Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
”I DANNI DELLE SANZIONI PER MOSCA SI VEDRANNO NEL LUNGO PERIODO, LA RUSSIA IN TUTTI QUESTI ANNI NON HA FATTO ALTRO CHE INTERFERIRE”
L’ennesimo tentativo di ingerenza russa sulla politica italiana. Il senso di impazienza per l’efficacia ancora limitata delle sanzioni a Mosca.
La sfida di leggere gli eventi come un film in movimento, anziché fermarsi allo scatto di un’istantanea.
Giampiero Massolo, presidente di Atlantia e dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, già segretario generale del Ministero degli Esteri e direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza presso la Presidenza del Consiglio, non si tira indietro quando c’è da riflettere sui tempi intensi che stiamo vivendo.
La prima domanda, d’obbligo, è sull’ultimo intervento a gamba tesa della portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, per la quale l’Italia è “spinta al suicidio economico dalla frenesia sanzionatoria euro-atlantica”.
Ambasciatore, da ex capo dei Servizi segreti, cosa pensa di questi tentativi d’ingerenza?
“Dichiarazioni di questo tipo ci sono state in passato e ce ne saranno in futuro, anzi mi aspetto che si intensifichino. Dal mio punto di vista, dichiarazioni simili dimostrano due cose. La prima è che Mosca mira a dividere il fronte occidentale e a esasperare le situazioni che ritiene di maggiore debolezza; noi siamo sicuri che così non sia, ma la percezione russa potrebbe essere diversa. Ingerire e dividere – storicamente e anche oggi, con mezzi più sofisticati di ieri – resta sempre l’obiettivo russo. Il secondo punto che possiamo dedurre dalle affermazioni di Zakharova è che queste sanzioni a Mosca danno proprio fastidio, tanto è vero che si fa di tutto da parte russa per giocare a pieno il proprio non irrilevante potenziale di ricatto pur di vederle attenuate se non eliminate”.
Molti si aspettavano di vedere un impatto più veloce delle sanzioni sull’economia russa, che tutto sommato – per ora – regge. Secondo lei, come si respinge questo senso di impazienza?
“Io vorrei uscire da un equivoco, perché sento dire ‘le sanzioni sono inefficienti’, ‘le sanzioni si ripercuotono su chi le mette’. Certo, una componente degli apparati sanzionatori è anche questa: è chiaro che qualsiasi restrizione, in qualche modo, danneggia sia il destinatario sia, entro certi limiti, chi la impone. C’è però da considerare che l’efficacia di un sistema sanzionatorio non si misura in settimane e neppure in mesi; va misurata su tempi più lunghi. È vero che dal punto di vista delle sanzioni energetiche queste misure, in questa fase, hanno portato comunque a dei proventi maggiorati per Mosca. Ma questa è una fase. I prezzi delle materie prime energetiche – che si tratti di greggio o di prodotti petroliferi – erano andati in rialzo anche prima della guerra, che ha solo aggravato ulteriormente un fenomeno già in corso per cause più strutturali. L’apparato sanzionatorio, invece, – come dimostrano le reazioni russe irate nei confronti del G7 che stabilisce il tetto sul greggio, e irate nei confronti dell’Ue che osa considerare un tetto al prezzo del gas – morde eccome, se lo si guarda su una prospettiva temporale”.
Ci sono segnali o elementi che consentono di cogliere questa prospettiva di lungo periodo?
“Intanto, alcune conseguenze ci sono già: il reddito russo mostra segni di contrazione per la cessazione di gran parte delle attività delle imprese straniere che operavano in Russia prima dell’invasione. Ci sono stime su una contrazione assai rilevante del reddito russo già in questo anno. In secondo luogo, le sanzioni puntano a contenere, a limitare, a togliere ai russi l’accesso ai mercati e alle tecnologie occidentali. Questo provoca due risultati: da un lato i russi non possono riconvertire prontamente – come minacciano – la direzione delle loro esportazioni di prodotti energetici di gas dall’Occidente verso l’Oriente, per la semplice ragione che non ci sono i gasdotti e costruirli è impegnativo e lungo.
