Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
IMMAGINI CHE CONFERMANO COME PUTIN ABBIA UNA DRAMMATICA CARENZA DI SOLDATI DA INVIARE A FARSI TRUCIDARE SUL FRONTE
Su un canale Telegram russo è apparso un video di cinque minuti che mostra Evgenij Prigozhin mentre parla a un gruppo di detenuti nel cortile di un carcere russo a nome della “sua” compagnia di mercenari Wagner e propone il reclutamento nella cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina in cambio dell’amnistia.
Il video prova in un colpo solo due fatti che fino a oggi erano rimasti in una zona di ambiguità.
Il primo è che i detenuti russi sono arruolati per essere mandati a combattere sul fronte e questo conferma che il Cremlino ha un grave problema di carenza di soldati ed è disposto a ogni genere di misura per tappare i buchi sulla linea del fronte. Dopo sei mesi in Ucraina i detenuti ricevono l’amnistia e possono scegliere se tornare a casa o restare nei ranghi della Wagner.
I mercenari della Wagner combattono soprattutto nel Donbass e quindi non sono responsabili del tracollo a Kharkiv, ma è la tenuta generale del piano d’occupazione in Ucraina che oggi è in discussione. Il Cremlino non ha abbastanza uomini.
Il secondo fatto provato dal video è che Prigozhin, uomo molto vicino a Putin, è legato alla compagnia Wagner. Lui aveva sempre negato e aveva anche intentato cause per diffamazione contro chi sosteneva che la compagnia di mercenari fosse sua, ma adesso è lui stesso a dirlo. Prigozhin, che ha passato nove anni in un carcere, ha conosciuto Putin grazie alla sua attività di catering a San Pietroburgo e ne è diventato un alleato fedele – il suo soprannome è “lo chef di Putin”. È stato lui a creare la cosiddetta “fabbrica dei troll” per condizionare i discorsi sui social media a vantaggio di Moscaanche nei paesi occidentali.
La “sua” compagnia Wagner in questi anni è stata uno strumento flessibile del Cremlino ed è stata inviata a combattere in molte aree di crisi, dalla Libia alla Siria al Donbass. I mercenari garantiscono a Putin la possibilità di negare un intervento russo all’estero, perché dal punto di vista formale non sono truppe regolari e allo stesso tempo tutti sanno che si muovono per ordine del presidente.
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
NIENTE ACCORDO CON LA PROCURA, RISCHIANO ANCHE I FIGLI
Donald Trump sempre più vicino al processo. La procuratrice generale Letitia James ha rifiutato una proposta di accordo avanzata dall’ex presidente degli Stati Uniti e dai suoi legali per risolvere l’inchiesta civile sulla Trump Organization.
La holding di famiglia è infatti sospettata di frode fiscale e assicurativa. Lo scandalo a cui si riferiscono le indagini è quello scoppiato nel 2020 grazie a un’inchiesta del New York Times.
Secondo il quotidiano newyorkese, l’ex inquilino della Casa Bianca avrebbe dichiarato false perdite dell’organizzazione al fine di pagare pochissime tasse.
Il rifiuto dell’accordo rappresenta un ampio passo verso il processo per frode fiscale e la potenziale l’incriminazione del tycoon che – rivela il Nyt – potrebbe includere anche uno dei figli. Ivanka, Erik e Donald Trump Jr sono stati tutti dirigenti della società.
Secondo il quotidiano, «non c’è nessuna indicazione che difesa e accusa riescano a raggiungere un’intesa nel breve periodo».
Se l’ex inquilino della Casa Bianca dovesse perdere la causa, i giudici potrebbero imporgli il pagamento di multe salate e limitare le sue operazioni finanziarie a New York.
Il tutto avverrebbe nel pieno della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2024 alle quali Trump è intenzionato a candidarsi.
Nello specifico, l’inchiesta punta a scoprire se i guadagni del tycoon siano aumentati in maniera fraudolenta. Trump continua a negare tutte le accuse a suo carico e a definire l’investigazione «una caccia politicamente motivata».
Aveva anche cercato di tirare in ballo la nipote, Mary Trump, accusandola di aver cospirato con i giornalisti per ottenere illecitamente informazioni sulla posizione fiscale dell’ex presiedente. Trump aveva inoltre definito la procuratrice James «una razzista».
