Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
“POCO CREDIBILE CHE IL GOVERNO DI CENTRODESTRA FALLISCA SUL NASCERE E SI TORNI A UN GOVERNO DRAGHI”
“E’ una cosa estemporanea, una di quelle buttate lì e che lasciano il tempo che trovano. Gli è scappata e si è reso conto che può essere controproducente in piena campagna elettorale, per questo ha poi raddrizzato il tiro”.
Sono le parole di Alessandro Campi, politologo e professore di Scienza politica e Relazioni internazionali all’Università di Perugia, che commenta all’Adnkronos la proposta lanciata dal leader di Azione Carlo Calenda di un governo di unità nazionale con la Meloni. “Il non detto di questa vicenda è che, se Salvini dovesse fare il matto come alcuni temono, Calenda potrebbe essere la carta di riserva di un governo a guida Meloni – continua Campi – che a quel punto verrebbe corretto in chiave centrista col beneplacito dell’Europa. Questa cosa però non si può dire, primo perché – dice riferendosi a Calenda – stai facendo una campagna elettorale contro la Meloni, poi perché non è detto che il centrodestra non trovi invece una forma di governo sufficientemente unitaria: siamo al livello di pure ipotesi di lavoro”.
E aggiunge: “Mi sembra del tutto fantastica, invece, l’idea di un governo di centrodestra che fallisce sul nascere e a quel punto si torna a un governo Draghi con tutti dentro, la cosa che Calenda sostiene da sempre. Ma insomma – conclude il politologo – stiamo facendo di tutto per tornare a un pò di normalità politica: mettere già in campo l’ipotesi di un governo tecnico di unità nazionale, per lo più nuovamente guidato da Draghi, lascia un pò il tempo che trova”.
(da Huffingtonpost)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
LE SPARATE DI SALVINI SU SANZIONI E SCOSTAMENTI DI BILANCIO AIUTANO LA MELONI AD AFFRANCARSI DAL PASSATO E A DARLE PERSINO UN MINIMO DI CREDIBILITA’
Altro che mani nei capelli. Finirà che Giorgia Meloni dovrà fare un monumento a Matteo Salvini e alla sua campagna elettorale fatta di stop alle sanzioni contro la Russia, di scostamenti di bilancio e di ministeri da spostare al Nord.
Tutte le intemerate del Capitano leghista, che le prova tutte per arginare l’emorragie di consensi, non fanno altro che far emergere, per sottrazione, il profilo istituzionale che la leader di Fratelli d’Italia sta cercando di adottare per legittimarsi, in Italia e all’estero, come profilo affidabile e moderato cui affidare senza alcuna remora la presidenza del Consiglio, qualora vincesse le elezioni.
La memoria degli elettori, si sa, è cortissima, ed è un attimo dimenticare le battaglie di Meloni contro il Green pass, il suo scetticismo nei confronti dei vaccini anti Covid, il negazionismo nei confronti del cambiamento climatico, la sua sconfinata ammirazione per il Putin ungherese Viktor Orban, l’accoglienza da ospite d’onore riservata a Steve Bannon – guru di Trump attualmente in galera per “oltraggio al Congresso americano” – alla festa di Atreju.
Basta dire che si è favorevoli alle sanzioni contro la Russia, che lo scostamento di bilancio non si può fare e dire due parole di circostanza sulla fantomatica Agenda Draghi e tutto è perdonato.
Salvini, tuttavia, le sta rendendo il compito semplicissimo. Al punto che oggi si fa fatica a credere che fosse lui – e non Giorgia – a sostenere il governo guidato da Supermario. Che sia stato lui, e non lei, a sostenere col voto leghista la campagna vaccinale del generale Figliuolo.
Che sia stato lui – e non lei – a votare tutte le riforme strutturali – dalla giustizia al fisco – richieste dall’Europa per avere i soldi del Pnrr.
I due, è noto, non si amano. E tutto pensiamo tranne che sia una strategia coordinata. Eppure, funziona.