Il secondo risultato è che ci troviamo di fronte a un’economia che, perdendo l’accesso alle tecnologie e ai mercati occidentali, ha grossissimi limiti destinati ad aggravarsi all’importazione delle parti di ricambio e all’importazione delle tecnologie. Queste tecnologie e queste parti di ricambio non sono prontamente fungibili da parte di altri fornitori. Malgrado Putin parli di autosufficienza dell’economia russa, siamo chiaramente di fronte a un’economia dove l’autosufficienza è inflittiva e perdente. Veramente crediamo che – se l’economia russa fosse stata veramente autosufficiente e riconvertita per tempo a non essere solo un’economia basata sull’export dei prodotti energetici – sarebbe ancora inferiore, per dimensioni, a quella italiana? Ci sono poi altri due elementi relativi alle sanzioni”.
Quali?
“È chiaro che se sei escluso dai mercati e dalle tecnologie, devi sussidiare il tuo sistema produttivo e questo logora il bilancio dello Stato e fa crollare anche le riserve valutarie. Il discorso sulle sanzioni non può essere inteso come lo scatto di una fotografia, bisogna immaginare un film in movimento. Se lo si fa, si capisce anche la veemenza delle reazioni russe: se le sanzioni non mordessero, e se loro davvero pensassero di poter indefinitamente accumulare proventi sulla vendita di prodotti energetici che prima o poi non venderanno più a nessuno, non si spiegherebbe il perché di tanta veemenza”.
Per ora, se c’è un film che viene facile immaginare, è quello di un autunno/inverno di crisi energetica e inflazione…
“È comprensibile che noi concentriamo la nostra attenzione sugli aspetti più immediati, che in questo momento sono: 1) il nostro bisogno di forniture di prodotti energetici; 2) l’urgenza di rimpiazzare al più presto possibile quelli della Russia; 3) la necessità di farlo ai prezzi più bassi possibile. Se questa è l’emergenza sulla quale siamo concentrati, credo sia importante uscire da un’altra logica che mi sembra fuorviante: l’idea che esista una soluzione immediata, unica, che ci risolva tutti questi problemi. Anche qui, non c’è una soluzione unica, immediata e del tutto risolutiva; esiste un combinato disposto che è fatto di assunzione di responsabilità da parte dei governi, dell’Unione europea e dei nostri maggiori alleati”.
Come si articola questo combinato disposto?
“Da un lato, c’è il tema degli aiuti e dei sostegni. È indubbio che cittadini e imprese, soprattutto in alcuni settori nevralgici e più vulnerabili, vadano sostenuti. In secondo luogo, è illusorio pensare che si possa fare a meno di una razionalizzazione dei consumi. È chiaro che si va verso una razionalizzazione dei consumi, ma non – secondo tutte le stime – verso un’interruzione dei consumi che sarebbe irrealistica. Tanto più questa razionalizzazione sarà moderata ed equilibrata, quanto più rapidamente arriveranno gli aiuti, ci sarà un tetto del gas, avremo i rigassificatori e sarà viabile la diversificazione degli approvvigionamenti. Anche qui non è un fotogramma singolo quello che dobbiamo scattare, ma una sequenza di immagini, uno sviluppo in movimento.
Lei parte da un presupposto che non è scontato: l’assunzione collettiva di responsabilità. Può spiegare cosa intende?