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
“NON FECI CONGETTURE, DI SICURO AVEVANO UN FORTE INTERESSE. MI PARVE ASSURDO INSERIRE QUELLA RICHIESTA IN UN PROVVEDIMENTO CHE PARLAVA DI TRASPARENZA”
La sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina, ex 5 Stelle e oggi in Impegno civico, durante il governo Conte uno era capogruppo alla commissione Affari costituzionali della Camera.
Lega e Movimento discutevano il varo della legge cosiddetta “spazzacorrotti”. Sono i giorni che seguono l’incontro moscovita del 18 ottobre 2018 tra Gianluca Savoini e misteriosi emissari vicini al presidente Putin.
Al comma 2 della legge era scritto che «ai partiti e ai movimenti politici è fatto divieto di ricevere contributi provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri, da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero». Sul tavolo arriva un emendamento leghista che propone semplicemente di sopprimere il comma.
Come andarono le cose?
«La richiesta era molto strana, inserirla in un provvedimento che parlava di trasparenza dei finanziamenti dei partiti, dove ci si proponeva il massimo tracciamento, mi parve assurdo».
Quindi si oppose subito?
«Chiamai Luigi Di Maio, era lui il capo politico del partito. Ci confrontammo stabilendo la linea: dovevamo essere irremovibili».
Era un emendamento mirato a possibili finanziamenti dalla Russia?
«Non feci congetture, di sicuro avevano un forte interesse. Ho il flash di una riunione tutta centrata sul punto, con Igor Iezzi della Lega».
Cosa le disse?
«Provò a spiegarmi che se ci fosse stato un imprenditore residente all’estero che voleva sostenere la Lega, che male ci sarebbe stato?
Risposi che in una democrazia erano inopportune ingerenze dall’estero, di qualsiasi tipo».
E alla fine?
«Venne ritirato»
I rapporti con la Lega erano già ai ferri corti?
«In quel momento no, il governo era partito da pochi mesi e ognuno aveva degli obiettivi da raggiungere, per noi c’era il decreto dignità e il reddito di cittadinanza. Non posso avere certezze sulle loro mire specifiche, però fu importante opporsi, anche con il sostegno del nostro capo politico di allora».
(da la Repubblica)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA STAVA VIAGGIANDO CON ALCUNI COLLEGHI QUANDO HA PERSO IMPROVVISAMENTE I SENSI. SUL SUO CORPO CI SAREBBERO SEGNI DI “SOFFOCAMENTO”
Altra morte eccellente, e misteriosa, in Russia.
Il direttore della Komsomolskaja Pravda, Vladimir Nikolayevich Sungorkin, è deceduto mercoledì: aveva 68 anni e nel suo corpo ci sarebbero segni di “soffocamento”. Stava viaggiando verso Khabarovsk con alcuni colleghi, prima di dirigersi a Mosca, quando ha perso improvvisamente i sensi.
Poco prima, aveva detto ai colleghi: “Dovremmo trovare un bel posto da qualche parte… per il pranzo”.
Il suo collega Leonid Zakharov ha spiegato che tre minuti dopo Vladimir ha iniziato a soffocare e il gruppo lo ha portato fuori a prendere aria.
Il medico che lo ha visitato inizialmente ha concluso che è morto per un ictus.
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
ZELENSKY: “CI SERVONO LANCIARAZZI MLRS, TANK LEOPARD, MEZZI CORAZZATI, DIFESE AEREE, DRONI, RAZZI”
Libera nos a malo… E dai russi. E da tutto questo dolore. Volodymyr Zelensky ha la mano sul cuore, issa il blu e il giallo sulle rovine riconquistate d’Izyum.
All’inizio s’ abbandona a un po’ di retorica della controffensiva: «Prima, guardando in alto, cercavamo sempre il blu del cielo e il giallo del sole, ora cerchiamo solo la nostra bandiera». Quindi va in primissima linea, cosa che Putin non ha mai fatto in questi mesi, e visita gli orrori dell’Ucraina appena liberata.
«Sempre le stesse violenze, le case distrutte, i civili uccisi». A Balakliya c’è una camera delle torture. Gelida, spoglia di tutto. E sul muro solo graffiti disperati.
Le ultime preghiere, il pianto dei condannati a morte. Il disegno d’una croce, con le parole del Padre Nostro: «E non ci abbandonare», «ma liberaci dal male»… Echi di sofferenze inimmaginabili. Pallido, «Ze» sgrana gli occhi: «La visita qui è davvero scioccante. Ma non per me. Perché queste cose abbiamo iniziato a vederle da Bucha, dai territori liberati. Quel che hanno fatto a Izyum, purtroppo, fa parte della nostra storia e della storia della Russia moderna».
