Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
MA CHE “PUNTO DI RIFERIMENTO”, PAOLO SI RIVOLTA NELLA TOMBA AD ESSERE ASSOCIATO A QUESTO GOVERNO
Un lugubre discorso reazionario. Dalla parte delle lobby e non degli italiani, criminalizzazione degli stranieri, linea Bolsonaro sulla pandemia con l’assenza di politiche di contrasto, cemento, nucleare, islamofobia e zero diritti civili.
La retorica e l’incoerenza. Ossia Giorgia Meloni che si fa bella con Borsellino dimenticando che non solo è alleata ma anche voleva come presidente della repubblica Silvio Berlusconi, ossia una persona che – come è scritto chiaramente nei processi – venne a patti con la mafia e che era sodale di Marcello Dell’Utri – eletto senatore – che è stato condannato in via definitiva per reati connessi alla mafia.
Dove sta la coerenza?
Pio La Torre non lo dovrebbe nemmeno nominare. Quanto a Libero Grassi fu ucciso perché si opponeva alle richieste della mafia senza accettare compromessi.
Esattamente il contrario di Berlusconi.
(da Globalist)
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Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
RICOMINCIA LA GUERRA ALLE ONG VIOLANDO LE LEGGI INTERNAZIONALI… ALTRI SEQUESTRI DI PERSONA IN VISTA, FINO A CHE NON SI TROVERA’ UN MAGISTRATO CHE EMETTA UN MANDATO DI ARRESTO
Le prime avvisaglie di una stretta politica si erano avute ieri. Mentre 2 navi umanitarie incrociavano al largo della Libia, con a bordo centinaia di migranti soccorsi in mare, il vicepremier e ministro delle Infrastrutture leghista Matteo Salvini si era fatto sentire, al termine di un incontro col comandante generale della Guardia costiera Nicola Carlone, assicurando: “Torneremo a far rispettare i confini”.
Subito dopo il ministero degli Affari esteri avrebbe inviato due note verbali alle due ambasciate degli Stati di bandiera (Norvegia e Germania), rilevando che le condotte delle due navi Ocean Viking e della Humanity 1, attualmente in navigazione nel Mediterraneo, non sono “in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale”. Infine, oggi, il neo-ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (prefetto e ministro tecnico, ma in quota leghista, già capo di gabinetto di Salvini, quando questi guidava il Viminale) ha tradotto quell’altolà in una direttiva che, nella sostanza, sembra rispecchiare un analogo atto emanato nel marzo del 2019 proprio dall’allora titolare del Viminale, Salvini appunto. Il quale, intorno alle 16 ha diffuso una nota per complimentarsi con Piantedosi: “Bene l’intervento del ministro dell’Interno a proposito di due ong: come promesso, questo governo intende far rispettare regole e confini”.
La direttiva del Viminale
In qualità di autorità nazionale di pubblica sicurezza, il ministro Piantedosi ha emanato una direttiva, inviandola ai vertici delle forze di polizia e delle capitanerie di porto, per chiedere loro – alla luce delle due note degli Esteri – di monitorare la situazione e i movimenti delle due imbarcazioni, le cui condotte (sulla base dell’articolo 19 della Convenzione internazionale delle Nazioni unite sul diritto del mare) saranno valutate ai fini dell’adozione da parte del titolare del Viminale del divieto di ingresso nelle acque territoriali.
Per quale ragione dovrebbe essere disposto tale divieto?
Il Viminale si arrampica sugli specchi argomentano che “le operazioni di soccorso sono state svolte in piena autonomia e in modo sistematico in area Sar” (la zona di mare internazionale in cui si effettuano le ricerche e il soccorso), “senza ricevere indicazioni dalle Autorità statali responsabili di quell’area Sar, ovvero Libia e Malta, che sono state informate solo a operazioni avvenute”.
Cioè bisognerebbe informare la Libia (che li ha fatti partire dopo aver incassato il pizzo) e cho non ha alcuna zona Sar oltre le 20 miglia di prassi dalla costa, in modo che li riprenda, li segreghi nei lager e faccia loro ripagare il viaggio.
