Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
SECONDO LE FONTI DI DAGOREPORT. OLTRE AI PUTINIANI RISAPUTI COME MARINE LE PEN E ORBAN, IN MEZZO C’È L’ITALIA, STARRING LA LEGA… A PARTIRE DA GIANLUCA SAVOINI, DOMINUS DELL’OPERAZIONE PETROLIFERA DEL METROPOL DI MOSCA
E’ chiaro che non sia stato un caso il rapporto dell’intelligence statunitense che rivela i 300 milioni di finanziamenti russi a forze politiche in due dozzine di paesi, allo scopo di influenzare e interferire nei loro processi politici. Una bomba, per i nostri Salvini, a undici giorni dalle elezioni.
In attesa che il segretario di Stato Antony Blinken, gran frequentatore dei salotti parigini (ha studiato in Francia) scodelli la lista, la caccia ai nomi beneficiati da Mosca, è cominciata.
Oltre ai putiniani risaputi come Marine Le Pen e Orban, da fonti autorevoli Dagospia apprende che il primo nome della lista è quello di Jimmie Akesson, leader dei Democratici Svedesi, nati dalle ceneri dei neonazisti, con una solida alleanza con Fratelli d’Italia all’Europarlamento.
In mezzo c’è l’Italia, starring la Lega. A partire da Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Matteo Salvini, dominus dell’operazione petrolifera del Metropol di Mosca, accusato di aver fatto da tramite per far arrivare alla Lega un finanziamento illecito da 65 milioni di euro dalla Russia di Vladimir Putin. A proposito, che fine hanno fatto le indagini del tribunale di Genova su Savoini?
Sottolineano Giuliano Foschini e Tommaso Ciriaco oggi su “la Repubblica”: “Il nodo dei rapporti tra i russi e Matteo Salvini era stato sollevato pochi giorni fa su Repubblica da un’ex analista della Cia, Julia Friedlander, ai tempi di Trump consigliere per l’Europa nell’Office of Terrorism and Financial Intelligence del dipartimento al Tesoro e dal 2017 al 2019 Director for European Union, Southern Europen and Economic Affairs al Consiglio per la Sicurezza Nazionale”.
“Penso che Matteo Salvini abbia un interesse politico personale nel suo rapporto con la Russia. Assolutamente”, afferma la Friedlander.
E aggiunge: “Il problema è che non è facile tracciare questi collegamenti economici. Usano le shell company, compagnie inattive che offrono donazioni alle campagne politiche, o lobbisti informali che spingono certi contratti, che riflettono gli interessi russi. Quindi è difficile provare che il Cremlino abbia staccato un assegno per Marine Le Pen, ma è interessante studiare connessioni e intermediari”.
(da Dagoreport)
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Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
GROTTESCO: A QUANDO QUELLI DEI LAGHI, DEI FIUMI, DELLA COLLINA E DELLA PIANURA?… LO SCOPO: COLATE DI CEMENTO DOPO AVER ALLENTATO I VINCOLI AMBIENTALI
Prima Salvini ha chiesto il ministero del Mare in Sicilia per arruffianarsi gli elettori del sud. E adesso per non scontentare quelli del nord il leghista ligure Rixi invoca il ministero della montagna. Resta da capire se chiederanno anche il ministero dei leghi, dei fiumi, della collina e della pianura, per fare tombola
«Chiediamo un ministero apposito. La montagna è il cuore verde dell’Italia, non può restare indietro- afferma il deputato- le aree montane del nostro Paese soffrono una carenza di infrastrutture all’avanguardia e servizi, soprattutto sociosanitari. Nella nostra Liguria, ad esempio, i territori che corrispondono ai Parchi delle Alpi Liguri, Aveto, Antola e Beigua, insieme ad altri comuni limitrofi. Scuole e asili sono chiuse in molte di queste aree, mettendo in difficoltà il mondo del lavoro e delle imprese».
Dall’esponente del Carroccio una serie di idee concrete «per restituire competitività a questi territori e combatterne lo spopolamento. Serve una definizione aggiornata di Comune montano, con una fiscalità di vantaggio per ridare slancio al lavoro in montagna. Servono meno burocrazia per gli enti locali e più servizi per i cittadini, tenendo ben presente che la montagna è diversa dalla città. Bisogna, inoltre, sviluppare una proposta formativa scolastica locale adeguata. I vincoli, infine, vanno bene, ma fatti con intelligenza».
