Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
IL SITO INDIPENDENTE RUSSO MEDUZA: “PROBLEMA DIFFUSO TRA GLI UFFICIALI”
Il presidente russo Vladimir Putin sarebbe preoccupato per l’incremento nel consumo di alcol tra i suoi ufficiali. Un abuso che sarebbe sia in frequenza che in quantità e che durerebbe sin dall’inizio della guerra in Ucraina.
A rivelarlo è la testata russa indipendente Meduza.
Secondo due fonti consultate dal giornale, le preoccupazioni del presidente russo lo avrebbero portato ad affrontare l’argomento in due incontri individuali con due governatori.
Si tratta dei governatori dell’oblast’ di Vladimir (a est di Mosca) Alexander Avdeev, già ambasciatore russo in Vaticano dal 2013 a marzo 2022, e dell’oblast’ di Kirov (a nord di Kazan), Alexander Sokolov. «Bisogna aumentare la propaganda per uno stile di vita sano», avrebbe dichiarato Putin ad Avdeev.
A Sokolov il presidente russo aveva parlato di un peggioramento delle abitudini alcoliche della popolazione, chiedendo al governatore di non «nascondere nulla sotto al tappeto» e di «fare attenzione» alla questione.
«Da febbraio la gente scarica lo stress bevendo»
Come fa notare Meduza, prima d’ora Putin aveva raramente sollevato il tema dell’alcol. Quando nel 2016, incalzato da un giornalista in merito al traffico illegale di alcolici nel Paese, aveva affrontato l’argomento, il presidente russo aveva dichiarato: «L’alcolismo è un problema per la Russia».
Stando a una delle fonti del sito indipendente, ora «la gente sta scaricando lo stress in questo modo (bevendo, ndr) da febbraio». Cioè che causa maggiormente agitazione sarebbe il danno causato dai soldati russi all’Ucraina e ai suoi abitanti. La maggior parte dei membri dell’esercito, ricorda Meduza, non sapeva che il 24 febbraio sarebbe iniziata l’invasione.
(da Open)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
“DI FRONTE A UN RISULTATO MOLTO NEGATIVO DELLA LEGA NON MI STUPIREBBE UN RIBALTONE AL VERTICE DEL PARTITO. FORZA ITALIA? MI ASPETTO UN TRACOLLO”… “LA MELONI CHE DICE: “EUROPA, LA PACCHIA È FINITA”? UNA INUTILE FRASE DA GANASSA, UNA SPACCONATA E VOLER RINEGOZIARE IL PNRR E’ UNA FOLLIA”
Sindaco Sala, mancava solo la notizia dei finanziamenti russi ai partiti stranieri a movimentare la campagna elettorale. Lei crede che in Italia qualcuno abbia preso rubli da Putin?
“Non so e, come tutti, aspetto di capire meglio gli sviluppi di queste notizie di intelligence. Indipendentemente da ciò ci sono già elementi per ritenere che i rapporti ambigui a livello internazionale siano uno degli elementi di debolezza della coalizione di centrodestra. I rapporti politici di Salvini con Mosca non sono una illazione, bensì una pura constatazione”.
E Meloni?
“Sulla collocazione internazionale del Paese ha preso una posizione molto diversa e infatti la politica estera è uno dei temi su cui il governo di destra, se dovesse vedere la luce, potrebbe inciampare”.
Vede ingerenze russe sul voto?
“Vedo quello che succede in Rete, dove ci sono macchine di propaganda costose, animate da migliaia di troll. Chi li gestisce? Chi li finanzia? Domande cui sarebbe interessante avere risposta”.
Ha già detto che voterà per il Pd. Perché?
“Non credo sia sorprendente, anche se non ho mai avuto la tessera ho sempre votato per il Pd. È una questione di valori e di visione della società, ma al di là dei leader, che attraggono molto l’attenzione del cittadino, un sindaco ha il dovere di guardare alla qualità della classe dirigente e Milano ha bisogno di interlocutori giusti in Parlamento. Un bravo parlamentare, capace di presentare emendamenti, di aggiustare un decreto, è spesso più importante di un premier o di un ministro”.
È la sua declinazione di voto utile?
“In democrazia ogni voto è utile. Ma la nostra pessima legge elettorale non è un proporzionale corretto, io lo chiamo sproporzionale: è oggettivo che nei collegi uninominali la sfida sia a due, e siccome un terzo del nuovo Parlamento sarà costituito da chi vince nei collegi, se non voti per chi può conquistarli, parte del tuo voto rischia di andare disperso”.
Perché il Pd spesso vince nelle città ma ha problemi quando si vota per il governo del Paese?
“Il Pd ha sempre saputo presentare nei Comuni personalità riconosciute e apprezzate dai cittadini, che forse andrebbero più valorizzate. Trovo profondamente sbagliato mettersi ora a parlare di futuro del Pd. In questi ultimi giorni di campagna bisogna dare più forza ad alcuni temi, come la questione ambientale, che da anni non è più un vezzo, è anche occasione per ricostruire il futuro industriale del Paese”.
Cosa serve al Pd per tornare a espandere il suo consenso nel Nord?
“Battaglie precise che vadano al di là della sacrosanta difesa dei diritti civili. I diritti, poi, sono di tutti, dobbiamo per esempio pensare a quelle maggioranze silenziose che chiedono diritto alla sicurezza”.