Inoltre, secondo il dicastero dell’Interno, anche l’Italia è stata “informata solo a operazioni effettuate”. Perchè forse il governo avrebbe mandato la Marina militare a salvarli? O non li avrebbe vigliaccamente riconsegnati ai loro aguzzini?
La Convenzione Onu
Il passaggio delle navi ong nelle acque territoriali italiane viene considerato “pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero”. Ciò in base all’articolo 19 della Convenzione internazionale delle Nazioni unite sul diritto del mare, citato nella direttiva
In base alla Convenzione, “le navi di tutti gli Stati, costieri o privi di litorale, godono del diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale”. Ed il passaggio è inoffensivo “fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero”.
Trattandosi di richiedenti asilo in fuga da Paesi in guerra e non di guerriglieri in armi è evidente che non esiste alcun pericolo alla sicurezza dello Stato.
Le ong: seguiamo la legge del mare
Al momento “non abbiamo ricevuto alcuna diretta comunicazione dalle autorità italiane. Come organizzazione di ricerca e soccorso seguiamo la legge internazionale del mare, salvando persone in difficoltà”. Lo fa sapere Sos Humanity, la ong tedesca che gestisce la nave Humanity One, al momento in acque ad est di Malta con a bordo 180 persone soccorse. Insieme alla Ocean Viking, è una delle due navi che, secondo la direttiva del ministro dell’Interno starebbero assumendo condotte non “in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale”.
(da Avvenire)
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Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
DALL’AGRICOLTURA ALL’EDILIZIA FINO AL TURISMO, LE IMPRESE SI LAMENTANO DELLA MANCANZA DI MANODOPERA: EPPURE BASTEREBBE PAGARE DI PIÙ PER TROVARE PERSONALE… GLI IMMIGRATI VALGONO IL 9% DEL PIL
Ne arrivano sempre meno, e chi può va via: gli immigrati regolari in Italia sono 5,2 milioni e il loro contributo all’economia vale quasi 144 miliardi, il 9% del Pil, ma prima del Covid arrivava al 9,5%. E anche la loro incidenza tra gli occupati è scesa dal 10,3% del 2019 al 10%.
Sembrano differenze lievi, ma per alcuni settori dell’economia italiana, dall’agricoltura all’edilizia al turismo, il contributo dei lavoratori immigrati è fondamentale, non solo per i contratti stagionali, e il calo della partecipazione al mercato del lavoro è stato un grave problema quest’anno, con la ripresa a pieno ritmo delle attività.
Tanto che alcuni settori, come l’edilizia, non solo per ragioni umanitarie, ma anche per far fronte al forte fabbisogno di manodopera, si sono organizzati per riqualificare e inserire i rifugiati nei cantieri e in azienda.
A calcolare l’impatto del lavoro degli stranieri sull’economia italiana è la Fondazione Leone Moressa, nel Rapporto annuale che verrà pubblicato a novembre. La pandemia ha accelerato un fenomeno in corso già da diversi anni: «Le partenze degli immigrati dall’Italia sono cominciate nel 2011, dopo la crisi, e il fenomeno si è accentuato negli ultimi due anni, con la pandemia. Chi aveva un lavoro precario ed è rimasto disoccupato ha preferito tornare a casa, oppure spostarsi in Paesi più affini dal punto di vista linguistico, come la Francia per i nordafricani o il Regno Unito per gli asiatici – spiega il ricercatore della Fondazione Moressa Enrico Di Pasquale – Le imprese adesso avrebbero bisogno di molta più manodopera stagionale, ma i tempi del decreto flussi sono sbagliati, non coincidono con quelli dell’economia: quest’ anno a giugno era ancora tutto fermo».
Il decreto flussi autorizzava l’arrivo di circa 70 mila lavoratori, ma ne sono arrivati meno, per problemi burocratici e gestionali. «Quello di quest’anno è stato un disastro burocratico – conferma Romano Magrini, responsabile lavoro di Coldiretti – Il settore agricolo avrebbe avuto bisogno almeno di 100mila lavoratori stranieri a partire da marzo, siamo riusciti a farne arrivare tra i 10 e i 15 mila. E quando sono arrivati, la stagione della raccolta della frutta era ampiamente partita».