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
URSO (COPASIR) AMBIGUO: “AL MOMENTO L’ITALIA NON RISULTA, MA LE COSE POSSONO CAMBIARE”
«Ho convocato una riunione del Copasir venerdì perché sono convinto che da qui a due giorni avremo più informazioni» sul rapporto dell’intelligence Usa che riferisce di finanziamenti della Russia a partiti di Paesi esteri.
Lo ha detto il presidente del Copasir Adolfo Urso a margine di un punto con la stampa italiana a Washington. Il senatore di Fratelli d’Italia ha ribadito che “al momento l’Italia non risulta tra i Paesi coinvolti «ma le cose possono sempre cambiare». Per questo «approfondiremo la questione con Franco Gabrielli nei prossimi giorni».
«Non entreremo nello specifico delle informazioni di intelligence, ma siamo stati chiari in merito alla nostra preoccupazione sull’attività della Russia per influenzare il processo democratico in vari Paesi nel mondo, compreso il nostro». Il Dipartimento di Stato degli Usa fa sapere tramite un suo portavoce che, appunto, non fornirà altri dettagli sulla revisione dei servizi segreti sui finanziamenti russi a determinate forze politiche straniere.
Le indagini hanno portato alla luce i trasferimenti per oltre 300 milioni di dollari a candidati e partiti in 24 Paesi di tutto il mondo a partire dal 2014.
«L’influenza politica russa pone una sfida importante agli Stati Uniti e ad altre democrazie nel mondo», continuano dal Dipartimento, «abbiamo lavorato per renderla pubblica dopo averla scoperta. Dobbiamo lavorare con i nostri alleati nel mondo per rivelare gli sforzi di influenza russa e aiutare altri Paesi a difendersi contro questa attività». In discussione ci sarebbe anche il ruolo degli Stati Uniti. Anche se quest’ultima revisione non ha affrontato le attività russe in territorio statunitense, è già stato provato attraverso il lavoro delle agenzie di spionaggio e di un’indagine bipartisan del Senato come la Russia abbia lanciato una campagna per interferire nelle elezioni presidenziali del 2016 per assistere l’allora candidato Donald Trump.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
QUALCUNO DEVE AVER PENSATO AL NUMERO 1 DEGLI INDUSTRIALI, CHE DA TEMPO SI ERGE A “MORALIZZATORE” MA CHE UN RUOLO OPERATIVO VERO E PROPRIO NON CE L’HA… SFUMATA LA PRESIDENZA DELLA LEGA CALCIO, FORSE BONOMI SPERA DI DIVENTARE NUMERO UNO DI QUALCHE HOLDING PUBBLICA
La pandemia ha messo a dura prova tante attività produttive, tutto il sistema economico è stato ferito. E ora si è aggiunta la guerra in Ucraina con la crisi energetica che ne sta derivando. Lo ha detto lunedì 12 settembre papa Francesco ricevendo in udienza nell’Aula Paolo VI gli industriali partecipanti all’Assemblea pubblica di Confindustria, guidati dal presidente Carlo Bonomi.
Bergoglio ha poi voluto ricordare che «l’imprenditore stesso e un lavoratore. Non vive di rendita; il vero imprenditore vive di lavoro e resta imprenditore finche lavora. Il buon imprenditore conosce i lavoratori perché conosce il lavoro».
Affermazioni forti. Sentite queste dichiarazioni sul volto di alcuni dei presenti è apparso qualche ironico sorriso.
Sono molti infatti gli industriali che si domandano che lavoro faccia Bonomi. Sfumata la candidatura alla presidenza della Lega calcio di Serie A, Bonomi continua a non avere ruoli operativi, ma solo incarichi e qualche presidenza. La tentazione di entrare nel prossimo governo è forte ma l’ipotesi sembra tramontata.
La speranza allora resta quella di diventare il numero uno di qualche holding pubblica.
