Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
IN PIAZZA PER BRUCIARE BOLLETTE DI GAS ED ELETTRICITA’
Il Regno Unito si rivolta contro i rincari sull’energia, e le famiglie sono pronte a bruciare le loro bollette in piazza.
Per la giornata di oggi, 1 ottobre, si prevede infatti un’ondata di manifestazioni in decine di città, da Plymouth ad Aberdeen, passando per Birmingham, Bradford, Brighton e Londra.
L’obiettivo è protestare contro l’aumento dei prezzi unitari di gas ed elettricità, che per una famiglia media si tradurranno in una spesa annuale di circa 2.500 sterline.
Tra coloro che impugneranno gli accendini, ci saranno i sostenitori di Don’t Pay UK: come ricostruisce il Guardian, si tratta di un movimento di base che ha ricevuto quasi 200.000 adesioni da parte di capofamiglia che chiedono al governo un maggiore impegno per proteggere i nuclei più poveri.
Ad essi si affiancano sindacalisti o attivisti politici di sinistra, ma le proteste attirano anche persone che non hanno mai partecipato a una manifestazione prima d’ora.
«Le persone sono completamente indignate per quanto gravi e immediatamente rilevanti saranno gli effetti sul loro tenore di vita e per quanto siano chiaramente ingiusti», ha affermato Franklin Dawson, 29 anni, membro di Don’t Pay Lewisham. Dan Manville, 48 anni, ha dichiarato di scendere in piazza per protestare contro «il divario economico che sta crescendo». Ma non è sicuro di bruciare le bollette: nonostante supporti coloro che getteranno il documento nel fuoco, «la mia altra metà è un po’ nauseata dal non pagare la bolletta del gas. Se smetti di pagare… semplicemente non sai cosa succederà». Più combattivo appare Paul Bentick, 65 anni, falegname di Liverpool: «La classe operaia viene messa sempre più alla prova. Quando hanno annunciato il taglio delle tasse, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso».
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
LA MORALE SOVRANISTA: I RICCHI VOTANO PER CHI FA I LORO INTERESSI, I POVERI DEVONO VOTARE PER CHI FA GLI INTERESSI DEI RICCHI, ALTRIMENTI E’ POPULISMO
Editoriali a firma di ricchi commentatori col culo al caldo avvelenati
contro il Rdc, pieni di odio di classe
Quale idea migliore, con le bollette da tempo di guerra, che togliere il pane di bocca a 3 milioni di persone (1,3 milioni di nuclei famigliari) raggiunte dal Rdc, come promette di fare Meloni con l’aiuto dei servi sciocchi che le si accoderanno?
Sia chiaro: Meloni (che a ridosso del voto ha furbamente smesso di chiamarlo “metadone”) e l’amico di Bin Salman, che lo chiama “reddito di criminalità”, sono solo le avanguardie dell’operazione di messa al bando del Rdc.
Dietro, c’è tutto un mondo diciamo culturale impegnato a far credere agli italiani che se non se la passano bene la colpa non è di una classe politica inetta e corrotta, di una cronica iniquità delle risorse, di un’evasione fiscale da 99,5 miliardi – per lo più perpetrata da industriali, ricconi con lo yacht, furbi con un piede nei paradisi fiscali, tra i quali molti di quegli stessi politici che fanno le leggi per auto-condonarsi – ma di chi prende dallo Stato 546 euro (in media) al mese perché non ha lavoro, magari per il motivo che è inabile, o malato, o minorenne.
Dopo il voto, il plotone d’esecuzione non si è affatto placato: livido per la rimonta del M5S al sud, ha continuato a sparare contro il Rdc e coloro che lo percepiscono, ritratti come fannulloni e parassiti (notevole la sfilza di interviste empatiche ai ristoratori schiavisti che non trovano personale).
Per anni si è accusato il popolo di votare “con la pancia”, in modo irrazionale e obbedendo agli impulsi sottocorticali comandati dalla Tv; quando questo popolo vota per chi si impegna a tutelare i suoi interessi, allora il voto è truccato, non democratico.
Non è voto di scambio, invece, promettere la flat tax, il taglio del cuneo fiscale, gli aiuti alle imprese: i ricchi votano in coscienza e filosoficamente, visto che non devono pensare alla sopravvivenza.
