Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
ORA CHE LE STRAGI DI MAFIA SEMBRANO SOLO UN RICORDO, SONO TORNATI A RIPRENDERSI QUELLO CHE HANNO SEMPRE CONSIDERATO “COSA LORO”
Tutto è cominciato al Grand Hotel et des Palmes e tutto è finito lì, fra i velluti e gli specchi dei suo saloni dove a inizio estate Marcello Dell’Utri ha benedetto Roberto La Galla sindaco di Palermo e dove ieri Renato Schifani ha ringraziato giustamente chi doveva ringraziare.
Con meticolosa precisione: Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo, Saverio Romano, la trimurti che lo ha portato a diventare il governatore della Sicilia. Un bell’ambientino. Qualcuno condannato per reati di mafia e altri che se la sono cavata per il rotto della cuffia, compreso lui stesso, Schifani, graziato per le sue pericolose frequentazioni criminali ma nell’isola ormai meglio noto come “il professore Scaglione”, misterioso personaggio che compare con quel nome in codice nei diari di un agente segreto.
IL PRIMO PENSIERO
Il primo pensiero dell’ex senatore Renato Schifani, dell’ex presidente di Palazzo Madama Renato Schifani, dell’attuale “professore Scaglione” e dell’attuale presidente della Sicilia o anche dell’attuale imputato Renato Schifani è andato agli amici.
Essere “un amico” in Sicilia può assumere i significati più disparati e insoliti per altri luoghi (lascio alla vostra immaginazione, io mi astengo) ma c’è anche un proverbio popolare che dice: “Amico e guardati”. Stai attento.
L’imputato Schifani deve stare attento agli amici con “certificato” che lo circondano e agli altri che stanno nei paraggi, l’imputato Schifani deve stare attento anche al suo processo di Caltanissetta dove è alla sbarra per associazione a delinquere e con l’accusa di avere veicolato notizie segrete per salvare dal carcere l’ex presidente di Confindustria Antonello Montante.
Sicuramente si sarà fatto i suoi conti prima di candidarsi, sicuramente avrà ricevuto assicurazioni e garanzie, sicuramente avrà intuito che quel processo di Caltanissetta esasperatamente lento finirà in prescrizione. Ma le variabili non è che si possono sempre prevedere. In Sicilia, più che altrove, gli imprevisti sono in agguato. Vedremo cosa riserverà Renato Schifani ai siciliani e cosa il destino riserverà a lui.
Con la sua trionfale elezione (il 42 per cento dei voti, secondo l’ex sindaco di Messina Cateno De Luca che dal niente ha raccolto un sorprendente 24,5 di consensi) il cerchio si è chiuso. A giugno Palermo nelle mani di una creatura di Totò Cuffaro, a settembre la Regione nelle sue mani. Dalle amministrative della capitale e dalle regionali esce una verità incontestabile: i padroni dell’isola di trent’anni fa sono padroni anche oggi
QUANDO TIRA VENTO FATTI CANNA
È una classe dirigente che non si è mai arresa e che, con molta intelligenza ed esperienza, ha seguito alla lettera lo spirito di un altro detto siciliano: “Càlati juncu ca passa la china”, piegati giunco fino a quando la piena non passa. Altra versione con medesimo significato: “Quando tira vento fatti canna”.
Cosa che hanno fatto tutti i vincitori delle consultazioni elettorali estate-autunno 2022, dopo gli anni infami che avevano passato nelle carceri di Rebibbia e di Parma o nei lunghi corridoi della procura della repubblica di Palermo insieme ai loro avvocati. Sono stati pazienti, astuti, raffinati calcolatori.
Quando la piena è passata, quando il ricordo delle stragi del 1992 era sempre più lontano, quando la magistratura si è mostrata sempre più sensibile a colpire i macellai di Cosa Nostra e sempre meno gli abitanti dei palazzi loro sono tornati. E si sono ripresi ciò che hanno sempre considerato una proprietà privata: Palermo e la Sicilia.
Ciascuno con il suo stile e con il suo passato, perché il profilo del sindaco La Galla è uno e quello di Schifani un altro. Ma si vogliono comunque molto bene. Amici. Tutti però, hanno rispolverato – fuori tempo massimo? – la loro ricetta antimafia.
Il sindaco di Palermo in questi mesi è sembrato un piccione viaggiatore, sempre in volo ogni giorno a farsi il segno della croce davanti alle tanti lapidi della città, un mazzo di fiori per far dimenticare che il 23 maggio, giorno dell’anniversario dell’uccisione di Giovanni Falcone, il sindaco di Palermo – lui – non c’era.
Il nuovo governatore della Sicilia, che già all’apertura della campagna elettorale aveva suscitato ilarità con una battuta effervescente («Forza Italia è il partito che più di altri si è battuto contro la mafia e che ha avuto il coraggio di fare approvare leggi contro la criminalità») neanche due ore dopo la certezza della sua incoronazione a Palazzo d’Orlèans si è presentato ai giornalisti dichiarando: «Istituirò una conferenza di servizi, composta da uomini dello stato, come ex magistrati, possibilmente non siciliani, per darci una mano contro le infiltrazioni mafiose nel Piano nazionale di resistenza e resilienza».