Salvini vuole far dimenticare la parentesi alla corte di Supermario per tornare a essere il populista che fu, e vuole riprendersi il centro di una scena mediatica che lo ha visto al centro per cinque anni almeno e che oggi gli sembra preclusa. Soprattutto, vuole riprendersi i voti persi per strada da quell’infausto giorno di luglio in cui ha avuto la malaugurata idea di invocare per sé i “pieni poteri”.
Ecco il motivo delle sue sparate. Ed ecco perché è probabile che alzerà il tiro nelle settimane a venire, man mano che si avvicina il 25 settembre, la rabbia sociale salirà e gli indecisi decideranno per chi votare.
Per Meloni, è tutta manna dal cielo. Col vento in poppa dei sondaggi, e con la prospettiva di accrescere naturalmente il consenso grazie ai volonterosi italiani che non vedono l’ora di salire sul carro del vincitore, che qualcun altro si prenda addosso lo stigma dell’estremista e del populista è un regalo insperato.
Perché può starsene lontana dalle polemiche. Perché può mostrare il suo volto governativo, moderato e responsabile. Soprattutto, perché potrebbe riuscire nell’impresa di far dimenticare al mondo che se fosse nominata presidente del consiglio, sarebbe la prima rappresentante di un partito post fascista in Europa ad assurgere a tale carica, dal 1945 a oggi.
Non solo, però. Perché a fronte di una clamorosa vittoria, e di una clamorosa sconfitta di Salvini, potrebbe sacrificare l’imbarazzante alleato come segnale di rinnovato atlantismo ed europeismo, estromettendolo dal suo amato Viminale e togliendogli ulteriore spazio e visibilità. Fantapolitica, per ora.
Ma se vi avessero detto, anche solo un mese fa, che Giorgia Meloni sarebbe stata applaudita dall’establishment di Rimini e Cernobbio come argine del populismo, cosa avreste pensato?
(da Fanpage)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
NELLA FASCIA 18-24 ANNI MALE IL CENTRODESTRA
Cosa succederebbe se a votare alle prossime elezioni fossero solo i giovani? Vincerebbe il centrosinistra. O meglio, sarebbe nettamente in vantaggio.
Lo rivela un sondaggio politico di Swg per Repubblica, che approfondisce le idee della fascia 18-24 anni.
Non solo le intenzioni di voto, ma anche l’apprezzamento per i leader politici e i temi più importanti che – inutile dirlo – sono per lo più assenti o trattati con meno interesse dai partiti.
Nel fiduciometro dei leader in testa c’è Mario Draghi con un gradimento del 63%, seguito da Giuseppe Conte con il 46%. Poi un grande vuoto prima di Emma Bonino al 32%, Enrico Letta al 28% e Carlo Calenda al 27%. Giorgia Meloni – che ormai nel gradimento generale punta a raggiungere Draghi – è solo al 20% dietro a Silvio Berlusconi al 22%.
Tra i temi più importanti per la fascia tra i 18 e i 24 anni, invece, di cui la politica non sta parlando abbastanza, in testa ci sono proprio le prospettive per i giovani (38%), poi l’ambiente e l’inquinamento (34%) e la qualità della scuola e dell’università (31%).
La disoccupazione e la sanità sono entrambe al 23%, poi l’aumento dei prezzi e la perdita del potere d’acquisto al 22%.
Insomma, un’agenda ben precisa dettata dai più giovani che – a loro dire – quasi nessuno riesce a interpretare coerenza.
Se guardiamo le intenzioni di voto, invece, la bilancia pende nettamente dal lato del centrosinistra: il Partito Democratico di Enrico Letta è al 19% – leggermente meno rispetto al dato completo, ma comunque in testa tra i giovani – seguito dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte al 17%. Anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, tra i giovani, è al 17%. Decisamente indietro rispetto al dato generale. La Lega di Matteo Salvini è al 10%, seguita da Azione e Italia Viva che insieme raccolgono l’8%. Dietro di loro l’alleanza tra Verdi e Sinistra, che vola al 7% – praticamente il doppio del dato generale – insieme a Forza Italia di Silvio Berlusconi. Italexit di Paragone è al 4%, +Europa al 3%, Impegno Civico di Di Maio al 2% e Noi Moderati all’1%.