“Intendo dire che i singoli Paesi hanno la responsabilità di procedere con gli aiuti, con la razionalizzazione dei consumi, con la diversificazione degli approvvigionamenti, con l’approntamento rapido di rigassificatori e così via, ovviamente senza perdere di vista – più a lungo termine – gli investimenti in rinnovabili e in transizione energetica. Ma anche l’Unione europea e i nostri maggiori alleati – gli Stati Uniti – devono fare la loro parte. L’Ue, intanto, deve adottare un regime del tetto del gas che non sia diretto solo verso Mosca, ma verso tutti i produttori. Da questo punto di vista, le intese Macron-Scholz sono – spero – non egoistiche ma premessa per uno sviluppo dell’Ue in questa direzione. Poi, evidentemente, anche l’Ue deve fare la sua parte sui sostegni e andare incontro ai Paesi che sopportano maggiori sacrifici. Quanto all’alleato americano – che non può accrescere indefinitamente le proprie forniture a causa di limiti strutturali oltre i quali è difficile andare – serve a livello di amministrazione un discorso serio su quello che è il prezzo all’utente finale, ovvero i Paesi europei. Questo discorso non lo si può chiedere alle aziende americane, ma si può fare un discorso con l’alleato americano. Quello che delineo è uno scenario con varie misure che devono essere sinergiche e devono basarsi sulla solidarietà europea e sulla collaborazione con gli alleati”.
Pensa che ci sia, nel dibattito pubblico, la tendenza a perdere di vista la dimensione valoriale degli eventi, ovvero che quello che stiamo vivendo è la conseguenza dell’aggressione russa a un Paese sovrano?
“Credo sia necessario partire da una premessa che è valoriale ma anche geopolitica. Non possiamo consentire che l’aggressore l’abbia vinta, e non solo perché gli ucraini sono vittima di un sopruso e perché uno Stato sovrano è stato aggredito. Lo facciamo anche per noi stessi, perché se noi consentissimo all’aggressore di averla vinta sarebbe la fine di ogni ordine europeo basato sulle regole: sarebbe il dominio, sotto una forma o l’altra, della Russia in Europa. Io non credo, sinceramente, che questo sia qualcosa che non solo i governi ma anche le opinioni pubbliche siano disponibili ad accettare. Certo, c’è un compito per i governi: si chiama leadership. Leadership significa continuare a tenere alta l’attenzione delle opinioni pubbliche su questo, spiegare qual è la posta in gioco, ricercare la solidarietà europea e quella alleata, perché altrimenti le opinioni pubbliche potrebbero anche rischiare di perdere di vista questo obiettivo che – ripeto – non è solo ‘morire per Kiev’, è salvaguardare noi stessi”.
Allargando lo sguardo, è un discorso che può applicarsi anche alla Cina?
“Su un’altra scala. Quello che è successo, con la guerra di Putin in Ucraina, è un rallentamento del processo di bipolarizzazione del mondo tra Washington e Pechino, con l’apparente formazione di due schieramenti: l’Occidente da un lato e gli altri dall’altro. È interesse dell’Occidente evitare che questi altri si trasformino in degli altri a guida cinese, con l’attiva partecipazione dei russi. Da questo punto di vista, il rischio da evitare è che si vada verso un equilibrio che regali completamente i russi alla Cina e che in qualche modo renda più stretto lo spazio dei diritti, della democrazia, del liberalismo e quant’altro. Io credo che ci sia ancora spazio perché questo non accada. Credo che il ritorno dell’attenzione americana verso l’Europa possa condurre verso la futura creazione di equilibri più ampi… però credo anche che non sia questo, ancora, il tempo in cui se ne possa parlare compiutamente”.
Come valuta invece la situazione sul campo di battaglia? Quale evoluzione immagina?
“Con queste regole d’ingaggio – l’Occidente che non vuole un confronto diretto con Mosca e Mosca stessa che non reagisce confrontando direttamente l’Occidente ma casomai ricattandolo con le forniture energetiche e minacciando iniziative sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia o aggravando conflitti locali – credo che la situazione sia destinata a configurarsi come uno stallo. Sul terreno un po’ si avanza, un po’ si retrocede, ma siamo in una situazione di stallo – uno stallo che però ha ancora nell’impiego delle armi la sua caratteristica distintiva.
Non credo che, dopo tutti gli orrori di questa guerra, si possa facilmente arrivare a una situazione di pace. Piuttosto, penso che si possa evolvere verso una situazione di conflitto più o meno congelato, che si può riacutizzare a seconda dei momenti. Il che non è affatto rassicurante, poiché significa che avremo in Europa una lunga fase di contrapposizione e deterrenza, prima di poter un giorno – che io vedo lontano – riprendere a parlare di cooperazione. Di fronte alla prospettiva di un lungo antagonismo, dovremo smettere di meravigliarci ogni volta che la signora Zakharova apre bocca”.
