Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
“HA COMPIUTO ERRORI IMPERDONABILI, A PARTIRE DALL’AVER FATTO CADERE IL GOVERNO GIALLOVERDE”… “CHI DOPO MATTEO? ZAIA HA UN CARISMA FORTE ED È QUELLO CHE PREFERISCO. MA ANCHE FONTANA, GIORGETTI E FEDRIGA ANDREBBERO BENISSIMO”
«Se andrò a Pontida? Non penso, ma deciderò domani, magari un giro in bici lo farò». Un bel tragitto da 20 chilometri da Lecco al pratone sacro della fu Lega Nord, un corpo agonizzante, scatola piena di debiti, da quando Matteo Salvini ha fondato nel 2017 il nuovo partito, Lega Salvini premier.
Roberto Castelli ha tuttavia uno spiccato senso dell’umorismo. È fuori dalla dirigenza della Lega da quando non ha più la parola nord nel simbolo, continua però ad avere le tessere dei due partiti: «Sa, c’era sempre la speranza di fare un congresso prima o poi, così non è stato».
Castelli è stato parlamentare, viceministro, due volte ministro della Giustizia nel governo di Silvio Berlusconi. Uno dei padri di quel partito radicato sul territorio e strenuo difensore dell’autonomia. Fedelissimo di Umberto Bossi, il fondatore. Castelli adesso fa parte dell’associazione Autonomia e libertà, che conta centinaia di iscritti. Ed è tra i più critici della linea Salvini.
Critica alla luce del sole, senza nascondersi. «Per Salvini sarà decisivo il voto del 25, se va sotto una certa soglia, si cambia. Ecco chi sarebbero i leader di un nuovo corso fedele alle origini», dice a Domani.
Con questa Pontida si chiuderà un ciclo, la stagione di Salvini?
Questa parabola di Matteo Salvini si inserisce in un periodo storico in cui l’elettore si disinnamora in fretta dei leader. È un elettore che manda alle stelle e in brevissimo tempo divora i suoi idoli. Lo abbiamo visto con Renzi, con i Cinque stelle, lo stiamo vedendo con Salvini. Non si vota più per i partiti ma per i leader, a parte il Pd, l’unico rimasto con una struttura, gli altri hanno tutti il nome del leader nel simbolo.
Ecco, mi pare che Salvini stia soffrendo anche lui di questa sindrome, viene sparato a livelli stratosferici, ma non è la Lega a prendere il 40 per cento, è lui. Altrettanto rapidamente li sta perdendo. Il suo destino non è legato tanto a Pontida, a qualche protesta che potrebbe starci, ma è legato al risultato elettorale.
C’è una soglia critica?
Se si attesta attorno al 15 per cento nessuno lo metterà in discussione, se non supera il 10-12 per cento probabilmente qualcosa succederà, un cambiamento sarà avvertito come necessario.
Quindi questa 34esima edizione di Pontida che significato assume?
Pontida 2022 si innesta in un tentativo tardivo di andare a recuperare quel popolo del nord, della Lega nord di cui faccio parte anche io. Ma è un tentativo che verrà percepito come strumentale o sincero? E questo il dilemma vero della Lega del futuro. Se è strumentale il popolo del nord lo percepisce e non ci casca. Se è sincero vuol dire tornare a una lega a trazione settentrionale, perdendo il consenso in meridione. È un dilemma che va affrontato. Salvini si è trasformato in un leader che difende gli interessi di tutta l’Italia, però questo ha creato fortissimi malumori.
Questo malumore della base e di parte della dirigenza avrà conseguenze alle elezioni?
Se sono veri i sondaggi è dura, non c’è un collegio al nord in cui noi sopravanziamo Fratelli d’Italia e, con tutto il rispetto per Meloni, vedere un popolo che ha lottato per anni per l’autonomia essere superato da un partito centralista, capisce che è dura per i leghisti storici. La questione settentrionale è lì, esiste ancora. E non verrà rappresentata da nessuno neanche questo prossimo giro in parlamento.
Chi può essere la leadership alternativa? Esiste chi si prende la responsabilità di ereditare la guida di Salvini e riportarla ai principi del federalismo?
Posso dire che Luca Zaia ha un carisma forte ed è quello che preferisco. Ma anche Attilio Fontana, Giancarlo Giorgetti e Massimiliano Fedriga andrebbero benissimo. Tutti e quattro potrebbero assumere la leadership della Lega, dichiarando fallito il partito egemone di Salvini, anche perché il nome del partito non ha più senso senza Salvini: diventerebbe Lega premier di che cosa?
E quindi con il cambio di leader quale potrebbe essere lo scenario futuro?
Ci sarebbe un completo ripensamento del movimento, certo avremmo perso un giro e per 5 anni abbiamo perso la partita. Con Fontana, Giorgetti, Fedriga o Zaia, tutti con le doti per essere leader, inizierebbe tutta un’altra partita, sicuramente sono le persone adatte a ricucire lo strappo con il ceto produttivo settentrionale.
Secondo lei l’errore macroscopico di Salvini?
Non ha saputo capitalizzare e ha sprecato questo grande capitale. È dura mantenere i piedi per terra, pensi che sei l’uomo del destino, e commette l’errore del Papeete. Fa cadere un governo della Lega, errore imperdonabile. Una caduta di stile che non è perdonabile. Da lì inizia una serie di errori politici. Inizia così la parabola discendente. Il popolo quando si disinnamora del leader va da un’altra parte.