Possibilmente non siciliani? E di dove? Svizzeri, ugandesi, canadesi, cecoslovacchi? «Devono però essere estranei al nostro territorio, noi non ci vogliamo sottrarre alle verifiche», ha aggiunto per ribadire che pm siciliani fra i piedi non ne vuole avere. Magnifico. I magistrati li sceglierà lui per controllare quello che fa lui. Cominciamo bene. La parolina magica Schifani l’ha pronunciata: Pnrr. È il piatto ricco che sta scatenando gli appetiti di tutti.
Questi maggiorenti siciliani che hanno riconquistato la Sicilia si portano sulla pelle un marchio o un nomea tutta speciale. È difficile che possano cancellare l’una e l’altra, anche con quel 42 per cento di voti, comunque nulla di paragonabile al famoso 61 a 0 del 2001 quando Forza Italia espugnò tutti i collegi siciliani lasciando a secco gli avversari.
Oggi Forza Italia è nell’isola solo il quinto partito. Particolare curioso: nella Sicilia che tanto ha dato a Berlusconi, Renato Schifani è il primo governatore di Forza Italia.
Che dicono oggi gli altri della trimurti? Totò Cuffaro, capo della Nuova democrazia cristiana, quello che aveva giurato – appena uscito dal carcere dopo cinque anni di pena per concorso esterno in associazione mafiosa – che sarebbe andato in Africa ad aiutare i bambini orfani del Burundi, ha preferito parlare di sé stesso in terza persona: «Cuffaro è tornato. Chiedetevi il perché abbiamo avuto il sette per cento. Non è colpa mia se la gente vota Cuffaro e non il Pd. Vuol dire che la nostra proposta è convincente e c’è bisogno di noi».
Saverio Romano, ex ministro dell’Agricoltura originario del comune palermitano di Belmonte Mezzagno, rieletto alla Camera nel collegio di Bagheria, al momento è in silenzio stampa. Raffaele Lombardo, ex governatore della Sicilia da qualche mese sopravvissuto a una delicata inchiesta antimafia, se la prende con i sondaggisti e obliquamente con Cateno De Luca che nelle ultime settimane gliene ha dette di tutti i colori a lui e ai suoi coimputati nell’indagine di Catania dove era stato trascinato.
Per capire un po’ di più cosa è accaduto in Sicilia in queste elezioni fermiamoci un attimo su Lombardo. Lo ha ringraziato Renato Schifani per l’apporto alla sua elezione ma, sino a un mese fa, insieme a lui voleva tentare la scalata alla regione la candidata del centrosinistra Caterina Chinnici.
Di Lombardo era stata assessore per quattro anni dal 2008 al 2012, un governo double face, magistrati (come la Chinnici) e fedelissimi del famigerato Montante, un gioco degli specchi. Quindi: Lombardo va bene all’imputato Schifani e andava bene a Chinnici, era ed è buono per il rappresentante di Forza Italia che frequentava gentaglia di mafia quando esercitava la professione di avvocato ed era ed è buono per la giudice figlia del consigliere istruttore Rocco Chinnici che la mafia ha fatto saltare in aria il 29 luglio del 1983.
Chiamiamola confusione per mantenerci in equilibrio (forzato), ma com’è possibile che non ci sia distanza intorno a Lombardo fra Renato Schifani e Caterina Chinnici? Senza fare salti mortali una risposta netta ce la serve il risultato del Pd in Sicilia: 12,7 per cento.
Un disastro, il peggior risultato elettorale di sempre. Pare che fra il 25 e il 26 settembre il Pd non abbia aperto neanche il suo comitato elettorale per seguire ora dopo ora lo spoglio. Il segretario regionale Anthony Barbagallo era nel suo paese, Pedara, in provincia di Catania. Caterina Chinnici a casa sua, a Caltanissetta.
Un ultimo dato per addentrarci ancora di più nella realtà della Sicilia. Riguarda i Cinque stelle, ancora il primo partito in Sicilia ma solo alle elezioni politiche: intorno al 30 per cento. Alle regionali però il movimento di Conte è al quarto posto e, soprattutto, al 15 per cento. La metà dei voti.