Una certezza: «Sono sicuro che avremo i tribunali, i processi, i verdetti». Una promessa: «Un giorno torneremo anche in Crimea, sono passati otto anni. Non so quando, nessuno lo sa. Ma il mio messaggio è che torneremo anche lì».
8.500 chilometri quadrati e 388 villaggi liberati, 150 mila persone: è presto per chiamarla rivincita. Perché la guerra falcia ancora i migliori. Cade il primo ballerino dell’Opera di Kiev. Muore «Simba», il sergente paramedico Olga Simonova, che aveva rinunciato al passaporto russo per arruolarsi con gli ucraini ed era diventata il simbolo della riscossa: stava su mille manifesti, bionda e in divisa, ma l’altro giorno è saltata su una mina.
«Aspettiamo a suonare la fanfara», avverte il capo delle forze armate tedesche, Eberhard Zorn: Putin ha impiegato solo il 60% delle truppe, niente marina e aeronautica, anche se «oggi possiamo dire con certezza che non riuscirà più ad avere tutto il Donbass». Quattro giorni fa, a Izyum ci stavano i russi. Ora sono rinculati di 15 km, lasciando muri sforacchiati, negozi devastati, case scoperchiate. Spettri, pure: a Hrakove c’erano mille abitanti, ne restano una trentina, usciti dalle cantine a descrivere quegl’invasori «spaventati e paranoici» che sequestravano «perfino i nostri cellulari, per paura che usassimo i localizzatori». Zelensky ascolta, stringe mani, abbraccia. S’ abbandona all’ottimismo («arriveremo alla vittoria!») ed elogia il nuovo eroe ucraino, il generale Oleksandr Syrsky che ha condotto l’arrivano-i-nostri. «Ma la riconquista va rafforzata», spiega.
E ha una nuova lista della spesa per l’Occidente: «Ci servono lanciarazzi Mlrs, tank Leopard, mezzi corazzati, difese aeree, droni, razzi», elenca il suo caponegoziatore Mikhailo Podolyak.
Lo sanno tutti che i russi non staranno fermi a lungo: il ceceno Ramzan Kadyrov, dato per prossimo ministro della Difesa, irride «gli strateghi da divano che ci raccontano in ritirata», chiede a Putin «la legge marziale» in Russia, invoca rabbioso l’uso di «qualsiasi arma».
Guai a chi molla: lo zar fa smentire tre suoi collaboratori, intervistati da Reuters , che raccontano come a marzo l’inviato russo Dmitry Kozak avesse quasi raggiunto un accordo con Kiev per evitare lo scontro, ma fu stoppato dallo stesso Putin che all’ultimo cambiò idea. «Tutte invenzioni», dice il Cremlino.
(da il Corriere della Sera)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
MA CERTI POLITICI NON CAPISCONO CHE FAREBBERO MEGLIO A TACERE SE NON SANNO DI COSA PARLANO?
Nella sua quotidiana “pillola” sul programma elettorale di Forza Italia Silvio Berlusconi oggi parla delle proposte per i disabili.
«Uno dei temi sui quali più insisto in questa campagna elettorale – dice il leader di Forza Italia – è l’aumento delle pensioni d’invalidità, come di quelle per gli anziani, ad almeno 1.000 euro mensili per 13 mensilità. Una cifra anche troppo esigua, soprattutto nelle grandi città del Nord, pensando ai costi che voi vi dovete accollare. Vedremo se potremo aumentarle».
Poi propone: «Ma non basta. Dobbiamo aiutare anche i genitori di un figlio disabile che vivono nell’incubo di quello che accadrà dopo la loro morte quando non saranno più in grado di prendersene cura. Per questo, una buona legge sul ‘Dopo di noi’ è un’esigenza sentita dalle famiglie alla quale ci impegniamo a dare una precisa risposta».
Ma in realtà una legge chiamata “Dopo di noi” per i disabili esiste già.
È stata approvata nel giugno 2016 su proposta dell’allora governo Renzi e si tratta del Ddl «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno famigliare».
(da agenzie)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
MA I COGNATI D’ITALIA NON ERANO PER LA LIBERA IMPRESA?… CI SONO TANTI ITALIANI CHE POTREBBERO PENSARE LA STESSA COSA DI LA RUSSA
Un appello affinché il prossimo 25 settembre tutti i cittadini si rechino nelle rispettive sezioni indicate sulle tessere elettorali ed esprimano la loro scelta.
