Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
IL PD E LA LEGA OTTENGONO VOTI “NONOSTANTE” LETTA E SALVINI, INFATTI IL SEGRETARIO DEM MOTIVA SOLO IL 14,2% DEGLI ELETTORI MENTRE IL CAPITONE MOBILITA IL 17,%
Su che cosa credete che voteranno domani gli italiani?
Uno studio realizzato per l’Università Bocconi ha analizzato le motivazioni degli elettori.
Nel caso di Fratelli d’Italia l’81% dei consensi sarà merito della leader, Giorgia Meloni: la gente vota FdI perché c’è lei. Un altro 16,4% deriverà dal cosiddetto «effetto band wagon»: così fan tutti. Soltanto il 2,6% dei consensi al probabile vincitore delle elezioni verrà dal cosiddetto «voto strutturale»: quello dei militanti, basato sull’ideologia o sul radicamento territoriale.
Ancor più clamoroso questo fenomeno è per Calenda e Conte: il primo ha un 91,9% di consensi espressi per il leader, e un miserrimo 0,7% di voto strutturale; nel secondo la scelta premia Conte per l’83,6%, mentre il voto strutturale pesa solo il 5,1%. Sono tutti partiti deboli, organismi fragili con una testa enorme.
Capovolta la situazione per Partito democratico e Lega. La qualità della leadership di Letta è la motivazione di voto solo per il 14,2% degli elettori Pd, contro un 74,7% di voto strutturale.
E Salvini mobilita il 17,3% degli elettori della Lega contro un 69,4% di voti che vanno invece al partito, ai suoi programmi, alla sua classe dirigente locale.
Leader dunque deboli con partiti forti. Quando domani sera conosceremo i risultati, capiremo se hanno vinto i partiti che si fanno forti di un leader popolare, o i partiti a leadership più debole.
Io un’idea me la sono già fatta.
(da il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
LO STUDIO TEDESCO: “OSSERVATORI AD ELEZIONI CHE HANNO INSABBIATO IRREGOLARITA’ IN RUSSIA”… ECCO I NOMI
“Spese di viaggio pagate” oltre a eventuali “regali costosi o prebende” in cambio di dichiarazioni ai media sulla democraticità e la correttezza di elezioni “considerate illegittime o illegali dalla comunità internazionale”: è uno dei criteri — la soddisfazione del quale non è peraltro vista come necessaria se altri criteri sono soddisfatti — con cui la Ong berlinese European Platform for Democratic Elections (Epde) ha identificato circa 500 cittadini di 60 diverse nazionalità come “osservatori politicamente parziali” in recenti tornate elettorali riguardanti Paesi europei e non solo.
Secondo Epde, che raduna 16 organizzazioni di monitoraggio elettorale indipendenti ed è finanziata da governo tedesco e Ue, i “falsi osservatori” avrebbero aiutato a insabbiare brogli e irregolarità in Russia per le presidenziali del 2018 e le politiche del 2021, oltre che in Azerbaijan per le politiche del 2020. Ma ci sono esempi ancora più eclatanti.
Come il referendum sull’annessione della Crimea alla Russia nel 2014 e le “presidenziali” delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk (riconosciute solo da Mosca, Damasco e Pyongyang) nel 2018. “Abbiamo implorato i parlamenti d’Europa di prevenire il ripetersi di false osservazioni durante i prossimi cosiddetti ‘referendum’ nei territori occupati in Ucraina”, fa sapere l’Ong.
Nella sua lista nera, per la maggior parte politici in carriera.
Gli italiani sarebbero 40, al secondo posto dopo i francesi e quasi a pari merito con i tedeschi. Una classifica poco onorevole.
Almeno sei di questi nostri concittadini sarebbero candidati alle elezioni del 25 settembre, risulta dal database Epde. “Si sono comportati come agenti di disinformazione del Cremlino”, afferma l’organizzazione in una e-mail.
“Non abbiamo prove che abbiano ricevuto soldi, regali o rimborsi spese”, precisa in un’intervista telefonica con Fanpage.it Stefanie Schiffer, presidentessa di Epde. “Ma non è necessario: sulla base della nostra metodologia possiamo affermare che hanno partecipato a un’osservazione politicamente distorta, una forma di disinformazione elettorale particolarmente utilizzata dal regime russo”.
Tra i parametri di valutazione, anche la ”mancanza di trasparenza”, da parte dei “falsi osservatori”, del metodo utilizzato nello svolgere la loro funzione durante lo svolgimento delle votazioni. E la presenza di “conflitti d’interesse politico, economico o di altro tipo che interferiscano nella conduzione accurata e imparziale dell’osservazione”.
I sei candidati alle nostre politiche individuati dall’organizzazione come “falsi osservatori elettorali” che “sembrano avere legami con il Cremlino e l’Azerbaijan” sarebbero:
Paolo Grimoldi, deputato. Corre di nuovo per la Camera con la Lega per Salvini premier. Nel 2014 fondò il gruppo interparlamentare “Amici di Putin”. Avrebbe partecipato in Russia a quella che Epde definisce “‘osservazione elettorale politicamente parziale” durante le parlamentari del 2021e durante il plebiscito sugli emendamenti alla costituzione che permettono a Vladimir Putin di restare in carica vita natural durante o quasi. In quell’occasione — riporta Epde — dichiarò alla stampa che alle urne erano stati rispettati “tutti i parametri e i criteri previsti dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce)”. Ma nella Repubblica dei Komi il risultato a favore dei “no” fu ribaltato d’ufficio. “Gli scrutatori erano stanchi, avevano sbagliato. Punto e basta”, fu la laconica spiegazione della presidentessa del Comitato elettorale centrale (Cec) della Federazione russa Ella Pamfilova. La stampa internazionale — dal New York Times a Forbes passando dalla Associated Press — e organizzazioni non governative come Golos hanno riferito di irregolarità in tutto il Paese: dal voto forzato alla falsificazione delle schede.
Andrea Delmastro Delle Vedove, deputato. Candidato di Fratelli d’Italia alla Camera. Responsabile affari esteri del partito e presidente della Giunta per la autorizzazioni a procedere di Montecitorio. Già assessore e consigliere comunale a Biella e segretario provinciale del Fronte della gioventù. Avrebbe partecipato come “falso osservatore sotto il coordinamento diretto di alcuni alti funzionari russi” — si legge nel database Epde — al monitoraggio delle elezioni politiche del 2018 in Cambogia. “Le elezioni si sono svolte senza alcuna interferenza internazionale”, dichiarò Delmastro dopo la chiusura delle urne. “Nelle procedure di voto non è stata trovata alcuna anomalia”. Solo che in quelle elezioni mancava l’opposizione: l’unico partito in grado di concorrere oltre al partito di governo era stato dissolto dalle autorità. Furono “elezioni fittizie”, secondo organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch. “Il risultato era predeterminato dal leader in carica”, scrisse il New York Times. Secondo Epde, gli unici osservatori internazionali presenti nel Paese erano coordinati da Alexey Chepa, vice presidente della Commissione esteri della Duma — la Camera russa.