Per finire ecco l’omaggio del sindaco di Palermo Roberto La Galla al nuovo governatore: «Le mie congratulazioni vanno all’amico Renato Schifani, al quale rinnovo tutta la mia stima e che, potendo contare su una lunga esperienza politica e istituzionale, sarà certamente un eccellente presidente della regione e un’autorevole guida per la Sicilia». Les jeux sont faits.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
TRE DI QUESTE SI OCCUPANO DI ATTIVITÀ TURISTICHE: “TORSANGUIGNA SRL”, “ZANARDELLI SRL” E “APOLLINARE SRL” E OFFRONO SERVIZI DI BED AND BREAKFAST… CROSETTO LE POSSIEDE INSIEME AD ALTRI QUATTRO SOCI, TRA CUI DUE EX BANDIERE DELLA LAZIO E DUE IMPRENDITORI DEL SETTORE
Lobbying, armi e turismo. Sono i settori economici in cui è più attivo Guido Crosetto: il cofondatore di Fratelli d’Italia si descrive come consulente di Leonardo, la partecipata di Stato; presidente del consiglio d’amministrazione di Orizzonte Sistemi Navali, altra società pubblica (controllata da Leonardo e Fincantieri) del settore navi da guerra; presidente Aiad, federazione delle aziende italiane attive sempre nello stesso campo, cioè quello delle armi e della sicurezza.
Crosetto risulta azionista di ben sei società in Italia
La Csc & Partners Srl, fondata nel 2021 a Roma, è infatti attiva nei servizi di lobbying in patria e all’estero. Amministratore unico è proprio Crosetto, che oltre a gestirla la controlla, con il 50% delle quote.
Il resto delle azioni sono in mano al figlio Alessandro e alla compagna, Graziana Saponaro. Aperta solo un anno e mezzo fa, la Csc vanta già numeri importanti. Nel suo primo anno di attività, il 2021, ha fatturato 272 mila euro, con un margine di guadagno invidiabile: l’utile netto è stato infatti pari a 179 mila euro.
Proprio ieri Crosetto ha comunicato di voler mettere in liquidazione l’impresa.
Delle altre cinque società di cui è comproprietario, tre si occupano invece di attività turistiche. Si chiamano Torsanguigna Srl, Zanardelli Srl e Apollinare Srl: tutte basate a Roma, offrono servizi di bed and breakfast. Crosetto le possiede insieme ad altri quattro soci. Ci sono due ex bandiere della Lazio, Beppe Favalli e Giuliano Giannichedda, e due imprenditori del settore.
Le tre aziende non se la passano benissimo. Complessivamente nel 2021 hanno registrato un fatturato di 250 mila euro, una leggera perdita e molti debiti, quasi 600 mila euro in totale.
Non sarebbe la prima volta che aziende in cui il Richelieu della Meloni ha investito denaro finiscono male.
La Agriscambi Srl è ufficialmente intestata a Crosetto (10%) e Cesare Maria Ortis (90%), Nel febbraio del 2021 la società, una storica agenzia di viaggi della Capitale, è stata dichiarata fallita . Oltre 1 milione di euro, divisi tra banche (607 mila euro) e Stato italiano (376 mila euro). [
Infine c’è la Co.Pro.Spe Srl. È uno studio contabile con trent’ anni di vita: Crosetto ha un quarto della società, la maggioranza è del commercialista Lorenzo Cigna
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
E SALVINI? L’INDOSSATORE DI MAGLIETTE CON LA FACCIA DI PUTIN, GLI AMERICANI NON LO VOGLIONO VEDERE NEMMENO IN FOTOGRAFIA
Tira una brutta aria a Washington per Giorgia Meloni. Al di là della balilla del post-fascismo, l’immagine è di una politica che si sgolava ai convegni di Trump, quindi detestata dai democratici ma anche dai repubblicani che ne hanno le palle piene di “The Donald”.
Perciò stanno alla finestra attenzionando i prossimi eventi che vedranno il governo Meloni in azione sull’Ucraina. L’amministrazione Biden non può permettersi di non avere un rapporto stretto e solido con un paese alleato che ospita due basi Nato (Aviano e Sigonella) zeppe di bombe nucleari, droni, aerei di qualsiasi tipo, più la Sesta flotta a Napoli.
Di qui, si sono infittite le richieste agli amici italiani su come comporterà la Meloni.
Uno che è stato subissato di domande è Giampiero Massolo, ex ambasciatore e già direttore del Dis, i servizi segreti che coordina l’Aisi e l’Aise. Una settimana prima del voto Massolo è volato a Washington in quanto membro italiano, insieme a Claudio Descalzi, dell’Atlantic Council, un influente think tank il cui scopo è “Promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell’affrontare le sfide del XXI secolo”.
Massolo ha ripetuto agli americani quello che aveva detto Draghi a Biden: la Meloni non ha nessuna volontà di disalienarsi dalle scelte e dalla collaborazione con gli Stati Uniti.
Sul tasto dolente Salvini, quell’indossatore di magliette con la faccia di Putin, non lo vogliono vedere nemmeno in fotografia.
(da agenzie)
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Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
PER GIORNI SI È CIARLATO DI VOTO DI SCAMBIO TRA PERCETTORI DEL REDDITO DI CITTADINANZA E M5S. ORA SILENZIO SULLA LOBBIE CHE HA VOTATO FDI E LEGA?
