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“I CADAVERI VENGONO RESTITUITI ALLE FAMIGLIE DIETRO PROMESSA DI SEPPELLIRLI IN SEGRETO”: SALGONO AD ALMENO 54 I MORTI, TRA CUI 4 MINORENNI, DURANTE LE PROTESTE IN IRAN DOPO L’UCCISIONE DELLA 23ENNE MAHSA AMINI DA PARTE DELLA POLIZIA PERCHÉ “MAL VELATA”

Settembre 25th, 2022 Riccardo Fucile

LA POLIZIA SPARA SUI MANIFESTANTI E LE AUTORITÀ HANNO BLOCCATO INTERNET… GLI STATI UNITI ALLENTANO LE SANZIONI SUL WEB PER AIUTARE GLI IRANIANI AD EVADERE LA CENSURA

Sono 41 secondo le autorità – tra cui civili e agenti delle forze di sicurezza -, mentre sono almeno 54 secondo gli attivisti ma potrebbero essere molti di più i morti nelle proteste per Mahsa Amini, la ragazza finita in coma mentre si trovava sotto custodia della polizia di Teheran perché «mal velata».
Le vittime identificate finora dalla Ong «Iran Human Rights», con sede a Oslo, sono localizzate soprattutto del Nord, in province come Mazandaran, Gilan, l’Azerbaigian occidentale, il Kurdistan dov’ era nata Amini.
«I cadaveri vengono restituiti alle famiglie dietro promessa di seppellirli in segreto». Ventitrè anni, uno in più di Mahsa Amini, Hananeh Kian sarebbe stata uccisa dalle forze di sicurezza a Nowshahr, 50 mila abitanti nella provincia di Mazandaran, mercoledì sera. «Tornava da un appuntamento dal dentista», ha detto la famiglia al sito Iranwire .
Quella notte ci sono stati scontri tra manifestanti e agenti, auto della polizia date alle fiamme. A Rezvan Shah, dodicimila abitanti nella provincia di Gilan, gli agenti avrebbero sparato e ucciso almeno sei persone, secondo Iran Human Rights: uno di loro si chiamava Yassin Jamalzadeh, aveva due figli. Secondo Amnesty International, tra i morti ci sono 4 minorenni.
Internet e politica Kayhan, il quotidiano vicino alla Guida suprema Ali Khamenei, definisce «estremisti» i giovani manifestanti. Il presidente Ebrahim Raisi, appena tornato da New York, dichiara che i «nemici» cercano di «creare il caos» con proteste «organizzate».
Le autorità confermano di aver bloccato Internet e definiscono «un atto ostile» la decisione degli Stati Uniti di allentare le sanzioni sul web per aiutare gli iraniani ad evadere la censura. Elon Musk ha replicato ad un tweet del segretario di Stato Antony Blinken scrivendo: «Attiviamo Starlink». Il regime intanto usa Telegram per invitare a identificare i partecipanti alle proteste.
Tredici anni dopo
Il principale partito riformista, vicino all’ex presidente Mohammad Khatami, ha fatto appello ieri alle autorità di porre fine all’obbligo del velo e alla polizia della moralità. Uno dei leader del Movimento Verde del 2009, Mehdi Karroubi, già presidente del Parlamento iraniano, ha chiesto la stessa cosa a luglio, dopo l’arresto di un’altra ragazza, Sepideh Rashnu, «mal velata» sul bus, picchiata e costretta a «confessare» le sue colpe in tv. Si dibatté dell’abolizione della polizia della moralità anche nel lontano 2009 e poi non venne fatto, ma poco importa ai ragazzi oggi in piazza.
C’è chi canta «Bella ciao» in farsi, come si faceva allora, ma nessuno chiede più riforme. C’è una nuova generazione arrabbiata, che brucia l’hijab e le auto della polizia, e sorprende anche gli attivisti della generazione precedente.
I video delle proteste che continuano a emergere (anche se in numero minore e a rilento) mostrano gli agenti sparare sui manifestanti, ma i giovani sono tornati in piazza affrontando proiettili, lacrimogeni e arresti anche a Babol e Amol, nella provincia di Mazandaran, il giorno dopo l’uccisione di decine di manifestanti.
Un altro elemento, osserva Mahmood Amiry-Moghaddam di «Iran Human Rights», pare essere il morale basso degli agenti della sicurezza. In alcuni video li si vede mentre decidono di ritirarsi.
A Teheran, nella notte di venerdì, la folla esultava dopo averli respinti. Nonostante ieri fosse il primo giorno dell’anno accademico, diverse università di Teheran hanno annunciato che la prima settimana di lezioni si terrà in remoto.
Arresti «preventivi»
Le autorità cercano di soffocare la protesta con arresti «preventivi», una politica confermata dallo stesso capo della magistratura Gholamhossein Mohseni Ejei: in carcere sono finite anche Narges Hosseini, una delle «ragazze di via Rivoluzione» (che nel 2018 protestarono contro il velo), e Niloufar Hamedi, la giornalista del quotidiano Shargh che per prima ha scritto di Mahsa Amini. Gli arresti sono centinaia: 739 tra cui 60 donne solo nella provincia di Gilan; in totale almeno 600 curdi, di cui 100 identificati dalla ong «Hengaw».
È possibile che parte della città di Oshnavieh, 40 mila abitanti soprattutto curdi, al confine con l’Iraq, sia finita nelle mani dei manifestanti dopo la ritirata della polizia, ma sono stati inviati i Guardiani della rivoluzione per riprendere il controllo. Mentre le proteste si estendono a Erbil, nel Kurdistan iracheno, con lo slogan chiave di questi giorni «Donne, vita, libertà», sempre i Pasdaran avvertono di aver colpito con l’artiglieria i «terroristi curdi» al confine.
(da agenzie)