Stefano Maullu, eurodeputato. Candidato alla Camera per Fratelli d’Italia. “Osservatore politicamente parziale” alle presidenziali del 2018 in Russia, sempre secondo il database. Tra le sue dichiarazioni ai media: “La Russia ha raggiunto il livello di una democrazia molto saggia, tutti riconoscono questo buon risultato per la democrazia russa e per il suo presidente”. L’oppositore di Putin Alexey Navalny era stato estromesso dalla corsa al Cremlino per una condanna che la Corte di Strasburgo ha definito “arbitraria e manifestamente irragionevole”. Secondo l’Osce, le elezioni si tennero “in un clima di eccessivo controllo politico e giudiziario, segnato da continue pressioni sulle voci critiche”. Anche se l’organizzazione riconobbe che il Comitato elettorale centrale agì in modo “efficiente e aperto”. La Ong Golos parlò di diffuse irregolarità. Un altro gruppo di monitoraggio elettorale dichiarò di aver contato oltre 13.200 voti in un seggio dove i votanti erano stati circa 8.700. Secondo uno studio statistico, le elezioni furono più pulite rispetto alle precedenti in Russia, ma Putin comunque ricevette illegalmente 10 milioni di voti in più di quelli realmente ottenuti.
Osvaldo Napoli, deputato. Già sindaco di Giaveno e poi di Valgioie, nel torinese. Corre per la Camera con Azione/Italia Viva, dopo aver lasciato Forza Italia. Epde lo identifica come responsabile di un’osservazione “distorta” durante le elezioni parlamentari del 2020 in Azerbaijan.“Oggi abbiamo visitato cinque seggi e non vi abbiamo riscontrato alcuna irregolarità”, disse alla stampa. Secondo la Missione internazionale per l’osservazione elettorale (Ieom), formata da deputati e funzionari Osce e da membri dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, “la legislazione restrittiva e l’ambiente politico” avevano “reso impossibile una vera e propria competizione”. In generale, gli altri gruppi di osservatori internazionali, a partire da quelli della Confederazione di Stati indipendenti (Cis) a guida russa, dissero però che non c’erano state irregolarità. Secondo un rapporto Epde, ciò avvenne perché le autorità azere avevano “selezionato organizzazioni internazionali e osservatori individuali a loro fedeli, proprio per controbilanciare il giudizio Ieom”.
Maria Rizzotti, senatrice. Candidata di Forza Italia per il Senato. Fa parte del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Azerbaijan. Membro della delegazione italiana presso l’assemblea del Consiglio d’Europa. “Falsa osservatrice” — dichiara Epde — nel 2020 in Azerbaijan. In quell’occasione, in una conferenza stampa espresse soddisfazione per la stretta aderenza alle regole di voto e si complimentò per la composizione delle liste e per l’utilizzo di penne a raggi ultravioletti nella verifica dei documenti al fine di scongiurare il voto multiplo.
Annalisa Tardino, europarlamentare. Candidata alla Camera per la Lega. Nel database della Ong tedesca, “osservatrice politicamente di parte” in occasione delle elezioni politiche dell’aprile scorso in Ungheria. Disse alla stampa ungherese di ritenerle molto importanti per il futuro dell’Europa. E disse anche che lei, essendo siciliana, conosceva bene il problema dell’immigrazione illegale di massa e riteneva fondamentale distinguere fra rifugiati e illegali. Toccò così un cardine nella linea politica del leader di Budapest, oltre che in quella di Matteo Salvini. Un rapporto di Epde sostiene che il governo di Viktor Orban — primo caso all’interno dell’Ue — si prodigò “nell’invitare politici, giornalisti e attivisti simpatizzanti che avallassero le elezioni”. E che questi osservatori di parte fecero tutti “dichiarazioni politiche chiare a sostegno di Orban e del partito di governo Fidesz”.
“Il Parlamento italiano non ha mai risposto alle nostre lettere”, sottolinea Stefanie Schiffer. “In particolare, abbiamo chiesto se i parlamentari che hanno partecipato come osservatori — secondo noi politicamente parziali — alle elezioni presidenziali russe del 2018 e alle politiche azere del 2020 fossero parte di una delegazione ufficiale, e se abbiano riferito di rimborsi spese o compensi”, ricorda la responsabile di Epde.
“Altre istituzioni, come il Parlamento europeo e l’Assemblea del Consiglio d’Europa, hanno invece risposto a nostre lettere analoghe ringraziandoci. E hanno preso provvedimenti”.
Quattro eurodeputati dell’estrema destra francese che erano andati a “osservare” il voto per il parlamento russo nel settembre 2021 senza esser parte di alcuna missione ufficiale sarebbero stati sanzionati. Così come un rappresentante dell’estrema destra tedesca e un europarlamentare indipendente slovacco. Erano tutti stati “segnalati” da Epde.
“L’Italia e altri Stati Ue sottostimano il problema, i loro parlamenti non vigilano”, lamenta Schiffer. “Dovrebbero farlo, perché l’integrità delle nostre istituzioni è minacciata. Dobbiamo proteggerle dall’influenza degli Stati autoritari che organizzano e finanziano la presenza di questi falsi osservatori internazionali”. Lo scopo degli autoritarismi è duplice: “Da un lato si tratta di insabbiare i brogli facendo dire agli osservatori che le elezioni sono state assolutamente regolari e soddisfacendo così esigenze di politica interna”, continua la presidentessa di Epde. “Al contempo si usa il momento delle elezioni per costruire, tramite gli osservatori, una rete di contatti in grado di influenzare il sistema europeo”.
Secondo Schiffer, “queste false osservazioni elettorali costituiscono una porta d’ingresso nella politica di casa nostra”. Contatti che possono iniziare con un basso livello di coinvolgimento, senza alcun passaggio di soldi, solo perché il politico invitato come osservatore elettorale è lusingato per l’attenzione, “magari si sviluppano nel tempo, con l’invito a conferenze, con interviste televisive seguite da contratti media, o con affari di altro tipo”.
Il dito è decisamente puntato contro il regime di Vladimir Putin. “Non mi stupirei se i finanziamenti del Cremlino di cui parla il cablogramma del Segretario di Stato americano Anthony Blinken passassero da contratti commerciali nati in seguito a contatti stabiliti durante false missioni di osservazione elettorale”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
I SOVRANISTI HANNO VOLUTO TAGLIARE I COSTI DELL’ACCOGLIENZA PER BUTTARE PER STRADA GLI IMMIGRATI, ORA SE NE ACCORGONO?
L’economista ha condiviso la lettera inviata dalle associazioni di accoglienza dei migranti al Quirinale e palazzo Chigi, lamentando che con gli attuali rimborsi anche i «minori restano senza beni di prima necessità»
«Due euro e cinquanta al giorno ai profughi dell’Ucraina! Da non crederci». La denuncia rilanciata dall’economista Tito Boeri su Twitter arriva dalla lettera indirizzata «al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al presidente del Consiglio Mario Draghi» e scritta da cinque associazioni che si occupano dell’accoglienza dei migranti.