(da Fanpage)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
HA CAMBIATO SPESSO OPINIONI, C’E’ CHI LA GIUDICA “UNA MATTA TOTALE”
Se Boris Johnson non aveva vere convinzioni e andava dove tira il vento, Liz Truss ne ha fin troppe. Chi la conosce bene dice che con lei non ci saranno manovre sottobanco: Liz dice e fa quello che pensa. Eppure la sua irresistibile traiettoria ha avuto più di un elemento di improbabilità.
Figlia di due militanti di estrema sinistra, da bambina veniva portata dai genitori alle marce anti-nucleari dove le facevano scandire slogan contro la Thatcher.
Per ragioni ideologiche, venne mandata in una scuola statale invece che in uno degli istituti privati frequentati dall’élite britannica. Nei giorni scorsi il Times è andato a scovare i suoi ex compagni di banco e tutti si mostravano più o meno sorpresi che una tipa come lei, all’epoca ben poco appariscente, potesse diventare primo ministro: al massimo, la ricordavano come una un po’ secchiona.
In realtà quella scuola, che Liz ha descritto come scassatissima, non era poi così male, tanto che lei riuscì a essere ammessa a Oxford, dove studiò Politica, Filosofia ed Economia al Merton College, il più rigorosamente accademico di tutti.
Ma anche all’università lei continuava a militare nel campo progressista, nelle file dei liberaldemocratici: e in quella veste tenne pure un discorso in cui propugnava l’abolizione della monarchia, oltre che la legalizzazione della marijuana.
È solo da adulta che Liz viene folgorata sulla via di Damasco e si converte al credo thatcheriano: e nel partito conservatore in cui fa ingresso si distingue presto come un’esponente di primo piano dell’ala liberista. La sua è una carriera notevole: otto anni fa diventa la più giovane donna ministra di sempre (oggi di anni ne ha 47) e da allora non si è più schiodata dall’esecutivo.
Dopo essere stata titolare del dicastero per l’Ambiente sotto David Cameron e della Giustizia con Theresa May, si è imposta all’attenzione del pubblico in qualità di ministra del Commercio Internazionale nel primo governo Johnson, di cui è stata una seguace fin dalla prima ora: in quella veste ha girato il mondo come una trottola infaticabile, per concludere in pochi mesi decine di trattati commerciali con altrettanti Paesi.
Liz si è trasformata così nella portabandiera della «Global Britain», quella Gran Bretagna globale che grazie alla Brexit ha recuperato una politica commerciale autonoma, fuori da quella Unione europea che lei bolla come «protezionista». E dire che Liz al referendum del 2016 aveva votato per restare nella Ue: ma poi si è rapidamente riposizionata ed è diventata una delle più ardenti sostenitrici della Brexit.
Da ministra degli Esteri, carica che ha assunto l’anno scorso, si è schierata su posizioni più che bellicose riguardo all’Ucraina: «Questa è la nostra guerra», ha dichiarato, esortando i britannici ad arruolarsi come volontari al fianco delle forze di Kiev. E ha ventilato un processo a Putin in stile Norimberga, auspicando la riconquista di tutta l’Ucraina, Crimea inclusa.
Il suo è un successo ottenuto anche grazie a una presenza constante sui social media, in primo luogo su Instagram: i suoi selfie in tutte le situazioni sono diventati celebri, che fosse circondata da foche fra spruzzi di onde o in bicicletta con un ombrello-bandiera britannica.
Attentissima al look, spesso fasciata in abiti dai colori vistosi, negli ultimi tempi ha preso a vestirsi come la Thatcher, di cui aspira a essere l’incarnazione nel XXI secolo: e al pari della Lady di Ferro si è fatta pure fotografare alla guida di un carro armato, tanto per far capire cosa pensa dei pacifisti.