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PARLA IL SOLDATO BRITANNICO LIBERATO DAI RUSSI NELLO SCAMBIO DI PRIGIONIERI: “PESTATO PER UN TATUAGGIO E PUGNALATO ALLA SCHIENA”

Settembre 25th, 2022 Riccardo Fucile

CATTURATO A MARIUPOL, IL 28ENNE HA SUBITO TORTURE DURANTE GLI INTERROGATORI

Aiden Aslin, uno dei cinque britannici rilasciati dalla Russia nell’ultimo scambio di prigionieri dei giorni scorsi, ha rilasciato la sua prima intervista ai media.
Aslin ha raccontato la sua detenzione, durante la quale è stato «trattato peggio di un cane», al The Sun. Catturato insieme al connazionale Shaun Pinner nella città sud-orientale di Mariupol, Aslin era stato accusato di essere un mercenario e inizialmente era stato minacciato di morte per fucilazione dopo essere comparso in un tribunale retto dai russi.
Alla fine era stato portato in carcere, dove è stato interrogato e brutalmente picchiato: «Appena ho detto che venivo dalla Gran Bretagna mi hanno dato un pugno dritto sul naso. Mi hanno picchiato per bene», ha raccontato.
Poi «mi hanno detto di togliermi la giacca e hanno visto questo tridente (un tatuaggio, ndr) e mi hanno picchiato di nuovo, per il tridente ucraino. Mi hanno chiesto cosa fosse un altro tatuaggio, allora ho detto loro che ero già stato in Siria. Mi hanno picchiato di nuovo e un uomo ha tirato fuori il suo coltello e mi ha detto “Se non mi dici subito con chi stai, ti taglio l’orecchio“».
Il soldato 28enne ha anche raccontato di essere stato in isolamento per cinque mesi, senza il permesso di camminare. Durante quel periodo, è stato anche pugnalato alla schiena da un ufficiale. «Vuoi una morte rapida o una bella morte», gli ha chiesto l’agente.
Ha descritto come lui e altri tre prigionieri siano stati costretti a dormire in una cella di due metri per due metri e mezzo, stesi su una stuoia infestata di pidocchi. Obbligatoriamente in piedi, «dovevamo anche cantare l’inno nazionale russo ogni mattina. Se non lo cantavi venivi punito, in un modo o nell’altro».
(da agenzie)

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AI REFERENDUM IN DONBASS ANCHE I SEDICENTI “OSSERVATORI ITALIANI”, IN REALTA’ PUTINIANI AL SERVIZIO DI MOSCA

Settembre 25th, 2022 Riccardo Fucile

CHI SONO I PUTINIANI CHE CERTIFICANO IL VOTO TAROCCATO

Ci sono anche alcuni italiani tra gli osservatori internazionali chiamati a certificare la regolarità del voto in Donbass, dove in questi giorni si stanno svolgendo quattro referendum – definiti una «farsa» dai paesi occidentali – di annessione alla Russia dei territori occupati.
A svelare la loro identità è l’inviato di Repubblica Corrado Zunino, che ha individuato tre osservatori “neutrali” italiani impegnati in questi giorni nelle regioni di Lugansk e Donetsk.
Il primo è Gianfranco Vestuto, direttore del portale Russia News, che nel 2014 aveva bollato la rivolta della popolazione ucraina come «un golpe americano». Intervistato tra i banchetti allestiti in Donbass, Vestuto ha assicurato che «c’è grande trasparenza nell’organizzazione e nello svolgimento del referendum».
Napoletano, 62 anni, è stato anche il segretario della Lega Sud Ausonia e oggi guida cinque gruppi Facebook dove diffonde fake news sulla guerra in Ucraina, descritta come un regno di Satana.
Il secondo osservatore italiano è Eliseo Bertolasi, giornalista e ricercatore universitario che ha confermato a Repubblica di essere in Donbass «in quanto cronista che va sul posto e verifica».
Il terzo nome, però, è forse quello più vistoso: si tratta di Maurizio Marrone, assessore piemontese in quota Fratelli d’Italia. Fin dall’inizio della guerra in Donbass, Marrone ha sostenuto i separatisti russi e nel 2016 ha aperto un’associazione – di cui è stato presidente – in difesa della repubblica di Donetsk. Secondo quanto racconta Repubblica, Marrone è stato più volte sul fronte orientale dell’Ucraina e ha anche sposato una donna del Donbass.
Nel 2016, poi, fu promotore in Consiglio regionale di una mozione per condannare le sanzioni economiche contro il Cremlino dopo l’annessione della Crimea. Contattato da Repubblica, l’assessore piemontese ha negato di essere nel Donbass e ha inviato la sua posizione via Whatsapp per certificare la sua presenza a Torino.
(da Open)

