Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
SOPRATTUTTO SE CONTEMPORANEAMENTE LA PERCENTUALE DI VOTI DI LEGA, FDI E FORZA ITALIA DOVESSE ESSERE INFERIORE AL 45%, MAGARI PER UN RISULTATO SUPERIORE ALLE ASPETTATIVE DI AZIONE E DELL’ITALEXIT DI PARAGONE
Tutti i ragionamenti che abbiamo fatto fino ad oggi sull’esito delle prossime elezioni portano alla conclusione che il centro-destra vincerà con una maggioranza assoluta di seggi sia alla Camera che al Senato. Siamo ancora convinti che questo sia l’esito più probabile.
È una ipotesi basata non solo sulla percentuale di voti che gli è stata sistematicamente attribuita dai sondaggi, che potrebbe forse anche essere sovrastimata, ma soprattutto sul fatto incontestabile che i rivali sono divisi e questo li rende non competitivi.
Ciò premesso, vale però la pena di ipotizzare a quali condizioni questo esito potrebbe non verificarsi.
Come è noto, il sistema elettorale prevede l’assegnazione di circa due terzi dei seggi con formula proporzionale e un terzo in collegi uninominali dove il candidato con un voto in più vince.
Alla maggioranza assoluta il centro-destra può arrivare attraverso combinazioni diverse di seggi proporzionali e di seggi maggioritari. Assumendo che vinca il 42% dei seggi proporzionali gli servirebbe vincere almeno il 65% dei seggi maggioritari per arrivare alla maggioranza assoluta.
Se invece ottenesse il 45% dei seggi proporzionali gli basterebbe vincere il 60% di quelli maggioritari.
In entrambi i casi si tratterebbe di maggioranze risicate. Per ottenere maggioranze più solide la percentuale di seggi dei due tipi deve essere naturalmente maggiore
Ragioniamo sulla base del secondo esempio che abbiamo fatto, cioè l’ipotesi 45-60.
Al Senato il 60% dei seggi maggioritari vuol dire 44 seggi su 74. Quindi, per impedire che il centro-destra possa arrivare a 101 seggi che è la maggioranza assoluta (senza i senatori a vita) gli “altri” dovrebbero vincere 31 seggi.
Quali sono gli “altri” capaci di farlo? La coalizione di centro-sinistra vincerà un certo numero di seggi tra Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Toscana e qualche grande città. Ma non può arrivare a vincerne 31 a meno che i sondaggi non mentano clamorosamente.
Calenda, Italexit ecc non vinceranno nessun seggio (parliamo sempre di seggi uninominali). Resta il M5s.
Fino a poco tempo fa nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che i Cinque Stelle potessero essere competitivi nella arena maggioritaria. Oggi la sensazione che si percepisce è che non sia più così. La sorpresa che potrebbe sconvolgere i pronostici fatti finora potrebbe venire da questa parte.
Nelle elezioni del 2018 alla Camera il M5s ha preso nelle regioni del Sud (da Roma in giù) il 43% dei voti e ha vinto l’83% dei seggi uninominali. Al Senato è andata più o meno allo stesso modo. Anche oggi la sua base elettorale è qui. Al Nord conta poco. Al Sud conta molto grazie al credito che si è conquistato con il reddito di cittadinanza. Per competere nei collegi uninominali del Sud basta avere tra il 30 e il 35% dei voti.
È una percentuale elevata, ma non fuori dalla portata del partito di Conte. Al Sud sono in palio al Senato 31 collegi. Se il Movimento ne vincesse la metà, la somma di questi collegi con quelli che la coalizione di Letta vincerà nel resto del paese potrebbe privare il centro-destra della maggioranza assoluta. Soprattutto se contemporaneamente la sua percentuale di voti dovesse essere inferiore al 45%, magari per un risultato superiore alle aspettative di Azione e dell’Italexit di Paragone.
In questo caso infatti avrebbe meno seggi proporzionali e dovrebbe vincere una percentuale maggiore di seggi maggioritari.