Liz Truss da vicino non proietta tuttavia grande calore e i suoi discorsi sono a volte impacciati, un po’ robotici: ma a questo sopperisce con una grinta e una determinazione senza pari, sorrette da un’ambizione inscalfibile. Per ammorbidire la sua immagine, ha corteggiato i sostenitori invitandoli nel suo esclusivo club londinese a serate ribattezzate «fizz with Liz» (spumante con Liz). Le uniche altre concessioni «leggere» sono la passione per il karaoke e la musica techno.
A differenza di Boris, però, lei è una che studia e si prepara: anche se chi la conosce meglio la definisce «una tipa strana» e per i detrattori, fra cui l’acerrimo nemico Dominic Cummings, è «quanto di più vicino ci sia a una matta totale».
Sul piano personale, è uscita indenne anni fa dalle rivelazioni su una sua relazione extra-coniugale con un collega di partito molto più anziano di lei, per il quale aveva tradito il marito, un grigio contabile dal quale ha avuto due figlie: una delle quali si chiama Liberty.
(da il Corriere della Sera)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
MA QUESTA VOLTA SALVINI RISCHIA DAVVERO: LA SOGLIA PSICOLOGICA SOTTO CUI NON DEVE SCENDERE PER EVITARE CONTRACCOLPI È IL 12%
In tour al fianco dei governatori “nemici”: prima con Luca Zaia a Treviso, poi con Massimiliano Fedriga in provincia di Udine. Matteo Salvini ostenta l’immagine di un partito compatto ma sa bene che è nel Nord-Est, è nelle vecchie roccaforti (soprattutto quella veneta), che potrebbe giocarsi il destino di un partito che ha voluto “nazionale”.
Ed è proprio da queste aree del Paese, e del partito, che dopo il 25 settembre potrebbe scattare il redde rationem. Zaia è abbastanza perplesso e defilato in questa campagna elettorale: «Ho saputo dei candidati leghisti dai giornali», ha dichiarato, gettando un masso piombato con un tonfo sordo su via Bellerio.
In realtà, il “Doge” è più che lieto di non dover rispondere del risultato di Salvini. E sentimento non molto distante è quello di Fedriga, più volte indicato – con la presa di distanze dell’interessato – come possibile successore del senatore milanese.
C’è una soglia psicologica sotto la quale il leader non può scendere senza rischiare contraccolpi interni: è stata fissata nel 12 per cento.
C’è chi sottolinea che le liste non sarebbero state approvate dal consiglio federale della Lega, come previsto dall’articolo 6 dello statuto, e chi si sofferma sul corto circuito del libro-manifesto del partito, “È l’Italia che vogliamo”, che oggi sarà presentato a Venezia. Uno dei due autori, Giuseppe Valditara – docente di diritto ed ex senatore di An – è diventato uno dei consiglieri più ascoltati dal segretario.
Ma è anche il coordinatore di Lettera 150, un think tank di accademici che ha visto fra i protagonisti negli ultimi anni anche Andrea Crisanti, il virologo che dopo aver collaborato con Zaia ha “divorziato” in un diluvio di polemiche. E oggi è candidato nel Pd.
Di certo, Valditara si è già guadagnato l’etichetta di nuovo ideologo della Lega, nello scetticismo di quanti – dopo il caso del consulente per la politica estera Antonio Capuano – additano il ruolo ingombrante degli “esterni” con cui Salvini definisce la direzione di marcia del partito. Di un partito al bivio.
(da La Repubblica)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
“SALVINI SBAGLIA RICETTA E PER CAPIRLO BASTA GUARDARE I MERCATI”… “LA LEGA CI HA TRADITI, CE NE RICORDEREMO ALLE ELEZIONI
«Gli imprenditori avevano avvertito che mandare a casa Mario Draghi era un errore fatale. E ora questa insistenza sull’abolizione delle sanzioni è un’altra cosa che nessuno condivide, chi può pensare di scendere a patti con Vladimir Putin?».
A Claudio Feltrin, presidente di Federlegno, bastano poche parole per liquidare il messaggio forte che Matteo Salvini manda agli imprenditori veneti per convincerli a sceglierlo di nuovo.
E per realizzare la profezia che Enrico Carraro, presidente regionale di Confindustria, aveva affidato alla Stampa all’indomani della caduta di Draghi: «La Lega ci ha traditi, ce ne ricorderemo alle urne».