Al Pd si imputa anche una campagna troppo in negativo: votateci perché sennò vincono loro.
“Da profondo antifascista dico sarei stato meno insistente sul rischio di un ritorno al Ventennio. Della destra mi fa molto più paura che FdI abbia chiamato la sua convention programmatica a Milano “Appunti per un programma conservatore”. Davvero qualcuno pensa che in un mondo così in cambiamento la conservazione sia un punto di forza? No, è debolezza. Questo mi fa paura”.
Lei vede questa presunta svolta moderata di Meloni?
“La vedo ondivaga, in certi momenti cerca di presentarsi come moderata, in altri alza i toni”.
“Europa, la pacchia è finita” non è una frase da leader moderata.
“Una inutile frase da ganassa, come diciamo noi a Milano, una spacconata. La questione europea è quella centrale, è vero che dobbiamo farci rispettare ma dobbiamo ricordarci che siamo un Paese molto indebitato e con infrastrutture deboli. Due debolezze su cui possiamo migliorare solo in collaborazione con la Ue”.
Meloni vuole rinegoziare il Pnrr.
“Follia. Già ho seri dubbi che saremo in grado di appaltare tutti i progetti entro il 2023, come chiede l’Europa. Se ci mettiamo anche a ridiscutere non so cosa potrà accadere”.
Sul disegno di Autonomia c’è un’altra delle frizioni tra Salvini e Meloni.
“Aspetto di vedere una proposta concreta prima di sbilanciarmi. Il federalismo è un principio condivisibile, non una religione. Capita che le Regioni abbiano competenze assurde, come quella sul turismo, e non ne abbiano altre decisive”.
La destra può vincere le elezioni. Ce la farà anche governare?
“Non ho mai coltivato l’illusione che il centrodestra si sarebbe diviso. Non lo ha mai fatto nei momenti importanti. Più facile che litighino dopo il voto”
La coalizione del Pd si annuncia un flop.
“Dopo la repentina caduta di Draghi, a noi elettori di sinistra pareva evidente che non si potesse stare in alleanza con il M5S che ne è stato il detonatore. Sulla rottura con Calenda-Renzi, invece, c’è una quota di posizionamento politico e una di personalismo. Il mondo che fa riferimento al Pd ha più difficoltà a digerire un rapporto con Renzi che con Calenda, azzardo che la crisi sia cominciata da lì”.
Che previsioni fa sul voto al cosiddetto Terzo polo?
“Ho conoscenti intenzionati a votarli perché reputano il Pd troppo a sinistra. Ne ho convinto qualcuno che si tratta di una valutazione sbagliata”.
Sente aria di slavina al Nord per la Lega?
“Il risultato della Lega è uno di quelli che attendo con più curiosità e che avrà un peso notevole nella lettura delle elezioni. Parlo spesso con politici leghisti e privatamente non esprimono giudizi lusinghieri su Salvini. Il suo potere nella Lega è ancora forte, ma di fronte a un risultato molto negativo della Lega non mi stupirebbe un ribaltone al vertice del partito”.
E Forza Italia?
“Mi aspetto un tracollo, sul territorio non ha più figure attrattive”.
Dica la verità, crede ancora possibile una rimonta del Pd?
“Io non credo che ci sia davvero il 40% di indecisi su che partito votare. Piuttosto, mi sembrano in molti che non sanno se si recheranno ai seggi. Penso a loro e so per esperienza che conta ogni singolo voto. Dobbiamo provare a conquistarlo fino all’ultimo giorno di campagna”.
(da La Repubblica)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
“MAD VLAD” HA DOVUTO ABBOZZARE PUBBLICAMENTE: “APPREZZIAMO MOLTO LA POSIZIONE EQUILIBRATA DEGLI AMICI CINESI IN RELAZIONE ALLA CRISI UCRAINA”
Al di là dei grandi proclami – “La Cina è pronta a lavorare con la Russia come grandi potenze”; “Nei primi sette mesi di quest’anno, il volume degli scambi reciproci è aumentato di un altro 25 per cento. E nel prossimo futuro, come concordato, aumenteremo il fatturato commerciale annuo a 200 miliardi di dollari o più” – Vladimir Putin e Xi Jinping devono aver avuto delle divergenze sulla guerra in Ucraina, che come spiegato da diversi analisti, preoccupa non poco Pechino.
È lo stesso Putin, nel corso dell’incontro oggi a Samarcanda a margine del vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, a dire che la Russia comprende “le preoccupazioni della Cina sulla questione ucraina” e intende “chiarire la posizione russa” a tal proposito. Ma aggiunge lo zar, “apprezziamo molto la posizione equilibrata degli amici cinesi in relazione alla crisi ucraina. Comprendiamo le vostre domande su questo argomento”.
Del resto XI Jinping, nonostante l’amicizia con Putin, e l’alleanza con la Russia, nonostante “capisca le ragioni che hanno costretto la Russia a lanciare un’operazione militare speciale” in Ucraina, non dà e non fornirà in futuro alcun supporto militare a Mosca per la guerra in Ucraina. Da parte sua la Russia, sottolinea Putin, è “fermamente impegnata” nel riconoscimento del principio di una sola Cina e condanna “le provocazioni degli Usa a Taiwan”.