Poche parole, pubblicando racconti scritti da altri affinché questo voto sia consapevole e in linea con gli ideali di libertà e diritti.
È bastato questo per scatenare la risposta velenosa del senatore di Fratelli d’Italia Ignazio Benito Maria La Russa contro Chiara Ferragni.
E, come spesso gli capita, il co-fondatore del partito di Giorgia Meloni riesce a realizzare un miscellaneo dialettico che parte della politica, passa per una “scommessa” e poi si conclude con un’accusa sui guadagni.
L’imprenditrice digitale (e influencer) ha condiviso su Instagram un post di “Aprite il Cervello” in cui si richiede ai cittadini un voto consapevole, portando all’attenzione del pubblico (soprattutto quello alle prese con l’apatia, la delusione e la disillusione) che per il momento ha deciso di astenersi dal voto, di non lasciare – attraverso questa decisione – il portone spalancato ai sovranisti.
E la condivisione di questo pensiero ha fatto andare su tutte le furie Ignazio Benito Maria La Russa: “Nel ‘vecchio governo corrotto’ di sicuro Fratelli d’Italia non c’era, mentre da 10 anni nei governi ci sono sempre stati, senza aver mai vinto, tutti gli amici politici della Ferragni. Sfido la Ferragni a tre mesi di silenzio social se perdono quelli che lei sponsorizza. Accetta la scommessa o sa che perderebbe una montagna di soldi guadagnati senza merito?”
Insomma, se dovesse vincere la destra Chiara Ferragni – secondo il La Russa pensiero – dovrebbe abbandonare i social per almeno tre mesi. Perché? Perché lo ha deciso lui.
Poi l’affondo sui soldi guadagnati senza merito che sono la chicca conclusiva a un attacco smodato. Fuori luogo. Fuori contesto.
(da NextQuotidiano)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
È INTERESSANTE IL NOME DEL FUNZIONARIO DELL’AMBASCIATA CHE HA RITIRATO I CONTANTI PER LA DELEGAZIONE RUSSA: OLEG KOSTYUKOV. LO STESSO CHE IN QUESTI MESI HA CURATO LE RELAZIONI CON MATTEO SALVINI E IL SUO CONSULENTE IMPROVVISATO, ANTONIO CAPUANO
Alle tre e mezza del pomeriggio del 13 settembre il quotidiano americano Washington Post pubblica la notizia destinata a provocare molte ore più tardi un terremoto nella politica italiana. Titolo: «La Russia ha speso milioni per finanziare partiti e politici stranieri in tutto il mondo». La fonte della notizia è un documento desecretato dall’amministrazione Biden e ormai solo classificato come “sensibile”.
I milioni di cui si parla sono circa 300. Un numero che ritorna in un report del 2020, letto da Domani, sui finanziamenti coperti messi sul piatto da Russia, Cina e paesi arabi, destinati all’Europa e al resto del mondo. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha inviato a oltre cento paesi il dossier, che sarebbe approdato anche presso alcuni governi europei. Quali? Non è dato saperlo. Chi sono i leader coinvolti? La risposta è la stessa, nessun nome, nessun riferimento concreto.
Almeno pubblicamente, perché un elenco esiste ma è stato consegnato ai paesi interessati. L’Italia per ora non è compresa, questo dicono da palazzo Chigi, salvo poi specificare: «Le segnalazioni da parte degli Stati Uniti non è detto che siano concluse e che sia escluso che possano arrivare entro venerdì poiché il lavoro dell’intelligence americana è ancora in corso e le segnalazioni per vie diplomatiche vengono fatte solo quando si ritiene certa l’azione russa».
Sulla stessa linea il Copasir, il comitato di sorveglianza parlamentare sull’attività dei nostri servizi segreti. «Nessuna notizia che riguarda l’Italia, ma le cose possono cambiare», ha dichiarato il presidente dell’organismo di controllo, Adolfo Urso. Il Copasir ha comunque convocato una riunione sul tema venerdì 16 settembre. Alla notizia sono seguite le reazioni dei leader nostrani, alcune scomposte non sono mancate a destra, dove si trovano i principali sospettati di vicinanza a Putin.
La Lega in particolare, che ha gridato al complotto. Matteo Salvini ha definito «fake news» la faccenda e ha promesso querele contro chi osa accostare il nome Lega a finanziamenti occulti del Cremlino. Curiosa reazione, nel documento finora non è citato né lui né il suo partito.