Democrazia interna azzerata, cerchio magico, gestione personale. Che ne pensa? Nella Lega nord c’erano congressi e pochi commissariamenti?
Le assicuro che nella Lega con il leader maximo Umberto Bossi non c’è mai stato un commissariamento dall’alto, ma ci sono state sempre elezioni con voto segreto. Quando andavamo a lamentarci da Bossi di qualcosa, la sua risposta era: “Siete dirigenti del partito e venite a chiedere a me cosa fare? Se non siete capaci non lo meritate quel ruolo”. È chiaro che se non è più il partito che è forte ma solo il leader a essere forte, questo non ha più bisogno del partito, perché dal partito arrivano richieste, lamentele, dibattiti, discussioni.
E allora ti circondi del tuo cerchio magico e nessuno ti rompe più, questo è un vantaggio quando va tutto bene, ma quando le cose si mettono male è uno svantaggio. Perché se hai il nocciolo duro delle sezioni, che sono dalla tua parte e si sentono coinvolte, resisti anche nei momenti di crisi. Ecco perché il Pd resiste. Se manca tutto questo, e il partito lo smantelli e resta solo il cerchio magico alla prima crisi sei finito. Salvini ha fatto questa scelta qui, comando io, commissario tutto, scelta legittima per carità, ma ora pagherà le conseguenze.
Lei crede a un ritorno della Lega nord come partito?
Io ho fatto il movimento Autonomia e libertà, perché vogliamo combattere per l’applicazione del federalismo vero, è uno scandalo che una previsione costituzionale votata da più di 5 milioni cittadini non abbia avuto ancora esito legislativo, poi criticano Orban e la mancanza di democrazia. Guardiamo in casa nostra prima. Abbiamo centinaia di soci e ci stiamo allargando, guardiamo ovviamente a tutti questi movimenti di ritorno alle origini della Lega. Ma non capisco il progetto di riprendersi la Lega nord, perché chi lo prende eredità il debito con lo stato da 49 milioni. Se fossimo costretti a rifondare un partito autonomista e federalista del nord non è tanto il simbolo che conta ma sono le persone, le idee, i principi.
Il ceto produttivo, gli imprenditori veneti e lombardi, le ci parla con quel mondo li, cosa dicono?
Ci parlo e ci lavoro, è venuta meno la fiducia in Salvini. È visto come meno affidabile del passato, Meloni è considerata più affidabile. Provo a spiegare che Meloni è centralista, ma non cambiano idea. Pensano ora alle bollette, il federalismo è passato in secondo piano, anche perché Salvini l’ha cancellata dalle priorità.
(da editorialedomani.it)
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Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
ORBAN (PER NON PERDERE 7,5 MILIARDI) AMMETTE: “IN EFFETTI SONO NECESSARIE MISURE ANTI-CORRUZIONE E UNA RIFORMA DEGLI APPALTI DA CONCORDARE CON L’EUROPA”
“Non non sono d’accordo con ciò che l’UE sta facendo con l’Ungheria. Noi siamo in mezzo a una guerra, fatta contro l’occidente, noi non abbiamo interesse a spaccare l’Europa ma a compattare l’Europa contro gli avversari. All’Onu l’Ungheria non ha votato con la Russia ma con l’Europa”
A dirlo, intervistata da Lucia Annunziata a Mezz’ora in più, su Rai tre, la leader di Fratelli D’Italia, Giorgia Meloni: parole pronunciate proprio mentre il governo ungherese di Viktor Orban ammetteva implicitamente di aver commesso degli errori dichiarando di voler chiudere entro novembre la vertenza politica con l’UE che rischia di costarle un taglio ai fondi europei pari a 7,5 miliardi di euro.
Mentre Meloni si schierava con l’Ungheria e contro Bruxelles, infatti, proprio la stessa Ungheria affermava di voler fare alcune “concessioni”, un pacchetto di leggi “concordato” che comprendesse l’istituzione di un’autorità indipendente anti-corruzione, una riforma degli appalti e altre misure in chiave della lotta alla corruzione.
(da Fanpage)
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Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
SE CI SONO DUE MINISTERI IN CUI IL SOSPETTO DI INTELLIGENZA CON I RUSSI È UN PROBLEMA, QUELLI SONO ESTERI E DIFESA. SCARTATO IL VIMINALE, RESTEREBBE A QUEL PUNTO LA PRESIDENZA DEL SENATO. MA LÌ C’È DA BATTERE LA CONCORRENZA DI SILVIO BERLUSCONI
«E Salvini, dove lo metto?». Se domenica sera Giorgia Meloni brinderà alla vittoria, sarà questo il suo primo problema politico. Il leader della Lega ha avuto una legislatura difficile, dal Papeete al viaggio prepagato a Mosca, perdendo per strada buona parte dei consensi conquistati nell’anno al Viminale. Non è un mistero che una parte del gruppo dirigente storico lo aspetti al varco del risultato elettorale. Ma il suo controllo sul partito è forte, anche nello Statuto, e i nuovi gruppi parlamentari sono stati scelti a immagine e somiglianza.