Il tema della cancellazione delle sanzioni non è nell’agenda di gran parte del mondo produttivo. Non è questo il punto, tutto qua. Feltrin parla dagli uffici della sua azienda, la Arper di Monastier, nel Trevigiano. Roccaforte leghista, sì, ma ormai ex. Salvini ieri era in città.
Accoglienza fredda, numeri lontani dagli anni d’oro, un manipolo di no-vax e qualche contestatore: «Mona mi te go creduo e anca votà», scemo io che ho creduto e in te e ti ho pure votato. Un comizio poco ambizioso già alla vigilia (niente piazza, solo una loggia) e, raccontano le memorie storiche del leghismo veneto, da minimo storico: non si era mai vista così poca gente per una comparsata del leader del Carroccio in città.
Le attenzioni vanno in altre direzioni: i più ancorati a destra guardano a Giorgia Meloni, Carlo Calenda piace, perfino Forza Italia recupera appeal tra i leghisti insoddisfatti. Che a Luca Zaia non voltano le spalle, ma al Capitano sì, «perché ha dimenticato l’autonomia e il Nord».
E questo nonostante in Veneto resistano gruppi contrari alle sanzioni vicini al governatore, come dimostrava già nel 2016 il voto contrario alle ritorsioni per l’invasione della Crimea.
«Ma davvero noi dovremmo pensare che se togliessimo le sanzioni, Putin diventerebbe un interlocutore affidabile con cui sedersi a trattare? Ma per favore, stiamo parlando di uno che ha invaso un Paese sovrano e bombardato gli ospedali, che problemi avrebbe a chiudere i rubinetti un minuto dopo l’allentamento delle sanzioni?» sbotta Alessandro Vescovini, titolare della Sbe-varvit, 700 dipendenti con base nel Triveneto a Monfalcone.
Lui si sta arrangiando per fronteggiare la crisi energetica: insieme ad un pool di aziende, in diciotto mesi porterà nell’Adriatico una nave gasiera per produrre un miliardo di metri cubi di metano all’anno. Investimento da 220 milioni, pratiche avviate al ministero.
«Le bollette sono insostenibili, proviamo a cercare alternative – spiega -. Salvini sbaglia ricetta e per capirlo basta guardare i mercati: se il prezzo schizza così in alto, è perché gli operatori non si fidano di Putin e della continuità delle forniture».
Del resto «pensare di risolvere la crisi energetica facendo leva sulle sanzioni è una ricetta un po’ troppo sbrigativa, le cose sono più complesse» sintetizza secco Roberto Barina, che nel distretto veneziano produce scarpe a marchio Ballin.
Per chi fa affari con la Russia la tentazione del colpo di spugna è fatalmente più viva. Ma non al punto di sostenerlo apertamente. Prima della guerra il 17% del fatturato della Madas, che a Legnago nel Veronese produce valvole per l’industria, arrivava dall’export in Russia e Ucraina.
Ora è tutto congelato: «Le sanzioni non funzionano, non è così che possiamo far male all’economia russa – dice l’ad Marco Marangoni -. Ci stiamo facendo molto male. Certo non me la sento di sostenere l’idea di cancellarle, è comprensibile voler colpire la Russia. Servirebbe una strategia più mirata da parte dell’Europa».
E proprio l’Ue è l’altra faccia della distanza tra la Lega salviniana e gli imprenditori: Bruxelles non è l’avversario, ma il luogo dove giocare la partita.
«Dobbiamo agire compatti a livello europeo, o reggiamo o saltiamo tutti insieme – dice Roberto Ariotti, titolare di una fonderia stritolata dal caro-bollette -. Bisogna riformare subito il mercato dell’energia che ora è in mano agli speculatori. Per non scontentare quattro trader stiamo sacrificando la nostra manifattura, è una follia. Lì bisogna intervenire. Lasciamo stare le sanzioni e Putin, quello è uno che ci ha portato i carriarmati dietro casa, come facciamo a fidarci?».
