Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
AMORALE DELLA FAVA: ANCHE SE VINCONO, IL LORO GOVERNO DURERA’ LO SPAZIO DI UN MATTINO
La telefonata del segretario di Stato americano, Blinken, al presidente del Consiglio ha reso ancora più chiaro lo scenario in cui si collocano le elezioni italiane del 25 settembre. E spiega il vero senso delle indiscrezioni sui finanziamenti russi in Occidente: quelle allusioni, quel dire e non dire circa i soldi che sarebbero arrivati da Mosca a partiti e movimenti, forse anche italiani.
Tutto si lega, come è evidente: la guerra in Ucraina, la determinazione americana e quella dell’Unione (vedi il discorso della Von der Leyen), il ruolo di Draghi nella Nato e agli occhi di Washington. E ovviamente, anzi soprattutto, le incognite del prossimo governo.
C’è un punto dunque in cui tutti i fili si uniscono. Un punto sottinteso in quasi tutti i commenti e analisi che hanno affrontato il tema delle ingerenze russe, ma quasi mai emerso in superficie in modo esplicito.
E si capisce: si tratta della questione più delicata per il momento che stiamo vivendo. Riguarda, certo, eventuali finanziamenti opachi arrivati dall’est a partiti, fondazioni, testate cartacee o via web.
Tuttavia tale aspetto, pur molto grave e tale da configurare dei reati, è persino secondario rispetto alla collusione politica tra il governo di Mosca e qualche protagonista o comprimario della politica occidentale. Di quella italiana, in particolare.
Questo è il nodo che s’ intravede dietro l’attivismo americano e il gioco delle mezze notizie. Sono avvertimenti, senza dubbio. Ma non sono generici.
L’alleato ci sta dicendo tra le righe che non è accettabile la presenza nel futuro governo di un personaggio come Matteo Salvini, interprete numero uno della linea filo-russa. Non è il solo, ovviamente: sappiamo quanto siano stati scarsamente trasparenti, a dir poco, i rapporti di Giuseppe Conte – e prima di lui Beppe Grillo – con Mosca e Pechino. Ma i 5S oggi sono lontani dall’area del governo e la questione non si pone con urgenza.
Viceversa Salvini è il secondo partner della coalizione di centrodestra, è da anni al centro della vita politica, è stato ministro dell’Interno: nell’opinione di un osservatore esterno, egli appare una figura in grado di condizionare la politica estera del centrodestra.
A maggior ragione se a Palazzo Chigi dovesse salire una giovane leader inesperta, peraltro a capo di un partito non del tutto impeccabile nelle sue credenziali internazionali.
Di sicuro non è sfuggito, a questo osservatore esterno, il distinguo pro-Orban da parte di Lega e FdI mentre il Parlamento europeo condannava la carenza di democrazia in Ungheria.
Sarebbe tuttavia ingiusto dire che Blinken non ha fatto distinzioni tra Salvini e Giorgia Meloni. Le ha fatte. Ed è per questo che l’obiettivo della campagna in atto è proprio il leghista. Non tanto la Lega e ciò che rappresenta rispetto a un rilevante segmento di opinione, quanto il suo capo che continua a chiedere la fine delle sanzioni con argomenti graditi al Cremlino.
Del resto, non ci vuole molta fantasia per capire che a Washington sarebbero lieti di un altro governo Draghi, magari per l’intera legislatura. Non potendo ignorare che in Italia si vota tra poco più di una settimana, ecco che si appellano alla solidarietà atlantica in un frangente drammatico, mentre l’Europa è scossa da una guerra la cui intensità era ignota dai tempi del secondo conflitto mondiale. È anche questa un’ingerenza?
Il partito filo-russo non perderà l’occasione di proclamarlo. In realtà la sovranità italiana comprende anche gli obblighi nel sistema internazionale delle alleanze.
In definitiva, il passo di Blinken e gli elogi a Draghi sono anche un modo per informare Giorgia Meloni circa la contraddizione che l’Italia atlantica ed europea non può permettersi.