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DRAGHI HA SISTEMATO UN PO’ I CONTI, ORA POSSONO ARRIVARE I SOVRANISTI A SPUTTANARLI

Settembre 25th, 2022 Riccardo Fucile

LE QUATTRO CARRIERE POSSIBILI LONTANO DA PALAZZO CHIGI… UN PAESE DI BUFFONI: OLTRE IL 60% DEGLI ITALIANI HA CONDIVISO LE SUE SCELTE, ORA UNA BUONA PARTE DI LORO VOTERA’ PER CHI L’HA CONTESTATO

Con il voto di oggi, gli italiani sono chiamati a eleggere il nuovo parlamento e, indirettamente, anche il nuovo presidente del Consiglio.
A meno di ribaltoni inaspettati, i sondaggisti sono abbastanza concordi nell’affermare che sarà la coalizione di centrodestra a esprimere il nome del prossimo premier.
Che ne sarà dunque di Mario Draghi? Stando ai retroscena raccolti da La Stampa, sarebbero diverse le ipotesi sul tavolo per l’ex presidente della Bce, che di certo non ha intenzione di restare a palazzo Chigi, come lui stesso ha ribadito anche nell’ultima conferenza stampa.
Le 4 strade (+1) a disposizione di Draghi
La credibilità e la stima di cui gode Draghi sulla scena internazionale permettono all’attuale premier, qualora lo volesse, di ottenere un incarico a qualunque livello.
Secondo La Stampa, sarebbero quattro le strade più accreditate per lui: segretario della Nato, presidente della Commissione europea, presidente del Consiglio Europeo e mediatore speciale tra Russia e Ucraina.
Nel corso degli ultimi mesi, Draghi e Giorgia Meloni hanno avviato un dialogo per facilitare un possibile passaggio di consegne dopo il voto. E, se dovesse andare a Palazzo Chigi, la leader di Fratelli d’Italia potrebbe trovare in Mario Draghi una sorta di garante per il governo che verrà, soprattutto agli occhi degli altri leader europei e internazionali. Per questo, riporta La Stampa, in tanti dentro FdI considerano probabile una sorta di «patto implicito» tra i due.
Su una cosa, infatti, sembrano essere d’accordo tutti i leader di partito: difficilmente Draghi tornerà alla tranquillità di Città della Pieve. Enrico Letta ha detto che «ha ancora molto da dare alla politica», mentre il Terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi sventola da mesi il suo nome come alternativa a un governo Meloni.
Sul tavolo, però, sempre stando alle ricostruzioni de La Stampa, ci sarebbe anche una quinta opzione per Draghi: il Quirinale.
Un passaggio che in molti si aspettavano già a inizio anno, con l’elezione del presidente della Repubblica. A detta di alcuni dirigenti di Fratelli d’Italia, nel caso Sergio Mattarella dovesse decidere di lasciare il Colle in anticipo (come fatto da Giorgio Napolitano), potrebbe essere proprio Draghi a sostituirlo.
In ogni caso, precisa La Stampa, non risulta che il premier «sia stato messo direttamente al corrente di tutti questi piani che lo vedrebbero protagonista». Dal suo staff, infatti, fanno sapere che a Draghi, qualora volesse intraprendere davvero una di queste strade, basterebbe semplicemente mostrare il proprio curriculum. Senza bisogno di alcun appoggio esterno.
(da agenzie)

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TRAGICO NAUFRAGIO AL LARGO DELLA SIRIA, 89 MORTI: L’IMBARCAZIONE ERA PARTITA DAL LIBANO