A questo punto torniamo agli infaticabili propagandisti russi. Pensa che i loro tentativi di ingerenza avranno un impatto sul voto degli italiani?
“Oggettivamente dipende molto dalle forze politiche. Anziché tradurre tutto in immediato consenso elettorale, le forze politiche devono mantenere i nervi saldi e spiegare all’opinione pubblica come stanno le cose. A quel punto, l’impatto della signora Zakharova è nullo sull’elettorato italiano o è molto contenuto”.
Giudica allarmanti questi tentativi?
“Che i russi tentino di influire è nella loro tradizione, addirittura prima dell’Unione sovietica. Adesso sono più abili e hanno a disposizione mezzi tecnologici per le loro campagne di disinformazione, di intelligence e di influenza. Questo è evidente. Però poi dipende da noi. Se noi siamo sufficientemente solidi nella nostra coesione il problema non si pone”.
Siamo o no il ventre molle dell’Ue?
“Non mi sembra proprio. La Russia in tutti questi anni non ha fatto altro che interferire. Eppure, non mi sembra che l’elettorato italiano si sia spostato di una virgola, né che la solidità del nostro sistema di alleanze ne sia uscita scossa. Questo basta a confortarmi, almeno per ora
(da Huffingtonpost)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
IN QUESTO MODO, ATTRAVERSO DELLE PIATTAFORME DIGITALI, SONO RIUSCITI A OTTENERE PREZIOSE INFORMAZIONI SULLE LORO POSIZIONI, UTILI PER I BOMBARDAMENTI
Nonostante da tempo si parli di guerra ibrida per l’invasione russa in Ucraina (con operazioni che non si limitano soltanto a quelle realizzate sul campo, ma anche nella sfera digitale), l’aspetto del social engineering, evidentemente, è stato sottovalutato.
Così, il Financial Times ha avuto modo di provare che alcuni hacker ucraini, presentandosi come donne attraenti, sono riusciti a ingannare dei soldati russi su alcune piattaforme e siti di incontri, in modo tale da ottenere da loro delle informazioni preziose, a livello strategico, circa la loro posizione sullo scacchiere delle varie battaglie sul campo.
Il Financial Times, nella fattispecie, è riuscito a raggiungere Nikita Knysh, un esperto di informatica di Kharkiv, una delle città ucraine maggiormente prese di mira dall’esercito russo.
Nell’intento di dare una mano al suo Paese – non è chiaro se l’operazione fosse in qualche modo collegata al reclutamento di massa che, dalla fine di febbraio, era partito su Telegram sulla base della volontà del ministro della Transizione digitale Mychajlo Fedorov -, l’esperto IT ha detto di aver messo in piedi una squadra di 30 hacker che, nelle scorse settimane, ha messo in atto una strategia di social engineering per ingannare l’esercito russo.
Dopo aver creato profili spacciandosi per donne molto avvenenti, su diverse piattaforme – tra cui Telegram, molto utilizzata in Russia non soltanto come app di messaggistica, ma anche come piattaforma di micro-blogging – sono riusciti a entrare in contatto con diversi soldati di stanza a Melitopol.
A questo punto, hanno iniziato a chattare con loro e sono riusciti a farsi inviare da loro delle foto da cui hanno desunto la loro posizione. Queste informazioni sono state poi condivise con l’esercito ucraino che, guarda caso, proprio nei giorni scorsi ha condotto una operazione militare mirata esattamente a Melitopol.
Non sarebbe la prima volta, del resto, che un’azione militare sia stata condotta sulla base di materiale pubblicato sui social network o su altre piattaforme digitali.