Facciamo però un passo indietro. Attualmente, oltre alla presidenza di Fiera di Milano e Confindustria, Bonomi è presidente di Sidam, la società di forniture biomedicali la cui quota di maggioranza nel settembre 2020 è stata acquisita dal fondo Mandarin Capital di Alberto Forchielli. A vendere era stata la Synopo, riconducibile a Bonomi.
Il numero uno di Confindustria è rimasto però socio della Sidam tramite la Marsupium srl. In questa società Bonomi è il presidente. Inoltre detiene il 40 per cento di Ocean, gli altri due terzi sono divisi equamente tra due dirigenti della Sidam.
I profitti di Marsupium, che nel 2020 ha registrato un utile di quasi 4 milioni, sono da ricondurre principalmente alla vendita di Stanislao srl della propria partecipazione in New Horizon e al conseguente investimento fatto in Medtech holding Spa (20,4 per cento) del capitale.
Peccato che si tratti di giri di quote in società: New Horizon è stata incorporata in Sidam. La sua partecipazione è stata annullata e data in capo al socio della Sidam che è la stessa Medtech holding Spa.
E chi è il presidente di Medtech che controlla Sidam? Sempre Bonomi, attraverso Marsupium.
Un po’ poco per il presidente “moralizzatore” che quotidianamente bacchetta il governo sugli aiuti pubblici e i sindacati sugli aumenti di stipendi che si dovrebbero dare agli operai.
(da Tag43)
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Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
IL REGIME FORFETARIO AL 15% PER LE PARTITE IVA E’ STATO CREATO DAL GOVERNO RENZI
Il 13 settembre, ospite a Cartabianca su Rai 3, il leader della Lega Matteo Salvini ha difeso (min. 16:21) la sua proposta di introdurre la flat tax in Italia, ossia un sistema di tassazione dei redditi con un’unica aliquota del 15 per cento per tutti.
Tra le altre cose, Salvini ha detto che «cinque anni fa», dunque prima che la Lega andasse al governo nel 2018 con il Movimento 5 stelle, la flat tax per le partite «non c’era», mentre oggi, grazie all’operato del suo partito, riguarda «2 milioni di lavoratori autonomi».
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 14 settembre 2022 sul sito di Pagella Politica. Clicca qui per scoprire tutti i fact-checking, divisi per politici e partiti.
Per chi ha fretta
Matteo Salvini afferma che «Cinque anni fa non c’era la flat tax per le partite Iva . Siamo partiti da zero e siamo arrivati a 2 milioni di lavoratori autonomi».
Il regime forfetario al 15 per cento per le partite Iva (quello che Salvini chiama “flat tax”) è stato introdotto alla fine del 2014 dal governo Renzi.
Alla fine del 2018, il primo governo Conte, sostenuto dalla Lega, ha esteso la platea dei beneficiari, arrivando ai 2 milioni circa attuali
Analisi
Il riferimento è alle partite Iva con ricavi fino a 65 mila euro che attualmente beneficiano di un regime forfetario, con il pagamento di un’imposta unica pari al 15 per cento. Secondo i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2020 queste partite Iva erano circa 1,6 milioni, a cui nel 2021 se ne sono aggiunte circa 240 mila, portando il numero degli autonomi con il forfetario vicino ai «2 milioni» citati da Salvini. Il leader della Lega non è però «partito da zero»: il regime forfetario al 15 per cento esisteva già e il primo governo Conte, sostenuto da Salvini, lo ha esteso a più lavoratori
Quando è stato introdotto il forfetario al 15 per cento
Grazie alla legge di Bilancio per il 2019, approvata a fine 2018, i lavoratori autonomi con ricavi fino a 65 mila euro pagano un’imposta unica del 15 per cento. Questa imposta unica esisteva già all’epoca, come spiega un dossier del Parlamento dedicato alla legge di Bilancio per il 2019. Il primo governo Conte ha infatti esteso a più lavoratori «il regime forfettario, con imposta sostitutiva unica al 15 per cento, introdotto dalla legge di Stabilità per il 2015». La legge di Stabilità era il nome con cui un tempo si chiamava una parte della legge di Bilancio.
La legge di cui stiamo parlando fu approvata alla fine del 2014 dal governo guidato da Matteo Renzi, all’epoca segretario del Partito democratico.