È difficile che uno scenario del genere si realizzi ma non impossibile. I Cinque Stelle ci hanno già sorpreso nel 2013 e nel 2018. Anche allora i sondaggi li avevano largamente sottostimati. Potrebbero sorprenderci di nuovo il 25 settembre. Le conseguenze sarebbero paradossali.
(da Il Sole24ore)
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Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA INSORGE CONTRO LE PAROLE DELLO SCRITTORE FRANCESE… HA VIOLATO IL PENSIERO UNICO SOVRANISTA?
L’ultima parola spetterà oggi all’Autorità per le comunicazioni (Agcom). Ma il duro attacco al centrodestra italiano, accusato di fascismo dal filosofo francese Bernard-Henri Levy nella puntata di lunedì scorso de Il cavallo e la torre , condotto su Rai3 da Marco Damilano, ha già prodotto un tentativo di riequilibrio nella puntata di ieri.
Levy, intervistato sul tema della legittimità del voto popolare, aveva definito il leader della Lega, Matteo Salvini, «patetico e ridicolo» e i suoi «traditori della patria che negoziano il futuro del Paese nel retrobottega con inviati dell’ambasciata russa», mentre lo stesso leader «prepara segretamente un viaggetto a Mosca per andare a negoziare il suo futuro politico».
Per il filosofo «c’è una tentazione fascista in Europa, in particolare in Italia, e bisogna prenderla di petto». Levy ha sostenuto che l’Italia merita di più di Salvini, Meloni o Berlusconi. E ha detto che «non bisogna sempre rispettare l’elettorato: un fascista che arriva al potere non si converte automaticamente in democratico».
«Sono sue parole» ha preso le distanze Damilano, dissentendo sul suffragio universale: «Qui la campagna elettorale non è in mano a un partito che vuole cancellare la democrazia». Un concetto ripetuto dal conduttore a fine puntata: «L’Italia non è la Russia di Putin».
(da agenzie)
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Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
BIDEN NON HA DIMENTICATO IL DISCORSO DI GIORGIA AL CONGRESSO DEI CONSERVATORI E IL FORCING DELL’ASSE FRANCO-TEDESCO È UN ALTRO ELEMENTO DI CUI WASHINGTON TIENE CONTO
Due sere fa, mentre ritirava a New York il premio dell’Annual Awards Dinner, Mario Draghi ha ascoltato i discorsi dell’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, del Ceo di Blackstone Group Stephen Schwarzman e del Rabbino Arthur Schneier.
Tutti convinti sostenitori della «visione» e della «leadership» dell’ex numero uno della Bce che «ha ispirato una rinnovata fiducia globale nell’Italia». Pure il presidente Joe Biden ha mandato un saluto per l’occasione. E si è complimentato con Draghi, definendolo «una voce potente». Lodi ed elogi per quanto fatto e, aggiunge Schwarzman, «per quanto potrà fare» in futuro. Già, perché al World Statesman Award, c’è un pezzo importante dell’America che conta. E tutta ragiona come se Draghi fosse ancora saldamente in campo e come se in Italia non fossero ormai imminenti le elezioni.
In verità, siamo ormai alla vigilia del voto. E a certificarlo non c’è solo il dato fattuale del calendario, ma pure le tensioni di una campagna elettorale ormai agli sgoccioli. Così forti, da incrinare un rapporto di reciproca stima che – nonostante distanze e divergenze di vedute – negli ultimi mesi non era mai venuto meno. Quello tra Draghi e Giorgia Meloni.
Il primo le ha sempre riconosciuto il ruolo di opposizione responsabile, concedendogli in questo anno diversi e lunghi faccia a faccia a Palazzo Chigi (a differenza di quanto accaduto ad alcuni leader della maggioranza).
La seconda, invece, ci ha tenuto ad evitare gli argomenti propagandistici e non eccedere nei toni, limitando le critiche al governo al merito dei provvedimenti, tanto che per l’occasione qualcuno ha rispolverato il soprannome di «draghetta».
Da una settimana a questa parte, però, l’equilibrio è cambiato. Con una tensione crescente, frutto anche del pressing dell’Ue e, in particolare, dell’asse franco-tedesco. Non è un caso che negli ultimi giorni la Meloni sia finita nel mirino di Parigi e Berlino, con il Financial Times e il Guardian che sono arrivati a profetizzare «conseguenze terribili» nel caso di una sua vittoria.