Una contraddizione che si chiama Salvini, come dovrebbero sapere anche i timidi dirigenti del Carroccio vissuti all’ombra del “capitano”.
(da La Repubblica)
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Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
I SOLDI SARANNO DIVISI IN TRE RATE, CHE SI AGGIUNGONO ALLE QUATTORDICI MENSILITÀ ORDINARIE GARANTITE DALLA CASA DI MODA… SARANNO PIÙ DI DUEMILA I DIPENDENTI CHE BENEFICERANNO DI QUESTO BONUS
Inflazione e caro-bollette? Ci pensa mamma Prada, che non sarà esattamente come il welfare scandinavo, dalla culla alla tomba, ma i dipendenti — 2.300 circa nei sette stabilimenti aretini, cinque dei quali in Valdarno, cuore produttivo di un gruppo da 13 mila persone — li rassicura contro la grande paura di un autunno nero. Il marchio di cui è Ad Patrizio Bertelli, aretino doc, ha già cominciato a pagare (a luglio) la prima tranche di un extra salario da 1.300 euro ad addetto con la giustificazione esplicita di un contributo contro l’aumento esponenziale del costo della vita.
Non solo: il gruppo e i sindacati sono anche alla ricerca di uno spiraglio per inserire nel sistema di welfare aziendale il modo per pagare direttamente le bollette, ricorrendo a un altro extra (non tassato) cui hanno diritto i dipendenti: il premio di risultato per gli obiettivi economici centrati nel corso dell’anno, particolarmente brillanti in una multinazionale in continua espansione.
Da buona mamma, Prada si preoccupa anche che i suoi figli non sprechino la dote. Ecco perché i 1.300 euro sono divisi in tre rate, per evitare la tentazione delle cicale che notoriamente consumarono tutto in estate e rimasero nude in inverno. Vanno ad aggiungersi alle quattordici mensilità ordinarie che non sono esattamente una consuetudine nel mondo dell’industria.
Così come non è una consuetudine il pagamento di un extra non previsto da alcun accordo, frutto di pura liberalità di un gruppo che se non è il primo è certamente tra i primi a preoccuparsi del costo della vita che galoppa anche per i propri dipendenti. «Era successo — ricordano Gabriele Innocenti ed Elisa Calori della Filctem-Cgil — solo una volta in passato, qualche anno fa».
Quanto al premio di risultato, va dagli 800 ai 1.400 euro a seconda degli stabilimenti. I dipendenti possono convertirlo in benefit — fra i quali appunto si sta cercando di far rientrare anche il pagamento delle bollette esplosive di questi mesi — evitando così di pagarci l’Irpef.
Ci guadagna anche Prada che può dedurre le cifre investite in tal modo dal proprio imponibile fiscale e che perciò garantisce un aggio dal 10 al 25 per cento a seconda della cifra che viene investita.
Un ulteriore premio potrebbe arrivare per gli stabilimenti che si riveleranno più «risparmiosi» nel consumo di energia. Un’eccezione nel Valdarno in crisi per il caro-bollette e dove proprio ieri la Polynt ha annunciato la richiesta di cassa integrazione per 81 dei 240 dipendenti. Ma i sindacati sperano che alla fine tocchi solo a 15 addetti.
(da la Repubblica)
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Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
COME TANTI LAVORATORI ITALIANI VENGONO SFRUTTATI NEL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI (AH GIA’, IL PROBLEMA E’ IL REDDITO DI CITTADINANZA…)
“Lavoravo dodici ore al giorno senza pausa, per 5 euro l’ora con la promessa di un contratto a tempo indeterminato, che non è mai arrivato”. È la denuncia di Giacomo, 45 anni, ex addetto alla sicurezza antincendio, che ha raccontato la sua storia a Fanpage.it.