L’agricoltura, che secondo i dati della Fondazione Moressa ha la maggiore incidenza di lavoratori stranieri (il 18%), seguita da ristorazione (16,9%) ed edilizia (16,3%), non è il solo settore ad aver sofferto di forte carenza di manodopera. «Prima della pandemia, un quarto dei nostri 940 mila lavoratori dipendenti erano extracomunitari», dice Luciano Sbraga, direttore Ufficio studi Fipe-Confcommercio. «Ne abbiamo persi 243 mila, e ne abbiamo recuperati solo 50 mila finora. Il 40% dei lavoratori che cerchiamo sono difficili da reperire, e i numeri del decreto flussi sono una goccia nel mare».
Nella stessa condizione gli albergatori: «Una parte import ante dei nostri dipendenti è extracomunitaria, e abbiamo bisogno di sapere chi possiamo assumere al massimo a febbraio – dice Gianni Battaiola, presidente degli albergatori del Trentino – Molti di loro svolgono mansioni che i lavoratori italiani preferiscono non fare, come le pulizie nelle camere o il lavapiatti, tanti fanno i camerieri. Ne abbiamo bisogno sia per la stagione estiva che per quella invernale».
A fronte di questa forte carenza di manodopera, è possibile far lavorare i rifugiati? L’Ance, l’associazione dei costruttori, non se lo è chiesto due volte, e ha stipulato un accordo con il ministero del Lavoro per la riqualificazione e l’inserimento di tremila “migranti vulnerabili”.
E, per accelerare i tempi del decreto flussi, ha firmato anche un accordo con le Misericordie, per selezionare i lavoratori già nei Paesi di origine, e farli arrivare in Italia con la garanzia di un contratto e di un alloggio.
(da agenzie)
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Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
VIA ALLA GUERRA INTERNA CON MULÈ CHE HA CHIESTO A TAJANI DI LASCIARE IL RUOLO DI COORDINATORE DEL PARTITO … IL MINISTRO DEGLI ESTERI, “FURIOSO”, RAGIONA SULL’IPOTESI DI CREARE UNA SORTA DI “PARTITO DELLE LIBERTÀ” SATELLITE DI FRATELLI D’ITALIA
Sul tavolo, da domani ai giorni a venire, ciascuno forse metterà a verbale la propria smentita tattica.
Vale per Silvio Berlusconi, che nel fortino di Arcore prepara il ritorno a Roma e lima il discorso sulla fiducia al governo di Giorgia Meloni che pronuncerà domani in Senato, il primo a Palazzo Madama a nove anni dalla decadenza. Vale forse per Antonio Tajani, che ha preso possesso della sua nuova scrivania alla Farnesina. E vale anche per i capigruppo che animano la fazione dei «falchi», Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo.
Ma al di fuori del perimetro della tattica, la guerra è esplosa tanto che qualcuno ha addirittura evocato una scissione: governisti con Tajani di qua, dove «qua» è una sorta di «partito delle libertà» satellite di Fratelli d’Italia; e «falchi» di là, dove per «là» s’ intende quello che resterebbe di Forza Italia.
In serata ci prova proprio Ronzulli a cercare di abbassare la tensione: «Basta con le mistificazioni, la misura è colma! Non c’è nessuna spaccatura in Forza Italia, basta con i film dell’orrore. Cambiate sceneggiatura. Cambiate protagonisti».
In realtà a innescare la miccia di un nuovo scontro interno è stato l’affondo di Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera molto ascoltato dal Cavaliere e molto vicino alla stessa Ronzulli. Che, in un’intervista a Repubblica, apre la questione del coordinamento nazionale del partito presidiato da Tajani. Della serie: chi ha incarichi di governo, lasci quelli al partito. Il ministro degli Esteri non la prende bene.