La spinta che arriva da Bruxelles, insomma, è pressante. E, a cascata, anche i vertici dell’amministrazione americana iniziano a guardare al voto italiano con particolare interesse.
E’ anche per questo che negli ultimi giorni Draghi ha cambiato approccio rispetto alla Meloni. E dal discorso al Meeting di Rimini che in molti, anche nel Pd, avevano letto come una legittimazione è passato all’affondo di qualche giorno fa in conferenza stampa. Con la Meloni che l’altro ieri ha risposto per le rime.
Nervosismi da campagna elettorale, è l’impressione che ne hanno avuto a Palazzo Chigi. Più o meno lo stesso ragionamento che fanno a via della Scrofa, dove la convinzione è che l’ex Bce voglia mantenere la sua equidistanza ora che siamo alla vigilia del voto.
Draghi, intanto, prosegue la sua quattro giorni a New York. E punta ad un faccia a faccia con Biden, anche solo nel format informale del pull aside, visto che il presidente americano avrà un solo bilaterale (con la premier britannica Liz Truss). Sul tavolo ci sarà la crisi ucraina, soprattutto dopo la decisione di Mosca di indire i referendum per l’indipendenza del Donbass. Ma è probabile che l’amministrazione americana chieda anche rassicurazioni sulle prospettive dell’Italia, fino ad oggi partner più che affidabile nel far muro al Cremlino.
A Washington, infatti, il timore è che la presenza della Lega nel prossimo esecutivo possa ammorbidire la posizione italiana. Timore, peraltro, che in cuor suo coltiva la stessa Meloni.
Di qui, l’auspicio americano per nulla velato affinché Draghi resti al suo posto. Anche se il diretto interessato, a margine del Youth4Climate, sembra ignorare le sollecitazioni. «Avrò tempo libero», scherza. Poi l’intervento davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e la netta presa di posizione contro Mosca: «I referendum sono un’ulteriore violazione del diritto internazionale». Ma l’Italia resta «in prima linea per provare a raggiungere un accordo».
(da Il Giornale)
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Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
SI SCATENA LA FECCIA CRIMINALE PUTINIANA CHE ESULTA PER IL SUO ASSASSINIO
Per i familiari e gli amici di Benjamin Giorgio Galli – il 27enne foreign fighter italo-olandese originario di Bedero Valcuvia (in provincia di Varese) morto in Ucraina combattendo come volontario con la Legione Internazionale di difesa di Kiev contro l’esercito russo – è il giorno del dolore, ma anche della rabbia.
Da ore infatti la sorella Anna Victoria Galli sta rispondendo agli hater che postano insulti sulla bacheca Facebook di suo fratello o addirittura esultano per la sua tragica fine.
“Ben era un’anima pura. Ha scelto di andare in Ucraina per aiutare le persone . Spiace vedere gente ignorante e insensibile che scrive senza sapere nulla. Lui era mio fratello, l’unica persona che mi è sempre stata vicina. Nel mio primo ricordo c’è lui”.
C’è anche qualcuno che si rivolge direttamente al 27enne morto in Ucraina per chiedergli: “Perché sei andato a combattere una guerra non tua?”. È ancora una volta la sorella a postare la propria indignazione di fronte a queste considerazioni: “Secondo te mio fratello può risponderti?”.
Sempre tramite Facebook è intervenuta anche Mirjam Van der Plas, la madre di Benjamin Giorgio Galli, che si trova a Kiev insieme al marito, in attesa di ottenere le autorizzazioni necessarie per vedere la salma del figlio e riportarla in Italia: “Dite pure ciò che pensate, ma rispettate il mio dolore – ha scritto – Nessuno si permetta di giudicare la scelta di mio figlio. Oltre al dolore che stiamo provando, non infangate la memoria di un ragazzo con un ideale, la libertà”.
E ancora: “Ben non ha accettato l’invasione russa del territorio di un popolo sovrano ed è andato volontario ad aiutare i suoi fratelli. Anche perché per Dio noi siamo tutti fratelli”. Sono però molto numerosi anche i messaggi di stima, affetto e solidarietà di chi definisce il foreign fighter originario del Varesotto “un eroe” e “un esempio per tanti”.