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
“OGNI CONCESSIONE RAFFORZEREBBE PUTIN, SE RESISTETE DOPO L’INVERNO POTREBBE ESSERE SOSTITUITO”… “SOVRANISTI PEDINE IMPORTANTI DEL CREMLINO”
“L’inverno sta arrivando”: il motto della casata degli Stark nella serie tivù “Il trono di spade” è da un po’ di tempo diventato il pay-off della propaganda della Russia di Vladimir Putin.
Viene ripetuto nei post delle ambasciate di Mosca in Occidente e nei filmati pubblicitari prodotti dal ministero degli Esteri (Mid). È un cinico richiamo al ricatto del gas con cui il Cremlino cerca di dare scacco all’Europa.
Ebbene, se si vuole evitare la guerra totale tra i “white walkers” e “Westeros”, ovvero tra le “ombre bianche” del nord — che tra l’altro nel serial televisivo sono dei gran brutti tipi— e il “Continente occidentale”, è meglio resistere al ricatto.
Parola di uno che il Cremlino lo conosce bene: Abbas Gallyamov è stato tra gli speechwriter del presidente russo. Per tre anni ha scritto i suoi discorsi.
“Se l’Europa dimostrerà debolezza e farà concessioni in cambio dei rifornimenti energetici, Putin si rafforzerà e rimarrà al comando. E il conflitto in Ucraina rischierà di trasformarsi nella Terza guerra mondiale”, dice Gallyamov a Fanpage.it. “Se invece l’Europa resisterà al ricatto del gas, il leader del Cremlino dopo l’inverno sarà più debole, e potrebbe esser sostituito”. Abbiamo raggiunto telefonicamente Abbas Gallyamov a Tel Aviv, dove è emigrato nel 2020 a causa del suo dissenso dal regime attualmente al potere in patria.
La rotta delle forze armate di Putin a Izyum ha provocato malcontento nelle élite, riportano i media russi citando fonti vicine al potere. Mentre i consiglieri di decine di circoscrizioni delle grandi città, peones della politica a stretto contatto con la gente comune, chiedono l’impeachment del presidente. Le critiche per l’andamento della guerra in Ucraina lo stanno indebolendo? C’è la possibilità di una rivolta di palazzo sostenuta dal popolo?
La ritirata in Ucraina non è necessariamente il prodromo di una rivolta contro Putin, ma è certo un passo in quella direzione. È un brutto colpo all’immagine di costante vincitore che il presidente si è costruito. Ed è un brutto colpo alla sua legittimità. Ma Putin è ancora potentemente radicato nel sistema politico creato intorno a lui. Quindi non credo che questo episodio per adesso isolato sarà seguito immediatamente da una rivolta, da un golpe.
Putin ha perso forza e legittimità, diceva. Può ritrovarle?
Se riesce a stabilizzare la situazione sul campo di battaglia, se le forze ucraine non continueranno nella loro offensiva, allora questo sarà un ottimo argomento da utilizzare per pacificare sia le élite che l’opinione pubblica. Soprattutto, il presidente sta cercando di convincere tutti che l’Europa resterà congelata quest’inverno, senza il gas e il petrolio russi. E che dovrà infine piegarsi al suo volere, fermando l’invio di armi e ogni sostegno all’Ucraina.
Quindi il Cremlino punta tutto sull’inverno?
Credo si sia riusciti a convincere élite e popolazione ad aspettare fin dopo l’inverno. E questo sentimento di obbedienza tradizionale, che sta sicuramente indebolendosi ma è ancora presente, potrebbe far sì che si acconsentirà ad aspettare. È senz’altro la cosa migliore, dal punto di vista degli uomini del Cremlino. Perché non sanno esattamente cosa fare. Non è il momento di muovere le acque, all’interno del palazzo.
Ma se l’Europa, seppur infreddolita, resistesse al ricatto del gas, l’inverno finirebbe per minare la legittimità di Putin — secondo il suo ragionamento.
E in questo caso potrebbe accadere di tutto, all’interno del Cremlino. Non credo che ci sarebbe una vera e propria rivolta. Ma le persone intorno a Putin potrebbero convincerlo a farsi da parte per lasciare il posto a un successore. Così sarà il successore a doversi confrontare con i problemi esistenti. Ma ciò non succederà prima del prossimo marzo. Aspetteranno. Almeno per l’inverno. Sperando che l’arma del gas e del petrolio possa render più forte la Russia e il suo attuale regime.
Quindi sarà importante vedere che cosa deciderà l’Unione Europea rispetto al gas e al petrolio russi quest’inverno. È uno dei motivi principali della campagna elettorale in Italia.
L’Italia da questo punto di vista è molto importante per Putin. Perché nei Paesi europei l’opinione pubblica italiana è quella che simpatizza maggiormente con lui e meno con l’Ucraina. Così spera che i partiti populisti ed euroscettici che potrebbero far già parte della prossima coalizione di governo prendano ulteriore spinta quando arriverà l’inverno e la gente avrà freddo. Portando a provvedimenti in materia energetica in grado di fare gli interessi del Cremlino.