Al contrario, chi riesce a parlargli nel corso della giornata lo descrive «letteralmente furibondo» rispetto a un affondo che non aveva messo in conto, quantomeno non nel primo giorno da ministro degli Esteri. A sentire il suo giro di fedelissimi è anche peggio. E non si fatica affatto, anzi, a trovare qualcuno che ammetta, e neanche troppo a denti stretti, che il divorzio da Forza Italia non è affatto escluso.
Anche se poi c’è chi pensa a Luigi Di Maio che con la scissione dai 5 Stelle ha segnato la fine della carriera politica sua e di chi aveva deciso di seguirlo.
Dietro la questione sollevata da Mulè c’è ben altro che l’incarico da coordinatore nazionale del partito, che i «falchi» rivendicano per loro dopo essere stati sottostimati, a loro dire, nella distribuzione degli incarichi di governo. E la prossima mina politicamente inesplosa sulla strada del governo Meloni è a un passo, ben visibile: il risiko dei sottosegretari.
Raccontano che Berlusconi, ad Arcore, sia pronto a trasformare la faccenda in una specie di questione d’onore, al punto da volerne fare una specie di remake del film già visto la settimana scorsa sui ministri.
La questione del «peso» di FI negli equilibri della maggioranza l’ha portato a fissare l’asticella a un numero di sottosegretari tra i dieci e i dodici, comunque «non meno di dieci». Fin qui la partita che lo vede contrapposto a Meloni.
Ma quand’anche ottenesse il sì alla quota che chiede, ecco, là inizierebbe il confronto interno tra governisti, anti-governisti e berlusconiani doc che hanno fatto la campagna elettorale da posizione non eleggibile.
L’elenco dei pretendenti a un posto da viceministro o sottosegretario è infinito. Ci sono i fedelissimi di Tajani (Paolo Barelli, Giorgio Battistoni), quelli legati al blocco Ronzulli (Alberto Barachini), le vittime illustri del totoministri (Gloria Saccani Jotti, Francesco Paolo Sisto), più un pacchetto di mischia di personalità legate al Cavaliere o a Forza Italia da un rapporto antico ma rimaste fuori dal Parlamento: da Valentino Valentini a Giuseppe Moles, da Annagrazia Calabria a Valentina Aprea, passando per Andrea Ruggieri.
Tutti i nomi entrano ed escono da liste piene di cancellature che viaggiano da Arcore a Roma e poi fanno il percorso inverso.
«Chi fa la trattativa per noi? Tajani? La fa come ha fatto quelle per il governo?», protesta a sera un esponente dei falchi.
Più o meno alla stessa ora, un deputato vicino a Tajani minaccia, per l’ennesima volta «la scissione».
E la giostra è pronta per il prossimo giro.
(da il Corriere della Sera)
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Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
IL PRIMO È CARLO DEODATO, PROBABILE PROSSIMO SEGRETARIO GENERALE DI PALAZZO CHIGI… AL MEF ARRIVERÀ IL “CASSESIANO” LUIGI FIORENTINO, SERINO ALLA DIFESA, L’EX CAPO DEL LEGISLATIVO DI TONINELLI, ALFREDO STORTO, ALLE INFRASTRUTTURE
Sono i “neomelonici” ma cantano sempre la stessa musica: “Il potere è mobile/ qual Draghi al vento/ muta d’accento e di pensiero”.
Si ripeteva che Meloni non avesse “teste” e invece le migliori sono già “a disposizione”. Sono le stesse che da più di vent’anni vengono chiamate a gestire ministeri.
Perché le teste, alla fine, sono sempre quelle con qualche piccolo cambio.
Ad esempio, a questa tornata, il Consiglio di Stato, l’astuccio dei nostri burocrati, si ferma un giro a favore dei magistrati ordinari (si veda la nomina di Alfredo Mantovano a sottosegretario).
Lo fa notare un docente: “Se come pare al Mef, come capo di gabinetto, andrà la formidabile Daria Perrotta è evidente che ne esce indebolito il Consiglio di Stato. E anche se non va Daria, l’altro nome è Luigi Fiorentino, un ‘cassesiano’ (vale a dire un allievo del sommo Sabino Cassese) che è già stato alla Ragioneria generale”.