Una delle tante alle quali in queste settimane stiamo dando voce, di lavoratrici e lavoratori non solo poco più che maggiorenni, ma anche dai trent’anni in su, sfruttati, pagati poco, precari, costretti per necessità ad accettare stipendi da fame, con la speranza di stabilizzazioni, che invece non ottengono.
“Mi hanno promesso l’indeterminato che non è mai arrivato”
“Ho iniziato lo scorso inverno a lavorare per una società in sub appalto di un’azienda che fornisce energia, con un contratto a termine di tre mesi e l’impegno da parte di quest’ultima che allo scadere avrei ricevuto l’indeterminato – spiega – La mia preoccupazione era quella di essere impiegato temporaneamente solo per coprire le ferie dei colleghi, dato che si avvicinavano le feste di Natale, ma su quest’aspetto la società mi ha tranquillizzato, dicendomi che avevano bisogno di nuove risorse e che sarei entrato stabilmente all’interno del team”.
“Lavoravo per 5 euro l’ora 12 ore al giorno”
Così Giacomo ha lavorato per tre mesi dodici ore al giorno per 5 euro l’ora senza pausa, se non il tempo necessario per mangiare.
“Mi occupavo di sicurezza anticendio e prevenzione, mansioni di responsabilità per le quali è necessaria una preparazione ad hoc, attestata dalla frequenza di corsi” spiega. Alla scadenza del contratto Giacomo non ha ricevuto alcuna comunicazione.
“Il giorno dopo la fine del periodo pattuito mi hanno chiamato per chiedermi di andare a lavorare, perché avevano poche persone operative, per poi dirmi però che dal giorno seguente sarei stato libero. Ho chiesto in che senso intendessero e loro mi hanno risposto che il nostro rapporto lavorativo sarebbe finito lì”.
“Lasciato senza lavoro né stipendio da un giorno all’altro”
Solo a quel punto Giacomo ha capito che non avrebbe ricevuto alcun rinnovo. “La motivazione è stata che non potevano assumermi, perché era in corso una riduzione del personale. Allora ho chiesto di essere pagato nei giorni seguenti, perché ero stato lasciato senza lavoro così, su due piedi, senza alcun preavviso e senza entrata. Sono una persona adulta che ha spese come tutti, non potevo permettermi di rimanere senza stipendio. Mi hanno detto che avrei dovuto aspettare la fine del mese successivo per ricevere quanto mi spettava, ma a quel punto non mi fidavo più. Solo quando ho detto che sarei ricorso a vie legali hanno deciso di pagarmi”.
(da Fanpage)
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Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
BLINDARE IL COPASIR PER PROVARE A FERMARE LA VALANGA: PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA È STATO PROROGATO IL COMITATO PARLAMENTARE SUI SERVIZI
Il rapporto sui fondi russi ai partiti occidentali, risponde il Dipartimento di Stato al Corriere , va interpretato come «un’allerta globale». Non sono indicati alcuni Paesi in particolare, né forze politiche o singoli leader.
È la stessa spiegazione fornita da Blinken a Draghi. E nelle stesse ore il Dipartimento di Stato ha inviato una mail ai governi: «Noi non entriamo nelle informazioni specifiche di intelligence , ma siamo stati molto chiari nell’esporre la nostra preoccupazione sulle interferenze della Russia nel processo democratico in diversi Paesi del mondo, compreso il nostro.
A questo proposito non concentriamo il nostro allarme nei confronti di nessuno Stato in particolare, ma sul piano globale, poiché dobbiamo fronteggiare le sfide contro le società democratiche. Continueremo a lavorare con i nostri alleati e partner per mettere in luce i tentativi di influenza pericolosa della Russia, aiutando gli altri Paesi a difendersi contro tali attività».
Mercoledì sera Adolfo Urso, presidente del Copasir per Fratelli di Italia, ha ottenuto più o meno le stesse risposte nella sua ultima giornata a Washington. Accompagnato dal numero due dell’ambasciata italiana, Alessandro Gonzales, ha avuto una serie di incontri al Dipartimento di Stato. Poi, scortato dall’ambasciatrice Mariangela Zappia, ha visto il presidente della Commissione Intelligence al Senato, il democratico Mark Warner, nonché il repubblicano Richard Burr, componente dello stesso organismo. E in tutti i colloqui ha ricevuto rassicurazioni sull’esclusione dell’Italia.