La Comunità Ucraina di Vicenza, le associazioni Ucraina Insieme (Padova), Malve di Ucraina (Verona), Roksolana (Portogruaro) e La Rondine (Veneto) hanno lanciato un appello perché si risolvano le complicate condizioni dei profughi ucraini in Italia.
«Per i nostri connazionali accolti da privati o che vivono in affitto ci risulta non siano più disponibili i contributi di sostegno erogati dalla Protezione civile (300 euro mensili per adulto e 150 euro per minore)», spiegano, «questo perché le disposizioni in materia prevedono che tali contributi siano erogati solo per i primi tre mesi di presenza in Italia, come per la grandissima parte dei casi».
La lettera poi continua facendo riferimento ai profughi ospitati nelle strutture finanziate dallo Stato: «Per loro è previsto un “pocket money” di 2,50 euro al giorno con un tetto massimo di 7,50 che penalizza ancora di più le molte famiglie numerose».
Una cifra considerata troppo esigua e denunciata anche dallo stesso Boeri che ora teme per il prossimo futuro: «Da non crederci. E temo che dopo le elezioni sarà ancora peggio», scrive su Twitter.
La descrizione delle condizioni dei profughi ucraini continua nella lettera evidenziando come nelle strutture statali al momento non siano garantiti i beni di prima necessità per i tanti minori presenti. «L’ospitalità presso queste strutture è stata organizzata e appaltata senza tenere conto della presenza di numerosi minori con i bisogni conseguenti: dagli alimenti ai prodotti di igiene per i più piccoli, al materiale necessario per frequentare la scuola».
E aggiunge: «Certamente con questo pocket money non si riesce a far fronte a nessuna di queste necessità». Dopo un ringraziamento al Paese per «aver accolto a braccia aperte i concittadini in fuga», la richiesta al presidente Mattarella e al premier Draghi è quella di «intervenire affinché i problemi esposti vengano affrontati e superati e che anche nei prossimi mesi, donne, ragazzi e bambini, possano rimanere in Italia con un po’ di quella serenità che è venuta a mancare nel nostro Paese con l’aggressione militare della Russia».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA PRETENDE IL VIMINALE MA LA MELONI NON NE VUOLE SAPERE AL MASSIMO PUO’ CONCEDERGLI L’AGRICOLTURA, LA GIUSTIZIA ALLA BONGIORNO E L’INTERNO AL PREFETTO PIANTEDOSI … POI CI SONO LE PRETESE DI BERLUSCONI E DI TAJANI, MAGARI SULLE PRESIDENZE DI SENATO E CAMERA – L’IPOTESI BELLONI AGLI ESTERI – LE AMBIZIONI DI URSO SUL VIMINALE
La solitudine di Giorgia. Favorita e già imbrigliata. Premier in pectore , eppure circondata da alleati che sognano di sgambettarla. O almeno di costringerla di fronte a un bivio: si fa come diciamo noi, altrimenti non ti lasciamo neanche cominciare. Vittima, in fondo, di una contraddizione fatale. Può accontentare Salvini e Berlusconi, scontentando il resto del mondo. Oppure deluderli, con il rischio che siano loro a stracciarle il biglietto della vita per Palazzo Chigi.
Solitudine di Giorgia, che neanche ha cominciato è già intravede un frontale con Matteo Salvini. Il leghista vuole il Viminale, «non vedo l’ora di fermare di nuovo gli sbarchi ». Meloni sa che non può concedergli gli Interni e nessun altro dei ministeri chiave, non a un leader che è imputato per sequestro di persona nel processo Open Arms . La leader di Fratelli d’Italia ritiene – anzi, è certa – che mai il Colle accetterebbe questo scenario.
Vorrebbe dire mettersi contro tutti, Europa e Stati Uniti, mercati, imprenditori, sindacati. Proverà a spiegarglielo, gli dirà che su questo punto si gioca credibilità e faccia del premier, che oltre questa linea rossa lei non può andare. E questo vale per gli Interni, ma anche per i ministeri degli Esteri e della Difesa: pesa sempre quel giudizio pendente, e gravano anche le valutazioni geopolitiche sul rapporto di Salvini con la Russia di Vladimir Putin.
Qualcosa concederà, sperando che basti. L’Agricoltura al segretario del Carroccio, ad esempio. La Giustizia a Giulia Bongiorno. E soprattutto il Viminale al prefetto di Roma Matteo Piantedosi, che di Salvini è stato capo di gabinetto al ministero dell’Interno. Un compromesso, il massimo che Meloni può offrire al leghista. Basterà? Se però l’alleato dovesse impuntarsi, allora davvero tutto rischierebbe di saltare: niente governo di destra, o comunque nessun esecutivo con questa formula politica.
Tutto, ovviamente, escludendo un altro scenario su cui alcuni scommettono in queste ore: una batosta elettorale del Carroccio talmente dura da permettere ai governatori leghisti – e a Giancarlo Giorgetti – di realizzare un “colpo di Stato” a via Bellerio, costringendo il leader alle dimissioni e garantendo una Lega senza Salvini al governo.
Solitudine significa pronunciare tanti no, non solo all’ex ministro dell’Interno. A Silvio Berlusconi, ad esempio, la leader di FdI dovrà spiegare che il mestiere di presidente del Senato è complesso, faticoso, anche fisicamente gravoso nella gestione quotidiana dell’Aula. Meglio lasciare perdere. C’è però anche qui qualcosa da concedere: la presidenza della Camera ad Antonio Tajani.
E’ un’idea che prende forma da alcuni giorni. Intanto perché garantirebbe a Forza Italia – nei sondaggi più debole degli alleati – la guida di un ramo del Parlamento.
Poi perché Tajani è già stato presidente dell’Europarlamento. Infine perché Meloni preferirebbe assegnare il ministero degli Esteri non al forzista, ma a una figura che conosce bene (e che già sponsorizzò per il Colle): l’attuale capo del Dis Elisabetta Belloni. Indiscrezioni riferiscono di un colloquio tra le due.
L’offerta sarebbe stata avanzata, la risposta ancora in stand by . Certo è che in questo modo si assicurerebbe anche una staffetta alla guida dei Servizi, di cui si parla dal giorno dopo il fischio finale della partita del Quirinale. Sentirsi soli significa non soltanto pronunciare alcuni no, ma riceverne. O almeno: sopportare alcuni “nì”. Quello che Fabio Panetta, oggi nel board della Bce, ha opposto alla leader di Fratelli d’Italia che gli proponeva il ministero dell’Economia. Ruolo strategico, dopo il governo di Mario Draghi.
L’economista ha preso tempo, trincerandosi dietro una posizione che può sintetizzarsi così: aspetto di capire se sei in grado di costruire un governo di alto profilo, voglio valutare la forza e l’autorevolezza della tua squadra di ministri. Altro segnale negativo, di qualche giorno fa.
Adolfo Urso, un’altra delle opzioni che Meloni avrebbe in mente per gli Interni, ha organizzato un convegno e si sono presentati alcuni dei vertici degli apparati. Il comandante generale dei Carabinieri, quello della Finanza, il capo della Polizia, alcuni dei vertici dei Servizi.