In realtà al Mef non è stato deciso nulla ancora. Si fanno i nomi di Perrotta, Fiorentino (forse resta all’Istruzione dove si trova) ma anche di Glauco Zaccardi, già capo del legislativo del Mef.
E di diritto entra Stefano Varone che è stato capo di gabinetto di Giorgetti al Mise. L’unica discontinuità sarebbe l’uscita di Alessandro Rivera, influentissimo direttore generale del Tesoro. Al centrodestra non è piaciuta la sua gestione del dossier Ita. Quanto si scrive è naturalmente da prendere con il beneficio dell’errore.
Alle primarie per fare il capo di gabinetto di Meloni si stanno sfidando Gaetano Caputi, già capo di gabinetto del ministro Garavaglia, e Perna. Perna chi? Non lo conoscevamo neppure noi prima di una preziosa imbeccata. Venne suggerito alla Meloni, ai tempi ministra, da Elio Vito. E’ stato sei volte capo di gabinetto, oggi lavora alla Camera, fuma toscani, legge il Candido di Sciascia e ascolta Bach. Ha fatto l’esame da avvocato con Stefano Dambruoso, magistrato, già consulente dell’Onu.
Dicono che il ministro Carlo Nordio possa indicare lui come capo di gabinetto (l’altro nome è quello di Alberto Rizzo, presidente del tribunale di Vicenza). Si sta creando, se si crea, un importante filone pugliese. Perna, Caputi, Dambruoso sono pugliesi come Mantovano e Raffaele Fitto a cui hanno affidato una specie di super ministero. Avrà la competenza sul Pnrr che aveva in passato Roberto Garofoli (guarda caso, altro pugliese).
Se è vero, come pare, che alla Farnesina il ministro Tajani sceglierà come suo capo di gabinetto uno tra Maurizio Massari (ambasciatore all’Onu) e Armando Varricchio (lo è a Berlino) quale sarebbe invece la discontinuità? Un altro nome è Stefano Sannino. Fa il segretario generale del sevizio europeo per l’azione esterna su nomina di Josep Borrell.
Un altro profilo ancora è quello di Bruno Archi. Si attinge insomma sempre dallo stesso lago, il buon lago italiano. Per sostituire il consigliere diplomatico di Mario Draghi, Luigi Mattiolo, in pensione, è già stato mobilitato l’ambasciatore Francesco Maria Talò.
Alla Difesa, ad affiancare Guido Crosetto, non potrà che esserci un generale. Il nome dicono sia quello di Pietro Serino, già Capo di stato maggiore. Il marine Luciano Portolano resterebbe invece segretario generale della Difesa. Pure Salvini si è scelto, come capo di gabinetto, e questo è certo, Alfredo Storto. Sapete cosa faceva? Era capo dell’Ufficio legislativo di Daniele Franco. Gilberto Pichetto Fratin, che è il nostro new Cingolani, si porta con sé Mario Antonio Scino che era vice capo di gabinetto del Mise.
La ministra del Lavoro Calderone ha già nominato il suo cg (così li abbreviano). E’ Mauro Nori ed è stato già direttore generale dell’Inps, consigliere di Giovanni Tria e oggi segretario generale Cnel.
Da Matteo Piantedosi, prefetto, resta invece Bruno Frattasi, che era capo di gabinetto anche della ministra Lamorgese.
All’Università si sposta Marcella Panucci che era “cg” di Renato Brunetta. E poi. Agli Affari europei “cg” dovrebbe essere Ermenegilda Siniscalchi che stava già alla Famiglia quando ministro era Lorenzo Fontana. E’ stimata da Deodato che sarà l’inchiostro di governo Meloni come lo era stato di Draghi.
E si è arrivati alla fine.
(da il Foglio)
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Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
DA SOLA NON CI ARRIVA A CAPIRE CHE ESISTE UN CONFLITTO DI INTERESSI GRANDE COME UNA CASA
Il neo ministro del Turismo risponde alle domande sul suo presunto conflitto d’interessi
«Sarà una scelta del presidente del Consiglio. Se avverrà così – se Meloni dovesse togliere le deleghe – non ci vedo nulla di strano. Le quote del Twiga le terrò invece, certamente».