Del resto poco dopo la divulgazione delle notizie, gli Stati Uniti avevano fatto sapere che le ambasciate interessate sarebbero state contattate. Ma né gli addetti diplomatici negli Usa, né la Farnesina, né gli apparati di intelligence – subito allertati dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Franco Gabrielli – hanno ricevuto informazioni specifiche sull’inserimento dell’Italia nel dossier.
Resta il dubbio che nel rapporto compilato dai servizi segreti e dal Consiglio di sicurezza nazionale, diretto da Jake Sullivan, il più stretto collaboratore di Joe Biden, possano esserci dei riferimenti risaputi, attinti dalle cosiddette «fonti aperte», cioè notizie già pubblicate.
Le informazioni fatte filtrare da Washington – che gli analisti leggono come un warning per il prossimo governo – potrebbe comunque essere il preludio all’invio di altri dossier.
Le parole del ministero degli Esteri Luigi Di Maio, che conferma di essere «in contatto con gli americani per tutti gli ulteriori aggiornamenti», dimostrano che nelle interlocuzioni di queste ore della diplomazia e dell’intelligence è stato spiegato che ci sono numerosi report preparati dal Tesoro e dagli 007 Usa sui finanziamenti di Mosca a partiti, imprese, uomini politici stranieri e per questo non è affatto escluso che nelle prossime settimane possano emergere altri documenti che coinvolgano anche italiani.
La proroga
I timori per quello che potrà accadere in materie così delicate sembrano dimostrati dalla norma, votata all’unanimità e inserita nel decreto Aiuti, che – per la prima volta – proroga il Copasir. E stabilisce che «fino alla nomina dei nuovi componenti dello stesso Copasir le relative funzioni sono esercitate da un comitato provvisorio costituito dai membri del comitato della precedente legislatura che siano stati rieletti in una delle Camere».
(ds Il Corriere della Sera)
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Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
VISTI I PRECEDENTI PRESTITI CON BANCHE RUSSE, ADESSO GLI ISTITUTI FRANCESI RIFIUTANO DI OFFRIRE LIQUIDITÀ AL PARTITO SOVRANISTA… SERVONO 3 MILIONI DI EURO, ED È PARTITA LA COLLETTA TRA I MILITANTI
Nelle prossime settimane, il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen lancerà una campagna per l'”emprunt patriotique”, ossia per chiedere a ognuno dei suoi militanti un “prestito patriottico” (minimo 500 euro), al fine di far respirare le casse del partito, ormai sull’orlo dell’asfissia. Secondo quanto riportato dal Parisien, il partito sovranista francese è oberato da un debito di 23 milioni di euro e ha un urgente bisogno di liquidità per poter preparare le prossime scadenze elettorali e far girare a pieno regime la macchina.
La principale ragione di questo debito che continua a ingigantirsi anno dopo anno è legata alla difficoltà di far eleggere deputati e senatori sotto il vessillo Rn. Il numero di parlamentari è infatti uno degli elementi che determina l’entità della sovvenzione pubblica versata ogni anno dallo Stato ai partiti politici durante l’intera legislatura.
L’ottimo risultato della formazione di Marine Le Pen alle ultime elezioni legislative (89 deputati eletti) garantirà a Rn circa 10 milioni di euro, ossia il doppio di quanto ha percepito durante il precedente quinquennio. Problema: il gruzzolo non arriverà nelle casse frontiste prima di giugno 2023. «Di solito, la sovvenzione viene versata a febbraio o marzo, ma durante l’anno post -elettorale arriva a giugno o luglio, il tempo che lo Stato finisca di archiviare i ricorsi e convalidare i risultati delle elezioni», ha spiegato al Monde Kévin Pfeffer, tesoriere Rn e deputato della Mosella.