Salvo sfaceli, dunque, Salvini sarà il junior partner della coalizione e reclamerà perciò un ministero di prima fascia, come è sempre accaduto dai tempi di Fini con Berlusconi, Alfano con Renzi, lui stesso con il primo Conte.
Sì, ma quale ministero? Esteri e Difesa sono quasi inaccessibili, per le ovvie ragioni. Le frasi di Mario Draghi sui «pupazzi prezzolati», piccola ma estrema conferma della «cattiveria» politica del premier, non aiutano. Ma anche senza quelle…
Insomma, se ci sono due ministeri in cui il sospetto di intelligenza con i russi è un problema, quelli sono Esteri e Difesa. Sappiamo inoltre, dal rifiuto che oppose alla nomina di Paolo Savona all’Economia, che il presidente Mattarella usa in pieno la sua prerogativa costituzionale di nomina dei ministri, e interpreta come un dovere la vigilanza sul rispetto dei Trattati internazionali.
Resterebbero dunque solo gli Interni che, come dice il nome, sono più un affare interno. Ma anche un ministero delicatissimo. Al punto che quando Salvini ne uscì, le polemiche politiche da lui suscitate consigliarono di affidare il Viminale alle mani più tecniche e impersonali di un prefetto, Luciana Lamorgese.
Una Meloni premier potrebbe anche pensare che le convenga continuare con un prefetto, magari stavolta di centrodestra (ce n’è uno di peso, Giuseppe Pecoraro, candidato in Fratelli d’Italia).
Naturalmente molto dipenderà da quanti voti prenderà Salvini. C’è una soglia (il 10%) sotto la quale la sua aspirazione ministeriale s’indebolirebbe di molto. Resterebbe a quel punto la presidenza del Senato.
Ma lì c’è da battere la concorrenza di Silvio Berlusconi. Auguri.
(da il Corriere della Sera)
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Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
E CONTE, RITTO SU UNA PANCHINA, SCANDISCE: “NON METTERANNO LE MANI SUL REDDITO”
Quando arriva a Siracusa, ad aspettarlo ci sono i poveri di un quartiere. Una ressa di uomini, taluni sono glabri, senza denti. Sono soprattutto loro. E poi il resto della città. C’è una ressa come all’esordio di una star. E per i poveri lo è. Acclamano: Giuseppe! Giuseppe! L’avvocato dei poveri. Il Sud ce l’ha in pugno, sembrerebbe.
Il Sud sono i poveri che acclamano, quelli che con lui sono diventati un vero soggetto civile, esibendo una qualche dignità; il reddito di cittadinanza ha significato molte cose per le piccole vite.
Conte sale su una panchina e parla alla gente. Le persone si aspettano un interlocutore. Non la fanfara da comizio, il circo burlesco a cui ci ha abituato la politica deteriore. O semplicemente la politica.
Conte non è l’oracolo di un assistenzialismo fallimentare, nella convinzione del suo auditorio, piuttosto la chiave di volta di ferite sociali, come la povertà appunto, di cui non frega granché di solito, vedi i ristori in pandemia e il reddito, ovviamente.
Il quartiere in cui Conte incontra gli elettori concentra parecchie tensioni, è una apologia di illegalità e miseria. Poi ci sono i palazzi blasonati. Ma la vita ostile e faticosa è di quella gente che accerchia l’ex presidente, che lo soffoca, fino a travolgerlo. Conte scandisce la promessa: “Non dobbiamo distrarci”. E sottintende le manovre sospette sui soldi del Pnrr, sulla riforma della Giustizia.
Ritto su una panchina conferma ancora: “Non metteranno le mani sul reddito, dobbiamo stare dalla parte giusta”. La gente esulta, applaude. Come in un romanzo di Dumas, sognano un vero colpo di mano della sorte, dove a vincere stavolta sono quelli che non vincono mai.
(da il Fatto Quotidiano)
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Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
ORMAI NON SI SA PIU’ SE RIDERE O PIANGERE
Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi continua a sbancare su Tik Tok con video che diventano immediatamente virali. Dall’apertura del canale avvenuta lo scorso primo settembre, il profilo del Cav ha guadagnato già più di 533mila followers e oltre 2 milioni di mi piace
Questa volta, a far discutere è stato un video in cui l’ex Premier, col fare ammiccante che lo contraddistingue, è tornato a fare campagna elettorale parlando di donne, nello specifico di diritti, di parità, di asili nido, di stalking e di violenza. Sul finale un pensiero è andato pure al suo principale avversario politico in vista delle elezioni, il segretario del Pd Enrico Letta.
Questa volta la “pillola di programma” illustrata su Tik Tok da Silvio Berlusconi era quella dedicata alle donne.
Un argomento su cui il Cav non ha potuto risparmiare battute e cenni autobiografici. Tanto che, proprio alla fine del video, ha detto: “In quanto cittadine e in quanto donne avrete tutto l’interesse a dare il vostro voto a Forza Italia, a noi, a me, che non solo sono più bello di Letta e per tutta la vita sono andato a caccia del vostro amore, ma sinora ho mantenuto sempre le nostre promesse elettorali. Grazie e, auguro a tutte voi serenità, salute, gioia e amore”.