Nell’urna Dio ti vede, Bolkestein no. La battuta è fin troppo facile e Cristiano Pezzini, presidente dei balneari della Darsena, non se la lascia sfuggire. «Ma adesso è arrivato il momento di vedere se alle promesse in campagna elettorale corrisponderanno i fatti», spiega Pezzini. Mantenendo giustamente il segreto sulla propria preferenza.
Non è un mistero per chi ha votato la stragrande maggioranza dei balneari di Viareggio e Versilia. «Dovessi fare una stima, direi che l’80 per cento ha scelto il centrodestra. Anche chi si considera dell’altra parte politica, spaventato dall’ultima chiamata, ha messo la crocetta nel campo contrario», assicura Pierfrancesco Pardini, balneare lidese e presidente del sindacato Sib Confcommercio per l’area Versilia-Massa.
Fratelli d’Italia impera tra i consensi, come ex partito di opposizione che ha votato contro tutti i provvedimenti sui balneari. Ma anche la Lega ha avuto i suoi voti. E pure Forza Italia.
«Massimo Mallegni non ha perso la presa sulla categoria», assicura Francesco Verona, presidente dei balneari di Marina di Pietrasanta. Nonostante i mugugni di qualche collega per il voto di Mallegni a favore della legge Concorrenza. Che, ricordiamolo, ad oggi mette a gara tra il 2023 e il 2024 le concessioni delle spiagge.
Il problema, per il centrodestra pigliatutto, arriva adesso. Il meloniano Riccardo Zucconi, di cui si parla come possibile sottosegretario al turismo, la leghista Elisa Montemagni e la forzista Deborah Bergamini, appena eletti in Parlamento, hanno ribadito la promessa elettorale di risolvere la questione Bolkestein. E i balneari sembrano prenderli molto sul serio.
«Questo è ciò che hanno garantito e questo è ciò che ci aspettiamo – dice Pardini – tra l’altro nel giro di poco tempo: c’è da andare a trattare con l’Unione Europea per far uscire la nostra categoria dall’applicazione della direttiva Bolkestein, molto prima che scadano le concessioni (31 dicembre 2023, ndr)».
Nel caso in cui il nuovo Governo decida di cancellare le norme appena approvate, deve comunque trovare una soluzione che non venga cassata dall’Unione Europea e dai tribunali. Ingenerando un caos senza precedenti. Ma cosa potrebbero rispondere i balneari ai nuovi rappresentanti politici, nel caso in cui questi alzassero le mani e dicessero: non c’è niente da fare? «Ci sarebbe poco da dire – replica Verona – Hanno la maggioranza piena e la facoltà di intervenire per realizzare quanto hanno promesso: tocca a loro. Sarebbe molto difficile accettare parole evasive».
(da il Tirreno)
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Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
AVANTI CON I SEDICENTI FASCISTI DA AVANSPETTACOLO: “FIAMME ETERNE ALLE SCUOLE MODERNE” LO SLOGAN DI “RETE STUDENTESCA” … ERA MEGLIO QUELLA CHE GARANTIVA L’ISTRUZIONE SOLO AI FIGLI DI PAPA’, CERTO
A trovarli, a vederli per prime, sono state due ragazze, due studentesse: entrando a scuola, al liceo Parini di Milano, Lucia e Sara hanno notato sul muro dei manifesti su cui erano disegnati edifici scolastici con tante bandiere arcobaleno divorati dalle fiamme. Il titolo, appunto: “Fiamme eterne alle scuole moderne”.
I manifesti erano appesi tra l’entrata laterale e quella centrale, proprio sotto il memoriale di Giambattista Mancuso, ex studente del liceo che partecipò e morì durante le lotte partigiane negli anni ’40. Decine degli stessi cartelloni sono stati trovati, e poi staccati, anche davanti al liceo Volta in zona Porta Venezia.
A firmare i manifesti Rete Studentesca – Acta est fabula, l’organizzazione di estrema destra nata nel 2020. Nella serata di ieri, hanno rivendicato anche gli striscioni che hanno appeso fuori dalla facoltà di Scienze Politiche della Statale in via Conservatorio per “dare il benvenuto” a chi ha occupato uno spazio nelle vicinanze per manifestare contro gli esiti delle elezioni del 25 settembre: “Distruggi la deviazione. Inizia la rivoluzione”.
Parte attiva del Collettivo Rebelde del Parini, le due studentesse hanno strappato i manifesti dal muro e hanno denunciato il fatto su Instagram: “Non è accettabile che uno spazio come la scuola sia tappezzato da messaggi d’odio e discriminazione. Discriminazione di genere, xenofobia, maschilismo e messa al rogo di un valore molto importante: l’antifascismo”. Domani, come ogni venerdì, il Collettivo si riunirà in assemblea e deciderà se e come rispondere a questo gesto.
La denuncia arriva anche dai Sentinelli di Milano, che si chiede: “L’immagine di scuole con bandiere arcobaleno in vista, che vanno a fuoco. Niente niente Rete Studentesca sente vento favorevole per agire secondo i propri istinti?”.