(da La Stampa)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
NOI TIFIAMO PERCHE’ RESTI: NESSUNO MEGLIO DI LUI PUO’ FAR RITORNARE LA LEGA AL 4%… PER POI FINIRE IN GALERA
La soglia è fissata. Mentre nei sondaggi la Lega vede avvicinarsi sempre di più il Movimento 5 Stelle e le rilevazioni attribuiscono al Carroccio percentuali che vanno dal 12 al 13%, nel partito c’è sempre più le elezioni del 25 settembre possano costituire uno spartiacque.
Per tutti. Anche per il segretario Matteo Salvini. Il dato-boom delle elezioni europee (34%) è lontanissimo. Ma per una volta i voti non si contano soltanto: si pesano.
E più che quello nazionale, a preoccupare il Carroccio è quello delle regioni del Nord: Fratelli d’Italia è in vantaggio sulla Lega in Lombardia, Piemonte e Veneto. Ovvero proprio quelle governate (anche da anni). Ecco perché il magic number è stato fissato al 12%. Se il Carroccio arriverà sotto questa soglia Salvini rischia il posto.
Dieci punti per un disastro
Repubblica spiega oggi che c’è una soglia psicologica oltre la quale il leader non può andare. È quella del 10,4%, ovvero il miglior risultato ottenuto dal Carroccio a guida Bossi nelle elezioni politiche. Successe nel 1996, quando la Lega correva da sola dopo aver fatto cadere il primo governo Berlusconi sulle pensioni. Ma quel numero di voti era ottenuto in massima parte con quelli che provenivano da quattro regioni del Nord. Salvini ha varato il suo progetto nazionale cambiando alle radici la sua Lega. Anche per cercare voti in tutta Italia. Ecco perché se dopo un lungo peregrinare si tornasse più o meno al punto di partenza il leader rischierebbe il posto. Perché guardando troppo al Sud ha fatto perdere consensi al Nord. E perché guardando troppo a est rischia l’isolamento.
Poi c’è il problema di Fdi. Nei giorni scorsi il divario tra i due partiti si è ampliato. E se dovesse superare i dieci punti percentuali anche alle urne oltre che nei sondaggi la vittoria di Meloni su Salvini sarebbe talmente netta che difficilmente il Carroccio potrebbe avanzare tante richieste per i ministeri-chiave del futuro governo a guida Giorgia.
D’altro canto, mentre ieri Salvini era con Luca Zaia a Treviso per la campagna elettorale, si sentiva forte il grido dell’imprenditoria locale. All’indomani della caduta di Draghi Enrico Carraro, presidente regionale di Confindustria, era stato chiarissimo: «La Lega ci ha traditi, ce ne ricorderemo alle urne». Oggi guardano a Meloni, a Calenda, persino a Forza Italia. E al Capitano voltano le spalle «perché ha dimenticato l’autonomia del Nord».
Un Carroccio (non) per tutte le stagioni
La Stampa racconta anche che ieri a Treviso si è presentato un gruppo di No vax per contestare Salvini. «Mona mi che te go creduo e anca vota’», era il senso della contestazione.
A torto o a ragione, quel bacino di voti guardava con speranza a Salvini all’epoca della pandemia. Perché il leader contestava restrizioni e Green pass. Così come la lotta all’euro, quell’argomento è lentamente ma progressivamente scomparso dalle proposte della Lega. E la conseguente rabbia degli (ex?) elettori dimostra che è difficile avere un Carroccio per tutte le stagioni.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
E’ STATA SCATTATA IN RUSSIA E POI MODIFICATA
L’immagine circola dal 2016 ed è stata modificata per sostenere che le persone ritratte siano degli ucraini nazisti, ma sono russi
Circola la foto di un matrimonio dove i presenti effettuano il saluto nazista con dietro di loro la bandiera ucraina.
Secondo coloro che la diffondono, si tratterebbe di un matrimonio ucraino nazista, proseguendo la narrazione del Cremlino sull’invasione russa in Ucraina. In realtà, la foto è stata alterata con un programma di fotoritocco e i presenti non sono ucraini
Per chi ha fretta
La foto viene spacciata per un matrimonio nazista ucraino.