Nei giorni centrali di agosto, un giornalista filo-russo avrebbe pubblicato su Telegram una foto del gruppo di mercenari Wagner: i dettagli contenuti all’interno della fotografia hanno portato poi l’intelligence ucraina a pianificare una operazione militare nel luogo riconoscibile dall’immagine pubblicata. Il ruolo dei social network, ancora una volta, si mostra protagonista in questo conflitto ipertecnologico.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
SALVINI CERCA UNA MOSSA A EFFETTO E LANCIA LA PROPOSTA RIDICOLA DI SPOSTARE IL MINISTERO DELL’INNOVAZIONE A MILANO E CREARE UN MINISTERO DEL MARE IN SICILIA
Sulle scrivanie dei dirigenti della Lega arrivano sondaggi da far venire i brividi. Nelle regioni del Nord si teme un bagno di sangue e il sorpasso di Fratelli d’Italia, al Sud si rischia di avere percentuali infinitesimali. Veneto, Piemonte e Lombardia potrebbero voltare le spalle alla Lega. Insomma, Matteo Salvini deve dare una scossa alla sua campagna e per farlo, oltre alla critica alle sanzioni, e al rilancio del progetto di autonomia (ne ha parlato ieri a Bolzano e Treviso), il segretario federale punta su una proposta: spostare il ministero dell’Innovazione a Milano.
Dopo essersi distinto su sanzioni alla Russia e scostamento di bilancio («non la penso come Draghi e Meloni ha ripetuto ieri») Salvini torna sui vecchi cavalli di battaglia e siccome lui resta l’uomo che ha portato la Lega al Sud, in serata aggiunge: «Serve un ministero del Mare in Sicilia».
L’idea di per sé non è nuova: la Lega di una volta tentò di installare un dicastero nella Villa Reale di Monza. Si trattava, però, solo di sedi distaccate, era il 2011 e Giorgia Meloni, allora ministra della Gioventù del governo Berlusconi, definì l’operazione «un bluff». Altri tempi, ma qualcosa resta: la contrarietà di FdI sulla proposta di spostare da Roma i palazzi del potere.
Da via della Scrofa si evitano commenti ufficiali, nessuno vuole alimentare polemiche, l’uscita di Salvini viene liquidata dai dirigenti come un tentativo di recuperare il terreno al Nord e di tornare al centro del dibattito. Come dire, legittimo, ma noi non c’entriamo.
Daniela Santanché, fra le artefici della campagna del Nord di Fratelli d’Italia che ha l’obiettivo di superare la Lega in Lombardia e in Veneto, non concede grandi margini a Salvini: «Non è importante dove si trova un ministero. L’importante è che lavori bene, che sia efficiente e che faccia il bene del Paese».
Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia ci scherza: «Il ministero in Lombardia? Non lo so non c’ho mai pensato – spiega a Metropolis -. Dal punto di vista campanilista da fiorentino se ci fosse un ministero a Milano ne vorrei tre a Firenze».
A Milano fa discutere un altro silenzio, quello di Letizia Moratti.
La vicepresidente della Regione, che sogna di diventare governatrice evita ogni commento. Ma la sua prudenza sembra soprattutto dettato dalla volontà di tenersi alla larga dalla campagna elettorale. Sul tavolo c’è ancora la sua proposta di candidarsi come governatrice. Una questione che, inevitabilmente, è legata anche a quello che succederà il 25 settembre. Chissà che l’ex sindaco di Milano possa ambire anche a un ministero. Magari quello dell’Innovazione (ma a Roma).
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
A “LA ZANZARA” SU “RADIO 24″ VA IN ONDA L’AVANSPETTACOLO CON IL RISTORATORE CAZZARO IN CAMICIA NERA: “TUTTI I FASCISTI VOTANO PER GIORGIA. LEI NON VUOLE CHE FACCIAMO IL SALUTO ROMANO, NON È CHE MI PIACCIA TANTO MA MEGLIO DEL PD” … “I COMUNISTI ANDREBBERO MARCHIATI. SONO PARASSITI, LA ROVINA DALL’ITALIA”
“Sono fascista più che mai, al governo ci sono delinquenti, ci vorrebbe una rivoluzione. Le condanne non mi interessano, i comunisti andrebbero marchiati. Sono parassiti, la rovina dall’Italia”.