All’interno del filmato, caratterizzato da toni decisamente più seri, Berlusconi ha illustrato le proposte di FI in tema di donne, tornando pure sulle discusse iniziative di FI destinate alle casalinghe: “Esiste poi una categoria di donne che non hanno mai svolto un lavoro retribuito perché per tutta la vita si sono sacrificate per la casa, la famiglia, i figli. Chi sono? Sono le nostre mamme e le nostre nonne. Abbiamo pensato che anche loro hanno diritto ad una vecchiaia dignitosa e serena, e quindi anche loro riceveranno una pensione di 1000 euro al mese per 13 mesi”.
E, concludendo il video, il Cav ha detto: “Care amiche, la libertà e la dignità della donna sono troppo spesso violate da forme di violenza, fisica o psicologica, davvero ripugnanti, che ne limitano i diritti e ne violano l’integrità. Voglio ricordare che è grazie a Forza Italia se nel nostro codice è stato inserito il reato di stalking e sono state fortemente aggravate le pene in caso di stupro e a maggior ragione in caso di omicidio in seguito a violenza carnale. Abbiamo anche introdotto il patrocinio gratuito, a carico dello Stato, per le vittime di questi reati odiosi. Questo è quello che siamo riusciti a fare finora”.
Sarà stato davvero convincente? Qualche dubbio rimane.
(da agenzie)
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Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
IL DISCORSO DEL PREMIO NOBEL IN OCCASIONE DELL’UDIENZA RELATIVA AL RICORSO PER IL RITIRO DELLA LICENZA AL PRINCIPALE GIORNALE INDIPENDENTE IN RUSSIA
Memorial Italia presenta qui la traduzione del discorso del premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov in occasione dell’udienza relativa al ricorso per il ritiro della licenza al giornale Novaja Gazeta.
Dopo una battaglia che ormai dura da più di un anno il giornale, fondato nel 1993 con Michail Gorbacev tra gli azionisti principali e con Anna Politkovskaja tra gli autori di punta, era stato costretto a interrompere la pubblicazione della versione cartacea il 28 marzo.
Si ringrazia la redazione di Novaja Gazeta per l’autorizzazione alla pubblicazione in italiano. Tradotto da Claudia Zonghetti.
Il 15 settembre il tribunale di primo grado della Corte Suprema della Federazione Russa ha deciso di chiudere il sito web di Novaja Gazeta. La redazione si oppone categoricamente alla chiusura e presenterà ricorso. Durante l’udienza, il giudice non ha accolto le nostre istanze. Il direttore Dmitrij Muratov ha chiesto la parola. Ecco cosa ha detto al giudice, al rappresentante di Roskomnadzor [l’agenzia federale russa che monitora e vieta l’accesso ai mass media] che ha avviato il procedimento contando in un esito simile, e ai nostri lettori.
Vorrei far presente che nei procedimenti penali si tiene sempre conto della personalità dell’imputato. Il nostro caso non afferisce al penale, ma anche un giornale ha la sua identità. E la corte deve tenerne conto.
Quando, per fare un esempio, abbiamo affrontato la questione dei bambini affetti da atrofia muscolare spinale – che hanno bisogno del farmaco più costoso al mondo: l’iniezione necessaria a un paziente costa 2,3 milioni di dollari – abbiamo raccolti il denaro sufficiente a curare cinque bambini. Dopo di che, e grazie a questa nostra impresa, il presidente e il Governo hanno creato la Fondazione “Cerchio del bene” che ora copre le spese per quasi tutte le malattie rare.
Alcuni nostri collaboratori hanno volato nello spazio. Jurii Michailovič Baturin è tornato con la medaglia di Eroe della Federazione Russa. Sei miei colleghi sono stati uccisi mentre facevano il loro lavoro. Jurij Ščekočichin. Anna Politkovskaja. Nastja Baburova. L’avvocato Stas Markelov. Nataša Estemirova. Igor Domnikov.
Sono morti per difendere il diritto DI SAPERE. Durante la prima guerra cecena, quando molti dei nostri soldati si trovavano in condizioni disperate, i nostri corrispondenti di guerra – il maggiore Izmailov e Jurij Ščekočichin – hanno portato in salvo 174 persone, liberandole senza bisogno di un mercato degli schiavi, senza bisogno di denaro.
Lei (rivolgendosi al rappresentante del Roskomnadzor) ha detto che la chiusura è una “procedura profilattica”. Non sono d’accordo. È un omicidio. È profilassi distruggere un giornale che l’anno prossimo dovrebbe compiere 30 anni?
Quanto alla precisione e alla congruenza – citate dalla Corte Costituzionale e dalla decisione del Plenum della Corte Suprema della Federazione Russa – in quest’aula non ce n’è nemmeno l’ombra. Potevate darci una multa. L’avremmo pagata, avremmo ammesso almeno una delle violazioni che ci imputate. Che è di natura tecnica: avevamo già adocchiato diverse volte quell’organizzazione, in passato.
È ovvio, però, che si tratta di un inganno dell’occhio, come si suol dire. Il rischio c’è sempre nella nostra professione: è una voce nel mestiere dei correttori di bozze, è nell’elenco delle malattie professionali. Capita. Se ci aveste avvertito, grazie!, avremmo rimediato subito; voi ci avreste dato la multa, noi avremmo pagato. Perché distruggere il giornale?