Si aggiunge la voce del presidente dell’ANPI, Roberto Cenati, che condanna le immagini e le parole dei manifesti: “Esprimo massima solidarietà agli studenti così pesantemente attaccati. Il clima è preoccupante e occorre attivare la massima attenzione e vigilanza responsabile”.
Con un comunicato, il presidente della Commissione Sicurezza e Coesione Sociale, Michele Albiani, denuncia: “Meloni ha vinto le elezioni da 4 giorni e già i primi rigurgiti omofobici si palesano nella nostra città. Con una violenza che allarma e ci deve mettere in guardia”. Chiede l’intervento immediato della Procura e della Digos per “identificare i responsabili e procedere contro di loro per pubblica istigazione alla violenza”.
E conclude: “Come Comune, come sempre, ci stringiamo intorno alla Comunità LGBTQ+, vittima di questa azione”.
(da agenzie)
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Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
STORIA DI DALIA CHE SALVA I RAGAZZI DALLA MOBILITAZIONE DI PUTIN
Dopo la mobilitazione annunciata da Vladimir Putin, i russi stanno cercando in tutti i modi di lasciare il Paese. I biglietti aerei sono aumentati di prezzo dozzine di volte e si sono formate code ai confini terrestri per molti chilometri.
Secondo le autorità finlandesi, quasi 17.000 russi hanno attraversato il confine con la Finlandia nell’ultimo fine settimana, l’80% in più rispetto alla settimana prima.
Ora il Paese, come Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, ha annunciato che vieterà ai russi l’ingresso con visti Schengen. Ma la maggior parte di loro non ha nemmeno il passaporto per viaggiare all’estero, quindi dalla scorsa settimana le persone cercano di fuggire attraverso i posti di blocco al confine con Kazakistan, Georgia e Mongolia. E per farlo senza essere intercettati dalle forze di sicurezza del Cremlino, si affidano sempre di più all’aiuto di chi ha i contatti giusti per aprire loro una via di fuga.
Tra loro c’è Dalia, 29 anni, nata e cresciuta a San Pietroburgo dove insegna ai bambini la ceramica artistica e negli ultimi anni lavora per una fondazione di beneficenza che aiuta le persone con autismo.
Dal 24 febbraio, ha partecipato ogni giorno alle proteste contro la guerra fino a quando non è stata arrestata il 27 febbraio. Dalia ha trascorso 10 giorni in un centro di detenzione speciale e da allora ha avuto paura di uscire in strada.
Quando il presidente ha annunciato la mobilitazione nel Paese, la ragazza ha capito che poteva esprimere la sua protesta diversamente. “Il 24 febbraio è tornato, solo in modo più vicino e più acuto – racconta a Ilfattoquotidiano.it – Ora bisogna di nuovo agire. Prima andavo alle proteste, ma ho capito che la cosa più utile è spendere le mie energie per aiutare le persone a fuggire“.
Dal primo giorno della mobilitazione, su Instagram sono iniziati ad apparire sempre più post in cui le persone chiedevano (oppure offrivano) aiuto per organizzare la partenza. Poi sono arrivate le chat su Telegram, dove le persone si scambiavano notizie sulle vie di uscita, sui biglietti aerei e sui passaggi, sui trasferimenti di denaro, sugli alloggi o sulle regole per attraversare il confine. Dalia ha capito molto rapidamente come districarsi tra tutte queste informazioni e ha iniziato a consigliare ai suoi amici cosa fare.
“All’inizio era addirittura necessario convincere i ragazzi che dovevano andarsene rapidamente”, dice. Una volta capito, bisognava trovare percorsi che fossero per loro convenienti e comprensibili. Tre fratelli sono i primi ad essere stati aiutati da Dalia a entrare in Georgia.
“Mi ci è voluto uno sforzo per convincerli – ricorda – Pensavano che rimanendo in Russia avrebbero potuto fare qualcosa per rovesciare il regime e, soprattutto, si vergognavano dell’atto stesso della fuga. Questo è l’argomento più frequente che ho dovuto distruggere nella mente dei miei amici. Dico loro che devono andarsene ad ogni costo perché questo è l’unico modo in cui possono aiutare se stessi e le loro famiglie”.
I fratelli hanno lasciato Mosca la mattina presto, solo la sera hanno raggiunto il posto di controllo di Verkhny Lars al confine con la Georgia, poi ci è voluto più di un giorno per attraversarlo. “L’autista con cui viaggi dalla tua città non può sempre trasportarti dall’altra parte – spiega Dalia – Devi uscire e correre lungo la coda di macchine fino al confine. Lì, davanti alla frontiera, devi chiedere a qualcuno di darti un passaggio o negoziare con i tassisti locali che ti trasporteranno oltre il confine per un mare di soldi, da 2.000 a 50.000 rubli (da 35 a 890 euro circa)”. Dalia aiuta i ragazzi a trovare nelle chat specializzate gli autisti con i quali è più facile passare il confine.