Il leader leghista ha messo le mani avanti, perché sa bene che la storia recente dei suoi rapporti con Mosca non svanisce così all’improvviso. È certo che il suo partito sarà il primo sospettato. Sospetti, legittimati dai fatti accaduti in questi ultimi anni, che ricadono sul suo partito prima di altri per motivazioni concrete, per eventi documentati quando lui era da poco al governo con i Cinque stelle.
Come i suoi fedelissimi beccati con le mani nella ciotola russa dei soldi destinati ai sovranisti europei. Fatti, appunto, per i quali Salvini non ha mai neppure denunciato i giornalisti autori dello scoop sul caso Metropol, l’hotel di Mosca dove il 18 ottobre si è tenuta la trattativa tra l’ex portavoce di Salvini, Gianluca Savoini, e una banda di tre russi (tutti legati a oligarchi e politici vicini a Putin) durante la quale hanno negoziato un finanziamento alla Lega per sostenere la campagna elettorale delle europee 2019.
Finanziamento milionario mascherato con un’operazione di compravendita di milioni di tonnellate di gasolio. Schema che viene citato anche dall’intelligence americana come usuale nei metodi usati dalle truppe di Putin per elargire soldi agli amici politici della Russia in giro per il mondo.
Questo schema del sostegno elettorale camuffato da scambio commerciale, emerso per la prima volta pubblicamente con il negoziato del Metropol, prevede l’utilizzo di società estere fittizie attraverso le quali far transitare la somma ufficiale e quella destinata allo scopo politico dell’operazione.
Quel 18 ottobre con Savoini si è parlato anche di questo aspetto. Un caso scuola potremmo definirlo, seppure la transazione non sia avvenuta. L’esperta di intelligence Julia Friedlander, in una recente intervista, cita le «shelf company» per un quali strumento per veicolare soldi russi verso gruppi politici dell’Unione.
Si tratta di società cartiere, di comodo o dormienti, create in uno stato estero rispetto all’obiettivo da finanziare. Friedlander, alto funzionario di stato con Donald Trump, è stata analista della Cia, consigliere per l’Europa nell’Office of Terrorism and Financial Intelligence del dipartimento al Tesoro, e dal 2017 al 2019 direttrice per l’Europa al consiglio per la sicurezza nazionale. Friedlander nel dialogo con La Repubblica ha parlato espressamente di Lega e Salvini, il quale sulla Russia «penso abbia un interesse politico personale… Ci sono connessioni ideologiche, ma anche obiettivi economici», ha detto.
Otto giorni dopo l’intervista, ecco la notizia sui milioni distribuiti dalla Russia a partiti e leader di tutto il mondo pubblicata dal Washington Post. E che in Italia ha avuto più eco rispetto ad altri paesi proprio perché tra una settimana si terrà il voto che deciderà il prossimo governo, con la destra unita data in netto vantaggio dai sondaggi. In questa coalizione c’è la Lega, la principale indiziata non da oggi ma dall’inizio dell’era Salvini (2013) di avere stretto con Mosca un rapporto che va oltre la condivisione di ideali comuni.
Il manifesto del Metropol
Per capire il motivo di tanta attenzione internazionale sulle ingerenze russe in Italia è necessario partire ancora una volta dal Metropol e da Savoini seduto al tavolo con gli uomini vicini al presidente Putin. L’ex portavoce di Salvini è chiamato in Russia il consigliere di Matteo pur non ricoprendo già all’epoca ruoli ufficiali nel partito.
Savoini prima di entrare nel clou dei dettagli tecnici della trattativa ha pronunciato parole che diventano una sorta di manifesto politico dell’incontro segreto, fanno da cornice ideale allo scambio commerciale dietro il quale si celava un finanziamento reale: «La nuova Europa deve essere vicina alla Russia. Non dobbiamo più dipendere dalle decisioni di illuminati a Bruxelles o in Usa. Vogliamo cambiare l’Europa insieme ai nostri alleati come Heinz-Christian Strache in Austria, Alternative für Deutschland in Germania, la signora Le Pen in Francia, Orbán in Ungheria, Sverigedemokraterna in Svezia».
Attenzione alle sigle dei partiti nominati: sono quasi tutti stati coinvolti in scandali con alla base fondi russi. Va ricordato, inoltre, che un anno prima (2017) La Lega aveva siglato un patto politico con il partito di Putin, Russia Unita. Accordo di collaborazione ancora in vigore. Nel discorso introduttivo, in pratica, l’uomo di Salvini garantisce ai russi che solo i sovranisti, di cui la Lega è in quel momento forza trainante in Europa, possono cambiare gli equilibri.
