Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
MATTARELLA HA SOTTOLINEATO CHE VIGILERÀ SUI CURRICULUM DEI CANDIDATI MINISTRI, DAL PUNTO DI VISTA MORALE CHE PENALE
La Meloni è davvero spaventata. “Non ci dormo la notte”, ha sospirato. Ma il giorno è ancora più buio della notte. La poverina prende la testolina tra le mani e non fa che domandarsi: ma perché Salvini e Berlusconi hanno fatto ‘sto casino? Perché hanno fatto cadere il governo Draghi nel periodo più folle e minaccioso a partire dalla Seconda Guerra mondiale, alle prese con una guerra interminabile e con una crisi economica ed energetica da apocalisse, per non dire del Covid che potrebbe ricicciare di nuovo?
Caro Matteo, caro Silvio, ma non era mejo far concludere la legislatura e votare ad aprile 2023, con Draghi in sella a palazzo Chigi, che è di sicuro più autorevole di noi con Europa e Stati Uniti, costretto a sbrogliare la matassa de ‘sto casino globale? Cosa fatta, capo ha, dice il poeta. E allora non resta che appellarsi a SuperSergio.
Scrive Carlo Tarallo: “A quanto risulta alla “Verità”, Meloni ha già avuto qualche colloquio preliminare, in un contesto collaborativo, con il Quirinale”. Una chiacchierata telefonica che è stato definita “positiva”. Il Capo dello Stato ha precisato alla premier in pectore che vigilerà sui curriculum, sia dal punto di vista morale che penale, dei candidati ministri che verranno scodellati. Alert: la sola accortezza è quella di non pronunciare mai il nome di Salvini.
La Meloni è davvero spaventata. Sulla crisi energetica Draghi le ha suggerito l’indirizzo di quel secchione in astinenza di visibilità che è Roberto Cingolani che le ha dipinto un bel quadretto rosa. Poi è arrivata la voce di Claudio Descalzi che ha rovesciato il quadretto di zucchero. A ruota, ecco un altro draghiano, Bebé Bernabé, ancor più pessimista del capo dell’Eni. A chi credere? Boh…
Sulla scrivania della Regina della Garbatella il foglio con la lista dei ministri è ancora bianco. Stretta tra la penuria di personalità di primo piano in Fratelli d’Italia e le proposte demenziali di Salvini e Berlusconi, che non le hanno ancora perdonato di averli battuti nelle urne, tant’ è che agiscono, soprattutto Salvini e i suoi, come se fossero loro i vincitori del 25 settembre.
Esaurito il toto-nomi sui possibili ministri dell’eventuale governo Meloni (l’ultima parola spetta a Mattarella), abbandoniamoci al piacere di indovinare le personalità che non entreranno nella lista che la Ducetta porterà con sé al Quirinale.
Numero uno: Licia Ronzulli. La Meloni non stima (eufemismo) la rasputin in gonnella di Berlusconi, quindi è improbabile il dicastero della Sanità o dell’Istruzione, chiesti via Tajani prima e Berlusconi poi). L’ex infermiera si dovrà accontentare di un dicastero “leggero” o della carica di vice-ministro.
Non si parla di ministeri per Ignazio La Russa, per il cognato Lollobrigida e per Daniela Santadeché (Giorgia è irritatissima della sua intervista contro l’amata Mestizia Moratti).
Poi salgono alti i dubbi sui nomi di Adolfo Urso e l’ex ambasciatore Terzi di Sant’Agata. Non buoni i rapporti con Fabio Rampelli, che è ancora incazzato con la famiglia Lollobrigida (lui e la sorella laziale di Giorgia) per la sciagurata scelta del radiocronista laziale Michetti per il Campidoglio.
Altro bubbone: di fronte a una proposta di un dicastero (Difesa) o del ruolo importantissimo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, si deciderà una volta per tutte Guido Crosetto a chiudere le sue società di lobbista e la presidenza dell’Aiad?