Cosa si chiedono in questo momento, dopo la sconfitta sul campo di battaglia, i responsabili della politica russa? Se fare una mobilitazione di massa? Scatenare una guerra mondiale? Usare armi nucleari?
Si domandano che fare per fermare l’offensiva ucraina. E certo si interrogano sull’opportunità di una mobilitazione di massa. Ma è un opzione parecchio rischiosa. Non è per niente chiaro quanti nuovi soldati possa procurare. Piuttosto, potrebbe causare proteste di piazza. Perché la gente non vuole andare a far la guerra nemmeno ora che i volontari vengono pagati un sacco di soldi, per i parametri degli stipendi russi (secondo la Bbc, ai volontari vengono offerti anche 4.000 euro al mese più indennità e bonus — ndr). E perché mai si dovrebbe andare al fronte addirittura gratis? Soprattutto ora, quando è ovvio che la possibilità di essere uccisi o di diventare invalidi è quantomai realistica. La guerra sta diventando sempre meno popolare. Sono molto pochi quelli che accetterebbero di andare a morire. Tutta la narrativa del Cremlino sulla “denazificazione” e la demilitarizzazione dell’Ucraina è più o meno convincente quando si sta vincendo la guerra e possono vedere i successi in televisione, seduti sul divano. Ma quando devi alzarti e andare a combattere, c’è bisogno di argomenti molto più solidi. La mobilitazione di massa è davvero un’alternativa poco praticabile per il Cremlino.
E allargare il conflitto facendolo diventare una guerra mondiale è un’alternativa concreta, se l’inverno rafforzerà la Russia? La narrativa del regime prepara a una tale eventualità da mesi. Nei talk show della tivù di Stato si ripete ogni giorno che di fatto la Terza guerra mondiale è già iniziata. E si evocano continuamente la potenza nucleare della Russia e la sua capacità distruttiva.
Non si può escludere niente, quando si parla di Putin. Quella dell’allargamento della guerra a Paesi Nato, la guerra mondiale, è una possibilità, qualora il regime recuperasse la sua forza. E anche quella dell’utilizzo di testate nucleari è una possibilità, sempre se il regime si sentirà forte.
Davvero lo farebbero?
Probabilmente prevarrebbe la prudenza. La gente che deve decidere tiene famiglia. Mica vogliono immolare sé stessi e i loro familiari in una catastrofe nucleare. Soprattutto, quando sei debole — come lo è Putin rispetto a qualche anno fa — non è detto che i tuoi diretti subordinati ti obbediscano. E se non lo fanno, la cosa potrebbe sfociare in un golpe che ti fa perdere il potere. Solo se Putin si sentisse forte l’ipotesi rischierebbe di avverarsi.
La retorica della guerra nucleare è diretta più alla audience interna o a quella esterna?
È diretta alla audience ucraina, europea e americana. E finora il ricatto è fallito. Per la audience interna, d’altro canto, ormai servono fatti. Non basta più la propaganda. Non puoi più solo evocare minacce contro ciò che sa succedendo nella realtà, mentre le tue difese vengono attaccate e distrutte. La minaccia nucleare diventa completamente inadeguata. Le parole non funzionano più. Alla audience interna si deve far vedere che i carri armati ucraini vengono davvero fermati. In qualsiasi modo. Anche per questo la situazione è sempre più pericolosa.
Lei è stato tra gli “speech writer” di Vladimir Putin dal 2008 al 2010. Ha avuto contatti stretti con lui. Che tipo era in quegli anni e quanto è cambiato?
Era una persona del tutto razionale e funzionale. Un bravo top manager, che delegava responsabilità ai suoi collaboratori, sapeva quali domande fare e ascoltava con attenzione le risposte. Dimostrava una totale adeguatezza al suo ruolo. Non mi sarei mai aspettato che diventasse quel che è poi diventato.
(da Fanpage)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
CARRI ARMATI ABBANDONATI E CASE SACCHEGGIATE DI OGNI BENE
Edifici sventrati, distruzione, casse di munizioni non utilizzate lasciate sotto gli alberi, ma anche carri armati abbandonati con il simbolo della “Z”, carcasse di automobili e altri mezzi lungo la strada, ponti crollati.
È questo quello che le telecamere di una troupe della Cnn è riuscita a immortalare dopo essere entrata nella città ucraina di Izium, sotto il controllo dei russi fino a tre giorni fa quando l’esercito di Kiev è riuscita a liberarla, nell’ambito della travolgente controffensiva portata avanti nella regione di Kharkiv.
L’emittente americana è la prima che è riuscita a varcare i confini della cittadina, dove, come riferisce il consigliere comunale Maksym Strelnikov, almeno mille abitanti sono morti, l’80% degli edifici è stato distrutto e il sistema di riscaldamento è stato danneggiato sotto “l’occupazione russa”, durata circa sei mesi.
Izium rappresenta un’enorme perdita strategica per l’esercito di Mosca, che l’ha utilizzata come base chiave e rotta di rifornimento per le sue forze nell’Ucraina orientale: l’operazione mostra la velocità e la portata del fulmineo contrattacco ucraina nel Nord-Est.
La troupe dell’emittente Usa è entrata anche nel bunker dove era acquartierato il comando delle truppe di Mosca, dentro tanti banchi in fila, come quelli di scuola, probabilmente il posto dove sedeva ognuno degli ufficiali russi.
