così: «Seriamente parlando, con le squadre che ci sono in Uefa solo la rometta la può perdere». Risposta della giovane Meloni: «Sono assolutamente d’accordo con te… su tutti gli obiettivi, ormai solo la Roma può perdere qualsiasi cosa ci sia da perdere».
Ancora Maury, che non era né della Roma né della Lazio: «Quasi quasi se non eri lazzziale mi eri simpatica». La replica: «Quasi quasi… ma sono laziale, anzi lazialissima… e sebbene terrei tanto alla tua considerazione, pur con molta sofferenza, continuerò ad essere lazialissima». Segue faccina con sorrisi annessi.
Meno festose le discussioni, sempre in rete, in cui Meloni attaccava la Juventus, tanto da essersi guadagnata il rimprovero di un utente che la definiva «antijuventina ancor prima che laziale». Lei invece spergiurava di essere “lazialissima”. Poi la fede è crollata e tutto è cambiato.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2022 Riccardo Fucile
CON GLI ACCORDI DI DOHA, I TALEBANI AVEVANO ASSICURATO AGLI USA LA PIENA COLLABORAZIONE CONTRO I GRUPPI TERRORISTICI E INVECE IL CAPO DI AL QAEDA SI NASCONDEVA A KABUL
A quindici giorni esatti dal primo anniversario della caduta della capitale afghana Kabul in mano ai talebani, un drone americano ha ucciso a Sharpur – un quartiere nel centro della città – l’egiziano Ayman al Zawahiri, 71 anni, leader dell’organizzazione terroristica Al Qaeda. Nella notte ha parlato il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in diretta dalla Casa Bianca.
Al Zawahiri è il successore di Osama Bin Laden, ucciso dalle forze speciali americane durante un raid a Abbottabad in Pakistan il 2 maggio 2011. E come allora ci si chiedeva come facesse Bin Laden a vivere indisturbato a poche centinaia di metri da un’accademia militare pachistana, oggi ci si chiede: quale livello di protezione avevano assicurato i talebani afghani al capo di Al Qaeda per consentirgli di nascondersi proprio a Kabul?
Secondo le prime indiscrezioni con Al Zawahiri sarebbe stato ucciso anche il figlio di Sirajuddin Haqqani, ministro degli interni afghano, in passato ricercato per terrorismo dagli Usa. In teoria i talebani negli accordi di Doha avevano garantito agli americani la piena collaborazione contro i gruppi terroristici in cambio del ritiro delle truppe, quindi adesso i casi sono due.
O al Zawahiri è arrivato a Kabul grazie alla protezione dei talebani oppure lo ha fatto di nascosto. La prima ipotesi è la più probabile perché i talebani hanno rapporti di lunga data con Al Qaeda e negli ultimi anni moltissimi capi di medio e alto livello sono stati trovati e uccisi in Afghanistan, prima che il paese cadesse sotto il controllo dei guerriglieri islamisti.
L’attacco con i droni
La risposta potrebbe essere anche un misto della prima e della seconda ipotesi, perché i talebani non sono un blocco singolo e ci sono diverse fazioni in lotta tra loro – una fazione potrebbe aver portato al Zawahiri a Kabul contro il volere di altre fazioni.
Da un anno i talebani sono impegnati in una campagna di pubbliche relazioni per far accettare alla comunità internazionale il proprio governo come legittimo, ma questa pretesa si scontra con la realtà: le ragazze non possono frequentare le scuole e adesso il capo di un’organizzazione terroristica è stato trovato dagli americani a Kabul.
Il fatto che gli americani abbiano scelto di bombardare con un drone rende improbabile l’idea di un possibile accordo sottobanco tra americani e talebani per tradire Zawahiri, altrimenti gli americani avrebbero fatto intervenire le truppe speciali come nei raid per uccidere Bin Laden oppure il capo dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi.
Il drone ha colpito, secondo le prime testimonianze, alle sei del mattino di sabato e avrebbe ucciso due persone. Si tratta di un raro esempio di operazione antiterrorismo cosiddetta “over the horizon”, nel senso che gli americani non sono più in Afghanistan e quindi devono colpire “da oltre l’orizzonte”, quindi dalle basi nel Golfo lontane molte ore di volo, con tutti gli svantaggi che ne derivano. Al Zawahiri era la guida senza più carisma di un’organizzazione che era ormai debole al centro e più forte in alcune sue divisioni all’estero, come nel Mali, in Somalia e in Siria.
Adesso in linea di successione c’è Saif al Adel, sessant’anni, ex colonnello delle forze speciali egiziane diventato veterano di Al Qaeda.
L’ultima cosa che si sa di lui è che era agli arresti domiciliari in Iran, ma il regime iraniano potrebbe averlo lasciato libero da tempo – perché al Adel potrebbe essere più dannoso agli interessi americani se lasciato in grado di riorganizzare il suo gruppo. Ma la catena di comando di Al Qaeda è opaca e qualcun altro potrebbe essere già stato designato come successore, senza che la notizia sia filtrata – per ora – fino al pubblico.
(da agenzie)
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