Ferdinando Polegato, il ristoratore sedicente mussoliniano di Sequals (Pn), più volte sotto inchiesta per apologia di fascismo, sempre vestito in camicia nera e fez, parla a La Zanzara su Radio 24 a meno di venti giorni dal voto.
“Siamo sotto una dittatura – dice Polegato – e io vorrei che tornasse il cavalier Benito Mussolini, l’unico”. Ma lei andrà a votare alla fine?: “I fascisti votano tutti per la Meloni. Anche se lei non vuole che facciamo il saluto romano, non è che mi piaccia tanto. Ma piuttosto di avere dei parassiti come il Pd o Calenda, dei rifiuti umani…vado a votare per la Meloni. E voi della Zanzara siete dei culattoni, io credo in Dio Patria e famiglia”.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
LA “FIDANZATA” DEL CAVALIERE LE AVEVA ACCUSATE DI TRADIMENTO
“Siamo donne libere e di fronte alla caduta del governo Draghi e a una deriva sovranista e populista che Forza Italia ha intrapreso e che è sotto gli occhi di tutti, io e Mara Carfagna, come tanti altri parlamentari ed esponenti del territorio, abbiamo fatto la scelta di non concorrere e di non condividere quella responsabilità”.
“Noi siamo state sempre leali ma non siamo serve”. Così a Sky Tg24 Mariastella Gelmini, ministra per gli Affari regionali e le Autonomie ed esponente di Azione, replica a Marta Fascina, deputata azzurra e compagna di Silvio Berlusconi.
“Non rinnego nulla di quello che è stato in Forza Italia ma non mi riconosco nell’ultima stagione di questo partito perché c’è stata una deriva a destra, uno sbilanciamento del baricentro a destra lontano da una ricetta liberale da un posizionamento moderato e popolare che erano le caratteristiche di Forza Italia – ha aggiunto Gelmini – Ho intrapreso un percorso in Azione perché ritengo che Carlo Calenda abbia avuto il coraggio di sostenere il governo Draghi anche nelle partite più difficili e in Azione si può costruire, anzi ricostruire, quella casa dei liberali, dei popolari e dei riformisti che ora manca in Italia”.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
“ATTO DI BULLISMO GRAVISSIMI, NON MERITA LA DIVISA”
«Bene il provvedimento disciplinare per chi si è espresso in questi termini nei confronti dei genitori di un povero ragazzo vittima di bullismo che oggi non c’è più».
Ha commentato così Antonio Serpi, segretario generale del Sim Carabinieri, la decisione dell’Arma di avviare un avviare un provvedimento disciplinare nei confronti di Antonino Briguglio, istruttore della Scuola ufficiale Carabinieri.
Briguglio, nei giorni scorsi, si era espresso sul caso del 13enne morto il 1° settembre a Gragnano commentando: «Se allevi conigli, non avrai leoni. Magari la colpa è di chi non ha saputo far crescere adeguatamente quel ragazzino».
Da qui la decisione dell’Arma dei Carabinieri di avviare un provvedimento disciplinare. «Questa frase è un atto di bullismo gravissimo, che non può stare in bocca di chi indossa la divisa dell’Arma».
Il segretario generale del sindacato dei Carabinieri ha espresso vicinanza alla famiglia della vittima e ha detto di aspettarsi «una sanzione severa ed esemplare per l’accaduto, con l’auspicio che episodi simili non si ripetano mai più».
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
LA COMMOVENTE LETTERA PUBBLICA SU FACEBOOK
Sono passati due anni dalla terribile notte del 6 settembre 2020, quando a Colleferro, comune della città metropolitana di Roma confinante con la provincia di Frosinone, il 21enne Willy Monteiro Duarte venne barbaramente ucciso a calci e pugni senza un apparente motivo.