C’è chi si è seduto in platea in alta uniforme. Urso a muoversi come padrone di casa e dando l’impressione, riferiscono, di autopromuoversi per il Viminale. Dopo un viaggio a Washington in cui il capo della commissione si è mosso più da sponsor della leader che da presidente del Copasir.
L’effetto è stato quello di generare irritazione e preoccupazione ai vertici delle istituzioni. Non sa neanche se davvero dovrà cominciare la scalata, ma guardando la cima Meloni non sente di avere molti alleati attorno.
Le manca ad esempio un “diplomatico” capace di gestire i rapporti con alleati che pretendono, premono, tramano. Le manca quello che fu Gianni Letta per Berlusconi a Palazzo Chigi. Ancora una volta, quanta solitudine.
(da la Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
IL CAPITONE ABITUATO ALLE STRANEZZE SOCIAL HA CONTINUATO A BERE IL SUO CAFFÈ IN COMPAGNIA DEL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA COME SE NIENTE FOSSE
Hacker porno contro Matteo Salvini durante la maratona dell’ultimo giorno di campagna elettorale in diretta su tutti i social.
Il leader della Lega aveva deciso infatti di passare tutto il suo pomeriggio in diretta social in contemporanea su tutti i suoi account (Facebook, Instagram, Tik Tok e Twitch) per parlare come ha voluto fare nelle ultime settimane a un pubblico più giovane.
Mentre stava girando una sorta di tutorial su come si fa un caffè con la macchinetta automatica (Salvini dice di non saperlo fare da solo), e in collegamento con il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, sulle varie piattaforme sembra essere entrato un hacker che ha fatto apparire in modi diversi alcuni simboli fallici per accompagnare la diretta del leader della Lega.
Lui non se ne è accorto, ma tanti hanno usato il tasto salva-schermo per tenersi il ricordo di questa bravata.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DEL CONSIGLIO RUSSO DI AFFARI INTERNAZIONALI VEDE MOLTE CONVERGENZE
Nel nuovo corso dei rapporti con l’Occidente, «la rottura della profonda amicizia con l’Italia» è stata quella più dolorosa per Mosca, che «continuerà comunque a seguire da vicino le elezioni nel vostro Paese e che in Giorgia Meloni può trovare una possibile alleata nella lotta contro il liberalismo».
Andrei Kortunov, direttore generale del Consiglio russo di Affari Internazionali (Riac) riassume così l’atteggiamento della Russia alla vigilia delle elezioni in Italia.
Impegnato in un’intensa attività diplomatica e negoziale per studiare possibili soluzioni politiche al conflitto in Ucraina – con contatti regolari anche con Romano Prodi e l’ambasciatore Umberto Vattani – Kortunov è convinto che «ai vertici della leadership russa capiscono che Mosca oggi è tossica in Europa, compresa l’Italia: ogni contatto, simpatia, legame è diventato un minus e non è un caso che Matteo Salvini e Silvio Berlusconi oggi parlino contro le politiche di Vladimir Putin», anche se sul tema delle sanzioni rimangono critici rispetto alla linea di Bruxelles.
«Se nel 2014, dopo la crisi con l’Occidente per l’annessione della Crimea, in Italia rimanevano comunque degli alleati della Russia, oggi non ci sono neppure più simpatizzanti», fa notare l’analista. «A Mosca», continua, «nessuno nutre illusioni: al di là di chi vincerà alle urne, sono convinti che il corso anti-russo a Roma proseguirà».
Ci sono, però, delle «sfumature» a cui il Cremlino guarda con interesse: «Per esempio, le possibili fratture interne alla coalizione di centro-destra sulle sanzioni, i potenziali futuri disaccordi in Parlamento sulle dimensioni e il formato degli aiuti militari a Kiev e la volontà politica di spingere per aprire canali negoziali».
In linea di principio, spiega Kortunov, «nonostante non ci siano illusioni sul fatto che il rapporto con Roma possa subire un’inversione di rotta, le elezioni italiane sono un momento piuttosto importante per il potere russo».
«Se vincerà la coalizione di destra», sottolinea l’analista, «può essere, a suo modo, la conferma di quel punto di vista sul mondo e sull’Europa che domina oggi al Cremlino: contro l’ordine mondiale liberale, contro le libertà sessuali e l’integrazione dei migranti e a favore della promozione dei valori cristiani; persino in Europa, i valori liberali sono oggetto di una sorta di rivoluzione che mira a ristabilire i valori patriarcali».
«Sono sicuro che da questo punto di vista al Cremlino vedono Fratelli d’Italia come un partito amico», constata l’esperto, «e la sua vicinanza ai Repubblicani di Donald Trump rafforza questa convinzione, ma nessuno si aspetta che una volta al governo, Meloni inizi ad appoggiare Mosca sulla questione ucraina».
Dal suo lavoro su diversi tavoli che studiano proposte di soluzione diplomatica alla guerra, Kortunov si è fatto l’idea che «finché gli Usa non decideranno un cambiamento di tattica in Ucraina anche l’Italia e l’Europa difficilmente prenderanno iniziative».
«Dato che le elezioni italiane non porteranno un cambio di politica estera, credo che la Russia le guardi più per il simbolismo politico che portano con sé: la sconfitta simbolica del liberalismo transatlantico e transnazionale qualora Meloni diventasse presidente del Consiglio».
(da Globalist)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
NON POTRA’ CAMBIARE LE SORTI DELLA GUERRA: I MOTIVI
“Sei stato mobilitato come riservista!”. “Con chi stiamo combattendo?”. “I nazisti”. “Sì, ma contro chi?”. Questa è una delle barzellette che circola a Mosca a seguito della decisione da parte del presidente russo Vladimir Putin di annunciare la mobilitazione, dopo che per settimane e mesi il Cremlino ed il governo russo avevano negato categoricamente questa ipotesi.
La Russia ha accolto anche questa decisione, in buona parte, con rassegnazione e qualche protesta. Circa un migliaio di persone sono state arrestate mercoledì, quando il movimento Vesna contro la guerra ha portato in piazza poche migliaia di persone nel centro di diverse città russe.
Alcuni degli arrestati sono stati poi puniti con il peggiore dei contrappassi: è stata consegnata loro la cartolina per recarsi direttamente ai centri per il reclutamento.
Ma è soprattutto la paura la reazione principale. Le lunghe code che si sono viste ai confini via terra con i Paesi baltici, la Finlandia, la Georgia e persino la Mongolia sono la testimonianza diretta, così come i biglietti aerei andati a ruba o introvabili se non a prezzi altissimi, di quella che può definirsi come una vera e propria fuga (un vero e proprio si salvi chi può) dei giovani russi a diretto rischio.
Per chi non è riuscito a scappare la prospettiva è questa: nelle prossime settimane saranno sottoposti ad un veloce addestramento per essere poi inviati sul fronte il prima possibile, dove la situazione è ancora molto precaria a seguito dell’offensiva di successo degli ucraini nelle scorse settimane.
Perché Putin non aveva altre alternative?