Al partito sovranista, per resistere fino al bonifico dello Stato, basterebbe una somma di circa 3 milioni di euro. Per questo motivo, gli attuali prestatori del Rn, circa 1.500, verranno sollecitati prossimamente a sostenere il partito in questo momento di difficoltà.
La speranza dei dirigenti Rn, naturalmente, è quella di convincerne di nuovi. «Spiegheremo loro che le prospettive sono molte buone, ma che in questi mesi abbiamo dei problemi di tesoreria», ha detto Pfeffer al Monde, prima di aggiungere: «Qualsiasi banca accetterebbe di fare un prestito-ponte, purtroppo però, nel nostro caso, non è possibile». Il riferimento è ai rifiuti incassati in questi anni da Marine e dai suoi fedelissimi da parte delle banche francesi, restie ad accostare la loro livrea a un cognome considerato sulfureo e pressoché radioattivo come “Le Pen”.
Non a caso, la figlia di Jean-Marie Le Pen è stata costretta in questi anni a rivolgersi a una banca russa, la First Czech-Russian Bank, nel 2014, e a una banca ungherese, la Mkb, nel 2022.
La prima ha concesso all’allora Front national un prestito di 9 milioni di euro per la campagna del 2017, la seconda 10,6 milioni per l’ultima campagna presidenziale: entrambi i prestiti, naturalmente, non sono ancora stati rimborsati.
In attesa della “banca della democrazia” annunciata prima dal presidente Macron poi dal suo alleato Bayrou per andare incontro a quei candidati che faticano a ottenere prestiti da parte delle banche private francesi, Marine chiede una mano ai suoi sostenitori.
(da agenzie)
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Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
“HA PENSATO CHE IL SUO IMPULSO VERSO IL REGIME DEI PIENI POTERI SI IDENTIFICASSE CON IL MODELLO PUTINIANO: ALTRO CHE OMBRE RUSSE, PER SALVINI IL PUTINISMO E’ UNA PRIMA PELLE”
La cosa grave, per quanto riguarda i finanziamenti russi a partiti italiani, è che le ombre sono poche, riguardano dettagli scabrosi ma non l’essenziale. Tutto si è svolto alla luce del sole.
Salvini nella sua ingenua furbizia ha pensato, e ha manifestato apertamente nelle forme più primitive, perfino infantili, che il suo impulso verso il regime dei pieni poteri, dell’uomo forte, della soluzione risolutiva, dell’odio per le élite euroatlantiche, dell’ideologia del risentimento e della frustrazione contro la democrazia liberale, si identificasse con la Russia di Putin
Non è questione di insinuazioni o accuse, di prove, di ulteriori accertamenti, di passaggi di rubli, tutte cose in ombra ma non poi così tanto, è questione direi quasi gratuita, solare, evidente, di infatuazione per un modello che è venuto alla luce per quel che è e per quel che costa in termini di equilibrio, sviluppo, libertà, pace e comune umanità.
Il Salvini invotabile, pericoloso, spiazzato in modo grottesco dalla storia di questi anni, non è uno sconosciuto agente del Kgb, non è un politico corrotto dai rubli, è il leader che ha scommesso apertamente su un modello insopportabile per il nostro modo di concepire la vita e l’esercizio dei diritti civili in un paese democratico.
Il putinismo, che per Berlusconi è un’amicizia personale, ma l’uomo ha anche pianto la notte per Gheddafi, come raccontò mentre veniva bombardato e spento, per Meloni è una tentazione apparentemente rifiutata, per Salvini, che sta nel tridente elettorale della destra, è una seconda, macché una prima pelle. Altro che ombre russe
Giuliano Ferrara
(da il Foglio)
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Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE DEL COLLETTIVO ARTISTICO OFFLINE HA COLPITO ANCHE SCHIFANI
Ha fatto molto discutere la candidatura alle prossime elezioni politiche di Rita Dalla Chiesa, scelta da Forza Italia per l’uninominale in Puglia e come capolista in Liguria. Voci di indignazione si erano sollevate sin da subito, con molti utenti che avevano sottolineato come la scelta della presentatrice fosse un affronto al padre, il generale ucciso dalla mafia Carlo Alberto Dalla Chiesa.