Uno spazio basso, angusto, dove venivano prese le decisioni. Il reporter Sam Kiley ha anche intervistato una coppia di ucraini che hanno festeggiato l’arrivo dei soldati di Kiev: “I russi prima di andare via hanno rubato tutto, si sono portati via qualunque cosa”, hanno raccontato.
Tuttavia, la paura per le truppe di Putin attanaglia ancora la città. La maggior parte dei residenti contattati dalla Cnn si sono detti ancora troppo spaventati per parlare liberamente di quello che era successo lì negli ultimi mesi.
Intanto, sono partiti i lavori per rendere sicuro il centro cittadino, anche se non mancano le difficoltà. La città rimane ancora senza internet e senza telefono, una tattica utilizzata dai russi nei territori occupati.
(da Fanpage)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
LA RUSSA: “SE LETIZIA MORATTI VUOLE PRESENTARSI BISOGNA DARLE UNA RISPOSTA, È UNA RISORSA”… OCCHIO PERCHE’ DELUSA DAL CENTRODESTRA, POTREBBE CEDERE ALLE LUSINGHE DI CARLO CALENDA E CORRERE PER IL TERZO POLO
Matteo Salvini attacca Giorgia Meloni e sottolinea appena può le differenze con gli alleati-avversari? Fratelli d’Italia risponde infilando il piedino nel portone di Palazzo Lombardia, ultima vera roccaforte del potere salviniano.
Una controffensiva significativa nel merito ma soprattutto nei tempi: mancano dieci giorni al voto e domenica la Lega proverà a difendersi dall’avanzata meloniana nel Nord mostrando i muscoli a Pontida.
A lanciarla ieri mattina è stato Ignazio La Russa, uno dei consiglieri più fidati della presidente di Fdi, in un’intervista al Corriere della Sera. Due le cose dette da La Russa. La prima è che la ricandidatura del governatore leghista Attilio Fontana è «un’ottima proposta». La seconda è che se Letizia Moratti vuole presentarsi «bisogna darle una risposta, è una risorsa».
La questione, in Lombardia, è nota: la Moratti, che nei mesi più duri della pandemia era stata chiamata a dare il suo contributo come assessore al Welfare, a luglio ha confermato la sua disponibilità a correre per il centrodestra nel 2023.
Molti dicono che in realtà l’ex sindachessa di Milano abbia soltanto fatto presente quanto le era stato prospettato quando l’avevano richiamata in prima linea. Nessuno ha mai chiarito. Fatto sta che la risposta della Lega non si è fatta attendere: ha subito fatto quadrato intorno ad Attilio Fontana. Nonostante il rischio che una Moratti delusa dal centrodestra possa cedere alle lusinghe di Carlo Calenda e correre per il Terzo Polo. Fratelli d’Italia, invece, ha sempre mantenuto un low profile. Sul tavolo, infatti, c’erano anche la ricandidatura del governatore siciliano ed esponente di Fdi Nello Musumeci e la regola «dell’automatismo» per cui l’uscente avrebbe avuto la precedenza.
Il problema, per Fontana e per la Lega, è che un mese fa Musumeci ha fatto un passo indietro, dimettendosi, facendo accorpare il voto siciliano a quello nazionale del 25 settembre e scegliendo di candidarsi alle politiche. Al suo posto, per il centrodestra, ci sarà Renato Schifani di Forza Italia. «La Russa ha solo chiarito che a una figura come quella di Letizia Moratti bisogna dare una risposta – rincara la dose la coordinatrice lombarda di Fdi Daniela Santanché -Del resto la regola dell’automatismo non esiste più, è finita un mese fa in Sicilia».
Dopo il 25 settembre, insomma, i giochi saranno ancora aperti. Senza contare che il voto nazionale, con alcuni assessori lombardi candidati per il Parlamento, potrebbe cambiare l’assetto e gli equilibri della giunta Fontana. I diretti interessati lo sanno e giocano ancora a carte coperte.
Letizia Moratti si limita a ringraziare La Russa per le parole di stima mentre il governatore getta acqua sul fuoco: «La Russa afferma che Moratti è una risorsa e che lo sia non ci sono dubbi, tanto è vero che l’ho scelta come vicepresidente di Regione Lombardia».
Di tutt’ altro avviso, invece, il capogruppo regionale del Pd Fabio Pizzul: «Un’affermazione di questo tipo da una figura non certo di secondo piano in Fratelli d’Italia possiamo definirla una luce rossa che si accende».
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
“I FINANZIAMENTI PASSANO ATTRAVERSO RAPPORTI COMMERCIALI E ARRIVANO A SINGOLI INDIVIDUI”… “SEI I POLITICI AMICI FANNO APPROVARE LEGGI PRO-CREMLINO IL COMPENSO E’ DOPPIO”… “USANO FONDI NERI DELL’FSB”
“Solo 300 milioni? Credo proprio che la Russia abbia pagato di più” Anton Shekhovtsov ha pochi dubbi sulla veridicità di quanto comunicato dal segretario di Stato americano Anthony Blinken alle ambasciate statunitensi: Il Cremlino ha finanziato candidati, politici e partiti in oltre venti Paesi dall’Asia all’Europa passando per l’Africa e, forse, per l’America Latina. L’esperto è però scettico sulla cifra totale dell’operazione. Troppo conservativa rispetto alla realtà, dice.