Quasi otto anni fa, il governo Renzi introdusse un regime forfetario del 15 per cento per i contribuenti che rispettavano tre requisiti: ricavi inferiori a determinate soglie, fissate tra 25 mila e 50 mila euro, modificate nei due anni successivi; spese inferiori ai 5 mila euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e per compensi erogati ai collaboratori; capitale fisico detenuto non superiore ai 20 mila euro.
Nel 2016, le partite Iva che godevano del regime forfetario al 15 per cento (quello che Salvini chiama “flat tax”) erano quasi 500 mila. Dunque non è vero che la Lega era partita «da zero» su questo fronte.
Il primo governo Conte, sostenuto dalla Lega, ha poi elevato a 65 mila euro il limite dei ricavi per accedere al regime forfetario e ha eliminato alcuni degli altri requisiti per accedere all’imposta unica, estendendo così la platea dei beneficiari.
Conclusioni
Ospite in tv, Matteo Salvini ha dichiarato: «Cinque anni fa non c’era la flat tax per le partite Iva», aggiungendo: «Siamo partiti da zero e siamo arrivati a 2 milioni di lavoratori autonomi».
Le cose non stanno come dice il leader della Lega. Il regime forfetario al 15 per cento per le partite Iva (quello che Salvini chiama “flat tax”) è stato introdotto alla fine del 2014 dal governo Renzi. Il primo governo Conte, sostenuto dalla Lega, ha esteso la platea dei beneficiari, arrivando ai 2 milioni circa attuali.
(da Open)
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Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA SULLE ACCUSE DI ILLECITI
Il comitato etico della Fina, la Federazione internazionale del nuoto, ha sospeso con effetto immediato il presidente della Fin (Federazione italiana nuoto) Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia alla Camera e candidato in posizione blindata con il partito di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del prossimo 25 settembre.
“Le accuse di illeciti oggetto di indagine da parte del comitato etico includono potenziali violazioni delle regole della costituzione della Fina e del suo codice Etico”, si legge in una nota pubblicata sul sito. L’inchiesta del comitato etico riguarda le accuse di malversazione interne alla Len, la lega che riunisce le federazioni di nuoto europee, di cui Barelli è stato presidente tra il 2013 e il 2016.
“Il Comitato Etico della Fina – si legge nella nota – sta attualmente indagando su presunti illeciti da parte del presidente della Fin, ex membro dell’Ufficio di presidenza della Fina ed ex Presidente della Federnuoto europea (Len)”.
Il Collegio ha deliberato di imporre a Barelli una sospensione provvisoria che gli preclude l’esercizio di qualsiasi funzione e la partecipazione a qualsiasi attività all’interno della Fina, delle Organizzazioni Continentali della Fina e delle Federazioni della Fina. “Pertanto Barelli non è idoneo a ricoprire la carica di Presidente della Federazione Italiana Nuoto durante la sua sospensione provvisoria”, sottolinea la nota della Federnuoto mondiale. “La sospensione provvisoria di Barelli rimarrà in vigore fino alla risoluzione di tutte le questioni in corso con il Collegio Etico Fina”, conclude la nota.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
LE CRITICHE DEL “CREMLINO MAGICO”: “QUAL E’ IL RISULTATO DELLA “MISSIONE” IN UCRAINA? LA GERMANIA SI RIARMA COME NON FACEVA DAI TEMPI DI HITLER, E TRA TRE ANNI L’EUROPA NON AVRÀ PIÙ BISOGNO DEL NOSTRO GAS E PETROLIO”
Calma, la guerra non è finita. Mentre in Europa tutti gridano alla vittoria, ed esultano per la controffensiva ucraina che ha costretto i russi al ritiro, a Washington si predica cautela. Gli americani, che hanno investito fior di miliardi per sostenere Zelensky, ci vanno piano.
Il segretario di stato Antony Blinken, e il suo collega della difesa, Lloyd Austin, sono i veri vincitori: sostengono da sempre la linea dura contro Putin, ma sanno anche che le tigri ferite possono diventare molto pericolose. Dunque, l’obiettivo è vincere, ma non stravincere.