In altre parole destabilizzare l’Unione, secondo i desideri e le strategie del presidente Putin. Dopo aver presentato il manifesto sovranista-leghista, Savoini ha lasciato la parola ai tecnici italiani e russi seduti al tavolo del Metropol. Iniziava così la trattativa vera e propria, fatta di cifre e luoghi, sconti sul carburante e società estere tramite le quali far passare i soldi.
Tre anni prima del Metropol, invece, è accaduto un fatto curioso. Come raccontato da Domani nei mesi scorsi, c’è stato uno strano giro di contanti, segnalato dall’antiriciclaggio italiano, che ha riguardato un alto funzionario dell’ambasciata russa nei giorni in cui Putin era in visita a Milano e ha incontrato il leader della Lega, accompagnato da Savoini.
Si trattava di un prelievo in banca di 125mila euro, giustificato dal diplomatico russo con la necessità di soddisfare le esigenze della delegazione in arrivo da Mosca per il vertice nel capoluogo lombardo il 17 ottobre 2014. Quel giorno Salvini ha incontrato Vladimir Putin. Un saluto rapido, un caffè al volo dopo un importante convention sull’Eurasia.
Forse il primo incontro tra il capo della Lega e il presidente della federazione russa. È interessante il nome del funzionario dell’ambasciata che ha ritirato i contanti per la delegazione russa: Oleg Kostyukov. Lo stesso che in questi mesi ha curato le relazioni con Matteo Salvini e il suo consulente improvvisato, Antonio Capuano, l’avvocato di Frattaminore (Napoli), che ha accompagnato il capo leghista durante gli incontri segreti con l’ambasciatore di Putin a Roma per parlare del piano di pace in salsa sovranista.
È interessante da analizzare il periodo in cui i russi sostengono, o tentano di farlo, i sovranisti europei. Savoini organizza decine di incontri prima del Metropol a partire dal maggio precedente con un oligarca di nome Konstantin Malofeev, rappresentato da un suo emissario al tavolo dell’hotel moscovita e artefice di alleanze tra Cremlino e destre europee. In quel periodo la Lega aveva fatto il pieno di voti, aveva il vento in poppa, si apprestava ad andare al governo dell’Italia.
Era di fatto il primo partito dichiaratamente sovranista al governo di un paese fondatore dell’Unione Europea. Il più importante e forte nel 2018. Quattro anni prima lo scenario era decisamente diverso. La Lega era una forza residuale, Salvini era diventato segretario da un anno e la metamorfosi sovranista era appena cominciata. All’epoca all’apice dell’ascesa c’era Marine Le Pen con il Front national, che stava riorganizzandosi in vista delle elezioni del 2017 con sondaggi molto favorevoli sopra il 30 per cento.
Perciò al tempo se il Cremlino doveva sostenere un partito anti europeista con buone possibilità di vittoria, questo era sicuramente il Front national. A fine novembre 2014 la testata francese Mediapart pubblica lo scoop sul prestito da 9 milioni di euro dato al Front national dalla First Czech Russian Bank. Le Pen si era giustificata seguendo il protocollo caro ai sovranisti, il vittimismo: «Nessuna banca francese ce lo avrebbe concesso».
Aggiungendo che il denaro non ha influenzato le sue posizioni politiche. Di certo in Europa Le Pen, insieme a Salvini, la più strenua paladina della Russia e di Putin. La banca aveva accordato il finanziamento dopo l’inizio delle ostilità in Ucraina e nello stesso periodo Le Pen aveva annunciato di riconoscere il referendum sull’annessione russa della Crimea.
Anche in questo caso, come per l’affare Metropol, non si trattava di spedire borse zeppe di contanti o portare fuori dalle ambasciate buste farcite di rubli. Il sostegno è mascherato da un’operazione finanziaria con tutti i crismi della legalità. A fornire indizi di opacità però è il nome stesso della banca: di proprietà di una società di costruzioni russa, a sua volta controllata da società riconducibile a Gennady Timchenko, amico stretto di Putin e da tempo sotto sanzioni per la guerra in Ucraina.
«Questa banca è un noto ufficio di riciclaggio di denaro di Putin» aveva scritto Aleksej Navalny, l’oppositore più noto del presidente. La banca ha chiuso i battenti nel 2016 ed è stata rilevata da una società di ex militari russi, pure questa colpita da sanzioni. L’accordo per la restituzione del debito aveva fissato il 2019 come data ultima. Alla fine si sono accordati per il 2028 con una ristrutturazione rivelata dal Wall street journal ad aprile 2022, nei giorni caldi delle ultime presidenziali francesi.