Shekhovtsov, autore di “Russia and the Western Far Right: Tango Noir” (Routledge, 2017) è considerato il maggior esperto mondiale dei rapporti fra la destra radicale dell’Occidente e la Russia di Vladimir Putin.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente mentre era in viaggio da Vienna, dove dirige il Centro per l’integrità democratica, a Firenze, dove parteciperà a una conferenza. “I soldi del Cremlino vanno più a singoli politici o ai loro amici che ai partiti. E il passaggio di denaro avviene soprattutto attraverso accordi commerciali che appaiono in tutto legali”, spiega a Fanpage.it.
Le sembra verosimile il contenuto del rapporto Blinken, per quel poco che finora se ne sa?
Certamente sì. Anche se vista la sua portata geografica e il periodo che copre (dal 2014, ndr), ritengo la cifra di 300 milioni di euro estremamente conservativa. Credo che la Russia abbia speso molto di più, per influenzare la politica di altri Paesi. Sarà interessante vedere gli sviluppi, soprattutto in relazione ai partiti e ai politici in Europa. Anche perché al momento l’unico finanziamento accertato da parte di Mosca a un partito europeo è quello corrisposto nel 2014 all’allora Front National (poi ribattezzato Rassemblement National, ndr) di Marine Le Pen. E tra l’altro si trattò di un prestito bancario, almeno in teoria da restituire.
Un semplice prestito bancario appare un po’ naif come sistema per finanziare segretamente “agenti” stranieri. Infatti quell’operazione fu scoperta, Le Pen dovette ammetterla e poi arrampicarsi sugli specchi per giustificarla.
Infatti non è così che avvengono normalmente i finanziamenti da parte di Mosca.
E come avvengono?
I modi che i russi utilizzano per trasferire soldi agli “amici” che fanno lavoro politico pro-Putin all’estero sono diversi: la cripto valuta, i cui movimenti non sono rintracciabili o i contanti, in alcuni casi. Sacchi di denaro. Vale soprattutto per quei Paesi dove i controlli e i servizi di sicurezza sono più corruttibili e meno efficaci. Un milione di euro in contanti non prende mica tanto spazio. Ma il modo più sicuro, e secondo me privilegiato dal Cremlino perché legale o quasi, è quello che prevede “normali” contratti commerciali.
Ovvero?
Per esempio, un’azienda russa che opera in un dato Paese estero può essere foraggiata dall’Fsb (il servizio segreto russo erede del Kgb sovietico, ndr), da altri servizi o dalla stessa amministrazione presidenziale affinché trasferisca denaro ad una fazione politica in quello Stato. O meglio — come avviene più frequentemente — a un preciso leader politico o a persone vicine al leader. Dare soldi direttamente al partito è più rischioso perché troppo ovvio: può essere più facilmente scoperto da indagini giudiziarie o giornalistiche.
Quindi le relazioni personali contano parecchio, in questo sistema. Ma come fa un’azienda russa che opera in un Paese estero a incanalare verso un personaggio politico o verso suoi sodali i fondi avuti dal Cremlino senza destare sospetti?
Per esempio: prendiamo un’azienda italiana che finanzia in modo legale e trasparente un partito politico in Italia. Tutto dichiarato. Tutto normale. A un certo punto, la leadership di quel partito politico fa un viaggio in Russia e intraprende un’attività di lobbying per investimenti commerciali che favoriscano l’azienda italiana che la finanzia. E finisce che l’azienda ottiene sontuosi contratti con società statali o private russe. A condizioni più favorevoli di quelle di mercato, perché a monte ci sono i soldi dell’Fsb — o comunque del Cremlino. Che fa allora l’azienda? Semplice: dà ancora più soldi al partito che già sponsorizzava e che gli ha fatto avere i contratti in Russia. O, a volte, paga sottobanco esponenti o “consulenti” dello stesso partito, In questo modo, i soldi del Cremlino sono arrivati agli “amici” stranieri”, dopo qualche passaggio. È così che funziona, nella maggior parte dei casi.
All’hotel Metropol di Mosca nell’ottobre 2018 il leghista Gianluca Savoini si stava forse discutendo un affare di questo genere? La magistratura sta ancora indagando.
Quello del Metropol fu un incontro di basso livello, ma probabilmente più manipolatorio rispetto al tipo di lobbying e di “affari” di cui ho appena detto. Più ambiguo ed inconcludente. Ciò che descrivevo è invece un’attività che permette finanziamenti indiretti in modo quasi trasparente e — paradossalmente — proprio per questo difficilmente individuabile e quindi efficace. Sono figure di più alto livello rispetto a quelle che si incontrarono al Metropol, ad organizzare il supporto del Cremlino alle persone e alle organizzazioni che promuovono il regime di Putin all’estero.
E come stanzia il Cremlino i fondi da destinare ai suoi “amici” all’estero? Catherine Belton in “Putin’s People” (William Collins, 2020, ndr) parla di fondi neri costituiti da parte di aziende e di individui ai vertici del potere attraverso attività illegali, quando non criminali, in Russia e all’estero.