Una morte assurda che la Corte d’Assise del Tribunale di Frosinone ha attribuito a Marco e Gabriele Bianchi, condannati all’ergastolo, ma ancora lontani dall’ammettere le loro responsabilità.
Una sentenza, questa, di certo “consolante” per la famiglia della vittima, anche se il dolore per la perdita di Willy rimane atroce e incurabile. A due anni dall’omicidio, i parenti del giovane gli hanno reso omaggio con una lettera commovente pubblicata sulla pagina Facebook “Il sorriso di Willy”, il canale social ufficiale della famiglia.
Si legge nella missiva:
Ciao caro Willy, sono già passati due anni, ma manchi ancora come il primo giorno. Due anni senza i tuoi scherzi, i tuoi sorrisi, le tue coccole, le tue battute e soprattutto senza i tuoi abbracci. Hai visto che bel messaggio che hai lasciato su questa terra? Quante persone ti pensano e pregano per te. Tante le dediche, gli eventi e le piazze. Il primo passo per avere giustizia è stato fatto speriamo la sentenza rimanga invariata così potrai riposare in pace.Manchi tantissimo nostro Willy. Sarai sempre e per sempre nel nostro cuore ❤️
La tua famiglia.
Non è stata solo la famiglia a ricordare l’anniversario della morte di Willy e ad omaggiarlo. Anche la comunità di Paliano, il paese in cui il 21enne viveva, continua a piangere il giovane, la cui morte non smette di fare male, come una ferita ancora aperta. Il primo cittadino del piccolo paese, Domenico Alfieri, ha dedicato a Willy un lungo pensiero condiviso poi sul proprio profilo Facebook. Il sindaco ha scritto: “Sono trascorsi due anni da quella tragica notte che ti ha strappato alla tua Famiglia, ai tuoi Amici, alla nostra Comunità, a chi ti voleva bene. Domani ti ricorderemo senza alcun eccesso o clamore, in una messa in tuo ricordo alle 18 presso la Collegiata di Sant’Andrea, con la sobrietà che ha sempre contraddistinto te e la tua splendida Famiglia. Caro Willy, nel tuo breve passaggio su questo mondo ci hai insegnato tante cose: l’amore per la vita, l’importanza di essere generosi, la consapevolezza che ognuno di noi non deve mai cedere di fronte alla violenza e alla prevaricazione. La cosa più di difficile da imparare per chi ti ha conosciuto e voluto bene, la tua famiglia, i tuoi amici, tutta la nostra comunità, resta ancora quella di vivere senza uno splendido ragazzo come te.”
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
“NON CAPIVANO PERCHE’ NON VOLESSI ACCETTARE, GUADAGNO DI PIU’ FACENDO IL PART TIME NEL BAR DOVE ATTUALMENTE LAVORO”…”STIPENDI REGOLARI DA 1.600 EURO AL MESE? MAI VISTI IN 4 ANNI”
“Mi hanno spiegato tutta la storia del bar, tenendo particolarmente al fatto che fossero un locale di lusso. Avrei dovuto lavorare otto ore al giorno, sei giorni su sette. Alla fine del discorso motivazionale su quanto fosse bello quello che mi stessero offrendo, mi hanno comunicato che la paga era di 450 euro al mese”.
Marco (nome di fantasia, ndr) è un ragazzo di ventidue anni. Vive a Roma, insieme ai genitori, e attualmente lavora part time in un bar. “Tra due mesi andrò a vivere da solo – ci spiega – non posso farlo con lo stipendio di adesso, quindi sto cercando un lavoro a tempo pieno”.
La vicenda che ha visto protagonista Marco è stata resa nota dal giornalista Nico Piro, con un tweet diventato virale in pochissimo tempo. Ma la sua storia è uguale a quella di tanti giovani che oggi cercano lavoro: accanto a una narrazione dominante che vuole i ragazzi come degli scansafatiche senza voglia di lavorare, c’è una realtà fatta di contratti irregolari, paghe da fame e sfruttamento.