Gli amici che lo frequentavano quando viveva in Italia sono comprensibilmente chiusi nel loro dolore: “Posso solo dire che Ben era un bravo ragazzo e un ottimo componente del nostro team” è l’unico commento di Giuseppe Lombardo, presidente dell’A-Team Tre Valli di Cunardo (in provincia di Varese), che Galli frequentava e definiva sui social “il miglior team che ci sia”
(da agenzie)
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Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
ALLA FINE SI DIMETTE DAL PARTITO, MA PROBABILMENTE SARA’ ELETTO ALLA CAMERA NEL COLLEGIO UNINOMINALE DI AGRIGENTO… LA MELONI LO AVEVA DEFINITO “AFFIDABILE, COERENTE, SERIO E CONCRETO”
Una serie di post tra il 2014 e il 2016 – tra giovani balilla, frasi come “W i camerati“, Adolf Hitler definito “grande statista” e apprezzamenti per Vladimir Putin – gli sono costati la sospensione immediata da Fratelli d’Italia.
Calogero Pisano è stato così “sollevato da ogni incarico di partito, a partire da quello di coordinatore provinciale di Agrigento e di componente della Direzione nazionale“, si sono affrettati a dichiarare dal partito di Giorgia Meloni dopo che Repubblica aveva pubblicato i post contestati: “Da questo momento in poi Pisano – si legge in una nota – non rappresenta più FdI a ogni livello e a lui viene inibito anche l’utilizzo del simbolo”.
Sospeso dunque, anche se ovviamente rimane candidato al collegio uninominale di Agrigento per il centrodestra: un seggio che, stando ai sondaggi, dovrebbe garantirgli l’elezione alla Camera.
Lo stesso Pisano, con una nota, ha chiesto scusa “a chiunque si sia sentito offeso da quei post che a distanza di anni giudico indegni”: “Anni fa – ha aggiunto – ho scritto cose profondamente sbagliate. Avevo cancellato il mio profilo personale su Facebook perché mi vergognavo delle cose che erroneamente avevo pubblicato”.
Scuse pubbliche quindi, mentre in privato il candidato usava tutto un altro tono. Con un audio inviato su WhatsApp ai suoi sostenitori, infatti, Pisano ha cercato di ridimensionare la vicenda: “Questa, tra virgolette, sospensione – dice – è dovuta solo al fatto di questo post e quindi abbiamo dovuto prendere le distanze e anche io mi sono dovuto sospendere solo per questi due-tre giorni, fino a quando non arriviamo alle elezioni. Quindi state tranquilli che resta in carica (la candidatura ndr) e siamo sempre più forti di prima“.
Sospensione temporanea, quindi. Almeno da quello che lo stesso Pisano sostiene nell’audio inviato ai suoi. Ilfattoquotidiano.it ha contattato il diretto interessato per chiedere una replica sul contenuto della nota audio, senza però ottenere alcuna risposta.
Però deve averci ripensato visto che, nel tardo pomeriggio, ha infine annunciato le sue dimissioni volontarie dal partito sostenendo di “non voler trascinare Fratelli d’Italia in situazioni imbarazzanti”, dopo la conferma del deferimento ai Probiviri per provvedimento disciplinare. Adesso bisognerà capire se, in caso di elezione, il candidato che definiva Hitler un “grande statista” sarà ammesso al gruppo parlamentare del partito di Giorgia Meloni. O se queste dimissioni annunciate oggi dureranno anche dopo il voto di domenica.
Pisano non è un esponente di seconda fascia in Fratelli d’Italia. Militante sin da giovanissimo nei movimenti giovanili di destra e poi in Alleanza nazionale e Fratelli d’Italia, ha sempre avuto un forte legame con Giorgia Meloni. Sono tante le foto che li ritraggono insieme, da giovani militanti a eventi e riunioni di partito. In questo senso Pisano è un vero e proprio fedelissimo della leader di Fdi.