Daniela Santanchè aveva promesso che avrebbe risposto ai giornalisti solo dopo il discorso di Giorgia Meloni alla Camera, e così è stato: si occuperà di stabilimenti balneari o no?
La senatrice di Fratelli d’Italia, che è stata scelta per ricoprire nel prossimo esecutivo il ruolo di ministro del Turismo, ha risposto ai cronisti che la attendevano fuori Montecitorio: le quote societarie del Twiga, lo stabilimento balneare di Flavio Briatore di cui è socia al 24 per cento, non verranno vendute, ma sulle deleghe che riguardano le concessioni sulle spiagge sarà la futura presidente del Consiglio a decidere.
Subito dopo la lettura della lista dei ministri, la nomina di Santanchè aveva generato diverse polemiche propria per le sue azioni nello stabilimento in Versilia, che avrebbero potuto comportare un conflitto d’interessi.
Per Santanchè c’è anche un’altra grana, che però esula dagli affari di governo. L’agenzia di stampa Ansa ha fatto sapere ieri che i nuovi azionisti di riferimento di Visibilia Editore, la holding che controlla le riviste di Visibilia Editrice tra cui Visto e Novella 2000, fondata e partecipata dalla senatrice di FdI, hanno chiesto e ottenuto la convocazione dell’assemblea.
Per discutere la revoca dell’attuale cda e la nomina di un nuovo consiglio di amministrazione. L’assemblea, si legge in una nota, è stata convocata dal consiglio in carica per l’11 novembre. La convocazione è stata chiesta congiuntamente da Sif Italia e Luca Giovanni Reale Ruffino, titolari complessivamente di una quota del 21,72%. La partecipazione è stata resa nota alcuni giorni fa, contestualmente all’annuncio che la precedente azionista di riferimento e neo ministra del Turismo aveva azzerato la sua quota.
(da agenzie)
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Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
FDI HA DIRITTO A ORGANIZZARE CONVEGNI, CHI NON LA PENSA COME LORO A CONTESTARE, MA USARE SENZA MOTIVO LA FORZA PUO’ FARE RITORNARE A TEMPI BUI
Mattinata di tensioni alla facoltà di Scienze Politiche della Sapienza in occasione di un convegno organizzato da Azione Universitaria cui sono stati invitati anche Daniele Capezzone e Fabio Roscani, esponente di Fratelli d’Italia e presidente di Gioventù Nazionale.
Davanti alla sede della facoltà si sono riuniti decine di studenti per un presidio di protesta organizzata dai collettivi, ma le contestazioni sono rapidamente degenerate in scontri con la polizia.
I poliziotti, in tenuta anti sommossa, hanno respinto i manifestanti che reggevano uno striscione e tentavano di raggiungere l’ingresso della facoltà
La carica di alleggerimento è degenerata in una serie di colpi di manganello sferrati sugli studenti più vicini, e un ragazzo che ha tentato di forzare il blocco è stato trascinato sopra un muretto, messo a terra e ammanettato, per poi essere trasferito all’interno della facoltà, chiusa da una saracinesca.
“Dopo che l’Università e la rettrice Polimeni hanno legittimato per anni la presenza di organizzazioni fasciste, dopo l’insediamento del Governo Meloni, è arrivata anche la risposta delle forze dell’ordine e dell’apparato repressivo che hanno manganellato violentemente gli studenti – fanno sapere i collettivi – Non accettiamo che vengano legittimate violenza, razzismo e sfruttamento”. Gli studenti si sono quindi mossi in corteo verso il rettorato, circa 2.000 ragazzi che hanno avanzato reggendo striscioni e intonando cori di protesta.
“L’Università deve essere un luogo in cui si studia, si cresce, in cui bisogna incontrarsi e confrontarsi, ma non scontrarsi fisicamente – ha detto la rettrice Antonella Polimeni – Condanniamo ogni forma di violenza e garantiamo, ad ogni individuo che agisca secondo i Principi costituzionali, il diritto a manifestare liberamente le proprie opinioni nel rispetto della pluralità delle idee”.