“Quello che mi proponeva questo bar di lusso, che si trova al centro di Roma ed è molto frequentato, è un contratto il cui stipendio va ad aumentare mese dopo mese – spiega Marco – I primi due avrei preso 450 euro, per poi arrivare dopo otto mesi a un massimo di 900 euro. Me lo stavano vendendo come fosse l’occasione del secolo, quando in realtà stiamo parlando di una paga misera per quaranta ore di lavoro a settimana, che di certo non mi permette di andare a vivere da solo. Prendo di più col part time di ora”.
Marco ha rifiutato il posto di lavoro, e ha dovuto fare i conti con la delusione del titolare del bar. “Non capiva perché non volessi accettare – spiega – ma io non capisco come si fa anche solo a proporre una cosa del genere”.
Anche negli altri bar e ristoranti in cui ha lavorato le esperienze non sono state edificanti. “Soldi non me ne hanno mai offerti, al massimo 650 euro al mese per un part time. E anche lì non è andata a finire bene”.
Cos’è successo?, gli chiediamo. “Dopo tre mesi che lavoravo lì come cameriere volevano farmi fare ‘il salto di qualità’, come lo hanno chiamato loro. Mi hanno proposto di lavorare sette giorni su sette fino a settembre, dieci ore al giorno, per mille euro al mese. Ho rifiutato e mi hanno pure preso a parolacce, mi hanno insultato. Mio padre ogni tanto collaborava con loro, hanno smesso di chiamare pure lui per ripicca”.
Non è stata diversa l’esperienza al call center, dove veniva pagato a seconda dei minuti che passava al telefono. “Non so nemmeno se fosse legale ma prendevo pochissimo, dopo un mese me ne sono andato”.
E adesso? “Sto pensando di tornare a fare il muratore – conclude Marco – è un mestiere che ho iniziato a fare appena finita la scuola, ma speravo di trovare altro. Mi vedo però costretto ad abbandonare la ristorazione, vivere così è impossibile”.
E i locali che lamentano di non trovare personale perché ‘i giovani non vogliono lavorare? “Io questi contratti da 1600 euro al mese non li ho mai visti in quattro anni che lavoro, e nemmeno i colleghi nella mia stessa situazione. Se li trovate chiamatemi”.
(da Fanpage)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
TORNA IN CELLA UNO DEI FEDELISSIMI DI MESSINA DENARO, FRANCESCO LUPPINO: ARRESTATO NEL 2013 NELL’OPERAZIONE EDEN ERA POI STATO SCARCERATO E AVEVA RIORGANIZZATO LA RETE
L’indagine dei carabinieri sulla rete di presunti favoreggiatori del superlatitante Matteo Messina Denaro, che ha portato oggi all’arresto di 35 persone, ruota attorno a Francesco Luppino, arrestato nel 2013 nell’ambito dell’operazione Eden e poi scarcerato, indicato dagli investigatori come uno dei “fedelissimi” del boss.
Secondo gli investigatori dopo essere tornato in libertà avrebbe ricominciato a tessere le fila nel mandamento di Campobello Di Mazara. Nel corso delle indagini del Ros sono stati ricostruiti anche rapporti che vanno al di la della provincia di Trapani, con cosa nostra palermitana, agrigentina e catanese nel cui ambito i mafiosi trapanesi venivano indicati come “quelli che appartengono a Matteo Messina Denaro”.
La mafia trapanese, sottolineano gli inquirenti, controlla il tessuto economico – sociale della provincia; condiziona la libertà degli incanti; gestisce, in forma pressoché monopolistica il settore della sicurezza dei locali notturni e del recupero crediti; altera le procedure di aggiudicazione di immobili oggetto di asta giudiziaria; compie estorsioni nei confronti di aziende del settore enogastronomico (tra cui una cantina vinicola) e turistico (strutture ricettive) ed ha la disponibilità di armi da fuoco.
Nel corso dell’operazione, infine, sono state effettuate numerose perquisizioni finalizzate alla ricerca del latitante e sono state intensificate le attività di controllo del territorio nelle zone di maggiore interesse operativo.
(da agenzie)
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