La verità è che, anche volendo, Putin non aveva più alternative. Tutti i tentativi di creazione di battaglioni di volontari non avevano avuto granché successo nonostante tutte le promesse e gli incentivi del governo russo.
L’unico gruppo sostanziale di persone che aveva accettato di andare al fronte era quello dei detenuti arruolati nelle carceri da PMC Wagner (in cambio della grazia per le loro pene). Ma l’esercito russo non poteva fare certamente affidamento soltanto su avanzi di galera reclutati alla bene e meglio.
La verità è che l’offensiva condotta dagli ucraini con successo nella regione di Kharkiv ha mostrato con chiarezza tutti i limiti della capacità militare russa in Ucraina, ovvero quelli di un esercito di pace in una zona di guerra.
Quando Kyiv ha deciso di sferrare il suo primo attacco nella vitale regione di Kherson, i russi hanno inviato lì quasi tutte le riserve che avevano a disposizione, spostandole in buona parte dal Donbass e dalla regione di Kharkiv.
Ciò ha indubbiamente permesso al comando russo di rallentare con un certo successo l’offensiva a sud – nonostante gli ucraini continuino ad avanzare seppure con molta lentezza — ma allo stesso tempo ha lasciato scoperti altri fronti a possibili contrattacchi ucraini, come in effetti poi è avvenuto.
Quando i preparativi dell’esercito ucraino per un’offensiva nella regione di Kharkiv sono stati scoperti, il comando russo non è stato in grado di spostare abbastanza forze per la sua difesa e per bloccare l’avanzata ucraina sul nascere.
In tal modo, il comando ucraino si è reso conto, nei fatti, del vantaggio numerico che un esercito mobilitato da tempo (con la creazione di decine di nuove formazioni di combattimento ben addestrate ed armate) aveva rispetto a un esercito non mobilitato, da tempo di pace, come quello russo.
Se fino a quel momento il comando russo pensava che l’esercito ucraino non potesse utilizzare questo vantaggio perché più debole rispetto alle sue unità in termini di potenza di fuoco, la rotta di Izyum ha mostrato nella maniera più chiara possibile che l’artiglieria da sola non è sufficiente a controllare migliaia di km di fronte.
Ciò è valido in particolare nelle condizioni in cui il nemico è in grado di concentrare le sue forze, e le Forze Armate russe (soprattutto l’aviazione) non sono in grado di impedirlo, perché gli ucraini continuano ad avere in loro possesso ottimi sistemi di difesa anti aerea.
Altra debolezza significativa durante l’offensiva ucraina nella regione di Kharkiv è stata il fatto che i russi abbiano appaltato la difesa dei propri fianchi alle unità composte da soldati mobilitati di fretta e furia dai territori occupati dell’Ucraina.
Molte di queste, oltre ad essere sottopagate e male armate, avevano anche poco interesse a combattere per difendere l’esercito invasore che aveva occupato i loro territori, distrutto le loro case, a volte ucciso anche i loro parenti, e spesso costretto gli abitanti di quelle zone ad andare al fronte contro altri ucraini per una guerra che non sentivano propria.
La soluzione a tutto ciò era quindi inevitabilmente una sola: come chiesto a gran voce dai millblogger russi, l’unico modo per cambiare la situazione era la mobilitazione generale, così da garantire al comando russo quelle riserve russe che tanto sono mancate nel momento in cui erano più necessarie.
Stando a sentire loro, però, Putin ha preso una decisione da cui non può più fare marcia indietro: uno dei motivi per cui il Cremlino era stato in grado di portare la guerra avanti per mesi senza proteste di massa, è che, almeno fino ad ora, ciò che stava accadendo in Ucraina sembrava lontano anni luce dall’atmosfera delle grandi città russe.
Diversi media occidentali solo un mese fa parlavano ancora di come a Mosca, tra feste e spensieratezze, la guerra sembrasse un lontano affare per i giovani russi. E le statistiche dei morti confermati in Ucraina dimostravano che buona parte proveniva dalle zone più periferiche e povere della Federazione Russa.
Adesso invece, le scene che si vedono a Mosca sono ben diverse: la polizia pronta a consegnare cartoline per il reclutamento anche nelle stazioni della metropolitana, centinaia di madri in lacrime per ii propri figli pronti a partire per una guerra, e molti di questi ultimi che sanno già dentro di sé che probabilmente non torneranno più vivi da questa esperienza.
Per spiegare il cambiamento di umore di molti russi dopo l’annuncio di Putin basti dire questo: le ricerche su Google di “как сломать руку в домашних условиях”, ovvero “come rompere un braccio a casa”, sono salite alle stelle in tutta la Russia, scatenando speculazioni sul fatto che alcuni russi possano decidere di prendere misure estreme pur di evitare di combattere in Ucraina.
La situazione è diventata così surreale che Lenta.ru ha dovuto pubblicare questo tweet: “Ai russi è stato chiesto di non ferirsi le mani per la tregua dalla mobilitazione. Non accadrà nulla per una ferita accidentale, ma se un soldato di leva si rompe appositamente qualcosa, allora dovrà affrontare una indagine penale – per renitenza dal servizio militare”.
Per la prima volta, insomma, anche il cuore pulsante della Russia sta iniziando a percepire in maniera diretta cosa significa la guerra in Ucraina. Qualsiasi cosa succeda da ora in poi, dunque, siamo indubbiamente in un momento chiave della guerra iniziata a fine febbraio.
Quale è la situazione attuale sul fronte?
La rapida ritirata dei russi dal saliente di Izyum-Kuyansk sotto la minaccia dell’accerchiamento da parte ucraina ha creato di fatto un vuoto di 150 km sul fronte a est di Kharkiv.
Secondo diversi funzionari della NATO, la Russia ha lasciato dietro di sé “parecchio” equipaggiamento nella sua rotta nella regione di Kharkiv. E almeno un’unità storica, la Prima Armata di carri armati della Guardia Nazionale, è stata “decimata”.
“Con il suo asse settentrionale praticamente collassato, sarà più difficile per le forze russe rallentare l’avanzata ucraina e fornire copertura alle truppe russe in ritirata”, ha detto un funzionario della NATO alla CNN. “Pensiamo che questo comprometterà gravemente i piani della Russia di occupare l’intero Donbas”.
A seguito della rotta, le truppe in fuga dai pressi di Izyum (in precedenza le più forti dell’intero raggruppamento russo nella regione) hanno perso una parte rilevante della loro efficacia in combattimento.
La mancanza di riserve in grado di colmare il divario tra le due forze ha fatto si che anche il tentativo russo di ritardare l’offensiva ucraina sulla linea difensiva lungo i fiumi Oskol e Seversky Donets si sia rivelato in buona parte un fallimento.
Le Forze Armate ucraine hanno infatti attraversato entrambi i fiumi in diversi punti e stanno ora sviluppando un’offensiva verso la regione di Luhansk, cercando anzitutto di accerchiare le truppe russe a difesa della strategica città di Lyman.
Di fronte ad una situazione sempre più difficile, il comando russo si è avvalso di scelte estreme: ad esempio ha tentato di ostacolare l’avanzata dell’esercito ucraino sul Seversky Donets bombardando la diga sul fiume presso il bacino di Pechenezh per inondare i campi.