Ora la fila di auto alla frontiera di Verkhny Lars si è allungata raggiungendo quasi 20 chilometri. La gente aspetta di attraversare per 40-50 ore, resta senza acqua e cibo e le stazioni di servizio senza benzina. Il vice primo ministro della Repubblica dell’Ossezia del Nord ha detto che 3.500 auto si sono accumulate davanti al confine, ma recentemente i russi qui sono stati autorizzati ad attraversare il confine anche a piedi.
Finora Verkhny Lars è la destinazione più trafficata, non solo perché in Georgia si può rimanere 360 giorni all’anno, ma anche perché dall’inizio della guerra molti russi sono già emigrati lì. “Ora però, quando sto valutando le opzioni di emigrazione per me stessa, l’opzione della Georgia viene per ultima perché è indecente sfruttare l’ospitalità di questo bellissimo Paese”, ammette Dalia. Inoltre, lunedì al checkpoint è stato notato un carrarmato con i militari russi. L’Fsb, i servizi segreti di Mosca, ha affermato che si trovava lì “per ogni evenienza, nel caso in cui i riservisti volessero sfondare il posto di blocco”. Si è presto saputo che a Verkhny Lars sarebbe stato presto schierato il punto mobile di arruolamento militare e Dalia non consiglia più ai ragazzi di andarci.
Un altro amico di Dalia aveva riflettuto a lungo prima di partire: suo padre vive in Mongolia, ma lui non ha un passaporto per lasciare la Russia. “Mi sono informata su come affrontare questa situazione e l’ho convinto a partire per un Paese in cui può cercare di entrare in Mongolia ma stando al sicuro. Domenica gli abbiamo trovato un’auto che lo ha portato da San Pietroburgo al confine con il Kazakistan”. Il viaggio gli è costato 25mila rubli (circa 450 euro), ha viaggiato per un giorno e mezzo. Arrivato, è rimasto bloccato in una di quelle code che durano anche per diversi giorni.
I russi stanno entrando in Kazakistan facendo registrare numeri così alti che le autorità della repubblica hanno chiesto di avviare trattative con la Russia. Il capo del ministero del Lavoro di Astana ha affermato che dall’inizio del 2022 sono arrivate dalla Russia oltre 260mila persone, nonostante ne entrino di solito circa 30mila in tutto l’anno. Ci sono così tanti immigrati che alcuni di loro devono passare la notte per strada, motivo per cui un cinema nella città di confine di Uralsk ha persino invitato i cittadini russi arrivati nel Paese a passare la notte nelle sale cinematografiche.
Nel frattempo, Dalia continua a controllare la situazione alle frontiere, mettere insieme i compagni di viaggio, monitorare informazioni rilevanti, prenotare biglietti per amici e trovare fondi che aiutino i rifugiati.
“La mia risorsa è quella informativa. Tutto quello che posso fare è passare il mio tempo a cercare informazioni”, continua Dalia. E ricorda che ci sono molte altre persone oltre a lei che stanno facendo un lavoro “fantastico”.
“L’auto-organizzazione delle persone è una grande forza. Di recente, un ragazzo ha realizzato una mappa con tutti gli aeroporti di confine e i checkpoint attraverso i quali è possibile partire in auto. Tempismo perfetto”.
Lei pubblica anche consigli e percorsi non di pubblico dominio: “Ricordo di aver scritto di un modo poco conosciuto per attraversare il confine con la Norvegia. Qualcuno ha davvero preso questa strada e poi mi ha ringraziato molto per il suggerimento”.
Il 24 settembre Dalia era già molto stanca fisicamente ed emotivamente: “La sera io e la mia amica siamo andate a vedere una stand up comedy. Avevo acquistato i biglietti un mese fa e ho pensato ‘non importa, vado’. Eravamo seduti in prima fila e ho iniziato a piangere. Ho pianto per cinque ore. Immagina, le persone ridono e io spruzzo lacrime sul cabarettista”.
Dall’annuncio della mobilitazione, Dalia ha già ‘inviato’ cinque amici fuori dalla Russia. “C’è un ragazzo che non posso aiutare – ammette tristemente – Ma ho anche informazioni su cosa fare se rimani in Russia o ti ritrovi arruolato nell’esercito”. Per coloro che devono rimanere, Dalia può offrire supporto e una sorta di scenario d’azione, ad esempio nascondersi ed evitare in ogni modo di ricevere la convocazione. “Se sei già stato convocato, allora ci sono tre modi: spararti a un piede, andare in prigione, arrenderti sul territorio ucraino. Invito tutti a non imbracciare le armi e a non sparare alla gente”.