Ancora mal di pancia: la scelta dei candidati alla Regione Lazio e alla Regione Lombardia (Salvini non riesce a sciogliere il nodo Moratti), in agenda a marzo 2023. Ecco perché la Meloni è davvero spaventata.
(da Dagoreport)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
L’ARMATA BRANCALEONE NON HA ELMETTI, GIUBBOTTI ANTIPROIETTILE, MEDICINE E CIBO – “STIAMO MANGIANDO SOLO QUELLO CHE CI SIAMO PORTATI DA CASA, ABBIAMO SPESO UN SACCO DI SOLDI”
Protesta di 500 uomini russi mobilitati che sono scesi dal treno nella regione di Belgorod lamentando di non essere ancora stati assegnati ad alcuna unità, di non avere elmetti, giubbotti antiproiettile, medicine, denaro e persino cibo.
I video della protesta sono stati postati su Twitter dal consigliere del ministro dell’Interno ucraino Anton Gerashchenko.
I soldati, a volto coperto, raccontano che prima di partire sono stati portati in un posto che ‘andava bene per gli animali’, ‘gli ufficiali ci trattano come animali’.
Riferiscono di non avere informazioni su cosa andranno a fare, di non essere stati addestrati, di aver ricevuto un’arma che non è stata neppure registrata a loro nome.
“Stiamo mangiando solo quello che ci siamo portati da casa”, dicono nei video, “abbiamo già speso un sacco di soldi”.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
LO SLOGAN DELLA MANIFESTAZIONE “BASTA COTTIMO, QUESTA È UNA STRAGE”
«Siamo qui per denunciare che la strage dei rider va fermata. Non vogliamo rimanere in silenzio di fronte alla terza persona morta in Toscana mentre lavorava che si aggiunge al rider di Treviso morto solo poche settimane fa», dicono dal palco.
Si muore senza un’assicurazione, senza nemmeno qualcuno con cui prendersela. Dall’altra parte della mail e della app che regolano la vita dei rider c’è solo un algoritmo che licenzia chi, come Sebastian Galassi, è morto trattandolo come uno che abbia scelto di fare altro nella vita. «Basta con il cottimo, basta morire per una consegna» è lo slogan della manifestazione di Firenze.
In piazza ci sono alcune decine di rider. Pochi se li si considera come lavoratori con diritto di sciopero. Tantissimi se si pensa che per loro fermarsi vuol dire perdere posizioni nel rigido schema imposto dall’algoritmo e che da oggi dovranno ricominciare a correre ancora di più per recuperare le ore perse mentre scioperavano.
Federico Curcio ha 53 anni, da tre lavora come rider. «Da quando sono tornato dall’estero per motivi familiari e ho scoperto che a 50 anni in Italia un informatico non ha alcuna possibilità di lavorare». Ha preso una bicicletta “muscolare”, una di quelle vecchio stile, si è registrato e ha iniziato a pedalare. «Riesco a guadagnare mille euro al mese nei giorni di maggiore richiesta, lavorando sette ore al giorno», spiega.
I giorni migliori sono i peggiori per chi è in strada, sono le sere in cui piove, c’è la neve, fa freddo. I giorni in cui, chi può, resta in casa. Federico Curcio si è dato una scadenza. «Quando i problemi di famiglia termineranno tornerò all’estero. Questa non è vita. Tornerò a fare l’informatico ma resterò rider per sempre. Quando hai diviso con delle persone le sere di freddo e di tempesta, salutandole in fretta perché devi correre ma riconoscendole e ritrovando nei loro sguardi stanchi la tua stanchezza, finisci per considerare questa una comunità di fratelli. E i fratelli sono per sempre».
Marco Donati ha 35 anni e una laurea in Scienze Politiche. Lavora come rider da tre-quattro anni. «Al massimo sei ore, dopo mi stanco. Se dovessi vivere solo di questo non ce la farei». Marco si arrangia con altri piccoli lavori e ha imparato a darsi un limite nelle consegne. «Un anno fa ho avuto un incidente. Avevo lavorato troppo per tutta la settimana. La domenica sono caduto per stanchezza. Trauma cranico, quattro punti, l’azienda mi ha addebitato la consegna non effettuata. Mi è andata bene, avrei potuto farmi molto più male. Da allora ho capito che dovevo lavorare meglio, senza inseguire soltanto la quantità. Ora sono iscritto alla Nidil, sarei per uno sciopero al mese. Questo lavoro non deve farci morire».
Nemmeno Simone Batistoni con le consegne riesce a pagarsi tutte le spese. «Quando va bene guadagno anche 1200 euro al mese ma per riuscirci devi agire da pirata. Semafori rossi, strade in senso vietato e correre tanto. È un lavoro che non può essere preso sottogamba, devi essere concentrato, serio. Non puoi studiare e lavorare, ti devi dedicare. Io prima lavoravo in fabbrica poi quando ho visto che durante il Covid si guadagnava abbastanza bene ho iniziato. Vorrei continuare a farlo ma è necessario dare maggiori tutele».
Andrea Pratovecchi ha 23 anni. Studia economia e ha iniziato a lavorare come rider due anni fa. Sperava di pagarsi una casa. «Mi sono reso conto che avrei dovuto lavorare dieci ore al giorno, non avrei avuto il tempo per studiare». Ha dimezzato le ore di lavoro, al massimo 3 o 4 al giorno e si è rassegnato a continuare a chiedere aiuto ai genitori ma ha deciso di impegnarsi per migliorare la vita di chi non ha la sua fortuna.
«Essere un rider vuol dire essere uno schiavo dell’algoritmo. Si è pagati a cottimo, si finisce per lavorare a un ritmo insostenibile. Tragedie come quella di sabato lo confermano. È necessario sedersi a un tavolo per avere garanzie, diritti e tutele che ora non ci sono».
Assodelivery, l’associazione che riunisce e rappresenta le principali piattaforme di food delivery in Italia, ha espresso «profondo cordoglio e vicinanza alla famiglia di Sebastian Galassi, rider vittima di un incidente stradale a Firenze» e ha ricordato che «in questi anni sono stati fatti importanti passi in avanti e altri ancora ne possono essere fatti insieme alle istituzioni e alle parti sociali» . Prima del prossimo morto, chiedevano i rider radunati ieri a Firenze.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
OGGI TOCCA A FITCH MANDARE UN MESSAGGIO ALLA MELONI: “LO SPAZIO FISCALE PER MANOVRARE SARÀ MOLTO LIMITATO SE SI VUOLE CHE IL RAPPORTO DEBITO PUBBLICO E PIL CONTINUI A SCENDERE. NEL CASO DI DEFICIT PIÙ ALTI CI SARANNO AVVERSE REAZIONI”
Il nuovo Governo italiano “erediterà” dall’esecutivo di Mario Draghi “un punto di partenza fiscale più forte di quanto atteso ma spingere la crescita, anche attraverso un efficace dispiegamento dei fondi Next Generation Eu resta centrale per una duratura riduzione del debito”.
Lo afferma l’agenzia di rating Fitch che sottolinea come lo spazio per cambiare il Pnrr sia “limitato” e dunque “l’approccio del prossimo Governo a qualsiasi potenziale rinegoziazione sarà importante sia per la crescita che per il sentiment del mercato”.
“La crisi energetica e i limiti della politica fiscale che l’Italia ha di fronte rendono i fondi del Ngeu ancora più importanti per migliorare le prospettive di crescita”, afferma Fitch, che ricorda come la premier in pectore Giorgia Meloni e il suo partito “hanno espresso il desiderio di rinegoziare parti” del Pnrr “senza però dire quali”.
“Pensiamo che sia improbabile che la Commissione europea mostri molta flessibilità sulle riforme strutturali. Questo significa che c’è solo uno stretto percorso per rinegoziare il Pnrr, con il rischio di un confronto pubblico che porti solo a piccoli cambiamenti”, avverte Fitch.
Pur partendo, come emerso dalla Nadef, con conti pubblici migliori da quelli attesi ad aprile, il nuovo governo dovrà fare i conti con un contesto difficile, in cui si dovrà adattare “a prospettive di tassi più alti e di crescita più debole”, che produrranno “entrate fiscali calanti” mentre le spese saranno messe sotto pressione dall’indicizzazione di quelle previdenziali e assistenziali, incluse le pensioni, e dai sostegni per far fronte al caro energia, con i bond governativi che a fine settembre hanno toccato i massimi da nove anni.
“Questo significa che lo spazio fiscale per manovrare sarà molto limitato se si vuole che il rapporto debito pubblico e Pil continui a scendere”, sottolinea Fitch, che mette in guardia dal rischio di “avverse reazioni di mercato” nel caso di annuncio di “deficit più alti”. “La legge di bilancio 2023 si focalizzerà probabilmente su una risposta fiscale aggiuntiva alla crisi energetica e la nostra attuale previsione è che il nuovo governo adotterà una posizione fiscale sostanzialmente responsabile”.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
“NON C’È PIÙ LA SFIDUCIA DEL VAFFA. C’È LA DEMOCRAZIA DELLA PAURA E DELLA RICHIESTA DI AIUTO. IL NORD USA MELONI COME UN OMBRELLO PER RIPARARSI DALLA PIOGGIA CHE VERRÀ NEI PROSSIMI MESI”
Il Nord ha paura. Non si fida più nemmeno della Lega. Cerca protezione. È passato dal “vaffa” alla richiesta di aiuto. Giorgia Meloni ha risposto «sono pronta». Ilvo Diamanti, docente dell’Università di Urbino, presidente dell’istituto Demos ed editorialista di Repubblica, legge così la vittoria di Fratelli d’Italia nel Settentrione fino a ieri dominato dalla Lega.
Diamanti, di che cosa ha paura Il Nord?
«Ha paura di impoverirsi, ha paura delle conseguenze che potranno arrivare nei prossimi mesi dalla tante crisi che stiamo attraversando».
Diciamo la verità: il Nord non è certo l’area che sta peggio nel Paese
«È vero ma è quella che ha più da perdere».
E come può rispondere Giorgia Meloni a quella paura?
«Presentandosi come il partito fuori da Roma, che è stato all’opposizione e che può rappresentare la novità».
Fuori da Roma? Fratelli d’Italia? Qualcuno si rivolta nella tomba.
«Roma in questo caso non è la città di Roma. È la metafora del potere, quel potere che il Nord giudica ostile».
Perché ostile?
«Perché le aree periferiche del Nord, soprattutto nel Nord-Est, pensano di avere un grande ruolo nel sistema economico italiano ma di non avere un peso analogo nel sistema politico nazionale».
Perché la Lega, che ha tradizionalmente rappresentato questo punto di vista, ha perso nei confronti di Fratelli d’Italia?
«Con Salvini la Lega ha subito una mutazione genetica. Fino a Maroni era un partito di popolo nel Nord. Dopo è diventata un partito del capo a vocazione nazionale».
E questo che cosa cambia?
«Guardiamo il simbolo. C’è scritto: “Lega per Salvini premier”. Il Nord è sparito e tutto sembra risolversi con il successo personale del leader».
Non era così anche negli altri partiti? Non era così alle regionali del 2019 quando la Lega ebbe un notevole successo?
«Quel successo alle regionali è soprattutto il successo dei governatori. Ma la Lega nazionale, modellata da Salvini sulla falsariga del vecchio Front National di Marine Le Pen è quella che ha governato con il Conte I e con Draghi».
Basta governare per perdere le elezioni?
«Meloni ha vinto, anche nel Nord, perché non ha governato».
Cosa chiedono oggi gli elettori del Nord che hanno votato Meloni?
«Protezione di fronte alla crisi (basta pensare all’aumento dei costi dell’energia per le imprese) e più autonomia».
Non è paradossale chiedere l’autonomia al partito nazionalista per definizione?
«Può certamente apparire paradossale ma si chiede autonomia a chi si ritiene sia stato in questi anni fuori dai giochi».
Meloni ha convinto il Nord con una particolare ricetta economica?
«Lo ha fatto con un messaggio molto semplice: noi non utilizzeremo i profitti generati dalle piccole e medie imprese del Nord per pagare il reddito di cittadinanza al Sud. Messaggio chiarissimo».
Ma è così?
«Mai come in queste elezioni è evidente il rapporto diretto tra il voto ai 5 stelle, che del reddito di cittadinanza hanno fatto la loro bandiera, e la distribuzione del sussidio alla popolazione. Le aree del Sud dove Conte è andato meglio o è diventato maggioranza sono quelle che hanno goduto del maggior gettito legato al reddito di cittadinanza».
Insomma, i dati economici dell’Italia sono una somma algebrica con il Nord in positivo e il Sud negativo. Il voto per Meloni al Nord è la rivolta del più contro il meno. Così?
«In parte è così. Nel Nord-Est sette elettori su dieci mettono l’autonomia al primo posto tra le richieste da fare al governo nazionale. Questo significa che la richiesta viene da un arco molto vasto, non solo da leghisti e da chi ha votato Fdi».
E come si spiega questo, oltre che con la paura del futuro?
«Il Nord-est ha due esempi di autonomismo regionale ai suoi confini: il Friuli e il Trentino. E chiede da tempo di essere messo nelle stesse condizioni di chi abita quelle regioni. La richiesta di autonomia si spiega anche dall’esempio dei vicini».
Queste non erano a suo tempo le richieste della Lega?
«L’origine della Lega è nella Liga veneta. Anzi nelle lighe. La protesta inizia a Treviso e si espande presto in diverse aree del Nord. Non tanto nelle campagne quanto nelle aree pedemontane. Treviso, Padova, Vicenza, Verona. Bergamo, Brescia: piccole città che vivevano sulle piccole imprese».
E che si sentivano ingiustamente trascurate a Roma?
«Diciamo non adeguatamente rappresentate. La Lega per molti anni è servita da collante, da rete di riferimento a questo popolo che viveva alla periferia del potere. Quella funzione è venuta meno con la svolta di Salvini. E non per caso dopo la sconfitta di queste elezioni politiche anche dentro il partito è avanzata la richiesta di tornare al vecchio modello. Come propongono Bossi e Maroni».
In tutto questo il centrosinistra è scomparso. Per quali ragioni?
«Da anni ormai il Pd è diventato il partito delle aree metropolitane. Sempre più dei loro centri storici. Gli operai hanno smesso, in buona parte, di votare il centrosinistra. Votano per altre aree politiche o si astengono».
Eppure anche il Pd ha avuto il periodo in cui era diventato il partito del capo
«Certo, con Renzi. Aveva raggiunto il 41 per cento. L’avevo soprannominato il PdR, il partito di Renzi. Poi quello schema non ha retto e gli elettori gli hanno rapidamente voltato le spalle».
Si attendeva il risultato del partito di Letta?
«Finora, nonostante gli alti e bassi, il Pd era l’unico partito rimasto in piedi mantenendo una struttura e un radicamento sul territorio. Ora mi pare che anche quella certezza sia venuta meno. Scendere sotto il 20 per cento è stato un grave colpo».
Certo. Ma Meloni, universalmente riconosciuta vincitrice, non è andata oltre il 24 per cento. Come si spiega?
«Si spiega con la polverizzazione dei partiti, spesso leggeri. Che vivono sui social più che nella realtà. Che hanno scarse occasioni di incontro continuativo con i cittadini. I 5 stelle sono passati dal 33 per cento del 2018 al 16 del 2022. La Lega dal 31 all’8 per cento. E tutto questo in pochissimi anni».
Quali fattori hanno accelerato questo processo?
«Credo che abbia giocato molto la scomparsa dei corpi intermedi, delle associazioni. Il virus e il lockdown hanno avuto questa conseguenza indiretta. Le persone si incontrano meno e chattano di più. E internet favorisce le onde emotive in politica. E poi da decenni in Italia si vota contro. Quella di Berlusconi era la battaglia dell’imprenditore contro l’establishment. Quella di Grillo la sfiducia contro il Palazzo che diventa ideologia. Ora non c’è più la sfiducia del Vaffa. C’è, al suo posto la democrazia della paura e della richiesta di aiuto. Il Nord chiede quella protezione: usa Meloni come un ombrello per ripararsi dalla pioggia che verrà nei prossimi mesi».
(da “la Stampa”)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
“UN ERRORE CHE CALENDA E PD NON SI SIANO COALIZZATI”
Dopo che il suo cognome è diventato lo slogan di tante campagne elettorali e oggetto di attacchi da parte del centrodestra, Elsa Fornero si toglie qualche sassolino dalla scarpa.
Lo fa in un’intervista a Radio1, dove alla domanda su quale ruolo dovrebbe avere Matteo Salvini nel prossimo governo, risponde così: «Lui ha detto che non ho mai lavorato in vita mia, se ragionassi allo stesso modo potrei dirgli che per lui è arrivato il momento di iniziare a lavorare».
L’economista ed ex ministra del Lavoro nel governo Monti si è soffermata, poi, sull’eventualità che il segretario della Lega possa insediarsi proprio nel dicastero che lei guidò dal 2011 al 2013.
«Non auguro agli italiani Salvini ministro del Lavoro: io non ho fiducia in lui, gli darei una pausa – e alle ultime elezioni – lo ha trascinato il risultato di Meloni, altrimenti lui sarebbe stato un perdente».
A proposito della leader di Fratelli d’Italia, Fornero la definisce «prudente nelle poche dichiarazioni che fa, e anche questo è apprezzabile, ma non tutta la sua maggioranza mostra la stessa responsabilità – e giudica positivamente che Meloni si sia – comportata in maniera responsabile finora, dando una grossa prova di consapevolezza. Si sta preparando, sta studiando».
Quando a Fornero viene chiesto chi suggerirebbe a Meloni come tecnici da inserire nel suo esecutivo, afferma: «Se fossimo in un periodo in cui si potesse aumentare tranquillamente il debito, tutti vorrebbero fare i ministri dell’Economia, ma ora siamo in tempi difficili chi è che si prende queste responsabilità che fanno perdere consensi? Allora si mette un tecnico, cosa che dà anche la scappatoia al politico per poter dire, in caso, “la colpa è la sua”».
Apprezzamenti, dunque per la presidente del Consiglio in pectore, che arrivano nonostante l’esponente del governo Monti non abbia votato per lei: «Io ho votato da una parte per il Pd e dall’altra per Calenda. È stato un errore grave non mettersi insieme, quello sarebbe stato il mio auspicio».
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
LA COCCA DI GRILLO VUOLE CORRERE DA SOLA ALLE REGIONALI E STA ORGANIZZANDO UNA CORDATA DI FEDELISSIMI CONTRARI A UN ACCORDO CON I DEM
Le regionali in Lazio e Lombardia sono il prossimo appuntamento elettorale in arrivo, a inizio 2023. Nei 5 Stelle la discussione interna non è ancora davvero cominciata: andare ancora da soli o tentare di ridare vita al campo progressista? In via di Campo Marzio infatti, alla sede del Movimento, il dossier è sulla scrivania di Giuseppe Conte, ancora intonso.
Di certo però c’è solo una cosa: nel Lazio la ex sindaca di Roma Virginia Raggi – che da sempre preme per continuare sulla strada della corsa in solitaria – non è ricandidabile con il M5S, esattamente com’era stato per il Parlamento. “Se invece si candidasse con un’altra lista civica, sarebbe fuori dal Movimento”, ha detto chiaro e tondo Mariolina Castellone, la capogruppo uscente al Senato.
Altro discorso è invece il posizionamento politico del partito. Ad oggi, con le condizioni date, rinnovare l’alleanza in Regione Lazio (dove siedono due assessori del M5S in giunta) appare una strada in salita. Pesano i pessimi rapporti tra Conte ed Enrico Letta ma pure la faccenda inceneritore di Roma, che fu lo scoglio sul quale il governo Draghi e poi fronte progressista andò a sbattere. Insomma, la linea Raggi non è certamente di minoranza. Altro discorso però sono le sue eventuali ambizioni di candidatura per la Pisana. Ci vorrebbe una deroga ad hoc tutta per lei, che fa anche parte del Comitato di garanzia del partito, e non sembra proprio aria.
Dopodiché dai territori, vedi ad esempio la Lombardia, la richiesta che si fa a Conte è che alla fine la decisione venga presa ascoltando i referenti, non facendola calare dall’altro.
(da La Repubblica)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
TRE EUROPARLAMENTARI TEDESCHI CHIEDONO AL PRESIDENTE DEL PPE MANFRED WEBER, AMICO DI TAJANI, DI ESPELLERE FORZA ITALIA DAL PPE
In una lettera indirizzata al presidente dei Popolari europei, tre eurodeputati tedeschi di tre formazioni diverse chiedono a Manfred Weber di espellere Forza Italia dal partito se non rinuncerà a sostenere la formazione del governo di Giorgia Meloni.
Il documento, firmato dall’ex ministra Katarina Barley di S&D, Daniel Freund dei Verdi e Moritz Körner di Renew Europe, chiede a Weber di esigere da Forza Italia un passo indietro dalla formazione di un governo con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Secondo i firmatari, un’alleanza del genere legittimerebbe l’estrema destra al governo e creerebbe un precedente.
Se Forza Italia dovesse comunque entrare nell’alleanza (fatto che finora non appare messo in dubbio, considerate le costanti trattative per la formazione del governo che coinvolgono i leader di partito) i firmatari chiedono che FI sia espulsa dalla famiglia dei Popolari europei.
«I valori fondanti dell’Europa non possono essere barattati per una partecipazione in un governo. Le voci di una famiglia di partiti europeista non possono portare al potere un governo di estrema destra. Il cordone di sicurezza nei confronti della destra non deve venir meno. Chi si allea con l’estrema destra non la addomestica. Chi si allea con gli estremisti li aiuta a prendere il potere» si legge nel documento.
«Nonostante il Ppe abbia sostenuto Fratelli d’Italia non è troppo tardi per evitare che Giorgia Meloni diventi il capo di un governo di estrema destra in Italia. Perciò le chiediamo, in qualità di presidente del Ppe di prendere contatto con i suoi alleati in Italia e chiedere loro di non partecipare al governo di estrema destra in Italia. Se Forza Italia dovesse aderire comunque al nuovo governo e sostenere Giorgia Meloni, non potrà più avere un futuro nella famiglia europeista del Ppe».
Weber aveva ricevuto molte critiche per il suo sostegno esplicito a Forza Italia nonostante il patto pre-elettorale con Fratelli d’Italia. Dopo le elezioni i commenti negativi si sono amplificati, soprattutto da parte del premier bavarese segretario della Csu, a cui appartiene anche Weber, Markus Söder.
Weber durante la campagna elettorale aveva detto che Forza Italia sarebbe stata la garante della politica europeista del nuovo governo. Dopo il voto, Söder aveva commentato che «Forza Italia non è il partner che riteniamo adeguato. Non è il compito dei partiti conservatori quello di portare al potere governi di estrema destra».
Per Weber il cordone di sicurezza contro la destra è importante in Germania, dove contro AfD regge, ma «l’Italia è l’Italia», cioè un altro conto.
(da EditorialeDomani)
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Ottobre 6th, 2022 Riccardo Fucile
LA RAGAZZA AVEVA “LA TESTA FRACASSATA E IL NASO FRATTURATO”: SUL CORPO DELLA GIOVANE C’ERANO SEGNI DI STUPRO E DI TORTURE E GLI ORGANI INTERNI ERANO STATI RIMOSSI
Anche Nika, come Mahsa, è morta con il cranio fracassato. Da chi, non è ancora certo, ma i sospetti sono tutti sulle forze di sicurezza della Repubblica islamica. La magistratura iraniana aveva dichiarato, martedì, di aver aperto un’indagine sulla morte dell’adolescente Nika Shahkarami. Scomparsa durante le proteste che da tre settimane si sono accese in varie città iraniane come reazione all’uccisione di un’altra giovane donna, Mahsa Amini, la 22enne deceduta tre giorni dopo essere stata arrestata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente lo hijab, il velo islamico.
Il cadavere della sedicenne Nika è stato trovato dalla famiglia in un obitorio di Teheran, dieci giorni dopo l’ultimo messaggio vocale di lei a un’amica, in cui sosteneva di essere inseguita dalla polizia. La famiglia, ha rivelato poi che le forze di sicurezza avrebbero intimato loro di evitare la cerimonia funebre per la ragazza. Ne avrebbero quindi prelevato il cadavere per seppellirlo in un villaggio a 40 chilometri dal luogo dove era prevista la sepoltura, a Khorramabad, la città di origine del padre.
«Il caso è stato depositato presso il tribunale penale per indagare sulle cause della morte – ha replicato il procuratore di Teheran Ali Salehi all’agenzia di stampa ufficiale Irna – e sono state adottate le misure necessarie al riguardo». Poi ieri, i risultati dell’autopsia sul corpo della ragazza curda iraniana sono stati resi noti dall’Irna, che ha riportato le dichiarazioni di Mohammad Shahriari, funzionario della magistratura della Repubblica islamica: «Fratture multiple al bacino, alla testa, agli arti superiori e inferiori» indicherebbero, secondo il dirigente iraniano, che Nika Shahkarami è precipitata, «lanciata dall’alto».
«Non sono stati trovati segni di proiettili», ha aggiunto, e quindi «l’incidente non ha nulla a che fare con i recenti disordini». Ma per la famiglia la ragazza aveva «la testa fracassata e il naso fratturato», e sul corpo della giovane c’erano segni di stupro e di torture «suture, cuciture fatte a mano», e gli organi interni erano stati rimossi. Mentre sua zia sua zia Atash Shakarami ha rivelato che nell’ultimo messaggio ricevuto la nipote le diceva di «essere inseguita dalle forze di sicurezza».
Segno che Nika potrebbe essere stata picchiata e torturata a morte dagli agenti, come con tutta probabilità è accaduto a Mahsa. Un’altra vittima della repressione, sempre più giovane, come sempre più giovani sono i manifestnati. Universitari ma anche liceali, degli atenei e scuole superiori in varie città dell’Iran, da Teheran a Karaj a Zanjan, da Mashhad a Kerman, a Shiraz. Un’ondata così diffusa non si vedeva in Iran da quasi tre anni. In alcuni filmati, condivisi online, studentesse abbandonano le aule di studio e prendono parte a flash-mob per evitare di essere scoperte.
Il regime cerca soffocare le proteste anche sui social, con blocchi quasi totali di Internet, mentre le forze di sicurezza sono impegnate a domare le strade, uccidendo decine di persone e arrestandone a centinaia. Secondo la Ong svedese Iran Human Rights, che riporta i numeri raccolti dal portale dei dissidenti iraniani all’estero Iran International, almeno 154 persone uccise, compresi 9 minori. Una repressione feroce che sta attirando la condanna globale.
L’Unione Europea si è unita agli Stati Uniti nell’avvertimento di nuove e severe sanzioni, misure punitive nei confronti di alti funzionari iraniani come il congelamento dei beni e sospensione del diritto di viaggiare. Ma l’Iran rimbalza le minacce, accusando chi gli punta l’indice contro di alimentare le proteste. L’ambasciatore britannico Simon Shercliff è stato convocato a Teheran dal ministero degli esteri iraniano, in segno di protesta contro le critiche di Londra agli interventi delle forze iraniane durante le manifestazioni per Mahsa Amini, ritenute «false e provocatorie» dalla Repubblica islamica.
(da agenzie)
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