Ritengo che esistano effettivamente fondi neri derivanti da attività illegali. E potrebbero talvolta esser stati usati per finanziarie partiti politici e personalità pro-Putin all’estero. Ma questo tipo di fondi vengono soprattutto “investiti” per rafforzare reti criminali globali o comunque transnazionali. E per finanziarie le cosiddette “misure attive” dei servizi di sicurezza: azioni illegali di spionaggio.
Come utilizzano i partiti europei pro-Putin i soldi che arrivano dalla Russia?
Nel caso del Fronte nazionale di Le Pen, erano soldi che arrivavano direttamente al partito e servirono specificamente per la campagna elettorale del 2016. Ma più frequentemente, come dicevo, i finanziamenti sono per singoli individui, non per il partito. É molto raro che sia direttamente un partito a riceverli. Quello del Fronte nazionale è un caso quasi unico. Quei soldi furono spesi per manifesti, comizi e pubblicità elettorali. Quando – come quasi sempre succede – il beneficiario dei finanziamenti è un singolo politico, gli si richiedono servizi ad hoc. Come promuovere risoluzioni o proporre leggi di cui il Cremlino possa beneficiare. E sappiamo dai risultati di alcune investigazioni che il pagamento è in due tempi: prima si viene pagati, per esempio, per proporre una legge. E poi, se la legge è approvata, per il politico pagato da Mosca il compenso raddoppia.
(da Fanpage)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA E LEGA IN DIFESA DI ORBAN HANNO VOTATO CONTRO… IN UNGHERIA È EMERSO “UN REGIME IBRIDO DI AUTOCRAZIA ELETTORALE” CHE VIENE CONSIDERATO “UNA MINACCIA SISTEMICA” AI VALORI FONDANTI DELL’UE
“L’Ungheria non può essere più considerata una democrazia”. La durissima risoluzione è scaturita dall’ultima riunione del Parlamento Europeo, che ha approvato a maggioranza una relazione della Ue sull’operato del governo di Budapest.
La situazione nel Paese danubiano si è degradata a tal punto che è diventato una «autocrazia elettorale». E’ quanto sostiene l’Aula, che ha approvato con 433 voti favorevoli, 123 contro e 28 astensioni, la relazione in cui si stigmatizza «l’inazione» dell’Ue, che ha «peggiorato le cose» e si raccomanda che l’erogazione dei fondi per la ripresa a Budapest sia sospesa «finché il Paese non si allineerà alle raccomandazioni dell’Ue e alle decisioni della giustizia comunitaria. Per l’Aula «ogni ritardo nella procedura legata all’articolo 7 equivarrebbe ad una violazione dello Stato di diritto da parte del Consiglio».
Vengono condannati gli «sforzi deliberati e sistematici» dell’Ungheria contro i valori dell’Ue e si chiedono «risultati» per quanto riguarda la procedura ex articolo 7.
I deputati chiedono alla Commissione di fare uso di tutti gli strumenti a sua disposizione, in particolare il meccanismo di condizionalità a tutela del bilancio Ue, che protegge i fondi comunitari dalle violazioni dello Stato di diritto.
Le principali preoccupazioni dei deputati riguardano l’indipendenza della magistratura, la corruzione, i conflitti di interesse, la libertà di espressione e il pluralismo dei media, la libertà accademica, quella religiosa, la libertà di associazione, l’uguaglianza di trattamento, inclusi i diritti delle persone Lgbt, i diritti dei minori, dei migranti e dei richiedenti asilo, del funzionamento del sistema elettorale e costituzionale.
La relatrice Gwendoline Delbos-Corfield, francese dei Verdi, sottolinea che «le conclusioni della relazione sono chiare e inequivocabili: l’Ungheria non è più una democrazia. Era fondamentale che il Parlamento prendesse posizione, tenendo conto dell’urgenza e della gravità degli attacchi contro lo Stato di diritto in Ungheria. Oltre a riconoscere la strategia autocratica di Fidesz (il partito guidato da Viktor Orban, che oggi nel Parlamento è tra i Non Iscritti dopo essere uscito dal Ppe, ndr), una grande maggioranza dei deputati sostiene questa posizione, che è una prima assoluta per il Parlamento. Dovrebbe essere un campanello d’allarme per Commissione e Consiglio».
Il voto contrario di Lega e Fratelli d’Italia alla risoluzione di condanna all’Ungheria è destinato ad avere riflessi anche sulla campagna elettorale italiana. Negli ultimi mesi, infatti, il Movimento 5 Stelle e la coalizione di centrosinistra ha attaccato a più riprese i leader di centrodestra per i loro rapporti con il governo ungherese. «Ogni volta che c’è da difendere la democrazia in Europa, i partiti di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini si schierano dalla parte opposta, quella dei regimi illiberali», ha commentato Laura Ferrara, europarlamentare dei 5 stelle. Secondo Ferrara, votando contro la risoluzione di condanna del governo di Orban, «Fratelli d’Italia e Lega si sono schierati contro l’Europa».
(da Open)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
COSA SAPPIAMO DEL DOSSIER CHE HA CAMBIATO LA CAMPAGNA ELETTORALE
Cosa sappiamo, per certo, dei dossier americani sui finanziamenti russi a partiti europei? Sono citati esponenti politici italiani? Se sì, quali? E ancora: chi ha stilato i dossier e che tipo di elementi sono stati portati a sostegno?