Settembre 25th, 2022 Riccardo Fucile

LA NUOVA ROTTA DEI DISPERATI: DAL LIBANO ALL’EUROPA

Si aggrava il bilancio delle vittime del naufragio avvenuto giovedì tra le coste del Libano e quelle della Siria. La nave era partita dal porto di Minyeh, nel nord Libano, ed è affondata al largo della città di Tartus, in Siria.
Secondo l’ultimo bollettino diffuso dalla televisione di Stato siriana sono 89 i corpi recuperati in mare dai soccorritori, una ventina i sopravvissuti. Secondo il Ministero dei trasporti siriano a bordo dell’imbarcazione c’erano tra le 120 e le 150 persone, tra le quali molte famiglie.
La nave era probabilmente diretta in Italia. La rotta seguita da chi parte dal Libano e vorrebbe raggiungere i paesi europei è nuova: si tratta di una conseguenza della grave crisi economica che il Libano sta attraversando dal 2019.
Martedì scorso un’altra imbarcazione con a bordo 55 migranti, salpata dal nord del Libano per percorrere questa stessa rotta, è stata intercettata dalla guardia costiera greca a largo di Creta e le persone a bordo sono state portate in Turchia.
Il Libano ha una popolazione di quattro milioni di persone e secondo alcune stime accoglie un numero molto elevato di rifugiati siriani e palestinesi, difficile da monitorare con precisione.
Avvenire riporta che alcune organizzazioni umanitarie hanno stimato che in Libano vivano 1,5 milioni di rifugiati siriani, «il numero più alto di rifugiati pro-capite al mondo».
Sia i rifugiati siriani che i cittadini libanesi cercano di raggiungere i paesi europei affidandosi, in assenza di mezzi più sicuri, ai trafficanti di esseri umani. Secondo Avvenire, un posto sulle imbarcazioni dirette in Europa può costare tra i 4.000 e i 7.000 dollari.
Ottenere un visto per uscire dal Libano è al momento molto difficile in quanto le domande negli ultimi tre anni, cioé dall’inizio della crisi economica, sono aumentate rendendo infinite le liste d’attesa.
È per questo che i cittadini libanesi, spinti dalla volontà di scappare dalla povertà assoluta in cui verserebbero i tre quarti della popolazione, decidono di affrontare il viaggio verso l’Europa a bordo di imbarcazioni che nella maggior parte dei casi finiscono per naufragare.
(da agenzie)

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ROMA, IL 30% DEI CONDOMINI RISCHIA LO STOP AL RISCALDAMENTO

Settembre 25th, 2022 Riccardo Fucile

LE RATE NON PAGATE E IL PREZZO DEL GAS

A Roma il 30% dei condomini con riscaldamento centralizzato rischia lo stop. Le associazioni degli amministratori di immobili dicono che rischiano anche alcuni consorzi Ater, ovvero le case popolari.
La resa dei conti arriverà a ottobre. Ovvero quando si effettueranno i controlli stagionali delle caldaie. Per prepararle all’accensione di novembre. Lì si faranno i conti dei pagamenti della scorsa stagione e di quelli della nuova. E molti si troveranno con la fornitura ferma. L’edizione romana di Repubblica fa sapere che le società fornitrici hanno confermato la gravità della situazione. Comprese le prossime chiusure di molti contatori. Anche se per adesso non vogliono rilasciare dichiarazioni ufficiali.
I distacchi per morosità
In caso di distacco per morosità, spiega il quotidiano, il vecchio gestore creditore cede il contratto al Fornitore di Ultima Istanza. Che si attiverà per riscuotere il debito, senza rateizzazione. Ma il distacco avviene per il riscaldamento centralizzato.
E questo significa che potrà esserne oggetto anche chi ha un vicino di casa moroso ma ha pagato tutto.
«E anche saldando il pregresso – aggiunge Concetta Cinque dell’Assiac, associazione di amministratori – non è detto che avvenga il riallaccio. Ormai è come con le assicurazione. Le compagnie fornitrici selezionano i clienti migliori. Il gas è poco e lo danno a chi offre maggiori garanzie». C’è di più: altri amministratori raccontano di ave ricevuto disdette dalle società fornitrici di gas. Perché non riescono a rifornirsi della materia prima. E quindi non possono garantire il servizio.
Il bonus gas per la bolletta
Per limitare gli aumenti dei prezzi è possibile però accedere al cosiddetto bonus sociale gas. Che taglia di circa il 30% il costo della bolletta. Per accedere bisogna avere una soglia Isee non superiore a 8.265 euro. Ma per l’anno 2022 è stata innalzata a 12 mila.
L’agevolazione è destinata anche a chi usufruisce del reddito di cittadinanza. Per ottenerla bisogna presentare una Dichiarazione Sostitutiva Unica ogni anno e l’Isee. L’Arera, che regola il mercato dell’energia e del gas, ha stabilito anche alcune regole riguardo la morosità. La fornitura non può essere mai sospesa ai clienti “non disalimentabili”, come le strutture pubbliche e private come ospedali, case di cura, carceri e scuole. Il distacco non può essere effettuato nel fine settimana, il venerdì, nei festivi e nei prefestivi.
(da agenzie)

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