Il Roskomnadzor lo sa benissimo: il 28 marzo, quando sono state imposte alcune gravi restrizioni censorie legate all’operazione speciale, abbiamo annunciato che avremmo messo in pausa il giornale perché era impossibile lavorare con informazioni ottenute da un’unica fonte. Non saremmo stati onesti e scrupolosi con i nostri lettori.
E abbiamo sospeso le nostre attività fino alla fine dell’operazione speciale. Ma al Roskomnadzor non basta: vogliono il colpo in testa per finirci. E lo hanno sparato. Ci hanno chiuso per “profilassi”. Una storia che ha dell’incredibile, ovviamente! E che ha bisogno di buone penne.
Vorrei anche aggiungere che state togliendo il lavoro, un posto di lavoro, a centinaia di persone. State togliendo ai nostri lettori, che a marzo erano 27 milioni, li state privando – lo capite? – del diritto all’informazione. E la chiamate “profilassi”. E sia. Ho imparato una parola nuova.
Grazie, Vostro Onore.
(da Huffingtonpost)
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Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
“DOPO IL CARCERE NON HO PIÙ PAURA DI NIENTE”… E LA FIGLIA STEFANIA NOBILE SFIDA GLI SPETTATORI: “CHI SI PENTE? BUSCETTA SI PENTE, IO NON MI PENTO”
Wanna Marchi è bionda oggi, un biondo che vira al bianco. Le illumina il viso, le labbra scarlatte. Parrebbe cambiata Wanna Marchi, ma lo sguardo, il baluginio della furbizia negli occhi accesi, la tradisce, riportandola indietro, dove tutto è cominciato: agli anni Settanta, all’Italia del benessere, delle televisioni private piagate dal bisogno di far soldi, alla loro lenta metamorfosi in supermercati, ai «D’accordo?» che il tempo avrebbe reso sempre più sguaiati.
Wanna Marchi è pacata mentre racconta di una parabola a suo dire figlia del bisogno. «Mio marito, soldi a casa, non ne ha mai portati. Sarei diventata qualcuno soprattutto per dar da mangiare ai miei figli», dice, ritrovando la caparbietà degli anni bui nel matrimonio con Raimondo Nobile, rampollo di una famiglia che a lei, erede di contadini, guardava con sdegno.
È stata una sposa diciottenne in un giorno di pioggia, Wanna Marchi. «Mia suocera, fuori dalla chiesa, mi disse: “Come sei brutta”. Quella frase avrebbe contato tanto nella mia esistenza». Non ci sono lacrime, ma le parole le muoiono sulle labbra, appena tremanti.
Wanna Marchi, protagonista di una docuserie Netflix che di lei porta il nome, Wanna, chiede di non dilungarsi nel racconto del marito. Il dolore ha un antidoto nel silenzio. Il resto può aver voce. E la voce, per spiegare la propria ascesa e la caduta, rumorosa, che ne è seguita, non le manca. Ruggisce la Marchi, nelle quattro puntate disponibili online dal 21 settembre.
«Dopo il carcere non ho più paura», sibila. Non c’è traccia di pentimento quando l’intervistatore la stuzzica sui trascorsi giudiziari e lei tuona: «I coglioni vanno inculati». Le mezze misure per la Marchi sono come gli unicorni: non esistono.
La serie parte dall’inzio: metà degli anni Settanta, Wanna Marchi è una madre disposta a tutto pur di portare a casa il sostentamento dei figli. «Ho perfino truccato i morti nella camera mortuaria di Bologna», ricorda, spiegando come sia stata la lauta mancia di una madre in lutto – 1 milione delle vecchie lire – a permetterle di dare inizio a quella che sarebbe diventata la sua carriera.
La Marchi con quei soldi ha comprato una macchina e messo in piedi un business: vendeva, massaggiava, lavorava come estetista. Poi il caso l’ha portata alle tv, le piccole emittenti private, bazar dove chiunque poteva provare a vendere i suoi prodotti. È stato un fiasco.
Wanna Marchi, alla terza presenza in studio, ha chiesto scusa al pubblico. Ha pianto e in quelle lacrime è germinato il suo successo. I centralini davanti all’immagine di una donna affranta sono esplosi.
Ha venduto come mai prima, la gente ha comprato a scatola chiusa e Wanna Marchi è stata invitata a tornare. E ha capito di avere potere sul pubblico.
Le alghette, lo «Scioglipancia» ideato dalla figlia Stefania, i fanghi, le creme. Era un impero da 5 miliardi di lire al mese. La Marchi cresceva insieme alle sue promesse: dimagrimenti lampo, pillole per mangiare ai quattro palmenti senza mai ingrassare, fanghi miracolosi. Vendeva facendo leva sul senso di colpa e di inadeguatezza dello spettatore.
«Le donne con i peli, mamma mia, non le sopporto», si sente in uno dei tanti filmati di repertorio. «C’è un ciccione disposto a dirmi: “Signora Marchi, si sbaglia, io sono molto felice”, c’è?», chiede in un altro, chiamando «elefanti» e «bauli» le mogli oversize di mariti a suo dire esasperati.