“Lei è la figlia del generale Dalla Chiesa ucciso proprio dalla mafia candidata con Forza Italia”, questo il tenore della maggior parte dei commenti.
E la polemica si è concretizzata in alcuni manifesti comparsi a Palermo stamattina, una vera e propria provocazione per scuotere gli elettori siciliani chiamati alle urne non solo per le elezioni politiche, ma pure per il rinnovo dell’Assemblea regionale e l’elezione diretta del nuovo presidente di Regione.
I manifesti satirici comparsi stamattina per le strade di Palermo a dieci giorni dalle elezioni nazionali e regionali mostrano la faccia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che sorride in primo piano con la scritta in dialetto: “Scusate, me figghia è na niagghia”, ovvero “scusate, mia figlia è una nullità”.
I manifesti in questione sono opera del collettivo artistico Offline, che aveva già affisso alcuni cartelloni contro il partito di Berlusconi in occasione delle scorse comunali palermitane in cui si leggeva “Forza Mafia”, ma anche “Democrazia Collusa” con accanto l’immagine dello scudocrociato.
Il collettivo se l’è presa anche con Renato Schifani, nome di punta del Centrodestra per la presidenza della Regione Sicilia, attualmente in attesa di giudizio per rivelazione di segreti d’ufficio e concorso in associazione a delinquere. Nello specifico, sui manifesti Schifani è stato ribattezzato “Scaglione”, lo pseudonimo che sarebbe stato utilizzato in riferimento all’ex presidente del Senato nelle intercettazioni acquisite dagli inquirenti.
Non solo: nel mirino di Offline sono finiti pure i manifesti elettorali del coordinatore regionale forzista Gianfranco Micciché, sui quali il gruppo ha affisso il pulsante “salta annuncio”, che su Youtube serve appunto per saltare la pubblicità (indesiderate) prima di un video.
(da NextQuotidiano)
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Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
IL DETTO E NON DETTO DELL’ASPIRANTE PREMIER
Quello che le Giorgie non dicono. Perché è lì che sta l’incaglio. Nel non detto, nel non chiarito, nell’espunto (quelli che hanno studiato userebbero “scotomizzato”, che sarebbe quando elimini inconsciamente dalla percezione, e dalla memoria, qualcosa di spiacevole: tipo il fascismo di ieri e di oggi).
Mentre sono tutti convinti che la forza di Giorgia Meloni, premier in pectore del prossimo governo (cosa temuta assieme dai suoi avversari e dai suoi alleati: quando si dice la coincidenza degli opposti…), siano le cose che dice, papale papale, meglio se articolate in semplici elenchi di “sì” e di “no”, come nel celeberrimo discorso a quelli di “Vox” (fulgido esempio di destra gentile e moderata).
Lei stessa ci gioca, ammirevolmente: “do you know?”, chiede ridendo a proposito d’un argomento spinoso assai, la legge 194 sull’aborto. E ha appena detto, quasi sillabandolo, che il suo partito non intende “né a-bo-li-re né mo-di-fi-ca-re la 194”, anzi, solo “applicarla per intero”.
Papale papale. Cosa che, stranamente, sarebbe pure quella che vorrebbero moltissime donne italiane, del Nord e del Sud, che vivono nei territori in cui, ad esempio, ci sono ospedali con il 100 per cento di obiettori (in 11 regioni ce n’è almeno uno: è illuminante, e sconfortante, l’indagine “Mai Dati” di Chiara Lalli e Sonia Montegiove, che rende chiaro perché ad oggi sia pressoché impossibile avere una mappa completa e affidabile dell’applicazione della 194 in tutto il Paese).