In effetti, le prospettive di rimanere in Russia stanno diventando ogni giorno più probabili. Le guardie di frontiera negli aeroporti russi hanno già ricevuto liste da mobilitare e, sulla base di queste, agli uomini viene negata l’uscita. A Verkhny Lars, già adesso alcuni russi non sono stati fatti entrare in Georgia motivando la decisione col decreto sulla mobilitazione. Alla domanda su cosa farà Dalia stessa nel prossimo futuro, risponde: “Da mercoledì cerco di limitarmi a fare piani in generale. Faccio semplicemente quello che devo fare”.
(da agenzie)
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Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
CUOR DI LEONE ZAIA RESTA COPERTO: “MI DEVO OCCUPARE DELLA MIA REGIONE”
A poco a poco, il nome del possibile nuovo leader viene a galla. Roberto Maroni, dopo il benservito di ieri a Matteo Salvini oggi va oltre l’identikit generico già tracciato sul nuovo possibile segretario.
E lo mette nero su bianco per nome e cognome: Luca Zaia.
E sul Foglio – come fatto già ieri – scrive: «Dopo il voto di domenica (che ha visto la Lega in evidente difficoltà) è partita in quasi tutte le sezioni la richiesta di un congresso straordinario, per eleggere un nuovo segretario al posto di Salvini. Io saprei chi eleggere, l’ho già detto, non vorrei fare nomi ma forse può essere utile farne uno per capire di cosa si sta parlando. Un indizio: è un governatore. Un profilo: quello di Luca Zaia».
E prosegue: «Al consiglio federale della Lega – sottolinea l’ex ministro dopo un lungo ragionamento – convocato da Salvini, non si è fatto alcun cenno al congresso federale, anche se la segreteria di Salvini scade proprio nel 2022. Detto questo, i nostri politici sembrano fregarsene di ciò che è successo. Ma di fronte a queste difficoltà mostrate dai due alleati di Meloni, Forza Italia e Lega, come se ne può uscire? Cosa si può fare? Che progetto potrebbe avere un nuovo segretario della Lega? Io un’idea ce l’ho: far nascere una federazione tra Forza Italia e la Lega. Mi sembra una cosa buona e giusta, visti i tempi che corrono nella politica di oggi. E nella sua piuttosto modesta (e uso un eufemismo) classe politica».
Insomma, step by step la doppia proposta è sul tavolo: federazione e guida del carroccio a Zaia. Del resto, se c’è un governatore che in Italia ha raccolto il 76,8% di consensi nelle ultime regionali è proprio lui; e chi meglio di lui che trasversalmente ha ottenuto così tanti voti può guidare una nuova federazione?
Insomma, l’idea di Bobo Maroni allarga il perimetro del carroccio: consenso e strategia. Zaia, naturalmente apprezza ma si schernisce: lui resta fedele al Veneto e agli obiettivi politici che ha tracciato per la sua regione.
Tant’è che oggi, a margine di un incontro a Trieste, a chi chiede notizie sul suo orizzonte politico ribatte subito: «Ma che staffetta». Non c’è nessuna staffetta tra me Salvini e Fedriga.
«Massimiliano è un bravissimo governatore, io spero – ma so che lo vuol fare – che si candidi ancora e ci sarà un’altra occasione di governo da parte di una persona perbene di questa magnifica regione». Poi aggiunge: «Io ministro?…». «Questa domanda – risponde ai cronisti – me la fate ogni volta che si va a votare. Sono passato da commissario europeo candidato, ministro, eccetera. Io mi devo occupare del Veneto. Se io mollassi il Veneto, significherebbe che molti dei progetti rischierebbero di non vedere la luce. E c’è uno fondamentale per noi che si chiama autonomia». E non approvarla – spiega il Presidente del Veneto – «equivarrebbe a prendere in giro i cittadini».
(da agenzie)
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Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
E’ UN BRANO FOLK BRETONE E LA LUTWAFFE NON HA UN INNO
Su Facebook circola un video che mostra dei bambini su un palco: uno di loro – l’unico maschio – in abiti mimetici canta una canzone, mentre le bambine dietro di lui, vestite con i colori della bandiera ucraina presente anche dietro di loro, ballano a ritmo in una coreografia. Secondo chi condivide il filmato, la canzone in questione sarebbe l’inno della Luftwaffe – l’aviazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale.Per chi ha fretta:
La canzone nel video su Facebook non è l’inno della Luftwaffe, ma una rivisitazione di un brano folk bretone.
La Luftwaffe non ha un inno.
Un palco, un cantante e nove ballerine. Tutti bambini. Sullo sfondo il coreografo. Così appare la scena mostrata nel video nella cui descrizione si legge: «L’inno della Luftwaffe nazista cantato dai bambini ucraini. Ma non c’è nazismo in Ucraina, qualsiasi nazista ucraino lo sa. Politici italiani. Popolo italiano. Questi amano il nazismo da piccoli. Continuate così popolo italiano. Siamo pecore bianche. Io voglio essere nera. Mi dissocio con tutti voi insieme ai politici»
Il post include anche un link a un canale Telegram chiamato Alexander Subchenko che ha condiviso il video lo scorso 23 settembre. La presentazione del canale avviene con queste parole in russo: « —Вы, очевидно, русский? — Честь имею быть им» (in italiano: «- Chiaramente sei russo? – Ho l’onore di esserlo»).