Era un metodo opinabile: intercettare e lucrare sulle insicurezze della casalinga media. Funzionava però, e Wanna Marchi era ovunque: Maurizio Costanzo Show, Pippo Baudo, i giornali. Era nostra signora delle televendite, ricca, richiesta, divisiva. Sempre pronta a rilanciare per prendersi tutto il piatto. Ma quel sistema ad inizio anni Novanta è crollato.§
Wanna, fatto di interviste ai televenditori più noti (Roberto Da Crema, Valter Carbone, Joe Denti e Giorgio Mendella), di testimonianze e racconti in prima persona, vira bruscamente, seguendo il corso della parabola Marchi. Il primo successo, poi il declino. La ripartenza di metà anni Novanta, quel che la giustizia avrebbe definito truffa: il tentativo – per altro riuscito – di vendere la fortuna.
La serie Netflix, magnetica, ripercorre gli anni del maestro Do Nascimento, del sale e dei numeri da giocarsi al lotto. Ripercorre la disperazione delle famiglie che alla Marchi hanno dato tutto, vittime di un meccanismo psicologico («Mi chiamavano ogni settimana: “Allora lei per 10 milioni fa morire sua figlia?”. E io pagavo, avrei avuto il rimorso se fosse successo. In un anno, dal 1997 al 1998, ho dato loro 200 milioni», testimonia una donna).
Wanna Marchi e Stefania Nobile ascoltano parole e sentenze, gli stralci del processo che le ha condannate. «Io sono orgogliosa della mia vita. Chi si pente? Buscetta si pente, io non mi pento», asserisce Stefania, senza concedere alibi a chi ha speso tutto per paura d’avere il malocchio. «Io non la vedo una truffa, perché se qualcuno mi chiama e mi dice di mettere del sale nel bicchiere io lo mando affanculo. È un truffatore lui o sei un coglione tu?», domanda la Nobile rivolge alle telecamere.
Titoli di coda.
(da La Verita’)
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Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
LA FEROCE CONTESTAZIONI DEL 1969 ORGANIZZATA DA GIORGIO PIETROSTEFANI (“LOTTA CONTINUA COMINCIÒ LÌ”)
Basterebbero già le foto all’ingresso. Mina, Celentano, Ray Charles, Tom Jones. Una di fianco all’altra. Una più simbolica dell’altra. Quando entri nella Bussola di Marina di Pietrasanta, passeggiando fino ad arrivare in riva al mare, entri in un mondo senza tempo. Perché quel tempo, ossia gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, è ormai depositato nella banca dei nostri ricordi e da lì mica se ne va, anzi.
Oggi la Bussola è rinata e germoglia un’altra volta per una generazione di ragazzini che naturalmente non c’erano quando tutto questo è nato, ossia il 4 giugno 1955.
Dice la leggenda che il celebre Sergio Bernardini avesse avuto come regalo di Natale l’affitto di questo locale dal proprietario Alpo Benelli e da allora iniziò a costruire un mito. Quella sera fu Renato Carosone a inaugurare con la sua orchestra (cachet, si dice, di 1 milione e 600mila lire) quello che alla velocità della luce sarebbe diventato un tempio della musica, del costume e pure del gossip italiano. Se eri un cantante, puntavi a esibirti alla Bussola per diventare una vera star.
Se eri un aspirante famoso (oggi si dice influencer), la Bussola era il tuo crocevia. Se poi di mestiere facevi il paparazzo, beh, come si faceva a non avere una postazione fissa alla Bussola, dove passava chiunque «facesse titolo», gli aristocratici, le dive, gli attori, gli imprenditori rampanti e i rampolli di buona famiglia che trasformavano l’estate in un set di amori, amorazzi, eccessi, intrighi e passerelle di abiti nuovi.
TRADIMENTI CELEBRI
Per capirci, d’estate le pagine dei rotocalchi grondavano di storie uscite dalla Bussola. Quando finì l’anno di militare, Adriano Celentano scelse la Bussola per tornare dal vivo con la sua band I Ribelli. Era l’agosto del 1961, gli italiani si erano ripresi dalla crisi del Dopoguerra e iniziavano ad andare davvero in vacanza. C’era il «boom», che non era soltanto un dato economico ma si dimostrava soprattutto uno stato d’animo. Si respirava la voglia di ripartire, di divertirsi, di rimediare alle angosce degli ultimi decenni con quella salutare dose di leggerezza che adesso, nel nostro tempo, abbiamo purtroppo dimenticato un’altra volta.
Allora la Bussola diventa un riflettore dell’italianità che dappertutto rinasce. Nella Roma della Dolce Vita (non quella di oggi cantata da Fedez) arrivano divi hollywoodiani e paparazzi, a Palazzo Chigi c’è Amintore Fanfani con quello che sarà il «governo delle convergenze parallele», a Palazzo Pitti sfila per la prima volta una collezione di Valentino. Si torna a respirare. Ad agosto i Beatles fanno il loro primo concerto al Cavern di Liverpool e qui da noi, in Italia, arriva il primo tormentone, ossia Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco. Il bello è che tutto sembra inedito.