Donne che vorrebbero garantito l’accesso all’aborto farmacologico, di gran lunga meno invasivo e traumatico (e persino meno costoso per la sanità)
Quindi, “applicare per intero” starebbe anzitutto nel garantirlo, l’aborto. Come pare non stiano esattamente facendo talune amministrazioni regionali di destra, per esempio.
Ma lei lo ha detto, papale papale, in giorgese stretto: “Non vogliamo abolirla, vogliamo applicarla per intero”. Ahó , e che, non stai a capì? Lascia perdere se l’ “intero” così suona come una beffa, e, semmai, significa l’esatto contrario, anche alla luce della realtà dei fatti e dei dati.
Così come – è appena successo, non è la prima volta – difendere Orban, il vecchio amicone “democraticamente eletto”, è una cosa chiara, papale papale: democratico è chi più voti piglia. Lo avrebbe detto così persino Boskov. Poi non andiamo a spaccare il capello, non andiamo a cercare il non detto: chissenefrega se le minoranze vengono compresse e perseguitate, la stampa zittita, i diritti civili smontati o negati, la condizione femminile peggiorata e riportata indietro di anni (persino con l’appoggio di paradossali “ricerche” sulla… subalternità maschile), e l’aborto, consentito solo in pochissime situazioni, tra cui la gravidanza frutto di violenza o pericolosa per la salute della madre, ora applicato con la clausola del “battito del cuore” (che comunque la si pensi ha un solo intento evidente: colpevolizzare la donna).
Ma non sottilizziamo, non cavilliamo, non facciamo le dolcemente complicate, per favore: ipsa dixit. Per sua vox.
(da Huffingtonpost)
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Settembre 16th, 2022 Riccardo Fucile
“NO A SECONDO MANDATO A PALAZZO CHIGI”… “DA RUSSIA OPERA SISTEMATICA DI CORRUZIONE, QUALCUNO PARLA DI NASCOSTO CON MOSCA E VUOLE TOGLIERE LE SANZIONI”
No. Mario Draghi non è disponibile a un secondo mandato a Palazzo Chigi. Così nella conferenza stampa dopo il Cdm che ha approvato il dl Aiuti Ter.
Per il premier le sanzioni alla Russia funzionano e il Pnrr non va toccato: “Il Paese che vedo oggi è forte, leale all’alleanza atlantica e che cresce economicamente, non posso fare previsioni su quello che succede. Non condivido la visione negativa di chi vede che il Pnrr così non va bene e chi parla di togliere le sanzioni e parla di nascosto con i russi, c’è gente che lo fa e c’è gente che non lo fa”, dice ancora Draghi che ha poi invitato tutti gli italiani a votare il 25 settembre.
Nel pomeriggio il premier è nelle Marche, colpite da un violento nubifragio che ha causato morti e dispersi. Il caso del dossier Usa sui finanziamenti russi ai partiti ed esponenti politici di alcuni Paesi è stato al centro dell’audizione di questa mattina del prefetto Franco Gabrielli davanti al Copasir, convocata dal presidente Adolfo Urso.
Al momento, non ci sarebbero nelle carte arrivate ora riferimenti a partiti. Dopo il rapporto statunitense – che ha mandato in fibrillazione la campagna elettorale – la politica estera continua ad animare, di rimbalzo, la campagna elettorale. Ieri il Parlamento europeo ha condannato – in una pesante relazione – l’Ungheria di Viktor Orban per i suoi “sforzi deliberati e sistematici del governo ungherese” contro i valori dell’Ue. Ma la coalizione di centrodestra ancora una volta si è spaccata in un voto su Orban. Tra i voti contrari quelli di Fratelli d’Italia e Lega, compatti nei loro gruppi di Ecr e Id. Forza Italia, invece, ha votato a favore (in linea con il gruppo del Ppe) e Silvio Berlusconi ha avvertito: “Fuori dal governo se è antieuropeista”. E Pd e M5S attaccano.
(da agenzie)
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