Non vanno dimenticati, poi, i 2 milioni di euro ricevuti nel 2014 dall’associazione di raccolta fondi di Jean Marie Le Pen (padre di Marine) sostenitrice del Front national. Il denaro era partito da una società di Cipro connessa a un banca del Cremlino. A favorire l’operazione sarebbe stato l’oligarca Malofeev, ancora lui, l’amico di Savoini e della Lega. Germania russa In Germania Putin ha puntato tutto sui sovranisti di Alternative für Deutschland (Afd).
Negli anni ci sono state tracce di relazioni politiche e finanziarie tra gli uomini del Cremlino e il gruppi di estrema destra tedesco. I casi più eclatanti sono certamente due: nel 2017 a tre leader di Afd è stato pagato un volo per Mosca su un jet privato da un donatore russo; nel 2019, invece, la Bbc ha pubblicato alcuni documenti in cui emergeva il sostegno del Cremlino a Markus Frohnmaier, membro del parlamento tedesco di Afd, «avremo il nostro parlamentare assolutamente controllato nel Bundestag».
Una frase contenuta in uno scambio di mail tra un ex ufficiale del controspionaggio navale ed ex membro della camera alta del parlamento russo, e un alto funzionario dell’amministrazione del presidente Putin.
Il trappolone di Ibiza
Di tutt’ altra fattura è il caso Ibizagate che ha coinvolto Heinz Christian Strache, l’ex leader della Fpoe, la destra radicale e sovranista austriaca.
Anche loro citati da Savoini nel discorso del Metropol. Lo scandalo austriaco ha provocato la caduta del governo, è considerato tuttavia una trappola tesa a Strache, ripreso in un video sull’isola spagnola mentre prometteva appalti a una donna, che recitava la parte di figlia di oligarca, in cambio di soldi per sostenere la campagna elettorale. I video sono stati pubblicati da Der Spiegel e Suddeutsche Zeitung.
E seppure l’incontro sia stato costruito ad arte, il caso Strache evidenzia la sensibilità sovranista alle sirene russe. Il report del 2020 Il report non più segreto rivelato dal dipartimento di stato americano ricorda in molti passaggi un dossier dettagliato pubblicato nell’agosto 2020 dal think tank americano “The Alliance for Securing Democracy”.
Nel consiglio consultivo troviamo pezzi grossi un tempo ai vertici dell’intelligence statunitense: Da Rick Ledgett, già vice direttore della National Security Agency, a Michael Morell, ex direttore ad interim della Cia tra il 2011 e il 2013. Il report rilasciato due anni fa si intitola Covert foreign money ed è un viaggio nelle ingerenze russe, cinesi e arabe che hanno come obiettivi l’Europa e il resto del mondo. I casi citati sono numerosissimi: da Le Pen al Metropol della Lega fino al caso tedesco.
Ma c’è molto altro: si parla dell’estrema destra svedese, citando casi concreti, della Polonia, della Nuova Zelanda, dell’Australia. Gli analisti spiegano i vari metodi per celare i finanziamenti. E sono quelli scoperti con i casi Le Pen e Metropol. Oppure l’utilizzo di associazioni, fondazioni, onlus. «Oltre a strumenti più ampiamente studiati come attacchi informatici e disinformazione, regimi autoritari come Russia e Cina hanno speso più di 300 milioni di dollari per interferire nei processi democratici più di 100 volte in 33 paesi nel scorso decennio», è l’incipit del report 2020, che prosegue: «Chiamiamo questo strumento di interferenza straniera “finanza maligna”, definita come il finanziamento di partiti politici stranieri, candidati, campagne elettorali, élite ben collegate o gruppi politicamente influenti». La cifra e i meccanismi citati da “The Alliance for Securing Democracy” sono identici a quelli emersi in questi giorni dopo la pubblicazione del documento desecretato dal dipartimento di stato sulle interferenze russe nel mondo. L’ennesima conferma, se mai dovesse servire.