La stessa Meloni lo ha voluto candidato sempre all’uninominale ad Agrigento anche alle politiche del 4 marzo del 2018. In quel caso Pisano non fu eletto, visto l’exploit siciliano del Movimento 5 stelle. In uno spot di quella competizione elettorale Meloni descriveva Pisano come una persona “affidabile, coerente, seria e concreta”. Insieme hanno condiviso militanza e percorso politico.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
LA ESILARANTE GIUSTIFICAZIONE DEL PARTITO: “STAVA INVITANDO GLI ALTRI AD ABBASSARE LE BRACCIA TESE”… PECCATO CHE LE IMMAGINI DICANO L’OPPOSTO
Il rito fascista del “presente!”, scandito tre volte di fila e accompagnato dalle braccia tese nel saluto romano. Tra i camerati disposti in file ordinate, lui, Romano La Russa, assessore regionale alla Sicurezza di Fratelli d’Italia in Regione Lombardia, fresco di nomina e subentrato nella giunta Fontana al posto di Riccardo De Corato che ha deciso di candidarsi in Parlamento.
È successo lunedì 19 settembre a Milano al funerale di Alberto Stabilini, storico esponente dell’estrema destra milanese e in passato membro del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Msi nella quale militò anche Giorgia Meloni. La ‘palestrà politica dalla quale provengono decine di esponenti di primo piano di FdI.
La presenza di un assessore regionale alle esequie del camerata Stabilini non poteva passare inosservata. E a far discutere sono le modalità. Perché il fratello del più noto Ignazio La Russa, cofondatore di FdI e già ministro della Difesa, quando si è trattato di onorare la memoria di Stabilini con il saluto romano, non si è tirato indietro, anzi.§
In un video si vede il gruppo, con al centro Romano La Russa, che urla “presente” per Stabilini e tende il braccio destro. Il neo assessore regionale non ha ritenuto, evidentemente, di sottrarsi, per motivi di opportunità ‘istituzionale’, al ricordo fascista.
Qual è il rapporto che legava La Russa a Stabilini? Militanti dell’estrema destra meneghina negli anni di piombo, i due vengono arrestati il 4 agosto 1974 – insieme ad altri cinque camerati – per i i fatti del “Giovedì nero” di Milano. È il nome con cui le cronache del tempo indicarono le violenze compiute giovedì 12 aprile 1973 nel capoluogo lombardo da militanti di gruppi neofascisti durante una manifestazione prima autorizzata e poi vietata all’ultimo dalla questura.
Il “giovedì nero” culminò in un episodio drammatico: l’uccisione dell’agente di polizia Antonio Marino, colpito al petto da una bomba a mano lanciata da due neofascisti, Vittorio Loi – figlio del campione di pugilato Duilio Loi – e Maurizio Murelli (quest’ultimo è da anni editore di riferimento della destra radicale italiana).
Al “giovedì nero” parteciparono anche Romano La Russa e il defunto Stabilini che in seguito ai disordini furono raggiunti da un provvedimento di custodia.
Immediate le polemiche. Fabio Pizzul, capogruppo del Pd al Pirellone, attacca: “E’ un fatto molto grave, non degno di un’istituzione democratica come la Regione Lombardia, pertanto chiediamo all’assessore La Russa di dissociarsi pubblicamente. In caso questo non avvenisse, ci attendiamo che sia il presidente Fontana a censurare il gesto del suo assessore, senza costringerci a depositare in Consiglio una mozione di censura contro La Russa”.
E sulla polemica interviene con una nota Fratelli d’Italia di Milano: “In relazione a una immagine in cui è ripreso di spalle Romano La Russa nell’occasione del funerale di Alberto Stabilini va precisato che l’estremo saluto era stato richiesto in vita dal defunto e che Romano era cognato e amico di una vita di Alberto. Quel che preme sottolineare, e che non emerge dal video, è che Romano ha invitato tutti a non fare il saluto romano. Emerge invece con chiarezza che il movimento del braccio di Romano non ha nulla a che fare col saluto fascista ma al contrario testimonia il suo invito ai presenti ad astenersi dal saluto. Basta verificare il movimento del suo braccio, peraltro assente durante le chiamate consecutive che comunque la Cassazione ha sancito non essere reato se effettuato in un funerale”.