(da agenzie)
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Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
MA PER I SOVRANISTI IL PROBLEMA SONO LE ONG, NON L’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE CHE CONTINUIAMO A FINANZIARE
In Libia la situazione per quanto riguarda i diritti umani è “inaccettabile”. Soprattutto in merito alle condizioni di migranti e richiedenti asilo. A dirlo, oggi, è il nuovo inviato speciale delle Nazioni Unite nel Paese, Abdoulaye Bathily, durante il suo primo intervento al Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Un tema che diventa sempre più rilevante per l’Italia, con l’avvicinarsi del 2 novembre, data oltre la quale verrà automaticamente rinnovato il Memorandum di intesa con Tripoli per altri tre anni, a meno che le autorità italiane non decidano di intervenire.
“Purtroppo, la situazione dei diritti umani in Libia è ancora inaccettabile”, ha spiegato il diplomatico senegalese collegato in video dalla capitale libica. Bathily ha quindi lanciato un appello per “rilasciare immediatamente” le migliaia di migranti che vengono arrestati arbitrariamente e detenuti nei campi di detenzione in Libia.
Diverse organizzazioni per i diritti umani da tempo chiedono all’Unione europea, e in particolare all’Italia, di sospendere la cooperazione con la Libia.
Spesso infatti la conseguenza di questa attività è il respingimento di rifugiati e richiedenti asilo verso il Paese nordafricano, dove troppo spesso sono state documentate violazioni dei diritti umani dei migranti, tra detenzioni arbitrarie, stupri e torture.
(da Fanpage)
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Ottobre 25th, 2022 Riccardo Fucile
I SONDAGGI DANNO LULA IN VANTAGGIO DI QUATTRO-SETTE PUNTI
Si annuncia una battaglia all’ultimo voto quella tra Luiz Inacio Lula da Silva e Jair Bolsonaro a cinque giorni dal secondo turno delle elezioni presidenziali.
L’ex Presidente di sinistra avrà l’importante sostegno dei candidati sconfitti, in particolare della centrista Simone Tebet e del progressista Ciro Gomes, classificatisi rispettivamente terza e quarto.
Secondo l’ultimo sondaggio Ipec per Tv Globo, Luiz Inacio Lula da Silva ha il 50% delle intenzioni di voto e il presidente Jair Bolsonaro il 43%. Il sondaggio – che registra uno scarto di 7 punti tra i due candidati – ha avuto lo stesso risultato di una settimana fa.
I principali sondaggi brasiliani concordano sul fatto che Lula vincerà le elezioni di domenica prossima, ma indicano uno scarto più ridotto, tra i quattro e i cinque punti percentuali.
Il nuovo sondaggio Ipec ha un margine di errore di 2 punti percentuali ed è stato condotto tra sabato e lunedì, intervistando 3.008 elettori in 183 comuni del Paese. Solo il 2% degli intervistati è indeciso, mentre il 5% ha dichiarato che avrebbe votato scheda bianca o nulla.
Al primo turno delle elezioni presidenziali, il 2 ottobre, Lula è stato il candidato più votato, con il 48,4% dei voti, e Bolsonaro è arrivato secondo con il 43,2%. Poichè nessuno dei due candidati ha ottenuto più della metà dei voti validi, i due candidati con il maggior numero di voti si sfideranno al secondo turno.
La sfida è comunque ancora aperta. Occhi puntati sugli indecisi e su coloro che hanno disertato le urne al primo voto. Da una prima analisi degli esperti, il tasso di astensione è salito dal 20,3% del 2018 all’attuale 20,94. Un dato dicono che avrebbe danneggiato Lula.
Gli analisti rilevano inoltre che queste settimane di campagna elettorale sono state oscurate dalla preoccupazione che Bolsonaro potrebbe non accettare la sconfitta dopo aver affermato che “solo Dio” potrebbe rimuoverlo dal suo incarico di capo dello Stato.
Il vincitore si troverà ad affrontare una situazione complessa con un Paese che ha di fronte problemi urgenti da risolvere come l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, che hanno contribuito ad aumentare la povertà e la fame.
(da agenzie)
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