È ancora difficile dire, però, se questo basterà a rallentare l’avanzata delle Forze Armate ucraine verso la regione di Luhansk.
È in questo contesto decisamente complicato per le forze russe nel Donbass che arriva la decisione di Putin di dichiarare quella che ha definito “una mobilitazione parziale”.
Una vera e propria mobilitazione generale
Nonostante le parole di Putin, però, il decreto presidenziale da lui firmato non lascia certo intendere che sia “parziale” questa mobilitazione. Anche i successivi chiarimenti del Ministero della Difesa russo, lasciano molti dubbi aperti in questo senso.
Sostanzialmente, infatti, non viene posto alcun limite effettivo alla capacità di mobilitazione da parte del Ministero della Difesa russo, e le poche eccezioni espresse esplicitamente riguardano i limiti di età, di salute ed i dipendenti del settore militar industriale necessari per portare avanti la guerra.
Durante un’intervista televisiva di mercoledì poco dopo l’annuncio di Putin, il Ministro della Difesa Sergey Shoigu ha dichiarato che la Russia avrebbe reclutato 300.000 soldati grazie alla mobilitazione parziale, in particolare coloro che hanno avuto una esperienza militare recente.
Ma il numero effettivo dei mobilitati, contenuto nel decreto firmato da Putin, è rimasto secretato.
Il decreto di Putin, infatti, contiene in buona parte formulazioni volutamente molto vaghe ed un paragrafo è rimasto riservato (il Cremlino ha poi ammesso che tale paragrafo specifica il numero di persone da mobilitare).
Il quotidiano indipendente russo Novaya Gazeta.Europe ha riferito, sulla base di una sua fonte al Cremlino, che il numero misterioso coperto da segreto è di ben 1 milione di nuove reclute.
Questa notizia non è stata però confermata da altri organi di informazione ed è stata ufficialmente smentita dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
Nonostante le smentite ufficiali, però, video e testimonianze provenienti da tutta la Russia mostrano sempre più un gran numero di arruolamenti anche in piccole città, suggerendo che i numeri effettivi possano essere molto più alti di quelli ufficialmente riferiti da Shoigu.
Che questa possa essere stata un’altra menzogna del Cremlino se ne sono resi conto soprattutto i russi che vivono nell’immensa periferia del Paese. In un piccolo villaggio di 450 anime della regione di Zakamensky, nella Buryatia, in Siberia orientale, il capo villaggio ha distribuito più di 20 avvisi di leva.
Sempre dalla Buryatia vengono riportati i primi casi anche di persone letteralmente svegliate nel sonno per essere trascinate ai centri di reclutamento ed essere inviate all’addestramento.
“Non è una mobilitazione parziale, è una mobilitazione al 100%”, ha dichiarato al Guardian Alexandra Garmazhapova, presidente della Free Buryatia Foundation, un gruppo di attivisti che ha denunciato la mobilitazione nella regione.
Nonostante le assicurazioni ufficiali sul fatto che le autorità avrebbero reclutato solo uomini che avessero prestato servizio nell’esercito di recente e con esperienza di combattimento, molti attivisti hanno già segnalato in tutta la Federazione Russa numerosi casi di uomini sulla cinquantina (e persino alcuni sulla sessantina) che hanno ricevuto le notifiche di leva.
Ci sono anche stati casi surreali come quello di Viktor Bugreev, 32 anni, un impiegato della regione di Mosca nel settore informatico di Sberbank, che ha denunciato di aver ricevuto la convocazione militare in questo modo:
“Mi hanno convocato per andare oggi all’ufficio di reclutamento. Non ho mai prestato servizio nell’esercito, non ho mai avuto una specializzazione militare. Vedrò cosa fare”.
A Mosca, dopo l’annuncio della mobilitazione di Putin, diverse centinaia di persone si sono riunite per protestare in via Arbat. Secondo quanto riferito, gli agenti di polizia hanno iniziato a consegnare avvisi di leva alle persone arrestate durante la protesta.
Tra questi c’era Artem Krieger, un giovane reporter dell’emittente Sota Vision, che è stato trattenuto nonostante fosse lì per seguire le proteste.
“Tutti gli uomini, assolutamente tutti, hanno ricevuto un avviso di leva”, ha detto Krieger durante un’intervista a TV Dozhd dal retro di un furgone della polizia. Anche tra questi c’erano anche uomini che non avevano mai prestato servizio nell’esercito e che ora dovevano presentarsi ai centri di reclutamento locali.
In una telefonata con i giornalisti, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov è sembrato confermare che la polizia stava consegnando avvisi di leva ai detenuti. “Non è una violazione della legge”, ha detto.
Ciò nonostante il movimento Vesna contro la guerra ha dato nuovamente appuntamento per nuove proteste contro la mobilitazione generale per sabato 24 settembre. Resta da vedere, però, chi intenderà sfidare il rischio di finire diretto al fronte per scendere in piazza nuovamente a protestare.
Questo contesto di repressione costringe alcuni a far sentire la propria voce contro la guerra in maniera meno ortodossa. Mediazona parla di un tentativo di dare fuoco con una bottiglia molotov a un ufficio di registrazione e arruolamento militare in Russia nel villaggio di Kyra nel Territorio Trans-Baikal.
Il servizio russo della BBC riferisce di altri due casi di incendio doloso in centri di reclutamento militare in Russia, a Lomonosov, vicino a San Pietroburgo, e a Gaia, nella regione di Orenburg.
Nel distretto Babayurtovsky del Daghestan, a causa delle proteste contro la mobilitazione, è stata bloccata dagli automobilisti persino la stessa autostrada federale.
Eppure finora si tratta ancora di proteste su piccola scala, nulla che al momento sembri in grado di far cambiare idea a Putin. La macchina della mobilitazione sta dunque andando avanti a pieno regime, tra pianti e disperazioni di chi vede i propri figli andare a rischiare la propria vita in una terra lontana.
La mobilitazione potrà cambiare le sorti della guerra?
L’ordine di mobilitazione di Putin è indubbiamente significativo anche perché è un riconoscimento indiretto del fatto che l'”operazione militare speciale” di Mosca non stava funzionando e necessitava di serie modifiche.
Ma al momento ci sono più domande che risposte su quale sarà il suo reale impatto operativo.
Anche se Mosca riuscisse in questo modo ad aumentare il numero di soldati impegnati sul campo, continuerà a far fatica ad addestrare, equipaggiare ed integrare queste truppe nelle unità esistenti.
Ed anche se ciò permettesse al comando russo di risolvere alcuni problemi di mancanza di manodopera a breve termine, è probabile che non si tratti di reclute con alta qualità di combattimento. Inoltre, anche nel migliore dei casi, inoltre, Mosca impiegherà necessariamente del tempo per schierare truppe fresche.
Va detto che alcune disposizioni del decreto consentono, almeno teoricamente, di migliorare immediatamente la situazione: ad esempio quando si parla di proroga a tempo indeterminato dei contratti attualmente attivi dei militari (compresi quelli che hanno stipulato contratti a breve termine per la “missione” in Ucraina).