Proprio in quell’estate del 1961, alla Bussola nasce l’amore tra Stefania Sandrelli e Gino Paoli, che era sposato con Anna Fabbri: «Mi innamorai di lui per una canzone» ha detto poco tempo fa questa attrice superba. In ogni caso, «l’affaire Paoli Sandrelli» diventò di dominio nazionale, con diluvio di foto e di chiacchiere, di indignazione perché lei era minorenne e di illazioni sul loro futuro (si lasciarono definitivamente nel 1968). Di quell’epoca si sente ancora il «profumo» entrando alla Bussola passando di fianco al bar che precede di pochi passi la spiaggia. A destra c’è la piscina. Più avanti le tende e le sdraio.
L’atmosfera è cambiata ma il filo conduttore resta lo stesso di allora, quando «ci si vestiva bene» per andare alla Bussola e godersi qualcosa di totalmente unico. Qualche settimana fa, Mario Lavezzi parlando proprio alla Bussola ha ricordato che, dopo un concerto in questo locale, Mogol consigliò a Lucio Battisti di rinunciare alle esibizioni dal vivo perché non era abbastanza empatico con il pubblico. Una decisione che ha cambiato la musica d’autore italiana.
GOTHA INTERNAZIONALE
Anno dopo anno, alla Bussola arrivano tutti, ma proprio tutti. I cantanti, da Louis Armstrong a Neil Sedaka, dai Platters a Peppino Di Capri, Don Marino Barreto jr, Milva, Ella Fitzgerald, Domenico Modugno, Gilbert Bécaud, Marlene Dietrich, Juliette Greco, Josephine Baker, Wilson Pickett, Edoardo Vianello, Lola Falana, Miles Davis, Walter Chiari, Lelio Luttazzi eccetera. E si vedono anche i volti noti, quelli che oggi si chiamano vip e che facevano a gara per trascorrere una serata davanti ai fotografi.
Non c’erano i social, c’era la Bussola di Sergio Bernardini.
Pochi chilometri più avanti, verso Forte dei Marmi, c’era la Capannina, altro epicentro di vita notturna visto che già nel 1939 ci transitò un giovanissimo John Fitzgerald Kennedy. Ora, a poche centinaia di metri dalla Bussola c’è il Twiga, simbolo di una mondanità lontana anni luce da quella che ha reso celebre (e immortale) la Bussola.
E il Bussolotto? Era un locale collegato alla Bussola, ma dedicato alla musica jazz, dove, fra gli altri, si esibì diverse volte Romano Mussolini. In sostanza era un «privè» nel quale si ritrovavano anche personaggi famosi in cerca di riservatezza.
COSTUME D’ESTATE
In poche parole, la Bussola dettava il tempo dello spettacolo e del costume d’estate. Per capirci, era l’epoca delle vere dive, il momento nel quale Mina e Ornella Vanoni si contendevano i riflettori. Una rivalità che Sergio Bernardini, autentico scopritore di Mina ma amico leale anche della Vanoni, racconta così nel suo libro Non ho mai perso la bussola, pubblicato da Garzanti nel 1987: «C’è Mina e c’è la Vanoni. Se Mina è in un modo, Ornella è il suo opposto».
Alla Bussola, se c’è una, non c’è l’altra. Una volta, Mina ha la febbre alta e Ornella Vanoni, che è in vacanza a Forte dei Marmi, accetta di sostituirla. Quasi a fine concerto, tra il pubblico si ritrova proprio Mina avvolta da una coperta che la applaude persino più degli altri.
Un’altra volta, Ornella Vanoni stupisce davvero tutti. Sergio Bernardini lo racconta così: «Non capisco davvero perché, al pomeriggio durante le prove, (lei) si rivolga in continuazione al tecnico delle luci ricordandogli che, quella sera, ad un certo punto di una canzone il cui titolo ora mi sfugge (ritengo possa trattarsi di Senza fine) vuole che lo spot solare la illumini dal basso verso l’alto. Non mi pare una cosa così importante.
Sbaglio, naturalmente. Lei ha già preparato il suo grande colpo di teatro. Questo: vestito bianco aderentissimo, espressione del viso da civetta come mai. S’ accende il famoso e richiestissimo riflettore e per la gente (i maschietti in particolare) c’è Ornella che sotto il vestito non porta proprio nulla, come direbbero i Vanzina». Immaginatevi che cosa accadrebbe oggi con gli smartphone e i social a moltiplicare all’infinito quelle foto galeotte: se ne parlerebbe per giorni.
CAPODANNO «CALDO»
Della Bussola si parlò molto anche il primo gennaio del 1969 perché nella notte di Capodanno, quando avrebbero dovuto esibirsi Fred Bongusto e Shirley Bassey, una violenta contestazione portò anche in questo locale della Versilia il clima del tempo. Il «Potere Operaio di Pisa» aveva organizzato una manifestazione contro la sfilata di lusso che si sarebbe vista alla Bussola dove, tanto per capire, il cenone sarebbe costato 36mila lire, ossia lo stipendio mensile di un operaio.
Per convocare la protesta fu lanciato un manifesto preparato da due futuri dirigenti di Lotta Continua, Giorgio Pietrostefani e Paolo Brogi. L’obiettivo era chiaro: «Il 31 dicembre faremo la festa ai padroni». Uno slogan talmente truce che, ha rivelato tanti anni dopo Pietrostefani, Adriano Sofri lo giudicò «una caduta di stile». Arrivarono migliaia di persone (tra loro anche Massimo D’Alema), molte con sacchi di vernice rossa, qualcuno con buste piene di escrementi.