Non fu voto di scambio quando Renzi, pochi giorni prima delle Europee del 2014, mise 80 euro in busta paga al ceto medio (e promise mancette a categorie varie, anche ai 18enni figli di miliardari), usando soldi pubblici per farsi campagna elettorale.
Il Rdc è costato 19,8 miliardi in tre anni e ha salvato 1 milione di persone (su 5,6 milioni totali) dalla povertà assoluta (Istat). Il Jobs Act è costato 20 miliardi in sgravi fiscali alle imprese per i contratti a tutele crescenti, che non hanno spostato di un centimetro l’occupazione stabile.
La verità è che i sedicenti liberali coi soldi pubblici, vedono più di buon occhio FdI che il M5S. Per Meloni e i suoi cecchini anti-Rcd hanno solo parole di miele. Come per Renzi, rientrato in Parlamento grazie al passaggio di Calenda, che si è già messo a disposizione per cambiare la Costituzione secondo i desiderata dei postfascisti. C
he il Rdc disincentivi al lavoro è poi la preoccupazione precipua di gente che non ha mai lavorato, vedi Salvini (a cui consigliamo di verificare i requisiti per accedervi).
Calenda disse che Berlinguer sarebbe “inorridito” davanti a un sussidio superiore a un reddito da lavoro, perciò teorizzava che il Rdc dovesse essere abbassato, non che venissero alzati i salari, per non fare concorrenza sleale alle imprese
Tutto il razzismo e il classismo di questi miracolati si riassume in ciò: i ricchi votano per chi fa i loro interessi; i poveri devono votare per chi fa gli interessi dei ricchi, altrimenti è populismo e voto di scambio.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
LE STIME DEI RINCARI CITTA’ PER CITTA’
In tempo di rincari tutti sono colpiti, ma alcuni sono più colpiti di altri. L’aumento delle bollette che a partire da questo autunno riguarderà molte famiglie italiane non sarà infatti del tutto uguale dal Nord al Sud dello stivale.
Il think tank indipendente «Ecco» ha provato a calcolare quanto costerà riscaldare la propria casa il prossimo inverno, nel periodo che va da novembre 2022 a marzo 2023.
Il balzo percentuale nella bolletta del gas rispetto all’anno scorso si aggira sulle tre cifre. Mentre gli amministratori di condominio calcolano che il 30% degli immobili con riscaldamento centralizzato rischia lo stop. Per le rate non pagate e la crescita del prezzo del gas. Che rincarerà dell’80% a ottobre secondo i calcoli di Arera.
Il balzo in bolletta, da Nord a Sud
Per un appartamento di 110 metri quadrati di classe energetica «G», ovvero la fascia di efficienza più bassa, situato a Torino, il gas necessario a proteggersi dalle temperature nelle giornate più fredde (-0,5 gradi) potrebbe arrivare a costare fino a 44 euro. In giornate più miti, con una media di 6 gradi, la cifra non scenderebbe comunque al di sotto dei 30 euro. Il costo stagionale stimato arriverebbe in media a 4.141 euro: un balzo superiore al 283% rispetto ai 1.462 euro dell’anno scorso.
Con temperature meno taglienti, si registra un lieve miglioramento in bolletta. A Milano, per esempio, il massimo giornaliero dovrebbe aggirarsi sui 40 euro, con una bolletta invernale che toccherebbe in media i 3.645 euro. Scendendo lungo il territorio italiano, scendono anche i costi: a Roma si arriverebbe a un intervallo che va da 36 a 23 euro giornalieri di media, a Palermo si dovranno in vece spendere dai 27 ai 16 euro al giorno.
Un «inverno difficile»
«Le nostre stime confermano che lo sforzo economico per famiglie e imprese sarà ingente, indipendentemente dai sostegni pubblici», ha commentato a La Stampa Matteo Leonardi, cofondatore e direttore esecutivo Politiche nazionali di “Ecco”.
«L’antidoto per questi prezzi oltre alla riforma della fiscalità è l’efficienza energetica», prosegue Leonardi: «Avere oggi una casa in classe energetica A permette di ridurre il costo della bolletta gas di 2/3 rispetto alla classe G». Francesca Andreolli, ricercatrice di Ecco, ha aggiunto: «Il forte legame tra le dinamiche dei mercati e le tensioni geopolitiche è causa dell’incertezza dei prezzi, e la situazione non sembra destinata a cambiare nei prossimi mesi. Sarà quindi un inverno difficile, e non per una tanto paventata mancanza di volumi di gas visto che il livello degli stoccaggi ha raggiunto il 90%, ma proprio per il costo della materia prima».
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
“MA SE USA L’ATOMICA LA RUSSIA SARA’ DISTRUTTA”
La sfida di Vladimir Putin è lanciata. Con l’annessione delle quattro
regioni ucraine nel giorno dell’ennesima strage di civili a Zaporizhzhia lo Zar ha lanciato ufficialmente la sua guerra totale all’Occidente. Sul piano militare: da tempo sostiene che le sue truppe combattono non gli ucraini ma gli Usa e la Nato che forniscono loro le armi. E ha avvertito che i nuovi territori verranno difesi «con ogni mezzo possibile».
Evocando quindi la dottrina russa sulla bomba atomica. E su quello valoriale: «L’Occidente ci ha chiamati amici, partner, ma in realtà ci ha trattati come una colonia. Non vivremo secondo le loro regole. La sua egemonia è finita», ha detto ieri. Annessione ed escalation atomica vanno di pari passo. Per questo a Kiev si chiedono quale possa essere l’obiettivo del primo strike nucleare. Mentre in America rispondono che se usa l’atomica la Russia verrà distrutta.
Odessa e l’Isola dei serpenti
Come abbiamo raccontato, da tempo i vertici della Nato si interrogano su dove potrebbe colpire Putin con le armi nucleari tattiche. Due opzioni possibili sono l’Isola dei Serpenti e Odessa.
Il primo, noto come Isola di Zeiny, è un lembo di terra di un chilometro quadrato conquistato da Mosca all’inizio della guerra. E poi ripreso da Kiev.
Cancellarla con un colpo atomico, secondo l’Alleanza, trametterebbe un messaggio forte all’intera nazione ucraina. L’isola non è abitata da civili e quindi si tratterebbe soltanto di una dimostrazione di potenza.
Su Odessa, oggi la Repubblica racconta che gli abitanti si stanno già preparando. Il sud-ovest ucraino, è il ragionamento, può diventare un obiettivo. Mentre lanciare un’atomica nel Donbass, dove ancora si combatte ma nel frattempo annesso, sarebbe come colpire il territorio della Russia. Mentre invece colpire Kiev sarebbe una provocazione eccessiva. Per questo sui social network cominciano a comparire vademecum improvvisati: «In caso di attacco nucleare, chi è oltre i 5 km dall’epicentro ha speranza di sopravvivere», «avete massimo 15 minuti per raggiungere il rifugio», «se non ne trovate uno, andate ai piani alti, oltre il decimo», «preparate una valigia con acqua, cibo in scatola, una lampadina, vestiti, radiotrasmittente e pillole di iodio». I negozi le hanno quasi esaurite.
Le bombe atomiche tattiche
Un blister di dieci pillole in zona costa 170 grivna, ovvero 4 euro e 70 centesimi. L’Isola dei Serpenti invece è a 100 chilometri in linea d’aria da Odessa. «Non è che questo ci tranquillizzi», dice al quotidiano l’italiano Attilio Malliani, consigliere diplomatico del sindaco Trukhanov. «Qual è l’onda d’urto di un’arma nucleare tattica? Dicono 40 km, ma non si ha certezza. I venti poi possono spingere qui la nube radioattiva».
Alessandro Politi, direttore della Nato Defence college foundation, dice oggi a QN che la minaccia per ora è abbastanza remota: «Un’arma nucleare si usa normalmente solo in situazioni disperate e anche se a Russia dovesse perdere il Donbass non è certo minacciata nella sua integrità». Mentre gli ucraini «continueranno a combattere perché hanno il diritto di tentare di riprendersi i territori che sono parte della loro nazione. E i russi non vogliono cedere. Ma entrambi i belligeranti stanno uccidendo la meglio gioventù con conseguenze demografiche devastanti. Prima o poi devono fermarsi».
E l’esercito di Putin «con l’inverno, si metterà sulla difensiva e il conflitto si allunga». Politi si dice preoccupato per la tenuta dell’Ucraina: «È comprensibile che voglia riprendersi i propri territori. Ma non è detto che possa riaverli tutti e subito. Servirebbe un momento di riorganizzazione in modo da valutare freddamente costi e benefici della continuazione della guerra o della sospensione delle ostilità per meglio perseguire gli obiettivi».
La minaccia di Kissinger
Intanto l’ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger durante un seminario del Council on Foreign Relations ha detto che se Putin usa l’atomica il suo paese verrà distrutto. «Non possiamo permettere che la Russia raggiunga i suoi obiettivi, dopo l’uso delle bombe nucleari». Sarebbe preferibile ottenere questo risultato «attraverso le armi convenzionali e il dialogo», per consentire all’altra parte di sapere con chiarezza a cosa va incontro. E quindi tenerlo presente nelle proprie valutazioni strategiche. Però non è possibile escludere «altri mezzi», perché «non possiamo consentire che le armi atomiche diventino come quelle convenzionali». Ciò altererebbe in maniera inaccettabile «la natura stessa delle relazioni internazionali, perché aprirebbe la porta all’uso indiscriminato di tecnologie senza limiti, che chiunque potrebbe cercare di impiegare. E questo è troppo pericoloso».
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
100.000 EURO E UN ANNO DI STIPENDIO DA EX MINISTRO DEGLI ESTERI
Cosa farà Luigi Di Maio quando si insedierà il nuovo governo? Da ministro degli Esteri a non eletto in tanti hanno fatto ironia sul futuro dell’ex capo del Movimento 5 Stelle, che però sembra avere diverse prospettive politice e professionali in mente. Oltre che una ottima buona uscita per il suo incarico governativo.
Dopo essere scomparso dai social (volontariamente, visto che il suo staff ha smentito qualsiasi ipotesi di attacco hacker) Di Maio avrebbe in mente per il suo futuro sia un rientro nella politica dando vita al famoso partito dei sindaci, come spiega il Messaggero: “così è emerso che l’ex leader dei 5 Stelle ha iniziato a contattare riservatamente diversi giovani epromettenti politici di tutti gli schieramenti, principalmente sindaci ed ex sindaci, che nel corso dell’ultima campagna elettorale non si sono spesi troppo,oaffatto, per i rispettivi partiti. L’idea, secondo diverse fonti, sarebbe sulla falsa riga di quel partito dei sindaci, tante volte annunciato e mai nato, che non sarebbe dispiaciuto neppure al Quirinale, ma che a causa della rapidità con cui si è consumata la crisi del governo Draghi non è stato possibile mettere in piedi”
Un’altra prospettiva sarebbe quella di mettere a frutto le relazioni e i contatti ad alto livello che il quasi ministro ha potuto intessere in questi anni per riciclarsi nel campo delle consulenze.
In ogni caso quella di Di Maio è una caduta in piedi. Il quotidiano romano gli fa i conti in tasca e spiega che oltre a un assegno di fine mandato da Montecitorio che ammonta a circa 100 mila euro, percepirà anche un altro anno di stipendio da ministro degli Esteri.
Non proprio la situazione di un percettore di Reddito di cittadinanza insomma.
(da Il Messaggero)
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Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
UNICO SISTEMA PER RISOLVERE IL PROBLEMA DEL SUO STORICO AUTORITARISMO
Trasformare la Russia in una repubblica parlamentare per risolvere il
problema del suo storico autoritarismo e prevenire in futuro conflitti come quello in Ucraina: è questa in sintesi la ricetta proposta da Alexiei Navalny, il principale oppositore interno di Vladimir Putin che sta scontando una pena di nove anni in un carcere di massima sicurezza, in un articolo pubblicato sul Washington Post.
Navalny condivide l’obiettivo tattico dell’Occidente di impedire alla Russia di vincere la guerra e di preservare la sovranità ucraina ma ritiene che “la strategia dovrebbe essere quella di garantire che la Russia e il suo governo in modo naturale, senza coercizione, non vogliamo iniziare guerre e non le trovino attraenti”.
“Anche se sarà raggiunto il successo, dov’è la garanzia che il mondo non si troverà a confrontarsi con un regime ancora più aggressivo, tormentato dal risentimento e da idee imperiali che hanno poco a che fare con la realtà? Con una economia scossa dalla sanzioni ma ancora grande in stato di permanente mobilitazione militare? E con armi nucleari che garantiscono l’impunità per tutte le forme di provocazioni e avventure internazionali”?, si chiede.
Per evitare tutto ciò, a suo avviso, “la questione della Russia post guerra deve diventare la questione centrale….di coloro che si impegnano per la pace”. E, prosegue, “il futuro modello per la Russia non è ‘potere forte’ e ‘mano ferma’”, ossia quello presidenziale proposto dal team di Boris Yeltsin e accettato dai leader occidentali, bensì una repubblica parlamentare. Certo, precisa, spetta ai russi “cambiare il regime di Putin” ma l’Occidente “deve rendere la sua visione strategica di una Russia come democrazia parlamentare il più chiara possibile” e mandare “un chiaro segnale” di “perché questa scelta è migliore”.
Navalny inoltre ammonisce che la filosofia della guerra come mezzo per risolvere i problemi (anche interni) non appartiene solo allo ‘zar’ ma a tutto il suo entourage e quindi “le speranze che rimpiazzare Putin con un altro membro della sua elite cambierà fondamentalmente questa visione sulla guerra, specialmente la guerra per ‘l’eredità dell’Urss’, sono quantomeno ingenue”.
E cita come “esempio migliore” l’ex presidente Dmitri Medvedev, un tempo beniamino dell’ Occidente, che oggi fa “dichiarazioni così aggressive che sembrano una caricatura di quelle di Putin”. In ogni caso “la bella notizia è che la cruenta ossessione dell’Ucraina non è affatto diffusa fuori delle elite di potere”, assicura, sostenendo che “con certezza la maggioranza degli abitanti di grandi città come Mosca e San Pietroburgo, come pure i giovani elettori, sono critici verso la guerra e l’isteria imperiale”.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
FDI 26,2% (+0,2%), PD 19% (-0,1%), M5S 16,3% (+0,8%), LEGA 8,3% (-0,5%). FORZA ITALIA 8,1% (=), AZIONE-ITALIA VIVA 7.9% (+0,1%). VERDI-SINISTRA 3,5% (-0.1%), + EUROPA 2,7% (-0,1%), ITALEXIT 2,4% (+0,5%), NOI MODERATI 0,9%, IMPEGNO CIVICO 0.4%
Sono passati appena quattro giorni dalle elezioni ed è già tempo di nuovi sondaggi politici. Di sorprese, ovviamente, ce ne sono ben poche. Ma è interessante capire come si stanno spostando i trend rispetto al voto del 25 settembre. Insomma, al di là della posizione dei partiti nelle intenzioni di voto è importante guardare chi cresce e chi cala ulteriormente. Euromedia Research ha realizzato il primo sondaggio elettorale del dopo-voto, pubblicato da Porta a Porta. In testa c’è sempre Fratelli d’Italia, seguito dal Pd. Ma attenzione: perché se Meloni continua a crescere, i dem continuano a calare.
Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni è al 26,2% e si conferma primo partito italiano con un più 0,2% rispetto al risultato elettorale del 25 settembre. Segue sempre il Partito Democratico del dimissionario Enrico Letta, con il 19% frutto di un meno 0,1% rispetto al voto di domenica.
Il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, invece, non si ferma più e sale al 16,3% con un più 0,8%. La crescita dei grillini continua a essere un tema importante, così come lo è stato nelle ultime settimane prima delle elezioni.
Allo stesso modo, però, i problemi non finiscono mai per la Lega di Matteo Salvini: il Carroccio, secondo questo primo sondaggio, sarebbe calato di un altro mezzo punto rispetto al voto di domenica, scivolando all’8,3%.
Tanto che Forza Italia di Silvio Berlusconi – che invece è rimasta stabile all’8,1% – è ormai pronta al sorpasso. In scia c’è anche il Terzo polo di Azione e Italia Viva: Renzi e Calenda segnano un altro più 0,1% e salgono al 7,9%.
L’alleanza Verdi e Sinistra scende di un decimo di punto, al 3,5%, seguita da +Europa che perde un altro 0,1% e passa al 2,7%. Italexit di Paragone salirebbe al 2,4%, con un balzo in avanti di mezzo punto. Noi Moderati si fermerebbe allo 0,9% e Impegno Civico di Luigi Di Maio sarebbe addirittura allo 0,4%.
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Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
ASSE ANTI-MELONI
Il triangolo va considerato. Tra i leader del centrodestra è in corso
una partita delicatissima. Gli incontri si succedono: tre giorni fa Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ieri il leader della Lega è stato ad Arcore, dove oggi potrebbe presentarsi la premier in pectore.
La versione ufficiale è: non si parla di nomi. Anche a prenderla per buona, c’è materiale per riunioni intense. In discussione infatti c’è lo schema che caratterizzerà il nuovo governo, la ripartizione dei ministeri e il peso dei partiti. Meloni starebbe prendendo seriamente in considerazione l’idea di avere due vice, lo stesso Salvini e forse Antonio Tajani, con lo scopo di tenere legati i partiti all’esecutivo.
La presidente di FdI anche ieri è rimasta chiusa per tutta la giornata nella sua stanza a Montecitorio, i suoi collaboratori la descrivono come «concentrata sui dossier più delicati», tra tutti, energia, bollette, la guerra in Ucraina. Uscendo da Montecitorio Meloni dice che sui ministri «non c’è nulla da dire. Mi sto occupando delle bollette. Quella è la mia priorità, il tema energetico». E a riprova ci sono le telefonate con il ministro della Transizione ecologica Roberta Cingolani e la presidente del Parlamento Ue Roberta Metsola.
Nei corridoi che portano alle stanze del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia si vedono Ignazio La Russa e Giovanbattista Fazzolari, il primo si lancia in metafore calcistiche, «Crosetto è il nostro Lukaku, sarà in squadra», ma non aggiunge altro, il responsabile del programma si limita a salutare.
Oggi Meloni sarà a Milano, ospite della Coldiretti, prima uscita pubblica dopo le elezioni. Appare probabile, anche se non c’è una conferma ufficiale, che da lì si possa spostare in Brianza per un primo vertice a tre del centrodestra post elettorale.
Un’anteprima si è vissuta ieri ad Arcore. Berlusconi e Salvini hanno un interesse comune: arginare lo strapotere di Meloni. Dopo aver brindato per il compleanno del Cavaliere si è entrati subito nel cuore del problema: la squadra di governo.
Il timore di Lega e Forza Italia è di ricevere la lista dei ministri solo a decisioni già prese. «Stavolta conto di non venire la conoscenza dei nomi la sera prima, come successo con Draghi», ha detto Salvini lunedì scorso. Oltre al grado di coinvolgimento c’è una questione i due vogliono far passare: l’esecutivo di destra deve essere soprattutto politico e quindi i partiti devono avere un peso importante. Forza Italia pretende di avere lo stesso trattamento della Lega, si ragiona su quattro ministeri a testa. Salvini, invece, è in una posizioni complicata, dalla quale però proverà a trarre dei benefici. Meloni gli ha spiegato quello che è chiaro a tutti: le sue ambizioni per il Viminale dovranno necessariamente essere frustrate. E il duro comunicato contro l’ultima mossa di Putin è un messaggio al leader della Lega e suona come una pietra tombale sulle sue ambizioni ministeriali per l’Interno.
Nel vertice di Arcore il leghista se ne è mostrato finalmente consapevole e quindi ha alzato la posta per ottenere delle compensazioni. e «Salvini può fare quello che preferisce, poi deciderà il futuro presidente del Consiglio» ha detto ieri Tajani. Uno schema ragionevole, secondo la Lega, potrebbe essere avere il ministero della Giustizia, dove è destinata Giulia Bongiorno, quello dell’Agricoltura dove andrebbe lo stesso Salvini. Un’altra richiesta sarebbe quella delle Infrastruttura e Trasporti (che ha la delega alle Capitanerie e alla guardia Costiera), dove potrebbe andare Edoardo Rixi.
Al ministero dell’Interno invece Salvini punta su Nicola Molteni (richiesta che appare di bandiera) o, se servisse per un tecnico, Matteo Piantedosi, prefetto di Roma e già capo di gabinetto dello stesso Salvini. L’altro nome che circola è quello di Giuseppe Pecoraro, già prefetto di Roma.
Poi c’è la questione Forza Italia: il Cavaliere ha voluto ribadire che le trattative le conduce lui, i nomi per il governo sono quelli di Antonio Tajani (Difesa o Esteri), al centro di molti malumori tra gli azzurri e anche Licia Ronzulli (Sanità o Scuola).
Berlusconi vuole fortemente l’ingresso in squadra della capa della sua segreteria. Ronzulli nutre altri sogni (presiedere il gruppo al Senato) e non ha grande feeling con Meloni, ma davanti a una richiesta forte il Cavaliere sarà accontentato.
L’altra trattativa è quella per le cariche parlamentari. L’idea di Meloni resta quella di dare la presidenza di una Camera all’opposizione. Ma gli alleati non ci vogliono sentire. Restano quindi le vicepresidenze: alla Camera potrebbe andare l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino, neo parlamentare del M5S e al Senato Stefano Patuanelli, mentre per il Terzo Polo il nome che circola è quello di Mara Carfagna. Per le commissioni da assegnare all’opposizione lo schema su cui si ragiona è il seguente: Copasir al Pd (in corsa Lorenzo Guerini), Giunta per le immunità al Terzo Polo e Vigilanza Rai al M5S.
(da La Stampa)
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Ottobre 1st, 2022 Riccardo Fucile
“DECISIONE DOPO UN INCONTRO CON I LEADER DELLA MAGGIORANZA”… LA MORATTI ANDRA’ AVANTI CON LA SUA LISTA CIVICA E CON L’APPOGGIO DI CALENDA E SALA, COSÌ SALVINI, DOPO LA DISFATTA ELETTORALE, PERDERA’ PURE LA REGIONE PIU’ IMPORTANTE D’ITALIA
Non è esattamente una tregua, o se lo è, è armata, ma un rinvio, con il coinvolgimento di tutta la maggioranza, c’è: “Questa sera ho evidenziato alla vicepresidente e assessore al Welfare Letizia Moratti, in maniera chiara e inequivocabile, che il nostro rapporto fiduciario, sul piano del posizionamento politico, si è incrinato. Ciò nonostante, essendo io il garante della coalizione in Lombardia e per senso di responsabilità rispetto al momento politico nazionale che stiamo vivendo, mi riservo di prendere una decisione definitiva dopo un confronto con i leader del centrodestra”. Dopo un’ora di colloquio a Palazzo Lombardia, il governatore Attilio Fontana usa una nota ufficiale per far sapere quanto ha deciso.
Un chiarimento necessario, dopo i toni sempre più accesi delle ultime ore e le dichiarazioni di rottura. Il governatore della Lombardia Attilio Fontana aveva convocato nel suo ufficio questa sera la sua vice, l’assessora al Welfare Letizia Moratti. “Dovrà chiarire, non possiamo continuare ad andare avanti con questa strana situazione. Bisogna che si dia una svolta e che si capisca se vuole essere ancora parte di questa squadra o fare parte di un’altra squadra”, le parole di Fontana in mattinata.
Uno scontro ormai chiaro, con la candidatura per le prossime Regionali come obiettivo di Moratti e quindi come motivo del contendere, all’interno di una situazione già tesa a livello nazionale, visto il crollo della Lega – che ha sempre sostenuto la ricandidatura del governatore uscente – e l’affermazione di Fratelli d’Italia alle Politiche.
Impossibile per molti andare avanti con lo stillicidio quotidiano. La goccia, in questo caso, sono state le parole di Letizia Moratti giovedì sera a Rai Tre: “Sono stata chiamata dal presidente Fontana in un momento difficile e ho accettato per responsabilità e amore per la mia regione, con l’impegno parallelo di un passaggio di testimone a fine legislatura”.
E poi: “Ho lavorato e lavoro coerentemente a quell’impegno ma coerentemente a quelle indicazioni ho costruito anche una rete civica. La mia non è un’autocandidatura ma una disponibilità, è diverso”.
Frasi che hanno fatto saltare il tappo in casa Lega
Non è escluso che anche Forza Italia abbia iniziato a provare irritazione per le uscite di Moratti, che pure ha preso come unica tessera politica proprio quella degli azzurri. E Matteo Salvini avrebbe sollevato la questione con Silvio Berlusconi, nel primo incontro dopo la vittoria del centrodestra alle politiche, ad Arcore. Dal canto suo, il presidente di Fi avrebbe garantito a Salvini che il suo partito “non tollererà iniziative che danneggino il governatore in carica e candidato in pectore” del centrodestra.
(da agenzie)
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