Ipoteticamente, questo dovrebbe permettere di stabilizzare il numero dei soldati russi impegnati in Ucraina e fermare il drenaggio di personale sotto le armi.
Tuttavia, c’è un aspetto molto negativo in questa decisione: è probabile, infatti, che la proroga forzata dei contratti a breve termine per un periodo indefinito influisca negativamente sul morale dei soldati implicati, che ora saranno costretti a rischiare le loro vite anche per il resto della guerra.
Inoltre c’è da tenere in considerazione il fatto che i nuovi soldati appena mobilitati non arriveranno immediatamente al fronte: la maggior parte andrà probabilmente a creare nuove formazioni.
La creazione, l’addestramento e la coesione di formazioni pronte al combattimento richiederanno mesi e l’esperienza dell’esercito ucraino, che già ha mobilitato da febbraio, ne è la dimostrazione vivente.
Un problema per il Cremlino è che queste forze aggiuntive sono necessarie subito, poiché la crisi delle Forze Armate russe dopo le sconfitte di Izyum e Kupiansk non è stata ancora risolta.
L’offensiva ucraina in corso potrebbe far perdere all’esercito russo il controllo di vaste aree, tra cui nelle regioni di Luhansk e Donetsk, la cui piena conquista era stata dichiarata apertamente come uno degli obiettivi principali dell’invasione.
Inoltre, non è certo che il Ministero della Difesa russo sia in grado di gestire con successo le “misure di mobilitazione” necessarie per dotare l’esercito di nuove unità pronte al combattimento nel giro di pochi mesi.
Come spiega Meduza, ciò deriva da come è strutturato l’attuale esercito russo. Infatti, prima della riforma dell’ex Ministro della Difesa Anatoliy Serdyukov, avviata nel 2009, le Forze Armate russe avevano molte cosiddette “unità di quadri”.
Si trattava di unità che non erano dotate di personale ma avevano l’equipaggiamento e gli ufficiali per essere convertite in formazioni a pieno titolo in caso di mobilitazione.
Le riforme di Serdyukov, volte a rimpicciolire l’esercito e a renderlo il più possibile adatto all’impiego nei conflitti regionali e nelle operazioni antiterrorismo, hanno eliminato tali unità.
Negli ultimi anni, l’esercito ha aggiunto decine di nuove formazioni, ma il numero complessivo di soldati è cresciuto a malapena.
Tali nuove formazioni non erano equipaggiate, cioè pronte a ricevere nuovi uomini in caso di mobilitazione: la maggior parte delle brigate e delle divisioni sopravviveva in condizioni di debolezza a causa della carenza di personale. Ed è in questa forma che sono entrati in guerra.
In teoria potrebbero essere rifornite di nuovi soldati mobilitati, ma la verità è che molte di queste non sono in grado di ricevere decine o centinaia di migliaia di nuovi soldati.
Non esiste infatti una struttura organizzativa per la maggior parte dei soldati appena arruolati. Il problema principale è la mancanza di ufficiali con esperienza di guerra moderna.
Coloro che saranno richiamati dalla riserva con la mobilitazione hanno bisogno di riqualificarsi e non potranno iniziare immediatamente ad addestrare a loro volta i soldati semplici mobilitati.
Gli ufficiali esperti sono già tutti impegnati al fronte ed è improbabile che vengano richiamati in massa per addestrare le reclute e trasmettere l’esperienza di combattimento necessaria.
Inoltre mancano drammaticamente le armi: come già citato in precedenza, l’esercito russo ha perso migliaia di pezzi di equipaggiamento nei sette mesi di guerra.
Non è chiaro quindi se le basi in cui addestrare i nuovi soldati abbiano abbastanza equipaggiamenti ed armi necessarie per decine di formazioni con centinaia di migliaia di nuovi soldati.
Inoltre, il comando russo non ha dimostrato di poter gestire efficacemente il gruppo relativamente piccolo che opera in Ucraina. Con un numero maggiore di formazioni, i problemi di gestione non potranno fare altro che aumentare.
Lo stesso, infine, vale per i rifornimenti: il comando russo non è riuscito infatti a gestire in maniera soddisfacente i rifornimenti di un gruppo relativamente piccolo, soprattutto senza essere in grado di usare a pieno le ferrovie a questo scopo perché l’esercito non può contare su abbastanza camion e attrezzature speciali per portare i rifornimenti al fronte dalle stazioni ferroviarie più vicine.
Con l’esercito ucraino ora in grado di colpire infrastrutture e magazzini a decine di chilometri dal fronte, grazie all’uso degli HIMARS forniti dagli Stati Uniti, non è chiaro come possa essere rifornita una forza ancora più grande al fronte.
Insomma il rischio concreto è che questa nuova massa di soldati possa finire direttamente al fronte poco addestrata e male armata, rischiando così paradossalmente di peggiorare, invece di migliorare, le prospettive russe.
La minaccia nucleare
Anche per questo motivo, nella parte finale del suo discorso in cui ha annunciato la mobilitazione, Putin ha mandato un chiaro avvertimento all’Occidente ricordando che la Russia è una potenza nucleare e che se costretta potrebbe usare le sue armi nucleari per difendere la propria sovranità.
La minaccia è diventata ancora più grave se si considera che l’obiettivo del Cremlino, contestualmente alla mobilitazione annunciata, è quello di tenere nei prossimi giorni dei referendum farsa sull’annessione delle Repubbliche separatiste del Donbass e delle regioni occupate di Zaporozhye e Kherson.
Una volta annessi questi territori, infatti, dal punto di vista del Cremlino diventeranno a tutti gli effetti parte integrante della Federazione Russa. E la dottrina militare russa prevede esplicitamente l’uso di armi nucleari per difendere la sovranità del territorio russo.
La minaccia, dunque, non è da sottovalutare, e come afferma anche Jake Sullivan, il Consigliere di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, anche gli americani la stanno prendendo seriamente, sebbene non vedono alcun segnale concreto di cambiamento dello status delle forze nucleari russe al momento.
Alla vigilia della dichiarazione di mobilitazione di Putin, era stato lo stesso presidente Joe Biden ad avvertire Putin che gli Stati Uniti non avrebbero mai accettato l’uso di armi nucleari tattiche da parte russa.
Il giorno dopo è stato lo stesso presidente americano dinanzi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a definire folli le minacce nucleari ed affermare che una guerra nucleare non dovrà mai essere combattuta perché non può essere vinta da nessuno.
Prima di farci prendere dal panico per le sconsiderate minacce di Putin, bisogna infatti ricordare che l’Occidente ha a disposizione un numero di armi nucleari quasi pari a quello della Russia, il che rende più attuale che mai la dottrina MAD (Mutual Assured Destruction) alla base della Guerra Fredda.
E non bisogna neppure dimenticare che questa non è certo la prima volta che Putin minaccia di ricorrere al nucleare.
Già all’inizio della guerra, il 24 febbraio, Putin aveva detto che qualsiasi Paese che avesse interferito con la sua invasione avrebbe subito conseguenze “come non avete mai visto in tutta la vostra storia”.