La foto circola almeno dal 2016.
La bandiera ucraina è un fotoritocco, l’originale è la bandiera dell’Impero russo
La foto è stata scattata in un distretto della Russia a poca distanza dalla Mongolia.
Analisi
Circola la seguente foto con il seguente commento: «Sposi in Ucraina».
Il post è stato condiviso il 4 settembre anche dall’ANPI Crescenzago con il seguente commento: «MATRIMONIO NAZISTA IN UCRAINA…»
La bandiera non è quella ucraina
Benché l’immagine condivisa riporti una bandiera con i colori dell’Ucraina, ossia il blu e il giallo, questa risulta di fatto alterata con un programma di fotoritocco. Ecco l’originale, pubblicata nel 2016 in un sito russo con una bandiera del tutto diversa:
La bandiera, in questo caso, è quella nero-gialla-bianca dell’Impero russo.
Foto scattata in Russia
Nel corso della ricerca dell’originale, notiamo un articolo del 2018 pubblicato dal sito ucraino Obozrevatel.com dove parlano della foto ritoccata e della sua origine geografica: Novokuznetsk, in Russia.
Attraverso una ricerca con Google Street View è possibile confermare il luogo dello scatto: la statua di Lenin posta davanti al Palazzo dell’amministrazione del distretto di Kuznetsk, in Russia e poco distante dalla Mongolia.
Abbiamo citato la Mongolia. Infatti, il luogo dello scatto si trova in un distretto vicino al confine mongolo e a quello del Kazakistan. Dista a circa 51 ore d’auto dal più vicino al confine con l’Ucraina.
I dettagli
Ci sono due elementi in particolare che dimostrano il fotoritocco. Il primo è in alto a destra, dove il dito dell’uomo vestito di grigio viene coperto dal colore blu. Il secondo, e più evidente, riguarda l’area della bandiera tenuta dall’uomo sulla sinistra, la quale risulta ancora nera (basta guardare le dita).
Conclusioni
L’immagine condivisa e spacciata per un “matrimonio nazista ucraino” è in realtà stata scattata in Russia, mentre la bandiera originale era quella dell’Impero russo e non quella dell’Ucraina.
(da Open)
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Settembre 6th, 2022 Riccardo Fucile
LA STRATEGIA DI CONTE DI PESCARE VOTI A SINISTRA E IL SORPASSO SULLA LEGA
Nei sondaggi il Movimento 5 Stelle continua a crescere. La rilevazione di Swg lo dà molto vicino (a volte sopra) alla Lega.
E mentre arriva anche l’endorsement di Donald Trump («come sta andando il mio ragazzo? Giuseppe, sì, ho lavorato con lui. Spero che faccia bene»), c’è l’ipotesi Jean-Luc Mélenchon a Roma.
Il leader della France Insoumise è un modello per Conte. E secondo un retroscena de La Stampa potrebbe arrivare in Italia questa settimana.
Per incontrare proprio l’ex Avvocato del Popolo. Anche se a Parigi nessuno conferma e i vertici del M5s dicono di non saperne nulla. L’incoronazione da parte di Mélenchon servirebbe politicamente a Conte. Perché anche se alla fine l’alleanza a sinistra è saltata – e con quella anche l’ipotesi di candidare alcuni big – è chiaro che la crescita del M5s nei sondaggi “pesca” a sinistra.
Per questo Conte chiude le porte a ogni ipotesi di alleanza con la destra. Anche in chiave governativa. Mentre sposta l’asse del partito: «Siamo più radicali del Pd e lo abbiamo dimostrato con i fatti, proponendo un’agenda sociale a Draghi», dice il leader.
Ben sapendo che così continua ad attirare un elettorato che a torto o a ragione non si sente rappresentato dal Pd a guida Letta. E che l’alleanza con i Dem si potrà ricostruire dopo le elezioni, soprattutto in caso di sconfitta alle urne per il Nazareno. Anche se, conclude La Stampa, a livello nazionale restare da soli all’opposizione contro tutto e tutti, come nel 2013, conviene.
(da agenzie)
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