(da agenzie)
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Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
AFFONDA LA BORSA DI MOSCA DOPO CHE PUTIN HA DICHIARATO LA MOBILITAZIONE PARZIALE DEL PAESE E HA PROMESSO CHE USERÀ TUTTI I MEZZI PER DIFENDERE IL PAESE…SI IMPENNA IL PREZZO DEL PETROLIO E DEL GAS
Nuovo crollo della Borsa di Mosca dopo che il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato la mobilitazione parziale del Paese e ha promesso che userà tutti i mezzi per difendere il Paese.
L’indice Moex, che ieri aveva perso l’8,8%, oggi è sprofondato fino a un massimo del 9,6% in avvio di contrattazione per poi recuperare un po’ di terreno e limitare le perdite al 5,4%.
Si impenna il prezzo del petrolio con il Wti e il Brent che salgono di circa il 3%, rispettivamente, a 86,4 a 93,4 dollari al barile. A far schizzare le quotazioni del greggio è stato il discorso del presidente russo, Vladimir Putin, che segna un’escalation nella guerra in Ucraina, con il rischio di nuove turbolenze sulle forniture globali di energia.
Il prezzo del gas ritorna sopra i 200 euro al megawattora mentre il presidente russo, Vladimir Putin, chiama la Russia alla mobilitazione parziale per far fronte alla guerra in Ucraina.
Borse europee deboli in avvio, demoralizzate dal discorso del presidente russo Vladimir Putin, che ha chiamato il Paese alla mobilitazione parziale, e in attesa della decisioni della Fed sui tassi, che rischiano di soffocare l’economia nel tentativo di domare l’inflazione. Francoforte cede lo 0,6%, Parigi lo 0,5% mentre Londra e Milano riescono a tenere la parità, in rialzo, rispettivamente, dello 0,2% e dello 0,4%. Poco mossi i future su New York. Le parole di Putin, che ha minacciato il ricorso a ogni mezzo nella sua guerra con l’Occidente, hanno surriscaldato i prezzi dell’energia.
Male invece l’euro, che sconta la forza del dollaro, con cui scambia a 0,99, e l’escalation in Ucraina, con i rischi connessi per l’economia del Vecchio Continente. Calano invece i rendimenti dei titoli di Stato con il Btp che flette di 6 punti al 4,11% mentre lo spread con il bund è sostanzialmente invariato a 226 punti base. A Piazza Affari corre Leonardo (+6,2%) con Tenaris (+3,2%), Unicredit (+2,5%) e Tim (+2,7%) mentre arrancano Mps (-3,6%), Moncler (-1%) e Recordati (-1%).
(da agenzie)
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Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
CHI PUO’ SCAPPERA’ DAL REGIME CRIMINALE, LE DISERZIONI AUMENTERANNO … SOLO IL 3% DELLA POPOLAZIONE E’ DISPOSTA AD ANDARE A COMBATTERE
Subito dopo il messaggio di Vladimir Putin alla nazione, in cui ha annunciato la mobilitazione parziale per la guerra contro l’Ucraina e il richiamo di 300mila riservisti, sono andati esauriti i biglietti per i voli odierni da Mosca, verso Erevan e Istanbul (tra le poche destinazioni con volo diretto).
Lo scrive su Telegram la testata indipendente russa Meduza.
La preoccupazione per la mobilitazione generale e la conseguente chiusura dei confini sono evidentemente un timore palpabile tra i russi ora che Putin ha fatto il primo passo.
Da notare che a fronte di sondaggi che danno il consenso dei russi all’operazione militare a oltre il 70% e quello per Putin che supera l’80%, solo il 3 % della popolazione si dice disposta a combattere per la Russia.
Intanto su Telegram in russo circolano già gli elenchi delle organizzazioni che offrono consulenza per la tutela dei diritti del personale militare.