Ebbene, nel frattempo l’Occidente ha fornito all’Ucraina armi che hanno ucciso o ferito almeno 70.000 soldati russi secondo le stime più attendibili, e Putin non ha ancora fatto alcuna mossa in questo senso.
Né la Russia ha in alcun modo risposto risposto nuclearmente agli attacchi ucraini contro la Crimea, che ha annesso nel 2014, o contro lo stesso territorio russo. Putin è tutto fuorché un suicida o un pazzo.
La sola ipotesi di un possibile uso di armi nucleari ha già creato abbastanza orrore da far ritenere che, se mai dovesse accadere, la Russia finirebbe ancora più isolata nel mondo, anche da parte di coloro che oggi ancora la difendono — ad esempio India e Cina.
Inoltre, non è per nulla scontato che l’Ucraina finirebbe per arrendersi anche se fosse oggetto di bombardamenti nucleari tattici, che finirebbero così per essere doppiamente controproducenti per Mosca.
La pura verità è che né la mobilitazione generale, né le minacce nucleari sono la vera arma nelle mani del Cremlino in questo momento.
Il vero asso nella manica di Putin, invece, resta sempre lo stesso: la paura, sempre più palpabile purtroppo, dell’opinione pubblica occidentale per una possibile escalation contro la Russia.
Putin lo sa benissimo ed è questo il motivo principale per cui ha apertamente fatto balenare lo spettro dell’olocausto nucleare nel suo discorso. Ma questo è anche il motivo per cui non bisogna in alcun modo cadere nella sua trappola.
Voglio dire questo, nella maniera più esplicita possibile, a chiunque pensi che sia una cosa saggia dare retta alle minacce di Putin: nel momento stesso in cui si consentisse a Mosca di annettere parte dell’Ucraina subendo il ricatto nucleare, si aprirebbe un vaso di Pandora pericolosissimo.
Qualsiasi potenza nucleare si sentirebbe in diritto, come ha fatto la Russia, di ricattare chiunque non possegga armi nucleari, contando sul fatto che nessuno in Occidente (o altrove) sia pronto a tenerle testa per paura di scatenare un conflitto nucleare.
Ciò, a lungo andare, avrebbe come inevitabile conseguenza la proliferazione delle armi nucleari in tutto il mondo per la propria autodifesa, aumentando necessariamente a sproporzione il rischio di una conflagrazione nucleare in futuro.
Vi chiedo dunque: è davvero questo il futuro che vogliamo per i nostri figli o nipoti? Un incubo nucleare senza fine?
Ora, più che mai, è necessario restare fermi e risoluti nel nostro supporto per l’Ucraina anche per mostrare ai russi che questa folle guerra sta solo portando sempre più morte e distruzione per il proprio Paese.
Come diceva una famosa canzone di Sting: “We share the same biology, regardless of ideology. Believe me when I say to you, I hope the Russians love their children too”.
Di fronte alla mobilitazione di centinaia di migliaia di giovani russi che rischiano di essere mandati a morire al fronte in Ucraina, queste parole oggi sono più vere che mai.
Prima i russi se ne renderanno conto, meglio sarà per tutti. Forse solo allora questo incubo che stiamo vivendo tutti da oltre 6 mesi avrà finalmente fine.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
UN REGIME ALLO SFASCIO TRA PROTESTE DI PIAZZA, SCONFITTE MILITARI E BUROCRAZIA NEL CAOS
Proseguono le proteste in tutta la Russia, dopo l’annuncio del presidente russo Vladimir Putin, che ha dato il via alla mobilitazione militare e, nelle ultime ore, ha firmato leggi ancora più restrittive per chi si rifiuterà di rispondere alla leva militare.
I disertori, infatti, saranno puniti con la reclusione dai cinque ai dieci anni di carcere.
Secondo quanto riferito dall’ong, Ovd-Info, «già 707 persone sono state fermate in 32 città russe», di cui più della metà nella sola capitale Mosca, a margine delle manifestazioni di protesta contro la chiamata alla mobilitazione.
Al contempo, il capo della commissione per i diritti umani di Mosca, Valery Fadeyev, ha sollevato alcune critiche contro il ministero della Difesa russo. Fadeyev ha infatti chiesto al ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, di porre fine ai «comportamenti brutali» assunti da diversi agenti presenti nei comitati di leva nel Paese, sottolineando che anche gli uomini che non hanno mai avuto esperienza nell’esercito sono stati richiamati a unirsi ai 300 mila (che potrebbero arrivare anche a quota un milione, ndr) chiamati a combattere contro Kiev.
Ma nel discorso alla Nazione, il presidente russo Putin aveva annunciato che sarebbero stati richiamati solo uomini che avevano già militato nell’esercito, con esperienza pregressa di combattimento e, dunque, che hanno conseguito specializzazioni militari.
Il capo della Repubblica di Sakha, nella regione siberiana della Yakutia, Aysen Nikolayev, ha dichiarato: «I riservisti sono stati arruolati in modo errato, devono essere rispediti indietro. Il lavoro è già iniziato».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Settembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
PER IL MINISTRO DEGLI INTERNI TEDESCO “I DISERTORI CHE RISCHIANO UNA PESANTE REPRESSIONE RICEVONO DI REGOLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE IN GERMANIA” MA LA REPUBBLICA CECA NON VUOLE CONCEDERGLI IL VISTO UMANITARIO
Lituania, Lettonia, Estonia e Polonia prendono provvedimenti. I quattro Paesi hanno deciso di chiudere i confini ai cittadini russi che fuggono dall’arruolamento. Dopo che Vladimir Putin ha annunciato la mobilitazione, la Finlandia ha preso la decisione di chiudere le porte ai turisti russi “per ridurre – è stata la giustificazione – significativamente il numero di persone in arrivo dalla Russia”.
Simile discorso per la Repubblica ceca che ha invece deciso di trattare questi casi come normali visti e non dunque come visti umanitari. Poi c’è la Germania che ribadisce la necessità di trovare una soluzione comune a livello europeo, anche se la ministra dell’Interno Nancy Faeser ha ribadito che “i disertori che rischiano una pesante repressione ricevono di regola protezione internazionale in Germania”.
L’Ue, dove la fuga russa è diventata un vero e proprio caso, ha rotto il silenzio e attraverso le parole della portavoce della Commissione Eric Mamer fa sapere: “È una questione nuova, che stiamo monitorando. C’è già un quadro che garantisce la richiesta di asilo per le persone che pensano di averne diritto”.
Eppure la compattezza, visti i rischi, è messa a dura prova. Intanto la presidenza ceca dell’Ue ha già convocato una riunione straordinaria: lunedì si parlerà della gestione delle richieste di asilo dei disertori russi. Ma la Repubblica ceca sembra irremovibile: “Coloro che fuggono dal Paese perché non vogliono adempiere agli obblighi imposti dal proprio Stato non soddisfano le condizioni per un visto umanitario”, ha tuonato il ministro degli Esteri Jan Lipavsky. E così l’Ue si trova a dover risolvere l’ennesima grana, prima che i paesi membri si muovano in solitaria.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »