Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
UNA MOTOVEDETTA INTERCETTA UN MOTOSCAFO DI MIGRANTI E LI RIPORTA IN LIBIA. TRE GIORNI DOPO LO STESSO MOTOSCAFO E’ DI NUOVO AL LARGO CON ALTRI MIGRANTI PER UN NUOVO VIAGGIO … E GLI ITALIANI FINANZIANO QUESTA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE CHE PIACE AI SOVRANISTI E AI LORO SERVI
Sea Watch, l’organizzazione umanitaria no profit che fornisce soccorso marittimo nel mar Mediterraneo, ha pubblicato delle foto che dimostrano la collaborazione tra la guardia costiera libica e gli scafisti che prendono parte al traffico di migranti.
La denuncia arriva nello stesso giorno in cui il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha riaperto le ostilità verso le Ong definendo “fuorilegge” Sos Humanity e Sos Mediterranee, e dicendo che valuterà “se introdurre un divieto” di sbarco.
Le foto sono state scattate dall’aereo Seabird, che abitualmente sorvola il Mediterraneo segnalando imbarcazioni in difficoltà.
Sabato 8 ottobre, l’aereo ha individuato un motoscafo che trasportava circa 50 persone. Nell’immagine, si vede anche un numero che identifica la barca in questione.
Poco dopo, interviene quella che Sea Watch definisce “la cosiddetta guardia costiera libica”, che intercetta il motoscafo in difficoltà e fa salire a bordo i migranti presenti.
La prassi prevede che, in casi come questo, la barca che portava le persone soccorse sia resa “non navigabile” – ad esempio, togliendole il motore o dandole fuoco – in modo che non venga più usata.
Dovrebbe, quindi, come minimo essere confiscata dalla guardia costiera della Libia, perché non torni in mano a chi vi ha fatto salire decine di persone migranti.
Le foto di SeaWatch, però, mostrano che l’equipaggio della motovedetta libica si limita a verificare che il motoscafo funzioni ancora.
La foto incriminante, così, arriva l’11 ottobre: la stessa barca viene inquadrata dall’aereo Seabird, nuovamente piena di decine di persone al largo.
È evidente che la barca sia stata riconsegnata agli stessi scafisti, che l’hanno potuta utilizzare per un nuovo viaggio di migranti attraverso il Mediterraneo.
“Da anni osserviamo e denunciamo l’operato della cosiddetta guardia costiera libica”, dichiara a Fanpage Alberto Mallardo, di Sea Watch Italia. “Li osserviamo dal mare e dal cielo, grazie ai nostri aerei da ricognizione. Oltre a procedere al sistematico respingimento illegale di chi viene catturato in mare, è palese la contiguità con chi organizza le partenze”. Per Mallardo, sembra che motovedette libiche e cosiddetti scafisti “possano passare indifferente da un ruolo ad un altro, con o senza divisa”.
È per questo, conclude Mallardo, che “finanziare questo sistema non è solo ingiusto ma anche criminale. In Libia le persone migranti vengono sottoposte a torture e abusi, detenute in campi di prigionia dove non esistono i diritti umani. Riportare le persone in Libia è un atto contrario al diritto internazionale e al diritto del mare”.
Proprio oggi, si tiene a Roma una manifestazione contro il Memorandum Italia-Libia, un documento del 2017 – firmato dal governo Gentiloni – che prevede che l’Italia fornisca soldi, attrezzature e addestramento proprio alla guardia costiera della Libia.
Secondo Sea Watch, negli ultimi 5 anni sono arrivati a questo corpo militare e ai centri di detenzione libici circa 45 milioni di euro di fondi, attraverso la missione militare italiana dedicata. Sarebbero quasi 100mila le persone intercettate in mare dalla guardia costiera della Libia e riportate a forza nel Paese.
Il 2 novembre, se le forze politiche non interverranno, il Memorandum sarà rinnovato automaticamente per altri tre anni. Per questo, oggi scendono in piazza circa 40 associazioni e organizzazioni.
“Non è tollerabile” che l’Italia “continui ad essere il mandante delle gravi violazioni dei diritti perpetrate dai libici ai danni dei migranti del Mediterraneo”. Lo scrive in una nota Riccardo Magi, presidente e deputato di +Europa. Magi ha presentato un’interpellanza al ministro degli Esteri “chiedendo se il Governo italiano intenda revocare o, quantomeno, modificare il contenuto del Memorandum”.
“I governi italiani si sono ripetutamente impegnati per la modifica senza alcun risultato”, prosegue Magi, che parteciperà anche alla manifestazione prevista per oggi. L’Italia, sostiene, avrebbe “delegato” la guardia costiera della Libia “a intercettare uomini, donne e bambini che scappano alla ricerca di salvezza”, riportandoli poi in un Paese “dove vengono sottoposti a detenzioni, abusi e violenze, tra cui torture, stupri e uccisioni, come ampiamente documentato in questi anni da organizzazioni internazionali”. Oltre all’interpellanza diretta al ministro degli Esteri, Antonio Tajani, Magi ha depositato anche una proposta di legge per istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulla cooperazione tra l’Italia e la guardia costiera libica, oltre che sullo stato dei centri di detenzione in Libia.
(da Fanpage)
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Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
IL VERO TIMORE DEL COLLE È LEGATO COMUNQUE ALLA TENUTA DELL’ESECUTIVO, PER VIA DELLA “INSTABILITA'” DI SALVINI E BERLUSCONI. UNO PENSA DI ESSERE UN GRANDE LEADER. L’ALTRO E’ ORMAI POCO PRESENTE A SE STESSO
Come ha reagito il Quirinale al discorso di Giorgia Meloni? Al Colle non è piaciuta la poca chiarezza sui rapporti con l’Unione Europea. Mattarella (ma anche Giuliano Amato) confidava in una più precisa apertura della Presidente al dialogo e alla collaborazione con i vertici comunitari e i paesi membri Ue.
Quel che non convince i due ottuagenari “guardiani” del Verbo costituzionale riguarda anche il lessico utilizzato da Meloni.
Le parole sono importanti, lo sappiamo, e quelle scelte da “Donna Giorgia” possono confondere. Mentre lei, quando parla di Nazione, si riferisce esclusivamente all’Italia, loro intendono la più ampia Nazione europea, intesa come comunità omogenea di Stati, frutto del processo di integrazione, avviato ormai da decenni.
Ma più delle parole, contano i fatti. La Meloni ha di fronte un tour de force internazionale, in cui potrà dimostrare la sua totale aderenza alle storiche alleanze euro-atlantiche dell’Italia.
Il vero timore del Quirinale è legato alla tenuta del suo esecutivo, soprattutto per via dell'”instabilità” dei due caballeros Salvini e Berlusconi.
Il primo, in cerca di riscatto e di una ritrovata centralità, viene insufflata dalla fidanzatina Francesca Verdini, che ne magnifica le doti da leader e condottiero, lasciandogli immaginare una sua futura riscossa.
Il secondo, ormai, è poco presente a se stesso, sballottolato e confuso dalla rivalità interna al suo partito. Senza contare il ruolo della molto sottovalutata Marta Fascina. La finta moglie del Cav ha sempre più influenza tra gli azzurri.
Arrivata alla corte di Arcore grazie ai buoni uffici di Licia Ronzulli, di cui è stata assistente ai tempi del Parlamento europeo, la bionda campana allunga i suoi tentacoli e, d’accordo con l’ex infermiera, pianifica le mosse all’interno del partito.
Ronzulli, con la distribuzione delle poltrone di sottogoverno, vuole allargare la base del proprio consenso all’interno del partito, sistemando i trombati e portandoli tutti dalla sua parte.
Ad esempio, la zarina di Arcore gradirebbe la nomina di Sestino Giacomoni al Mise, ma il ministro Urso traccheggia. “Kiss me Licia” vorrebbe anche il filo-russo Valentino Valentini agli Esteri, ma pesano i no di Meloni e Tajani. Il ministro degli Esteri mugugna ma non sgrugna: a causa del coraggio da semolino, non se la sente di entrare in rotta di collisione con Berlusconi e di sfidare a viso aperto la nemica Ronzulli.
(da Dagoreport)
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Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
PER IL SUO “INNER CIRCLE” DI PALAZZO CHIGI CIRCOLANO NOMI DI “CONSIGLIERI” LEGATI A NOTI PERSONAGGI CHE DIRE DISCUTIBILE È POCO
Malgrado gli oltre vent’anni passati attivamente nel mondo della politica, pur confortata dai consigli di Fazzolari e di Crosetto, e sottotraccia anche di Franco Frattini, Giorgia Meloni ha un problema: le capita sovente di non riconoscere il valore o il disvalore dei personaggi che incontra.
La nomina a ministro della Cultura di Gennaro Sangiuliano, per esempio, ha lasciato perplessi (eufemismo) molti attenti osservatori.
L’ex direttore del Tg2, che è stato berlusconiano, putiniano e poi salviniano quando la Lega volava nei sondaggi oltre il 30 per cento, e una volta che Salvini è caduto, zac!, è salito sul carro di Giorgia, era davvero la migliore figura possibile per il Collegio Romano?
Stendiamo un velo pietoso per la “bagnina” Santadeché al Turismo, l’inadeguato Giorgetti all’Economia, il goffo Pichetto Fratin all’Energia, eccetera eccetera.
E per il suo stretto staff di Palazzo Chigi circolano nomi di “consiglieri” da brivido, legati a personaggi che dire discutibile è poco.
(da Dagoreport)
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Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
“PUTIN HA VIOLATO IL DIRITTO INTERNAZIONALE METTENDOSI DALLA PARTE DEL TORTO E AGGREDENDO UNA NAZIONE SOVRANA. PER QUANTO MI RIGUARDA, OGGI LA CRIMEA DOVREBBE TORNARE NELLA SOVRANITÀ DI KIEV”. PECCATO CHE NEL 2018 DICESSE IL CONTRARIO
Lettera del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, pubblicata da “La Stampa”
Gentile direttore, contrariamente a quanto riportato ieri sul suo giornale nell’articolo “La Crimea è sempre stata della Russia. Sangiuliano finisce nel mirino dei social”, segnalo che nelle ore immediatamente successive alla brutale aggressione della Russia all’Ucraina ebbi a esprimere, nella mia qualità di giornalista e saggista di geopolitica, una posizione netta e chiara: la Russia e Putin avevano violato il diritto internazionale mettendosi dalla parte del torto e aggredendo una nazione sovrana.
In altre parole, la Russia è l’aggressore e l’Ucraina è la vittima attorno alla quale bisogna stringersi, come nel 1939 ci si strinse attorno alla Polonia aggredita a tenaglia dai nazisti e dai sovietici. Altra cosa è fare un ragionamento storico molto articolato sulle ragioni che portarono Krusciov a cedere la Crimea all’Ucraina. Per quanto mi riguarda, oggi la Crimea dovrebbe tornare nella sovranità di Kiev”
Contrordine quindi: la Crimea non è più della Russia come sostenuto fino a poco tempo fa da Sangiuliano, neo ministro della Cultura, ma spetta all’Ucraina.
Una farsa.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
MENTRE DICEVA AI RAGAZZI CHE SONO LIBERI DI MANIFESTARE, ALL’UNIVERSITA’ VENIVANO MANGANELLATI
Il nuovo governo di Giorgia Meloni ha un problema con il dissenso. Un problema che non ha tanto a che fare con un progetto autoritario della nostra società, almeno non per il momento, anche se il modello della democrazia illiberale dell’alleato e amico Viktor Orbán rimane un punto di riferimento a cui guardare.
Si tratta di qualcosa di più istintivo, la pretesa dopo tante contestazioni subite che ora che è arrivata la legittimazione elettorale per la destra destra italiana non sia più pensabile che “qualcuno” (leggi: la solita sinistra, le zecche, i centri sociali, le ong pagate da Soros ecc) continui a contestare il nuovo potere.
Anche oggi, quando la destra postfascista arriva al potere con un’investitura netta, non riesce a rinunciare al vittimismo degli esclusi.
L’andazzo si è capito subito, da quella scritta a Garbatella contro Ignazio La Russa eletto seconda carica dello Stato sulla serranda di una sede vuota: “La Russa la Garbatella ti schifa”. Firmato “antifa”, che evidentemente sta per antifascisti, e una stella rossa.
È diventata un’intimidazione delle Brigate Rosse tenendo banco per giorni sui media, tra spettri degli anni di piombo e inviti ad abbassare i toni. Per una scritta.
Che qualche collettivo di sinistra che si definisce antifascista verghi uno slogan (per altro ironico) contro La Russa, che in casa ha un’intera collezione di busti di Mussolini sembra un livello del conflitto politico che in una democrazia matura dovrebbe essere digerito senza difficoltà.
Soprattutto l’uomo delle istituzioni Ignazio La Russa dovrebbe conoscere bene la violenza politica di cui parla
Ma siamo in un’altra epoca, i lunghi anni Settanta italiani sono finiti da un pezzo e La Russa e soci dovrebbero semplicemente piantarla di evocare la violenza politica o la lotta armata per qualche fischio o una scritta
È passato qualche giorno ed è toccato al neoministro della Difesa Crosetto demonizzare le piazze contro il governo, piazze che vale la pena dirlo ancora non si sono manifestate: “Sto dicendo che la rabbia cerca colpevoli e le piazze arrabbiate non fanno male ai governi. Ma alle nazioni. Quindi dico che, mai come in questo momento serve maturità per affrontare un periodo difficile. Avendo la certezza che la rabbia dipende da fattori esogeni. Aggiungo una cosa: l’interesse della Russia in questo momento è indebolire tutti i paesi che sostengo l’Ucraina”.
Ieri , proprio mentre Giorgia Meloni teneva il suo primo lungo discorso da premier alla Camera, un centinaio di studenti veniva manganellato fuori la facoltà di Scienze Politiche alla Sapienza Protestavano contro la presenza a un convegno di Daniele Capezzone e di Fabio Roscani, neoeletto deputato e presidente di Gioventù Nazionale, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia.
Pochi minuti dopo Meloni diceva senza ironia di “provare un moto di simpatia per chi scende in piazza a contestare questo governo”, per poi auspicare un clima di pacificazione nazionale.
La premier dice ai ragazzi che sono “liberi di manifestare”, proprio mentre all’università venivano picchiati.
(da Fanpage)
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Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO DELLA POLIZIA HA SUPERATO I LIMITI DEL BUON SENSO
“Erano lì già due ore prima che iniziasse la conferenza. Chiedevano a tutti quelli che entravano in facoltà dove dovessero andare, soprattutto se si trattava di gruppi – così esordisce uno degli studenti di Sapienza presente nel dipartimento di Scienze Politiche ieri mattina, quando i poliziotti hanno preso a manganellate gli studenti – La situazione è apparsa subito tesa”.
La scena che da ieri è impressa nella mente di tutti, anche di chi non era presente fisicamente in ateneo, risale alla tarda mattinata, verso le ore 10, quando i poliziotti hanno preso manganellate gli studenti in presidio. È proprio alle 10 che è iniziato l’evento sul “capitalismo buono” organizzato da Azione Universitaria, associazione collaterale a Fratelli d’Italia. Presenti, in aula, Daniele Capezzone e Fabio Roscani, deputato di Fratelli d’Italia e presidente di Gioventù Nazionale, la giovanile del partito di Giorgia Meloni. Con loro anche due docenti.
“Quando abbiamo saputo che era stata concessa l’aula per l’evento, abbiamo deciso di organizzare un presidio davanti alla facoltà. Non era stata invitata neppure una controparte: quando alcuni hanno provato ad organizzare incontri simili tempo fa, come quelli su Palestina e Kurdistan, senza la presenza di una controparte si doveva rinunciare all’evento – ha continuato lo studente – Così abbiamo deciso che saremmo stati noi, in presidio, la controparte mancante”.
L’arrivo in università: “Alle 8 c’era già la polizia”
“Noi siamo arrivati alle 8 di mattina: già erano presenti i poliziotti in borghese che camminavano davanti e dentro alla facoltà. Hanno chiesto a tutte le persone che entravano, specialmente ai gruppi, dove andassero. Così alcuni sono entrati per seguire le lezioni, altri sono rimasti fuori in presidio. Quando è iniziato l’evento sono state chiuse le porte della facoltà e, poco dopo, è stato anche chiuso il cancello: la facoltà era blindata, a nessuno era permesso di entrare o uscire”.
Fuori sono rimasti i ragazzi del collettivo di Scienze Politiche, insieme ad altre associazioni, gruppi studenteschi e altri studenti che volevano restare in presidio: “Era tutto blindato. Abbiamo chiesto alla polizia di appendere uno striscione, per far vedere che non c’erano soltanto gli studenti di Azione Universitaria all’interno della facoltà, ma che la facoltà era piena di tanti altri contenuti e di tante altre soggettività che portano avanti una visione del mondo e della nostra società – ha continuato lo studente – Abbiamo ricevuto soltanto un netto rifiuto, per una questione di sicurezza. Ci hanno anche fatto un po’ ridere, in quel momento c’era già una quindicina di poliziotti a presidio di una facoltà universitaria”, ha specificato.
L’inizio degli scontri
“Poi è stata schierata la celere e noi ci siamo ritrovati con quattro camionette della polizia nella nostra facoltà. Dopo sono partite le cariche, a loro dire, di alleggerimento. Ma i video mostrano bene cosa è realmente successo”, ha continuato il ragazzo.
“Nessuno di noi era armato ed eravamo tutti a volto scoperto – ha aggiunto un’altra ragazza presente al momento degli scontri – I primi a spingerci sono stati gli agenti della Digos, poi è arrivata la celere con caschi, scudi e manganelli. Le spinte si sono fatte più violente. Fino a quando la situazione non è degenerata”.
Sono partite le manganellate contro studenti: “Gli scontri sono andati avanti per una trentina di minuti almeno. A partire da quel momento il numero di persone presenti è aumentato: molti che passavano davanti alla facoltà hanno deciso di rimanere – ha raccontato la ragazza – Sono partiti i colpi di manganello su gambe e braccia, un ragazzo è stato colpito alla testa e successivamente è stato medicato con qualche cerotto. Uno è stato preso e allontanato dagli altri, lo hanno portato dentro all’edificio e lo hanno identificato”, ha ricordato.
“Tutti gli occhi sono rimasti puntati su ciò che stava succedendo davanti all’entrata: anche i docenti hanno interrotto le lezioni. Io di quel momento ricordo soltanto il rumore dei manganelli sui nostri corpi”.
L’assemblea e il corteo verso la rettrice
Dopo gli scontri è partito un corteo per tutta l’università. “Prima abbiamo improvvisato un’assemblea nel cortile di Scienze Politiche: sapevamo che la rettrice è l’unica persona che può permettere alla polizia di entrare e volevamo avere un incontro con lei. Ma si è rifiutata. Anzi, nelle dichiarazioni di ieri ha anche condannato il comportamento violento tenuto da noi studenti . Violenze da parte nostra, però, non sono mai esistite”.
Il giorno dopo gli scontri a Sapienza
I feriti sono ancora in fase di ripresa: “Un ragazzo è stato colpito alla testa e perdeva sangue. Ad un’altra hanno lasciato il segno di una manganellata su una gamba – continuano i due – Oggi stanno meglio, ma non si sono ripresi del tutto e sono ancora sotto antidolorifici”.
L’accaduto ha scosso la comunità accademica: “Mi mancano le parole, è stato molto pesante emotivamente – ha rivelato il ragazzo a Fanpage.it – Ho trovato una foto (in apertura) di una ragazza in lacrime, davanti all’entrata della sua università, mentre era rassicurata da un’amica: dietro di loro c’è il gruppo di poliziotti. Non credo servano parole, mi sento esattamente come lei. Ma non abbiamo paura, adesso c’è soltanto tanta rabbia e tanta tristezza, ha sottolineato.
“L’università, come tutti i luoghi del sapere, deve essere un posto in cui studiare ma anche confrontarsi, conoscere persone, formare una propria coscienza critica – hanno sostenuto – Pensare all’università soltanto in relazione allo studio è riduttivo. Non si tratta solo di apprendimento, ma di crescere, trovare interessi e formarsi una propria visione del mondo”. La discussione, nel frattempo, è arrivata nelle aule durante le lezioni della mattina: “Alcuni insegnati si sono schierati contro quanto accaduto, altri non si sono espressi: neanche il presidente di facoltà ha ancora commentato quanto accaduto”.
Anche per l’altra studente quello che è accaduto ieri è inaccettabile: “È un’ingiustizia: non possiamo che prenderla come una posizione politica chiara – ha detto – Sono scioccata da quello che ho visto, non me lo sarei mai immaginato. Eppure non sono stupita: tutto torna”.
(da Fanpage)
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Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
RITORNO A RIAD. RENZI ERA IN ARABIA SAUDITA MENTRE MELONI CHIEDEVA LA FIDUCIA ALLA CAMERA
Proprio come accaduto durante le consultazioni per il nuovo governo italiano nel gennaio 2021 e per il voto in senato al Ddl Zan, mentre alla Camera si votava la fiducia al governo Meloni, il senatore Matteo Renzi era in Arabia Saudita per partecipare alla sesta edizione della Future investment initiative.
L’evento, in programma dal 25 al 27 ottobre, ha come titolo “Creare un nuovo ordine globale” e consiste in una serie di conferenze organizzate dall’organismo controllato dal fondo sovrano saudita, il Saudi public investment Fund (Pif), che fa capo alla famiglia reale di re Salman.
Secondo il programma pubblicato online il senatore Renzi avrebbe dovuto tenere un incontro alle ore 18:40 locali dal titolo “Achieving peace and prospetrity”, ma è stato spostato a poco dopo le 16. L’evento si è tenuto al King Abdulaziz center di Riad. Insieme all’ex presidente del Consiglio italiano, è intervenuto sul palco Jared Kushner, un nome conosciuto negli Stati Uniti e non solo.
Kushner è il marito di Ivanka Trump, figlia dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e durante l’amministrazione repubblicana è stato anche consigliere del suocero.
In Arabia Saudita Kushner è intervenuto insieme a Renzi nella veste di fondatore di Affinity partners, la società creata nell’estate del 2021 che si occupa di investimenti. Solo nel 2021 la società di Kushner ha gestito investimenti di un valore complessivo di tre miliardi di dollari.
Gli account social del Fii institute hanno pubblicato foto e citazioni dell’incontro. Parlando del futuro e delle prossime generazioni, Renzi ha detto: «Investire nell’umanità significa tornare a essere leader e non solo seguaci. Questo è il problema oggi in molte organizzazioni. I social media portano tutti a concentrarsi giorno per giorno, mentre noi dobbiamo pensare alla prossima generazione. Rischiamo di creare una generazione senza una visione profonda».
Dopo la giornata del 25 ottobre alla Camera il governo di Giorgia Meloni si presenterà in Senato per ottenere la fiducia
Un rientro lampo quello del senatore, che per la sua attività di conferenziere percepisce un compenso di circa 80mila euro l’anno dalla Fii
(da EditorialeDomani)
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Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
24 ARRESTI, SEQUESTRATI 30 MILIONI
“Io piuttosto che ridarti indietro l’azienda te la brucio con la benzina”. Così parlava, nel luglio 2019, Francesco Patamia, candidato di Noi Moderati alla Camera nel collegio di Piacenza e arrestato dalla Guardia Finanza in un’inchiesta del pm Marco Forte della Dda di Bologna che ha portato all’esecuzione di misure cautelari a carico di 23 persone ritenute affiliate o contigue alle ‘ndrine dei Piromalli di Gioia Tauro e ai Mancuso di Limbardi.
Patamia è finito in carcere, così come il padre Rocco, e a suo carico ci sono diversi capi d’accusa. Compresa l’estorsione, aggravata dal metodo mafioso, per rapporti intercorsi con la cosca Piromalli riguardo alcuni investimenti.
L’indagine è partita dalla segnalazione di vari investimenti anomali, nel campo della ristorazione, da parte del sindaco Pd di Cesenatico, Matteo Gozzoli. Parlando con gli investigatori nel luglio 2019, il primo cittadino spiegava inoltre che Rocco Patamia era stato autore di minacce verso un agente della polizia municipale, chiedendo “se avesse figli”. Il sindaco di Cesenatico, 36 anni, ha sottolineato che già a partire dall’estate del 2018 aveva segnalato al prefetto di Forlì-Cesena che molte delle attività della della famiglia Patamia erano state cedute, tra le quali un ristorante e una piadineria.
L’unica attività ancora attiva, per Gozzoli, sarebbe stato un hotel, acquistato dalla famiglia Patamia e poi affittato nel novembre 2018 con una “gestione sui generis”, perché si tratta di “un albergo rimasto chiuso anche durante le festività pasquali e in occasione della Sette Colli, gara ciclistica che richiama turisti. Al momento – sottolineava il sindaco – l’attività parrebbe ancora chiusa e per quanto attiene al territorio la gestione è anomala”.
Nell’episodio intercettato citato in precedenza, gli indagati, secondo le accuse, costrinsero la vittima ad accettare condizioni diverse e più gravose da quelle pattuite in occasione della stipula del contratto di cessione di un ramo d’azienda, con sede del Ravennate. “Se ti rivolgi a un avvocato sappi che ci saranno delle conseguenze”, è un’altra delle frasi intimidatorie agli atti dell’inchiesta. Patamia, fondatore del Partito Europei Liberali, e il padre sono ritenuti dagli inquirenti promotori di un’associazione a delinquere ‘semplice’ per commettere una serie di reati come bancarotta, autoriciclaggio, intestazione fittizia e estorsione.
Il giudice per le indagini preliminari Domenico Truppa, in un passaggio dell’ordinanza dove dispone il carcere per quattro persone e misure cautelari per altre 19, spiega che gli indagati “per ottenere il risultato programmato dell’associazione non si sono fatti scrupoli nel corso del tempo di utilizzare quelle modalità, prima minatorie e, successivamente, coercitive, nei confronti dei pochi soggetti che hanno manifestato reazioni (seppur legittime) potenzialmente dannose verso l’intera associazione o verso il singolo”. Il giudice evidenzia una “assoluta professionalità criminale” da parte degli indagati “nell’agire mediante condotte estremamente efficaci, tant’é che i vari episodi violenti” sono “caratterizzati dall’assenza di formale denunce da parte delle vittime, che hanno preferito subite una condotta ingiusta ed economicamente penalizzante, piuttosto che rischiare di patire le ripercussioni paventate”. Per altro verso “a fronte di carature criminali di spiccato rilievo” è emersa nel corso dell’indagine “la necessità di mantenere un ‘basso profilo’ tale da non attirare l’attenzione”.
Per il comandante della Guardia di Finanza dell’Emilia-Romagna, Ivano Maccani, l’inchiesta conferma che anche in territori del Nord “le mafie operano e lo fanno sotto traccia, lo fanno senza chiasso, senza rumore”. Il generale ha sottolineato come sia stato ricostruito il modus operandi “in piccole ‘cellule’, guidate da dei boss che assumevano la funzione di manager”. Manager, ha rimarcato, “assetati di investimenti”. I reati contestati a vario titolo ai 34 indagati sono associazione a delinquere, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta, usura, lesioni personali e minacce. Tutto ruota attorno ad una serie di investimenti illeciti, molti dei quali avvenuti in piena pandemia, soprattutto nelle province di Ravenna e Forlì Cesena, che hanno riguardato nel tempo negozi, bar e società nel campo dell’edilizia, della ristorazione e dell’industria dolciaria. In totale sono stati sequestrati circa 30 milioni di euro.
I finanzieri, intercettando oltre 60 utenze telefoniche e analizzando circa 100 conto correnti, hanno ricostruito un “vorticoso giro” di aperture e chiusure di società che, formalmente interessate a prestanome, venivano utilizzate come mezzo per riciclare il denaro che arrivava dalla ‘casa madre’ in Calabria. Questo era possibile grazie all’utilizzo di fatture false, spesso preordinate al trasferimento di ingenti somme di denaro e al compimento di distrazioni patrimoniali. Le cellule che agivano in Emilia-Romagna erano autonome, ma considerate vicine alle ‘ndrine egemoni a Gioia Tauro e Limbadi. Alcuni degli indagati sono responsabili di diversi episodi di intimidazione e minacce, e in alcuni casi di violenze ai danni degli imprenditori che si sono rifiutati, o hanno tentato di farlo, di ‘obbedire’ alle richieste. Nell’inchiesta sono finiti anche un commercialista e un’avvocato, entrambi d’origini calabresi, che operano su Modena, entrambi interdetti per un’anno dall’esercizio della professione, che per gli investigatori agivano come ‘consiglieri’ dei gruppi.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2022 Riccardo Fucile
I 19 ARRESTI RIGUARDANO LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE
Un compenso da 25 o 50 euro per ciascuno voto alla candidata Francesca Ferri alle elezioni del maggio 2019 per il Comune di Bari.
Con questa accusa la consigliera comunale Ferri, oggi capogruppo per Italia Popolare, è stata posta portata in carcere.
Risulta anche lei tra le 19 persone arrestate questa mattina in un’operazione dei carabinieri tra Bari, Taranto e Palermo, frutto di un’inchiesta che riguarda appunto le elezioni amministrative di Bari, ma anche di Valenzano, del 2019.
Secondo l’accusa, fu costituita un’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale. Le indagini hanno accertato un’attività di selezione e reclutamento di elettori con il pagamento dei loro voti in favore di Francesca Ferri.
L’associazione per delinquere, sostengono gli inquirenti, è stata promossa, costituita e organizzata, oltre che dalla Ferri, dal suo compagno convivente (anch’egli è finito in carcere) e dall’imprenditore edile Nicola Canonico (sottoposto agli arresti domiciliari), già consigliere comunale di Bari dal 2004 al 2009 e della Regione Puglia dal 2005 al 2015, nonché attuale presidente del Foggia calcio. Le accuse per i 19 arrestati, su ordine dal Gip della procura di Bari su richiesta della Dda, vanno dall’estorsione all’associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, fino all’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale e voto di scambio politico-mafioso.
Francesca Ferri è capogruppo nel Consiglio comunale del capoluogo pugliese per Italia Popolare, che lo scorso dicembre ha aderito a Puglia Popolare, il partito di Massimo Cassano, candidato alla Camera nelle liste di Azione e Italia Viva in Puglia.
Dopo l’ingresso in Azione degli ex-emilianisti di Puglia popolare, con la candidatura di Cassano – che per poco non è stato eletto alla Camera – Ferri ha partecipato anche a parte della campagna elettorale di calendiani e renziani in Puglia. In regione è considerata il braccio destro di Cassano. Infatti alcune foto (a destra) li ritraggono insieme durante la campagna elettorale per le politiche in compagnia di Mara Carfagna, capolista di Azione e Italia Viva nei quattro listini proporzionali pugliesi e poi eletta a Montecitorio. In passato Ferri invece era stata anche candidata alle elezioni regionali con Raffaele Fitto, attuale ministro per le Politiche europee del governo Meloni.
Oggi Ferri è al centro di uno dei due filoni dell’inchiesta condotta dagli inquirenti della Procura della Repubblica di Bari-Direzione distrettuale antimafia e dai poliziotti della Digos e della Squadra Mobile della Questura e dal nucleo della polizia economico finanziaria-Gico della Guardia di finanza. Il gip nella sua ordinanza ha riconosciuto la gravità indiziaria rispetto ai reati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale. Un’associazione che Ferri, secondo le indagini, ha promosso, costituito e organizzato insieme al compagno convivente (con rapporti di frequentazione, secondo quanto sostiene l’accusa, con elementi di spicco della criminalità organizzata locale) e all’imprenditore Canonico. Poi avrebbero aderito altri 7 “portatori di voto“, che avevano il compito di individuare, contattare e reclutare il maggiore numero possibile di elettori da cui avrebbero comprato i voti col danaro fornito o rimborsato sempre da Ferri, dal compagno e da Canonico.
“Questo gruppo criminale faceva attività di penetrazione nel territorio dal punto di vista economico ed ha avuto una capacità di penetrazione nel mondo politico attraverso un’interferenza con i processi democratici“, ha dichiarato il procuratore di Bari, Roberto Rossi, aprendo la conferenza stampa convocata per fornire dettagli sull’indagine. “Quello che è interessante è la modalità con la quale la criminalità organizzata interferisce con la democrazia. C’è un’intercettazione in cui gli indagati si chiedono a vicenda l’orientamento politico. ‘Non mi importa di essere di destra o di sinistra: importante è fare affari‘”, ha raccontato Rossi.
L’inchiesta della Dda di Bari ha preso in esame anche le elezioni comunali a Valenzano (Bari), in precedenza sciolto per condizionamenti mafiosi, che si sono svolte a novembre 2019. Secondo l’accusa, il vertice dell’organizzazione mafiosa operante a Valenzano e che avrebbe avuto collegamenti con il clan Parisi di Bari, “avrebbe assunto l’impegno di procurare voti della malavita“. “Sono stati così denominati in una conversazione intercettata tra due degli indagati ad alcuni candidati, in cambio della promessa di ricevere utilità, tra cui la modifica del piano regolatore comunale per rendere edificabili terreni di proprietà”, spiega la Dda di Bari in una nota. È stata provata – secondo l’accusa – l’esistenza di una intesa tra il vertice del clan operante a Valenzano ed uno dei componenti della “coppia Ferri” finalizzato ad ottenere l’impegno del gruppo mafioso a procacciare voti in favore di soggetti legati all’altro, candidati come consiglieri comunali e “infiltrati” dalla coppia in una lista civica. In questo caso il gip ha contestato lo scambio elettorale politico–mafioso.
L’indagine ha portato anche ad una decina di arresti di indagati ritenuti appartenenti ad un’associazione mafiosa operante a Valenzano che, anche con l’uso della violenza e delle armi, avrebbe imposto la propria volontà nel commettere i reati di estorsione, usura, spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione illegale di armi.
(da il Fatto Quotidiano)
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