Sanno bene, i due, che “Mad Vlad” può cadere soltanto se a farlo fuori sono gli apparati. Non gli oligarchi, che non contano niente e devono tutto allo zar del Cremlino, non i deputati che stanno firmando inutili richieste di dimissioni, ma gli “apparatcik”, i burocrati che lo circondano e influiscono davvero sulle decisioni.
Sono tre gli “apparati” in grado di destituire l’ex agente del Kgb: l’esercito, la polizia e i servizi segreti. Solo loro possono far abbassare la cresta al presidente russo, dato che sono sempre loro a perdere la faccia per via degli schiaffoni che sta prendendo Mosca da Kiev.
Per Putin sono il perfetto capro espiatorio: ogni due settimane, licenzia un generale o uno 007, addossandogli la colpa della disfatta.
Ma il giochino potrebbe durare ancora poco: tra i miilitari il consenso di Putin sta scendendo.
I rifornimenti non arrivano, l’invasione si sta trasformando in un boomerang: che senso ha continuare così?
A tutto questo va aggiunto il mancato sostegno da parte della Cina: Xi Jinping non ha mai inviato sostegno militare a Putin, che è stato costretto a chiedere aiuto alla Corea del Nord e all’Iran.
Un’altra questione che spinge la Casa Bianca alla cautela è legata alla successione al Cremlino: caduto Putin, con chi lo sostituiamo? Una volta c’era il Politburo, le strutture del Partito comunista con le sue gerarchie, i suoi numeri due, a garantire una successione più o meno ordinata.
E oggi? L’unica persona che potrebbe prendere il posto di Zar Vlad è il suo ministro degli esteri, Sergei Lavrov. Le sue doti diplomatiche sono riconosciute in tutto il mondo – era anche contrario all’invasione, salvo poi adeguarsi ai desiderata del capo del Cremlino – ma manca di carisma, di capacità di comando. Insomma, al massimo essere un sostituto temporaneo, di transizione.
Dunque, che succede? Di sicuro a Mosca sanno che così non si può continuare: anche le persone più vicine a Putin, le poche rimaste, si stanno facendo molte domande.
Il presidente è in un bunker anche mentale: il suo vero ideologo, Vladislav Surkov (altro che Dugin), è stato arrestato in aprile, e sono sempre meno le persone che riescono ad avvicinarlo.
Tra questi, il suo burattino Dmitry Peskov, fedele portavoce, e Yuri Kovalchuk, il migliore amico, l’uomo che è stato al suo fianco anche durante l’isolamento nel pieno della pandemia di Covid.
Anche loro hanno capito che la guerra è persa, e bisogna salvare la faccia. Qualcuno, in queste ore, sta sussurrando alle orecchie di Putin, instillando il dubbio: “Qual è ormai il senso dell’operazione speciale che portiamo avanti senza successo dal 24 febbraio?”.
Il senso del ragionamento che si fa tra Cremlino e Lubjanka è questo: “l’unico risultato che abbiamo ottenuto per ora è che la Germania si sta armando come non faceva dai tempi di Hitler, e presto supererà la Francia come potenza militare. I tedeschi, in mutande per l’interruzione del Nord Stream, nel giro di tre anni saranno autonomi, ci odieranno ferocemente e non ci sarà più la russofona Merkel a tutelarci. Non abbiamo più armi e la minaccia nucleare è spompa: se sganci la bomba, ci ammazzi tutti. Ci conviene davvero continuare così”?
(da Dagoreport)
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Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
PER IL DITTATORE CINESE LE SANZIONI OCCIDENTALI ALLA RUSSIA SONO UNA PACCHIA: SI PRENDE A BASSO COSTO L’ENERGIA RUSSA, E NE APPROFITTA PER CONTINUARE A SVLUPPARE A PIENO REGIME IL SUO ARSENALE MILITARE
A Samarcanda Xi Jinping ha già fatto bingo. E a regalargli una preziosa cambiale per un futuro da dominatore del pianeta contribuiscono, paradossalmente, quelle armi americane ed europee che stanno mandano all’aria i piani di Vladimir Putin in Ucraina.
Ma partiamo dall’appuntamento di domani a Samarcanda. Nella storica città uzbeka dove è in programma il summit della Sco (l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai) il presidente cinese incontrerà per la seconda volta in sette mesi il suo omologo russo. Nel precedente incontro, svoltosi a Pechino venti giorni prima dell’intervento russo in Ucraina, i due si promisero ogni bene tanto che Putin se ne tornò a Mosca parlando di una «collaborazione senza limiti».