(da agenzie)
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Settembre 21st, 2022 Riccardo Fucile
AL GRIDO “L’OCCIDENTE VUOLE DISTRUGGERCI” MINACCIA L’USO DI ORDIGNI ATOMICI COME TUTTI I DISPERATI… CROLLA LA BORSA DI MOSCA… CINA E INDIA PRENDONO LE DISTANZE DALLO PSICOPATICO
Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato una mobilitazione militare parziale in Russia nel suo discorso alla Nazione. «L’Occidente vuole distruggerci», ha detto lo Zar. «Sta tentando di trasformare il popolo ucraino in carne da cannone. Il nostro obiettivo è liberare il Donbass».
Putin ha detto di aver ordinato al governo russo di concedere uno status giuridico ai volontari che combattono nelle regioni occupate. E che l’Operazione Speciale cominciata il 24 febbraio era «inevitabile», perché «tanta gente in Ucraina non vuole stare sotto un regime nazista».
Il presidente ha annunciato «supporto» ai referendum per l’annessione del Donbass e di Cherson. E che è pronto a usare «tutti i mezzi necessari» per difendere il paese. Fa anche sapere di aver già firmato il decreto che proclama la “mobilitazione militare parziale”. Che comincia da oggi. E prevede il richiamo dei militari della riserva.
La minaccia nucleare
Putin ha detto che la liberazione del Donbass è un proposito «irremovibile». Poi ha minacciato l’uso di armi nucleari: «Useremo certamente tutti i mezzi militari a nostra disposizione. Coloro che cercano di ricattarci con armi nucleari dovrebbero sapere che le abbiamo anche noi». E ha spiegato cos’è la mobilitazione militare parziale: «La leva militare riguarderà i cittadini che fanno già parte delle riserve e quelli che hanno svolto servizio militare nelle forze armate e hanno esperienza. I richiamati, prima di essere richiamati al fronte, svolgeranno ulteriore addestramento».
Putin ha anche annunciato di aver disposto l’aumento dei volumi di produzione dell’industria militare. «Nella sua aggressiva politica anti-russa l’Occidente ha superato ogni limite», ha sostenuto Putin.
Il presidente russo ha detto che userà «tutti i mezzi a nostra disposizione» e che coloro che stanno cercando di usare il ricatto nucleare contro la Russia scopriranno che le carte in tavola possono essere rivoltate contro di loro. «Non sto bluffando», ha concluso.
Il decreto che proclama la mobilitazione militare parziale è stato già pubblicato dal Cremlino. Prevede che siano i capi delle diverse regioni ad assicurare l’arruolamento nella quantità di uomini e nei tempi stabiliti dal ministero della Difesa. Che ha precisato che il decreto si applica a chiunque abbia avuto esperienze militari nell’esercito. Dovrebbero essere circa 300 mila i riservisti mobilitati.
Il presidente russo ha sostenuto che «l’Ucraina è stata riempita di armi ancora di più» e che «unità militari addestrate secondo gli standard della Nato» sono «sotto il comando effettivo di consiglieri occidentali». E ha anche affermato che Kiev «ha lanciato» quelle che lui definisce «nuove bande di mercenari stranieri e nazionalisti».
Le conseguenze
A poche ore dalla messa in onda del discorso, le parole di Putin hanno già avuto agitato i mercati di tutto il mondo, con due principali conseguenze: il crollo della borsa di Mosca e un nuovo aumento del prezzo del gas. La «mobilitazione parziale» annunciata dal presidente russo ha fatto precipitare l’indice Moex, che ieri aveva perso l’8,8% e oggi è sprofondato fino a un -9,6% in avvio di contrattazione, salvo poi recuperare un po’ di terreno nel corso della mattinata.
I toni di minaccia di Putin hanno fatto lievitare le quotazioni del gas sul mercato di Amsterdam, dove il prezzo dei future Ttf è tornato sopra i 200 euro al megawattora, con un rialzo del 9,1%. Al di là delle ripercussioni economico-finanziarie, il discorso di Putin sembra aver spaventato anche una parte degli stessi cittadini russi. In poche ore, le ricerche Google su come lasciare la Russia si sono impennate, mentre i biglietti per i voli diretti a Istanbul, Erevan e Tbilisi – le uniche destinazioni raggiungibili senza scalo – sono già quasi esauriti.
(da agenzie)
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