(da Domani)
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Settembre 15th, 2022 Riccardo Fucile
QUANTO AI PROBLEMI ECONOMICI DA RIMUOVERE COME POSSIBILE CAUSA, OVVERO PRECARIETA’ E STIPENDI BASSISSIMI DA CHE PARTE SI E’ SEMPRE SCHIERATO IL CENTRODESTRA? CHI E’ CONTRO IL SALARIO MINIMO CHE E’ LEGGE IN TUTTA EUROPA? … FATEVI UN ESAME DI COSCIENZA PRIMA DI PARLARE
C’è un presupposto che ha portato il Parlamento italiano, nel lontano 1978, ad approvare e far entrare in vigore la famosa legge 194, quella sul diritto all’aborto: permettere a tutte le donne che vivono sul territorio italiano di procedere all’interruzione di gravidanza in base ai presupposti previsti dalla normativa.
Insomma, un’iniziativa legislativa per andare a colmare un vuoto giuridico che impediva di andare in quella direzione.
Oggi, nel 2022, i politici continuano a fare propaganda su questo tema. Non potendo, essendo un tema molto caro a buona parte dell’opinione pubblica, sostenere l’ipotesi di una cancellazione di quel diritto acquisito, si lanciano battaglie del tutto inesistenti. Come quella di Giorgia Meloni che continua a ripetere che, una volta al governo, vorrà garantire alle donne il diritto a non abortire. Come se questa possibilità già non esistesse.
Nel corso della sua intervista (la stessa in cui ha acuito uno strappo con Matteo Salvini sullo scostamento di bilancio) con il Tg di La7, in collegamento con Enrico Mentana ha risposto a una domanda sulla legge 194. E dopo un incipit piuttosto polemico è tornata a cavalcare il tema del diritto di non abortire.
“Io non voglio abolire la legge 194 sull’aborto, non voglio modificarla. Io voglio applicarla interamente, che significa anche tutta la parte che riguarda la parte della prevenzione che significa aggiungere diritti e non toglierli. Se esiste una donna che sceglie di abortire perché ritiene di non avere un’alternativa, ma vorrebbe avere un’alternativa, per esempio chi abortisce per ragioni economiche ma vorrebbe avere un’alternativa, vorrei darle quell’alternativa. Questo è togliere diritti o dare diritti? Perché io continuo a leggere tutte queste presunte femministe, molte in realtà la pensano in maniera diversa, che dicono di non votare per me perché toglierà i diritti alle donne… Esattamente quali sono i diritti che vorrei togliere? Il diritto a cosa? Il diritto all’aborto no, quello al divorzio no, quello a lavorare non credo proprio, a mettersi lo smalto?”.
Il problema alla base di tutto questo discorso è il tema principale: parlare di diritto a non abortire.
Non c’è nessuna legge in Italia che impedisca a una donna di portare a termine una gravidanza. Non vi sono ostacoli in questo senso (nella direzione opposta, invece, ve ne sono molti come i medici obiettori di coscienza).
Ma Giorgia Meloni fa leva sull’aspetto economico che, ovviamente, è un argomento a latere dell’intera questione. Perché se è vero che alcune donne decidono di abortire anche per problemi legati all’economia personale, occorre sottolineare come lo Stato debba intervenire capillarmente su tutto quel substrato che provoca questa situazione: precarietà lavorativa, contratti che non permettono di avere diritti (come maternità e congedi parentali) e stipendi bassissimi.
E su questo ultimo tema, per esempio, il centrodestra non ha la minima intenzione di recepire la direttiva europea sul salario minimo.
Insomma, fattori economici esistenti ma che vengono utilizzati per parlare di “diritto a non abortire”. E in questa direzione va anche un pensiero di Francesca Schianchi su La Stampa: “Aiutare una donna che eventualmente volesse tenere il figlio e fosse frenata solo da problemi economici è certamente un impegno giusto e doveroso: ma che fare di tutte le altre, di quelle che consapevolmente, per mille e una ragione che non si risolvono con un assegno, decidono una strada diversa? Siamo un Paese in cui, a 44 anni dall’approvazione di una legge benedetta anche dal mitico “popolo”, che bocciò al referendum l’abrogazione, troppe ancora denunciano un percorso lastricato di giudizi brutali e mortificazioni. La percentuale bulgara di medici obiettori rende in alcuni ospedali difficilissimo esercitare un diritto, le linee guida sull’uso della pillola abortiva Ru486 non sono state seguite ovunque. Forse, in un Paese così, «applicare integralmente» la legge dovrebbe voler dire anche e soprattutto rimuovere quegli ostacoli. Per consentire a ogni donna di fare la propria scelta in modo libero e consapevole”.
Perché la legge sull’aborto fornisce un diritto che spesso si trova di fronte a ostacoli insormontabili. Quella sul diritto a non abortire esiste già. Senza obiettori.
(da NextQuotidiano)
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