Il video viene postato assieme a un messaggio molto simile a quello che appare su Facebook, ma che questa volta pare riferirsi al presidente ucraino Volodymyr Zelensky: «L’inno della Luftwaffe nazista intonato dai bambini ucraini. Ma non c’è nazismo in Ucraina, tutti i nazisti ucraini lo sanno. In che razza di spazzatura nazista hai trasformato il Paese, stupido delinquente russofobo».
La melodia
È sufficiente ascoltare la musica presente nel video per rendersi conto che non si tratta dell’inno – non ufficiale – della Lutwaffe: le due melodie sono completamente diverse. La canzone intonata dai piccoli ucraini è una versione rivisitata del brano Zeven Dagen Lang, del gruppo folk rock olandese Bots. Questo è a sua volta tratta dalla canzone folk bretone Son ar chistr
D’altro canto, la Luftwaffe non aveva un inno ufficiale. Anche se i militari nazisti erano soliti cantare una canzone nota come Bomben auf Engelland («Bombe sull’Inghilterra»), utilizzata anche nelle campagne di Polonia e Francia con un testo lievemente diverso. La melodia non c’entra nulla con quella della canzone intonata dai giovani ucraini.
Ma quindi, da dove deriva l’associazione tra la Luftwaffe e la melodia che si sente nel video su Facebook?
Come fanno notare i colleghi di Lead Stories, tutto parte da un video su YouTube caricato dal canale “National Anthems” dove si vede il logo dell’aviazione nazista muoversi al ritmo di Zeven Dagen Lang. L’associazione è puramente arbitraria, come dimostra la descrizione del video, che in russo recita: «Non l’inno ufficiale della Luftwaffe!». Inoltre, nei crediti per il copyright è chiaramente indicato il titolo della canzone e quali sono gli autori.
Conclusioni:
Alcuni utenti Facebook stanno condividendo un video nel quale dei bambini ucraini fanno un spettacolo sulle note di una rivisitazione di Zeven Dagen Lang, del gruppo olandese Bots. Questa canzone non ha nessuna correlazione reale con l’aviazione tedesca nella Seconda guerra mondiale.
(da Open)
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Settembre 29th, 2022 Riccardo Fucile
LO PREVEDONO LE NORME, QUALCUNO ACCECATO DALL’ODIO FA FINTA DI NON CONOSCERLE
Il regime di carcerazione di Cesare Battisti è stato declassificato da alta sicurezza a comune. Il provvedimento dell’amministrazione penitenziaria, secondo quanto si apprende dall’Ansa, è stato notificato nei giorni scorsi direttamente all’ex terrorista nel carcere di Ferrara, dove si trova da giugno 2021.
L’ex leader dei Pac (Proletari armati per il comunismo), che da tempo sollecitava il provvedimento, al fine di «scontare la pena positivamente e costruttivamente», potrebbe essere trasferito nel carcere di Parma, ma attualmente si trova ancora a Ferrara.
Contro la declassificazione del suo regime carcerario è subito insorto Fratelli d’Italia che, ancor prima che venisse confermato il provvedimento, ha annunciato un’interrogazione parlamentare: «Sarebbe semplicemente inaccettabile. Inaccettabile per le vittime dei suoi reati. Inaccettabile per le modalità assunte. Battisti è e deve rimanere a Ferrara in regime di alta sicurezza come spetta ai terroristi come lui. Il suo trasferimento in regime comune a Parma va bloccato come la declassificazione del suo regime detentivo», ha dichiarato alla Camera il deputato FdI Galeazzo Bignami.
«Fratelli d’Italia presenterà un’interrogazione immediata e fin da subito verificherà cosa sta facendo il Dap proprio ora, a pochi giorni dal cambio di governo, e perché sarebbe stata assunta questa decisione gravissima», ha aggiunto.
La risposta del garante dell’Emilia-Romagna
Alla polemica sollevata da Bignami ha subito risposto il garante regionale delle persone sottoposte a misure limitative o restrittive della libertà dell’Emilia-Romagna, Roberto Cavalieri: «Per giudicare questi provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria bisogna conoscere le norme e le leggi. Dire che non è accettabile vuol dire ammettere di non conoscerle», ha commentato all’Ansa. «Questa persona (Battisti, ndr) ha seguito l’iter normativo in modo corretto, l’amministrazione penitenziaria ha riconosciuto quello che non poteva non riconoscergli. Declassificazione non significa che l’amministrazione penitenziaria cancella il fatto che ha fatto reati terroristici, ma è una questione gestionale e logistica. Non incide sul tipo di condanna che ha avuto. Vuol dire che diventa un detenuto comune», ha aggiunto.
(da agenzie)
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