Come spesso accadeva, si unirono i cosiddetti «facinorosi» e qualche gruppetto di neofascisti. La polizia intervenne. I ragazzi costruirono barricate e poi scapparono in spiaggia e tra le ville lì intorno. Su di una barricata rimase Soriano Ceccanti che aveva 16 anni e da allora vive sulla sedia a rotelle (paradosso burocratico: nel 2013 l’Inps gli ha revocato la pensione d’invalidità).
«Lotta Continua cominciò lì» ha riassunto Pietrostefani. La Bussola rimase uno dei centri nevralgici dell’Italia popolare per tanto tempo pagando, com’ è naturale, un calo di popolarità, qualche cambio di gestione e persino una chiusura per «rumore molesto».
Adesso c’è la Bussola 2.0, che è gestita dalla famiglia Angeli e interpreta lo spirito del tempo ospitando i concerti (straesauriti) di Lazza, Tedua, Rhove e altri eroi della nuova scena musicale. Ma non solo. Ci sono i pomeriggi con protagonisti come Mara Venier o Rita Dalla Chiesa e Matteo Bassetti. E c’è comunque un ritorno a quella riservatezza elegante che è stata il marchio di fabbrica della Bussola fin da quella prima serata nel 1955 con Renato Carosone. I tempi sono cambiati. Ma, passando all’ingresso davanti alle foto di Mina, Celentano e Ray Charles, l’atmosfera rimane indiscutibilmente la stessa.
(da il Giornale)
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Settembre 18th, 2022 Riccardo Fucile
E’ TUTTO FALSO, IL VICESINDACO LEGHISTA SMENTITO DAL SINDACO E DALLE AUTORITA’ DI POLIZIA… GLI UNICI DUE ARRESTATI NELL’ISOLA IN TUTTA L’ESTATE SONO DUE ITALIANI
Una uscita “fake” e una promessa inquietante. Il protagonista è sempre lui. Il campione nazionale di “farlocchismo”. Il record man di esibizioni mediatiche “muscolari”. Il Capitan Fracassa della politica italiana. Al secolo Matteo Salvini.
L’ultima sparata
La racconta molto bene su Repubblica Alessia Candito. Scrive tra l’altro: “ Dopo settimane passate alla ricerca della photo-opportunity con l’hotspost stracolcomo a fare da sfondo, è da Catania che il leader della Lega tuona: “A Lampedusa i clandestini scappano dal centro, rubano macchine, motoscafi, barche dei pescatori”.
Ma è tutto falso Fonte dell’atto d’accusa? Il vicesindaco dell’isola, Attilio Lucia, fervente leghista e orgoglioso chaperon del “Capitano” nelle sue ripetute incursioni sulla più grande delle Pelagie.
Magari, però, non troppo attento ai dettagli. A inizio agosto, ha finito per far fare all’inconsapevole leader della Lega un giretto turistico dell’isola a bordo della Gamar, barca diventata simbolo dell’accoglienza dopo il salvataggio di 47 persone. Salvini lo ha scoperto dai giornali. E adesso rischia di procurargli qualche nuovo imbarazzo. “I clandestini che scappano dall’hotspot hanno rubato una macchina e due motoscafi nelle ultime settimane”, conferma Lucia.
Ma il primo a smentirlo è il suo sindaco, Filippo Mannino. “Emergenza sicurezza a Lampedusa? Non direi proprio”, ribatte senza esitare. E queste presunte fughe dall’hotspot? “Al massimo si tratta di qualche ragazzino che esce per andare al supermercato per una coca-cola o un’aranciata. Non credo rappresenti chissà quale pericolo”.
Del resto, ricorda, la struttura è recintata, con militari a presidiarne buona parte del perimetro e agenti di polizia stabilmente all’interno. “Capita che ci siano i cosiddetti sbarchi autonomi, piccoli gruppi che approdano lontano dal paese e si dirigono verso l’abitato. Ma non hanno mai causato alcun problema”.
Insomma, il caso sollevato dal suo vicesindaco e rilanciato da Salvini non esiste. Così come i furti. “C’è stato solo un caso e si tratta di un episodio isolato – chiarisce Mannino – Un migrante ha rubato un’auto, ma è stato rintracciato nell’arco di un paio d’ore”. Furto che non ha richiesto poi neanche troppa destrezza: le chiavi erano inserite e l’uomo è stato individuato e arrestato “in mezzo pomeriggio”, chiariscono fonti investigative
Di sottrazione di motoscafi e barche di pescatori, invece, non c’è traccia. Circa due mesi fa è sparita una barca, ma non ci sono mai stati arresti.
Da registri e fascicoli, il dato emerge in modo chiaro: fatta eccezione per quell’auto sparita e subito restituita al proprietario, procedimenti a carico di migranti per furti, scippi, rapine o violenze a Lampedusa, non ce ne sono. E gli investigatori non sono certo rimasti con le mani in mano. Dall’inizio dell’estate, i carabinieri hanno individuato e arrestato un uomo che nascondeva diciotto chili di cocaina pronta per essere spacciata, e un altro, trovato in possesso di una pistola con matricola abrasa e colpo in canna. Ed entrambi sono pregiudicati italiani”.
(da Globalist)
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