Sono domande cruciali per comprendere la fibrillazione provocata in queste ore nel nostro Paese, in piena campagna elettorale, dalle notizie che arrivano da Washington.
Andiamo con ordine.
IL PRIMO DOSSIER
La miccia è accesa nella serata di martedì 13 settembre quando un lancio della Associated Press parla dell’esistenza di un dossier nelle mani del Dipartimento di Stato americano che da conto di finanziamenti del Cremlino tesi a influenzare partiti ed esponenti politici occidentali: si citano 300 milioni di euro, spesi a partire dal 2014 e confluiti in una una ventina di paesi, tra cui alcuni in Europa.
Il dossier, sostiene l’Associated Press, è stato inviato dal segretario di Stato Antony Blinken alle ambasciate americane di almeno duecento paesi. L’effetto detonatore è immediato. Qualche minuto dopo l’uscita della notizia, non sono ancora le 20, in Italia parte la caccia all’elenco dei Paesi coinvolti. E ai nomi dei politici beneficiari.
I RISCONTRI ITALIANI
La notizia coglie di sorpresa, seppur non troppo, la nostra intelligence. Da giorni si fa un gran parlare in certi ambienti – alimentata dall’intervista a Repubblica di Julia Friedlander, già analista Cia e responsabile Sud Europa dell’amministrazione Trump, che segnala la possibilità di legami finanziari tra la Lega di Matteo Salvini e la Russia – di possibili report in arrivo dall’estero su rapporti non trasparenti, di natura economica, tra alcuni partiti e leader italiani e, appunto, l’entourage di Putin. Le voci ne indicano anche la modalità dell’incasso: finanziamenti non diretti ma avvenuti per il tramite di aziende e fondazioni.
Del dossier del Dipartimento di Stato, però, niente si sapeva. Quindi, dopo il lancio dell’Associated Press, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per il tramite del sottosegretario Franco Gabrielli (Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica) chiede conto all’intelligence americana di cosa stia accadendo. Si muove personalmente il numero uno dell’Aise, Giovanni Caravelli, con il capocentro della Cia di stanza a Roma. A Caravelli viene risposto che il dossier esiste, ma che allo stato dei fatti non sono informati del contenuto. Né sono arrivate da Washington alert particolari che lascino pensare alla presenza nel dossier di personalità italiane.
Immediatamente sono state chiare tre cose, quindi. Che non si tratta di una fake news. Che per gli americani non è ancora il tempo della condivisione di certe informazioni sensibili con i Paesi alleati. E che il dossier in questione non è frutto di un lavoro di intelligence bensì di alcuni Dipartimenti del Governo americano: quello del Tesoro, principalmente.
Una conferma in questo senso arriva poche ore dopo, quando a Palazzo Chigi e alla Farnesina viene notificata una nota di sintesi del dossier: priva di indicazioni precise, fa riferimento a quanto già uscito sulla stampa, ossia investimenti russi dal 2014 in poi in almeno venti paesi dell’Occidente. La richiesta di chiarimenti da parte dei canali diplomatici azionati da Roma si fa più pressante e dagli Stati Uniti si ricava qualche elemento in più: il nome dell’Italia, nel corposo dossier del dipartimento del tesoro americano, qua e là spunta, ma l’Italia non è nei venti paesi oggetto dei finanziamenti del Cremlino né, di conseguenza, appaiono nominativi di politici italiani. E verosimilmente quanto dirà Gabrielli domani al Copasir, convocato proprio sulla questione.
IL SECONDO DOSSIER, CON L’ITALIA DENTRO
Caso chiuso, dunque? No. Stando a quanto risulta a Repubblica, infatti, il Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, che riceve informazioni dalle varie agenzie di intelligence statunitensi, ha consegnato nelle mani del presidente Biden un altro documento, classificato, composto da dati raccolti dai servizi segreti ma anche di fonti aperte, nel quale vengono citati, tra gli altri, rapporti dell’Italia (e di politici italiani) con la Russia di Putin.
Il Dipartimento di Stato ha fatto sapere, in via informale, che questo secondo dossier non sarà divulgato. Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, dice che alla Farnesina sono arrivati gli aggiornamenti alla nota di Blinken, che – come detto – non riguarda l’Italia. Ma aggiunge: “Siamo in contatto con gli americani sia adesso sia nei prossimi giorni per tutti gli ulteriori aggiornamenti. Draghi ha sentito Blinken e continueremo con gli alleati lo scambio di informazioni”.
IL TERZO DOSSIER DEL 2020
Esiste poi un terzo dossier, datato agosto 2020 (quindi amministrazione Trump) e già pubblicato, dal titolo “Covert Foreign Money”.
È redatto da Josh Rudolph che nel Consiglio per la sicurezza nazionale si era occupato di coordinare il lavoro delle agenzie federali sulle sanzioni contro la Russia. Sono indicati i 300 milioni di euro spesi dal Cremlino e 33 possibili Paesi dove sarebbero stati spesi. Viene citata la Lega di Matteo Salvini per l’affare del Metropol e della possibile compravendita di petrolio russo.
(da La Repubblica)
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