Invece i limiti sono tanti. E a fissarli ci ha sempre pensato Pechino. Il 2 marzo quando l’Assemblea dell’Onu varò una risoluzione di condanna dell’intervento russo, Pechino scelse l’astensionismo anziché allinearsi al voto contrario di Mosca. In seguito si è sempre guardata bene sia dall’appoggiare esplicitamente l’intervento, sia dal fornire armi o sostegno militare alla Russia.
Non a caso quest’ ultima a corto di droni ha dovuto rivolgersi all’Iran anziché alle aziende di Pechino impegnate da un decennio a investire miliardi nello sviluppo di aerei senza pilota assai evoluti. Il tutto mentre la Russia garantiva, invece, pieno appoggio alla Cina su Taiwan condannando apertamente l’arrivo nell’isola del presidente della Camera Usa Nancy Pelosi.
Dunque l’unico fronte su cui la collaborazione appare illimitata è quello economico. Le esportazioni russe verso la Cina hanno registrato un balzo del 50% nei primi otto mesi dell’anno, avvicinandosi ai 73 miliardi di dollari. Ma in verità si tratta uno scambio univoco. Il 78% di quelle esportazioni, come nota il quotidiano economico russo Kommersant, riguarda petrolio, gas e carbone.
Materiali energetici acquistati però con sconti fino al 35% sui prezzi correnti grazie allo stato di necessità d’una Russia assediata dalle sanzioni, ma decisa a punire l’Europa. Il primo a rendersi conto dello squilibrio che inficia la presunta alleanza con Pechino è Putin. Il presidente russo non è certo felice di vedersi usato allo stregua di un distributore di energia a buon mercato ottenendo in cambio ben poco sul fronte militare e politico.
Nei piani del Cremlino l’appuntamento di Samarcanda rappresentava l’occasione per trattare un riequilibrio dei rapporti. E questo anche in considerazione del Congresso del Partito Comunista Cinese di metà ottobre al termine del quale Xi potrà, una volta ottenuto un nuovo mandato, accantonare la prudenza esibita negli ultimi mesi. E in effetti il Cremlino fa sapere che la situazione dell’Ucraina «sarà discussa nei dettagli». Ma i «dettagli» non sono proprio favorevoli.
La batosta subita nel Nord-Est costringe Putin a presentarsi all’appuntamento piegato da uno stato di necessità che difficilmente gli consentirà di trattare alla pari. Su tutto questo faranno bene a ragionare Ue e Usa. Perché se per aiutare Kiev e piegare Putin permetteremo a Pechino di moltiplicare la propria potenza militare e industriale sfruttando energia e materie prime a basso costo di Mosca salveremo sì l’Ucraina, ma getteremo le basi per la nostra futura sottomissione al Dragone.
(da “il Giornale”)
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Settembre 14th, 2022 Riccardo Fucile
L’AGENZIA REUTERS CITA FONTI DEL CREMLINO: “IL DELEGATO RUSSO AVEVA FIRMATO, POI PUTIN HA CAMBIATO IDEA”
L’inviato russo per l’Ucraina, Dmitry Kozak, avrebbe cercato di frenare la cosiddetta «operazione militare speciale» di Mosca raggiungendo un accordo che prevedeva la rinuncia a entrare nella Nato dell’Ucraina.
Ma il presidente Vladimir Putin avrebbe rifiutato l’offerta, continuando il suo progetto di annessione di parte del territorio ucraino.
È quanto riporta l’agenzia Reuters, che cita «tre persone vicine alla leadership russa».
Secondo la Reuters, Kozak avrebbe detto a Putin che a suo giudizio l’accordo preliminare raggiunto rendeva inutile l’operazione militare. Ma, nonostante in un primo momento avesse appoggiato i negoziati, il presidente russo avrebbe giudicato insufficienti le concessioni di Kiev, dicendo che aveva ormai ampliato i suoi piani con l’obiettivo di annettere parti del territorio ucraino. L’accordo era quindi stato respinto.
(da agenzie)
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